Diritto dei Mercati Finanziari
Il Caso.it, Sez. Giurisprudenza, 1097 - pubb. 14/01/2008
Offerta fuori sede e «collocamento»
Tribunale Venezia, 07 Luglio 2007. Est. Maria Antonia Maiolino.
Offerta fuori sede di strumenti finanziari – Art. 30 t.u.i.f. – Facoltà di recesso – Collocamento – Nozione in senso stretto – Negoziazione di ordini – Esclusione.
Il termine “collocamento” di cui all'art. 30, sesto comma, del TUF non ricomprende la fattispecie della mera intermediazione nell'acquisto di strumenti finanziari sicchè deve essere respinta l'eccezione di nullità derivante dall'omessa indicazione nel contratto della facoltà di recesso. (Franco Benassi) (riproduzione riservata)
omissis
Ai sensi dell’art. 16/V va fatto integrale richiamo alla citazione ed alla comparsa di costituzione e risposta per la ricostruzione del fatto all’origine della controversia.
Previo scambio di memorie delle parti e rigettate da parte del Collegio le istanze istruttorie formulate in causa, il procedimento è stato trattenuto per la decisione all’esito della discussione orale tenutasi il 7 luglio 2007.
Appare dirimente nella decisione la questione inerente l’applicabilità o meno alla controversia dell’art. 30 TUF, laddove stabilisce che “l’omessa indicazione delle facoltà di recesso nei moduli o formulari comporta la nullità dei relativi contratti, che può essere fatta valere solo dal cliente”: mentre gli attori hanno sostenuto l’applicabilità della norma all’ordine con cui in data 11.8.2000 hanno disposto l’acquisto di titoli obbligazionari emessi dallo Stato argentino per un valore di € 15.000,00, con conseguente nullità dello stesso e obbligo restitutorio da parte della banca convenuta, Mediolanum s.p.a. ha sostenuto la tesi esattamente contraria.
La questione è effettivamente controversa in giurisprudenza, registrandosi un più diffuso orientamento favorevole all’applicazione dell’art. 30 TUF anche alle fattispecie di negoziazione di ordini: orientamento effettivamente già fatto proprio da questo stesso Tribunale.
Rileva peraltro il Collegio come alcune delle decisioni che si sono occupate della questione riguardassero fattispecie in cui comunque si discuteva propriamente di collocamento di titoli ovvero in cui la citata clausola di recesso in favore dell’investitore era stata inserita nel modulo, ma in maniera non rispondente alle forme prescritte dalla legge.
Le ragioni sostenute dall’orientamento favorevole (Tribunale Pescara 9.5.2006 in www.ilcaso.it, ma negli stessi termini in precedenza anche Tribunale Mantova 10.12.2004) sono sostanzialmente le seguenti:
- il termine “collocamento” nel contesto dell’art. 30 è stato utilizzato “in senso ampio, riguardando ogni forma di vendita di titoli mobiliari, atteso che tale norma disciplina il collocamento presso il pubblico di servizi di investimento la cui nozione si desume dall’art. 1 co V del t.u.l.f. che comprende fra l’altro la negoziazione, il collocamento nonché la ricezione e la trasmissione di ordini”;
- l’art. 61 del regolamento n. 11522/1998 prevede che il “servizio di collocamento” includa l’attività di offerta fuori sede di strumenti finanziari;
- anche l’art. 36 del medesimo regolamento prevede che “nell’attività di offerta fuori sede di strumenti finanziari … disciplinati dall’art. 30 del Testo Unico, gli intermediari autorizzati si avvalgono dei promotori finanziari al fine, tra l’altro, di illustrare agli investitori la facoltà prevista dall’art. 30, comma 6, del Testo Unico”.
Ritiene il Collegio che nell’affrontare la questione esposta debba innanzitutto sottolinearsi come l’art. 30 TUF citato disciplini in linea generale l’offerta fuori sede di strumenti finanziari e di servizi di investimento: il primo comma stabilisce che per offerta fuori sede “si intendono la promozione e il collocamento presso il pubblico di” strumenti finanziari e di servizi di investimento; il sesto comma però, adottando una diversa formula, dispone che “l’efficacia dei contratti di collocamento di strumenti finanziari o di gestione di portafogli individuali conclusi fuori sede ovvero collocati a distanza ai sensi dell’art. 32 è sospesa per la durata di sette giorni” ed “entro detto termine l’investitore può comunicare il proprio recesso senza spese né corrispettivo”, con conseguente nullità (come già detto al comma settimo) dei moduli che detta facoltà di recesso non indichino.
Ebbene, ad avviso del Tribunale il punto maggiormente critico della tesi esposta è quello che pretende un’interpretazione ampia del termine “collocamento” fino a ricondurvi qualsiasi ipotesi di negoziazione di titoli: e ciò per plurime considerazioni. Il loro esame peraltro pretende che si chiarisca sin d’ora che il termine “collocamento”, cui deve aversi riguardo, è quello di cui al sesto comma, specificamente in tema di recesso, e non quello di cui al primo comma.
In primo luogo non può sottacersi che il Testo Unico della Finanza è una legge che disciplina una materia alquanto specialistica, cosicché va attentamente verificato se risulti giustificata un’interpretazione non propriamente letterale di un termine.
Il problema in questione si pone perché i concetti di collocamento e di negoziazione di ordini sono entrambi noti in materia e tra loro ben distinti, cosicché l’allontanamento dall’interpretazione propria dell’espressione deve trovare puntuale giustificazione: basti considerare che proprio il citato art. 1 TUF, quando elenca le singole ipotesi di servizi di investimento, ben distingue il collocamento (lettera c) dalla negoziazione per conto proprio o di terzi (lettere a e b) ovvero la ricezione e trasmissione di ordini (lettera e), a conferma del fatto che sia il collocamento come la negoziazione o la ricezione di ordini (come anche la gestione di portafogli: lettera d, su cui si dirà in seguito) rientrano nel genere dei sevizi di investimento, di cui rappresentano però singole species.
E la spiegazione dei diversi concetti viene dalla CONSOB, laddove con la comunicazione DAL/97006042 del 9.7.1997, è chiarito che il collocamento “si caratterizza per essere un accordo tra l’emittente (o l’offerente) e l’intermediario collocatore, finalizzato all’offerta al pubblico da parte di quest’ultimo degli strumenti finanziari emessi a condizioni di prezzo e (frequentemente) di tempo predeterminate”, mentre la negoziazione consiste nell’esecuzione “di ordini di acquisto ricevuti dalla clientela stessa, a condizioni, quindi, diverse a seconda dell’acquirente e del momento dell’operazione”.
Ora, se si tiene conto di quanto prevede l’art. 12 delle preleggi, il quale stabilisce che “nell’applicare la legge non si può ad essa attribuire altro senso che quello fatto palese dal significato proprio delle parole secondo la connessione di esse, e dalla intenzione del legislatore”, ritiene il Tribunale, ripensando il proprio precedente orientamento, che risulti effettivamente difficile affermare che il termine “collocamento” vada inteso in senso ampio, al fine di ricomprendervi qualsiasi ipotesi di vendita di titoli: la “vendita di titoli”, infatti, così come intesa dall’orientamento giurisprudenziale cui si è fatto cenno, è concetto di genere ed espressione atecnica, mentre “collocamento” di strumenti finanziari di cui al comma sesto dell’art. 30 TUF (ben diverso da “collocamento di servizi finanziari” di cui al primo comma) è termine di specie e di natura tecnica.
A conferma di quanto esposto va anche considerato sotto un profilo sistematico come il sesto comma citato menzioni il collocamento di strumenti finanziari accanto all’ipotesi di gestione di portafogli: invero, da un lato, deve osservarsi che, se dovesse intendersi il collocamento genericamente quale vendita di titoli, non sarebbe stato necessario aggiungere una specifica ipotesi di servizio finanziario, che risulterebbe già ricompressa nella fattispecie generale; dall’altro lato, risponde ad un principio di coerenza della norma l’accostamento di due ipotesi specifiche e quindi di due distinte fattispecie di diversi servizi di investimento, piuttosto che di una ipotesi generale ed atecnica e di uno specifico esempio di servizio.
Concludendo sul punto, ad avviso del Collegio non risulta giustificata l’interpretazione del sesto comma citato secondo un significato diverso da quello letterale che gli è proprio (in tali termini si legga anche Tribunale di Parma 14.5.2007 in www.ilcaso.it).
Gli argomenti tratti dagli articoli 36 e 61 del regolamento attuativo del TUF, invero, non valgono a confutare la tesi esposta, atteso che in entrambi i casi presupposto del campo applicativo della norma è che si raggiunga una chiara interpretazione del termine “collocamento”: cosicché se, come oggi proposto, collocamento di strumenti finanziari significa esclusivamente quanto spiegato dalla Consob, l’art. 61 andrà applicato ad ogni ipotesi di collocamento, da intendersi nei termini esposti, ivi compreso quando l’offerta di collocamento venga svolta dalla banca fuori sede.
Un’ulteriore conferma alla tesi esposta viene peraltro dal sistema normativo che si occupa della materia in esame ed in particolare dal raffronto tra l’art. 30 TUF e gli articoli 1 e 11 del d.lgs. n. 190/2005: invero, mentre la prima norma si occupa della disciplina dell’offerta fuori sede di servizi e prodotti finanziari (salvo un inciso al collocamento a distanza proprio al sesto comma), la più recente legge è intervenuta a disciplinare in generale la commercializzazione a distanza dei servizi finanziari.
Non v’è dubbio che trattandosi di normativa entrata in vigore successivamente alla vicenda oggetto della presente causa, la stessa non sia direttamente applicabile alla fattispecie (e del resto, disciplinando commercializzazione a distanza e non commercializzazione fuori sede, non era applicabile a monte al caso concreto per diverso ambito oggettivo): sennonché ritiene il Tribunale se ne possano trarre validi spunti interpretativi utili anche nella presente decisione.
Non appare invero casuale in primo luogo che l’art. 1/II stabilisca, disciplinando l’ambito oggettivo della nuova disciplina, che “per i contratti riguardanti servizi finanziari costituiti da un accordo iniziale di servizio seguito da operazioni successive o da una serie di operazioni distinte della stessa natura scaglionate nel tempo, le disposizioni dl presente decreto si applicano esclusivamente all’accordo iniziale”; ma, ancor più pregnante, l’art. 11, nel disciplinare il diritto di recesso, che si modula in maniera del tutto simile a quanto prevede l’art. 30 TUF salvo per il tempo di esercizio, stabilisce espressamente al quinto comma che lo stesso non si applichi “ai servizi finanziari, diverso dal servizio di gestione su base individuale di portafogli di investimento se gli investimenti non sono stati già avviati, il cui prezzo dipende da fluttuazioni del mercato finanziario che il fornitore non è in grado di controllare e che possono aver luogo durante il periodo di recesso, quali ad esempio i servizi riguardanti: … 2) strumenti del mercato monetario, 3) valori mobiliari”.
La ratio di quest’ultima previsione è del tutto comprensibile, se si considerano le rilevanti fluttuazioni che i prezzi dei valori mobiliari possono subire nell’arco di sette o quattordici giorni (ex art. 30 TUF o 11 d.lgs. n. 190/2005), fluttuazioni che rendono di fatto pressoché impossibile che l’investitore riesca a versare lo stesso prezzo che gli era stato comunicato nel momento in cui ha conferito l’ordine: fluttuazioni quindi che, a prescindere dall’effetto positivo o negativo sul prezzo, rendono impossibile una piena consapevolezza su tutti gli elementi del negozio, nel momento in cui l’ordine è conferito. È evidente come detta circostanza mal si concili con una efficace tutela del consumatore, che dovrebbe essere lo scopo della disciplina sulla facoltà di recesso di cui si discute: per questo il Legislatore ha escluso la facoltà di recesso nell’ipotesi di fluttuazioni di prezzo.
Ebbene, l’art. 30 TUF al sesto comma accomuna le ipotesi di commercializzazione fuori sede alle ipotesi di commercializzazione a distanza e la normativa specificamente rivolta ai casi di commercializzazione a distanza esclude la facoltà di recesso sia per i singoli ordini che vadano ricondotti nel più ampio alveo di un contratto quadro, sia in ogni caso di acquisto a un prezzo fluttuante che il fornitore non è in grado di controllare (se l’ordine rimanesse sospeso, infatti, fungendo la banca solo da intermediaria ogni fluttuazione sul prezzo si riverbererebbe sull’investitore e non certo sulla banca o sul mercato, non potendosi mantenere bloccata in favore del consumatore l’indicazione di prezzo fornita al momento del conferimento dell’ordine): si tratta di una circostanza che, in ossequio ad un principio di coerenza del sistema, consente a posteriori di confermare la tesi interpretativa esposta, per cui la fattispecie di esecuzione da parte della banca intermediaria del singolo ordine di acquisto impartito dal cliente non attribuisce all’investitore alcun diritto di recesso, non rientrando nel novero delle ipotesi trattate dal citato sesto comma. Invero, anche nell’interpretare l’art. 30/VI TUF ed il termine “collocamento” ivi utilizzato, deve tenersi conto della ratio della normativa (e dell’intento del Legislatore: art. 12 preleggi), volta a tutelare il consumatore e quindi incompatibile con un meccanismo che rende di fatto impossibile una consapevole gestione del rapporto contrattuale di intermediazione finanziaria.
Va infine considerato al riguardo come il differente trattamento tra il collocamento di strumenti finanziari eseguito dalla banca e la sola intermediazione nell’acquisto dalla stessa prestata trovi anche una giustificazione alla luce della diversa posizione assunta nelle due fattispecie dall’istituto di credito: invero, nel primo caso lo stesso è direttamente collegato all’emittente o offerente i titoli, dal quale viene pagato per il collocamento, e quindi si pone in una posizione di controinteressato rispetto a chi quei titoli acquisti; nella seconda ipotesi, invece, la banca è autonoma sia dall’emittente i titoli che dall’investitore, percependo solo da costui le commissioni per il servizio prestato, cosicché la sua posizione neutrale (salva la specifica ipotesi del conflitto di interessi, autonomamente disciplinata dal regolamento attuativo del TUF) che non impone la stessa rigorosa cautela necessaria nel primo caso.
Deve quindi concludersi nel senso che il termine “collocamento” di cui all’art. 30/VI TUF non comprende la fattispecie odierna di mera intermediazione nell’acquisto di titoli da parte degli investitori attori, cosicché l’eccezione di nullità sollevata al riguardo deve essere rigettata.
Chiarita detta questione, vanno esaminate le ulteriori doglianze svolte dagli attori, chiarendo peraltro sin d’ora che le stesse si sono rivelate infondate nel merito o comunque sfornite di adeguato supporto probatorio. Va peraltro rilevato sin d’ora che molte delle circostanze decisive ai fini della valutazione della controversia vengono proprio dalla lettura dei documenti e delle dichiarazioni scritte firmate dagli attori: il negare in causa la veridicità delle dichiarazioni rese per iscritto, per di più in assenza di qualsiasi supporto probatorio, non può invero privare in alcun modo di rilievo probatorio detta documentazione.
Gli attori hanno contestato all’istituto intermediario la violazione dell’art. 21, lettera E, del TUF e dell’art. 28/II reg. Consob, perché non sarebbe stata fornita agli investitori alcuna informazione sulla natura, rischi ed implicazioni dell’operazione: in realtà al momento del conferimento dell’ordine il signor Agnoletto (cointestatario in via disgiuntiva del portafoglio titoli) ha sottoscritto un documento in cui dà atto di una serie di informazioni che gli sarebbero state rese relativamente all’investimento (doc. n. 3 parte convenuta); detta dichiarazione ha efficacia confessoria (senza peraltro che gli attori abbiano neppure manifestato l’intenzione di revocare la stessa), rendendo la parte dichiarazione del verificarsi di un fatto favorevole alla propria controparte contrattuale, e dimostra che, al contrario di quanto sostenuto in giudizio, che l’investitore ricevette plurime informazioni in ordine al titolo acquistato.
Va ulteriormente considerato al riguardo che in ogni caso il difetto di informazioni avrebbe al più dato luogo ad una ipotesi di responsabilità contrattuale della banca intermediaria e quindi ad una pronuncia risarcitoria; ma perché il fatto contrario agli obblighi contrattuali si tramuti in una pronuncia di risarcimento del danno è necessario che si configuri un legame tra il fatto illecito ed il lamentato pregiudizio: nel caso di specie, per le ragioni che meglio si diranno nell’affermare l’adeguatezza dell’operazione de qua, manca la prova del nesso causale tra eventuale mancanza di informazioni e danno patito, cosicché la domanda risarcitoria sarebbe comunque risultata infondata. Ovvero, l’investitore, su cui gravava il relativo onere probatorio (l’art. 23/VI TUF, infatti, prevede l’inversione dell’onere della prova solo per la dimostrazione a carico dell’intermediario di aver agito con la specifica diligenza richiesta e non per le altre componenti della fattispecie risarcitoria, ovvero prova del danno e del nesso di causalità), non ha dimostrato che, qualora fosse stato meglio informato, non avrebbe conferito l’ordine in questione.
Contestano ancora gli attori la violazione dell’art. 28/I reg. Consob, perché la banca non avrebbe chiesto ai clienti alcuna informazione in ordine alla loro situazione finanziaria, alla loro propensione al rischio ed ai loro obbiettivi di investimento: a in realtà il doc. n. 1 di parte convenuta attesta che al momento della richiesta di apertura dei rapporti (21.6.2000) agli investitori furono formulate le rituali domande per stenderne il profilo e gli stesse dichiararono (paragrafo 3) esperienza in strumenti finanziari, di avere altri investimenti attivi, di avere un obbiettivo di investimento a breve termine e una propensione al rischio media. Com già rilevato nel decreto di fissazione d’udienza, al momento dell’ordine di cui si discute oggi il signor Agnoletto dichiarò di avere ricevuto il documento sui rischi generali degli investimenti (doc. n. 5 attoreo).
In conclusione sul punto, deve quindi riconoscersi che la banca intermediaria ha assolto non solo al proprio obbligo di assumere informazioni in ordine al profilo degli investitori, ma anche di rendere informazioni sia generali in tema di investimenti sia specifiche in ordine al titolo argentino acquistato ad agosto 2000.
Come anticipato, va altresì affermata l’adeguatezza dell’operazione in esame al profilo di rischio degli attori ai sensi dell’art. 29 regolamento Consob.
Va al riguardo in primo luogo segnalato come gli investitori hanno dichiarato una media propensione al rischio, indicando quali obbiettivo dell’investimento una “diversificazione su mercati azionari ed obbligazionari” (doc. n. 4 convenuta, quarta pagina): avevano quindi messo in conto anche l’impiego del capitale in azioni, strumento di investimento particolarmente rischioso in quanto per sua natura fisiologicamente (e non patologicamente, come avviene per i titoli obbligazionari) soggetto alle oscillazioni del mercato. In sostanza si trattava di investitori che, dalle stesse dichiarazioni rilasciate, non potevano certo considerarsi meramente prudenti: a conferma basti considerare che, anche quando l’Agnoletto stipula una polizza di assicurazione vita (doc. n. 5 convenuta), chiede che il versamento sia impiegato per la metà in titoli azionari (“intraprendenti” e “dinamici” e non il più sicuro “fondo azionario protezione”) e per la metà in titoli obbligazionari.
In secondo luogo, il titolo argentino, per quanto senz’altro speculativo, non si trovava nell’agosto del 2000 in quella situazione di significativo pericolo di rimborso che avrebbe pi condotto al default oltre un anno dopo: anche il rapido declassamento del titolo ad opera delle agenzie di rating intervenne tra la primavera e l’estate dell’anno dopo: Standard and Poor’s da marzo 2001 aveva abbassato il voto del tango bond da BB- a B+ (maggio 2001) e poi a B (giugno 2001) fino a giungere a B- proprio nel luglio 2001 mentre Moody’s era passata da B2 di marzo 2001 a Caa1 del 13 luglio 2001 fino a Caa3 della fine dello stesso mese di luglio.
In conclusione sul punto, rispettoso anche del principio della diversificazione dell’investimento complessivo, l’acquisto di tango bond non era inadeguato al profilo di rischio degli attori ed era piuttosto in linea anche con gli altri fondi di investimento acquistati contestualmente all’ordine in titoli argentini (per la puntuale descrizione dei contestuali investimenti può farsi integrale rinvio alle pagine 21 e 22 della nota conclusiva della banca convenuta depositata il 28.6.2007): il Collegio sul punto condivide invero la valutazione già proposta dal giudice relatore nel decreto di fissazione d’udienza.
Sulla specifica questione va altresì sottolineato come la tesi difensiva attorea per cui “le obbligazioni argentine rappresentavano il 100% del patrimonio mobiliare dei signori Agnoletto” (note conclusive pag. 20) risulta smentita non solo documentalmente, ma anche dalle stesse circostanze riferite in citazione dagli stessi istanti, laddove alle pagine 2 e 3 dell’atto introduttivo avevano ricordato di avere contestualmente effettuato l’investimento in titoli argentini, la sottoscrizione di tre diversi fondi e di una polizza vita da parte della signora Scerra.
Neppure appare fondata la doglianza attorea in ordine alla violazione dell’art. 27 regolamento Consob da parte di Mediolanum s.p.a., avendo la stessa operato in conflitto di interessi: ritiene il Collegio che la prova al riguardo debba essere fornita da chi solleva la contestazione, secondo le regole generali in tema di oneri probatori, non potendo alla materia applicarsi la regola citata sull’inversione dell’onere della prova, di cui all’art. 23/VI TUF, attinente alla sola questione del rispetto degli obblighi di diligenza. Da qui l’irrilevanza delle istanze istruttorie formulate dalla banca convenuta e la modifica in parte qua del decreto di fissazione d’udienza.
D’altra parte non può ormai sottacersi come sia fatto notorio che banca Mediolanum s.p.a. non è stata destinataria di alcuna misura sanzionatoria per aver partecipato al collocamento dei titoli argentini e la sola detenzione di modesti quantitativi di titoli per poter assolvere alle richieste dei propri clienti investitori, da cui la vendita agli attori in contropartita diretta, non vale certo a configurare un conflitto di interessi.
Infine, non risulta applicabile alla controversia neppure l’art. 44 reg. Consob, disposto esclusivamente in materia di gestione di portafoglio di investimenti e non di intermediazione finanziaria, di cui si discute oggi.
La domanda attorea non può quindi che essere rigettata.
Nonostante l’integrale soccombenza di parte attrice, il Tribunale ritiene congruo disporre la compensazione integrale delle spese di lite, atteso che è risultata la decisiva e comunque ha occupato le difese delle parti una questione particolarmente dibattuta in giurisprudenza, che aveva peraltro trovato soluzione difforme a quella oggi pronunciata da questo stesso Tribunale.
Quanto alla richiesta formulata da Banca Mediolanum s.p.a. ai sensi dell’art. 52 d.lgs. n. 196 del 2003, rileva il Collegio come non siano state evidenziate circostanze tali da giustificare la secretazione dei dati personali riguardati la banca convenuta (unica richiedente): non ricorrono le ipotesi previste dalla legge e la vera e propria pubblicazione del provvedimento coinvolge comunque esclusivamente riviste o siti di carattere e di interesse giuridico e, d’altro canto, le diffuse e recenti iniziative degli investitori avverso ormai tutti gli istituti di credito possono considerarsi fatto notorio, senza che ne discenda uno specifico motivo di discredito ai danni dell’odierna convenuta.
PQM
Il Tribunale, prima sezione civile, in composizione collegiale, definitivamente pronunciando nella causa in epigrafe indicata (n. 5107/2006 r.g.), ogni diversa istanza, eccezione e domanda rigettata,
- rigetta ogni domanda attorea;
- rigetta l’istanza ai sensi dell’art. 52 d.lgs. n. 196 del 2003 formulata dalla banca convenuta;
- compensa tra le parti le spese processuali.
Venezia, 7.7.2007
Il Giudice Estensore Maria Antonia Maiolino
Il Presidente Roberto Zacco