Diritto Civile
Il Caso.it, Sez. Giurisprudenza, 24320 - pubb. 08/10/2020
Vessatoria la clausola che attribuisce al mediatore il diritto alla provvigione anche in caso di recesso del venditore
Cassazione civile, sez. II, 18 Settembre 2020, n. 19565. Pres. D'Ascola. Est. Rossana Giannaccari.
Mediatore - Diritto alla provvigione - Recesso da parte del venditore - Presunzione di vessatorietà - Mancata conclusione del contratto - Compito del giudice valutare l’attività sia stata svolta dal mediatore
La clausola che attribuisca al mediatore il diritto alla provvigione anche in caso di recesso da parte del venditore può presumersi vessatoria quando il compenso non trova giustificazione nella prestazione svolta dal mediatore. E' compito del giudice di merito valutare se una qualche attività sia stata svolta dal mediatore attraverso le attività propedeutiche e necessarie per la ricerca di soggetti interessati all'acquisto del bene.
Si presume vessatoria la clausola che consente al professionista di trattenere una somma di denaro versata dal consumatore se quest'ultimo non conclude il contratto o recede da esso, senza prevedere il diritto del consumatore di esigere dal professionista il doppio della somma corrisposta se è quest'ultimo a non concludere il contratto oppure a recedere. (Redazione IL CASO.it) (riproduzione riservata)
Fatto
1. Con decreto n. 11779 del 09/13.06.2011, il Giudice di Pace di Roma ingiungeva a A.B. ed a C.D. il pagamento in favore della D. Immobiliare S.r.l. dell'importo pari ad Euro 4.100,00, oltre interessi e spese, a titolo di penale per l'anticipato recesso dal contratto di mediazione stipulato in data 07.02.2011.
1.1. Con il citato contratto, A.B. e C.D. affidavano alla D. Immobiliare s.r.l. l'incarico di alienare un immobile di loro proprietà in Roma, prevedendo all'art. 4, comma 3, il diritto di ciascuna parte di recedere anticipatamente dall'accordo, previa corresponsione, in favore dell'altra, di un corrispettivo pari all'1% del prezzo di vendita dell'immobile, stimato in complessivi Euro 410.000,00.
1.2. Con comunicazione del 15.02.2011, A.B. e C.D. recedevano dal contratto, ritenendo che la stima del prezzo di vendita fosse incongruo ed inferiore di circa Euro 30.000.00 rispetto a quello effettuato da altre due agenzie immobiliari.
1.3. Con atto di citazione notificato il 20.10.2011, A.B. e C.D. proponevano opposizione a decreto ingiuntivo, deducendo, da un lato, il carattere vessatorio della clausola di cui all'art. 4, comma 3, del mandato di mediazione immobiliare e rilevando, dall'altro, l'errore essenziale in cui sarebbero incorsi ad opera della controparte nella determinazione del prezzo di vendita. Con riguardo al primo dei due profili, gli opponenti, in qualità di consumatori D.Lgs. n. 206 del 2005, ex art. 3, comma 1, denunciavano il significativo squilibrio contrattuale derivante dall'applicazione della previsione di cui all'art. 4, che, nel commisurare il corrispettivo dovuto dai preponenti in caso di recesso, non contemplava un adeguamento dello stesso all'attività concretamente espletata dall'agenzia, costringendo, in tal modo, i mandanti a riconoscere in favore di controparte l'importo pattuito a prescindere dall'attività svolta e dai risultati conseguiti dal mediatore. L'iniquità di tale previsione negoziale risultava avvalorata dall'inconsistente differenza tra la percentuale riconosciuta in favore dell'agente in caso di conclusione dell'affare - pari a 1,5% del prezzo di vendita dell'immobile - e quella stabilita in caso di recesso del cliente - pari all'1% del medesimo prezzo. Quanto, poi, alla seconda censura formulata, gli opponenti sostenevano di essere stati indotti in errore dall'agenzia in errore in ordine al prezzo dell'immobile, essendo lo stesso di ammontare notevolmente inferiore a quello risultante dalle quotazioni del mercato immobiliare.
1.4. Con sentenza n. 28598/2013 del 16.11.2012, il Giudice di Pace di Roma accoglieva l'opposizione e, per l'effetto, revocava il decreto ingiuntivo opposto, dichiarando nullo ed inefficace il contratto stipulato tra le parti e rilevando, in ogni caso, la legittimità del recesso esercitato dagli opponenti per avere l'agente sottostimato il prezzo di vendita dell'immobile, inducendoli, in tal modo, alla stipula di un negozio in base ad una distorta rappresentazione della realtà.
1.5. Con atto di citazione notificato in data 20.01.2014, la D. Immobiliare s.r.l. appellava la sentenza del Giudice di pace.
1.6. Instauratosi il contraddittorio con la costituzione di A.B. e C.D., il Tribunale di Roma, con sentenza dell'11.3.2016, accoglieva l'appello e, per l'effetto confermava il decreto ingiuntivo opposto.
1.7. Il Tribunale applicava la disciplina di cui agli artt. 1469 bis e ss. relativa ai contratti del consumatore e non riconosceva natura vessatoria alla clausola di cui all'art. 4, comma 3 del contratto di mediazione. In particolare, osservava il giudice d'appello come la previsione negoziale censurata ponesse le parti su di un piano di assoluta parità, riconoscendo alle stesse la facoltà di recedere dal contratto previa corresponsione del medesimo importo. La stessa quantificazione del corrispettivo dovuto non era indice, secondo il Tribunale, del carattere vessatorio della clausola negoziale, essendo lo stesso di ammontare inferiore di un terzo rispetto all'importo previsto a titolo di compenso provvigionale. Infine, quanto al profilo dell'errore essenziale in cui sarebbe incorsi i mandanti al momento della stipula del negozio, il giudice del gravame ne motivava l'insussistenza in ragione del mancato assolvimento dell'onere probatorio ex art. 2697 c.c., non avendo gli stessi dimostrato l'effettiva sussistenza del vizio denunciato, limitandosi a produrre in atti stime del valore del proprio immobile eseguite da altre agenzie immobiliari, inidonee a comprovare l'anomalia occorsa nel procedimento di formazione della volontà.
2. Per la cassazione della sentenza hanno proposto ricorso A.B. e C.D. sulla base di sei motivi.
2.1. Ha resistito con controricorso D. Immobiliare S.r.l..
Motivi della decisione
1. Con il primo motivo di ricorso, si deduce la violazione e falsa applicazione degli artt. 1418, 1419, 1342, 1362 e 1469 bis c.c. e del D.Lgs. 6 settembre 2005, n. 206, artt. 18, 19, 20, 21, 22, 33, 34, 35, 36 e 64, in relazione all'art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3. I ricorrenti muovono dalla disposizione contenuta nel D.Lgs. n. 206 del 2005, art. 33, la quale prevede la nullità di una clausola che imponga al consumatore, in caso di inadempimento, il pagamento di una somma di denaro eccessivo a titolo di risarcimento, clausola penale o altro titolo equivalente di importo manifestamente eccesivo. Il giudice di merito avrebbe errato nel riconoscere al mediatore il diritto alla provvigione in caso di recesso anticipato, sulla base dell'art. 4, comma 3 del contratto, omettendo di accertare in concreto se il contratto avesse avuto un inizio di esecuzione e se un'attività affettiva fosse stata dal medesimo svolta, tenendo conto che la revoca era intervenuta solo una settimana dopo il conferimento dell'incarico. La determinazione concreta dell'importo dovuto in caso di recesso, stabilita nella misura pari a due terzi, comporterebbe, secondo i ricorrenti, uno squilibrio nel sinallagma contrattuale, in quanto nessun tipo, di attività sarebbe stata svolta dal mediatore. Infine, il giudice di merito non avrebbe considerato che il recesso sarebbe avvenuto entro dieci giorni dalla conclusione del contratto, sicchè sussisterebbe il diritto ex lege del consumatore, ai sensi dell'art. 64 del Codice del Consumo, di recedere senza corrispondere alcuna penalità.
2. Con il terzo motivo di ricorso, sotto la rubrica "violazione e falsa applicazione di norme di diritto ex art. 360 c.p.c., n. 3 con riferimento agli artt. 1725 e 1759 c.c. e del D.Lgs. n. 206 del 2005, art. 64, (applicabili ratione tempons) in relazione all'art. 2697 c.c. ed agli artt. 115 e 116 c.p.c. ", il ricorrente lamenta che il giudice di merito non avrebbe valutato la sussistenza di una giusta causa di recesso e l'attività concretamente effettuata dal mediatore fino a tale data. Sarebbe mancata l'indagine sull'adeguatezza del corrispettivo pattuito, ai sensi dell'art. 4, comma 3 del contratto di mediazione, in quanto la comunicazione del recesso era avvenuta dopo sette giorni dalla stipula del contratto.
3.1. I motivi, che vanno esaminati congiuntamente per la loro connessione, sono fondati nei limiti di cui in motivazione.
3.2. Non sussiste, in primo luogo, la violazione del D.Lgs. n. 206 del 2005, art. 64 -secondo cui per i contratti e per le proposte contrattuali a distanza ovvero negoziati fuori dai locali commerciali, il consumatore ha diritto di recedere senza alcuna penalità e senza specificarne il motivo, entro il termine di quattordici giorni lavorativi - non risultando dalla motivazione della sentenza impugnata che il contratto di mediazione sia stato concluso fuori dai locali commerciali.
3.3. Quanto alla natura abusiva della clausola che prevede una penale pari all'1%, del prezzo di vendita in caso di revoca dell'incarico prima della scadenza, si impongono, preliminarmente, alcune premesse di inquadramento.
3.4. Il D.Lgs. 6 settembre 2005, n. 206 - noto con l'accezione di Codice del Consumo - rappresenta il plesso normativo finalizzato ad apprestare una tutela incisiva e pregnante ad una parte - consumatore - generalmente dotata di minor forza contrattuale dell'altra - professionista - nella definizione dell'assetto negoziale, atto a disciplinare l'operazione perseguita dalle parti contraenti.
3.5. A questo proposito occorre ricordare che, in base alla giurisprudenza costante della Corte di Giustizia, il sistema di tutela istituito con la direttiva 93/13 si fonda sull'idea che il consumatore si trova in una posizione di inferiorità nei confronti del professionista per quanto riguarda sia il potere negoziale sia il livello di informazione (v., in particolare, sentenza del 17 luglio 2014, Sanchez Mordilo e Abril Garcfa, C-169/14, EU:C:2014:2099, punto 22 e giurisprudenza ivi citata).
3.6. La normativa speciale, introducendo una specifica disciplina diretta ad appianare le disuguaglianze sostanziali fra soggetti titolari di poteri contrattuali differenti, integra la normativa codicistica, enucleando una forma di tutela privatistica differenziata su base personale, applicabile esclusivamente in ragione della qualifica soggettiva rivestita dalle parti contraenti.
3.7. La forte connotazione soggettiva dell'impianto così strutturato emerge chiaramente dalla previsione di cui all'art. 3 del Codice del Consumo che, circoscrivendo l'ambito applicativo della normativa, definisce le contrapposte categorie di consumatore e professionista.
3.8. Precisamente, ai sensi della lett. a) della previsione de qua, con l'accezione "consumatore ed utente" si intende "la persona fisica che agisce per scopi estranei all'attività imprenditoriale o professionale eventualmente svolta"; di contro, il termine "professionista" individua, ai sensi della lett. e) della medesima disposizione, "la persona fisica o giuridica che agisce nell'esercizio della propria attività imprenditoriale o professionale".
3.9. Tracciati i confini soggettivi della normativa di cui al D.Lgs. n. 206 del 2005, risulta, a questo punto, necessario perimetrarne l'ambito oggettivo, focalizzando l'attenzione sulle c.d. clausole vessatorie, la cui disciplina, in forza del rinvio operato dall'art. 1469 bis c.c., è cristallizzata negli artt. 33 e ss. del Codice del Consumo.
3.10. Mette conto evidenziare che l'art. 6, paragrafo 1, della direttiva 93/13 prevede che "le clausole abusive non vincolino i consumatori se, malgrado la buona fede determina un significativo squilibrio in danno del consumatore. Si tratta di una disposizione imperativa tesa a sostituire all'equilibrio formale, che il contratto determina fra i diritti e gli obblighi delle parti contraenti, un equilibrio reale, finalizzato a ristabilire l'uguaglianza tra queste ultime (v., in particolare, sentenze del 17 luglio 2014, Sanchez Mordilo e Abril Garcia, C-169/14, EU:C:2014:2099, punto 23, nonchè del 21 dicembre 2016, Gutierrez Naranjo e a., C-154/15, C-307/15 e C-308/15, EU:C:2016:980, punti 53 e 55).
3.11. Secondo la giurisprudenza costante della Corte di Giustizia, tale, disposizione deve essere considerata come una norma equivalente alle disposizioni nazionali che occupano, nell'ambito dell'ordinamento giuridico interno, il rango di norme di ordine pubblico (v. sentenze del 6 ottobre 2009, Asturcom Telecomunicaciones, C-40/08, EU:C:2009:615, punti 51 e 52, nonchè del 21 dicembre 2016, Gutierrez Naranjoe a., C-154/15, C-307/15 e C-308/15, EU:C:2016:980, punto 54; Corte di Giustizia UE sez. I, 26/01/2017, n. 421). 3.12.L'art. 33, comma 1 del Codice del Consumo pone un'enunciazione di ordine generale, definendo vessatorie le clausole che, malgrado la buona fede, determinano a carico del consumatore un significativo squilibrio dei diritti e degli obblighi derivanti dal contratto.
3.13. Indice univoco del carattere abusivo di una clausola, alla stregua della definizione poc'anzi enunciata, è, dunque, rappresentato dallo squilibrio avente ad oggetto non già il mero valore delle reciproche prestazioni delle parti, bensì il complesso dei diritti e degli obblighi derivanti dal regolamento contrattuale predisposto.
3.14. L'indagine giudiziale circa la natura vessatoria delle clausole è agevolata dalla tipizzazione, all'interno del Codice del Consumo, di un elenco di clausole per le quali sussiste una presunzione assoluta di vessatorietà, che hanno l'effetto di indebolire ulteriormente la posizione contrattuale del consumatore.
3.15. L'automatica comminazione della sanzione della nullità parziale della clausola, e non dell'intero rapporto contrattuale, associata a tali previsioni subisce una deroga espressa con riguardo alle c.d. clausole presumibilmente vessatorie.
3.16. L'art. 33, comma 2 del Codice del Consumo contiene un elenco di venti clausole soggette ad una presunzione relativa di vessatorietà, in forza della quale una previsione negoziale astrattamente riconducibile ad una o più delle clausole espressamente contemplate dal suddetto elenco si presume vessatoria, salvo che il professionista fornisca la prova contraria.
3.17. L'onere probatorio gravante sul professionista al fine di confutare la natura presumibilmente vessatoria di una clausola contrattuale si considera assolto al ricorrere di determinati presupposti.
3.18. In primis, la presunzione di vessatorietà può essere vinta dal professionista, in conformità a quanto espressamente previsto dall'art. 34, comma 4 del Codice del Consumo, mediante la dimostrazione che la clausola censurata non sia stata unilateralmente imposta dallo stesso, ma abbia, di contro, formato oggetto di specifica trattativa individuale tra le parti, sempre che la medesima risulti caratterizzata dagli indefettibili requisiti dell'individualità, serietà ed effettività (Cass. civ., 20/03/2016, n. 6802; Cass. civ., 26/09/2008, n. 24262).
3.19. In primo luogo, ai sensi dell'art. 34, comma 2 del Codice del Consumo, non possono considerarsi vessatorie le clausole che attengono alla determinazione dell'oggetto del contratto nè all'adeguatezza del corrispettivo dei beni,e dei servizi, purchè tali elementi siano individuati in modo chiaro e comprensibile. - 3.20.Secondo quanto stabilito da Cass. civ., sez. III, 03/11/2010, n. 22357, la clausola che attribuisca al mediatore il diritto alla provvigione anche nel caso di mancata effettuazione dell'affare per fatto imputabile al venditore può presumersi vessatoria, e quindi inefficace a norma dell'art. 1469 bis c.c., se le parti non abbiano espressamente pattuito un meccanismo di adeguamento di tale importo all'attività sino a quel momento concretamente espletata dal mediatore.
3.21. La ratio dell'introduzione di tale principiò di gradualità va ravvisata nell'esigenza di garantire, nei contratti a prestazioni corrispettive come il contratto di mediazione "atipica" il rispetto del sinallagma contrattuale, dovendo trovare la prestazione di una parte il proprio fondamento nella controprestazione, al fine di evitare il ricorrere di situazioni di indebito arricchimento ai danni del contraente debole del negozio perfezionato.
3.22. Come argomentato nella citata sentenza, il compenso del mediatore, in caso di mancata conclusione dell'affare, trova giustificazione nello svolgimento di una concreta attività di ricerca di terzi interessati all'affare, attraverso la predisposizione dei propri mezzi e della propria organizzazione. 3.23.L'accertamento relativo all'abusività della clausola va svolto anche nell'ipotesi in cui sia previsto il diritto potestativo di recesso, al fine di evitare che il diritto al compenso possa essere fissato in misura indipendente dal tempo e dall'attività svolta dal mediatore.
3.24. Non si tratta, pertanto, di un inammissibile sindacato sull'oggetto del contratto, vietato dall'art. 34 comma 2 del Codice del Consumo in quanto non è messo in gioco la congruità del corrispettivo nell'ambito del regolamento dei rapporti contrattuali; l'accertamento sulla; vessatorietà della clausola costituisce, invece, un dovere officioso del giudice, tenuto a rilevare, anche d'ufficio la nullità di una clausola che, nel contratto concluso tra il consumatore ed il professionista, determina, a carico del consumatore, un significativo squilibrio dei diritti e degli obblighi derivanti dal contratto.
3.25. Il giudice di merito ha reputato non squilibrata in favore del professionista la clausola citata sia perchè l'indennità dell'1% per il diritto di recesso è stabilite anche a carico dell'agenzia sia perchè oggetto di trattativa tra le parti. Non ha però tenuto conto che il compenso andava parametrato all'attività concretamente svolta dal mediatore, che, in relazione al breve lasso temporale intercorrente tra la conclusione del contratto e l'esercizio del diritto di recesso, meritava di attenta valutazione da parte del giudice di merito.
3.26. La clausola contrattuale, che riconosce il diritto al compenso in via automatica, se svincolata dall'effettivo svolgimento dell'attività di ricerca dei terzi interessati all'affare e delle attività ad esse propedeutiche, conduce al risultato di costituire, a favore dell'agente immobiliare una rendita di posizione, andando ad incidere negativamente sull'equilibrio contrattuale nel rapporto tra professionista e consumatore espressamente previsto dall'art. 33 del Codice del Consumo.
3.27. La valutazione in concreto dell'attività svolta impedisce che il diritto alla provvigione da parte del mediatore possa essere svincolato dallo svolgimento di qualsiasi controprestazione, determinando inevitabilmente non tanto uno squilibrio nella prestazioni ma addirittura l'assenza della prestazione.
3.29. Il sindacato sull'equilibrio contrattuale, che costituisce uno dei cardini dell'operazione ermeneutica in materia di contratto concluso con il consumatore risulta del tutto omessa, indagine che, invece avrebbe dovuto essere svolta, secondo l'orientamento di questa Corte espresso da Cassazione Sez. III del 3.11.2010 n. 23357.
3.30. Il principio espresso dalla citata decisione, che demanda al giudice di merito la valutazione della vessatorietà della clausola che prevede un importo eccessivo in favore del mediatore, nell'ipotesi di mancata conclusione dell'affare deve essere quindi estesa anche nel caso in cui sia stato esercitato il diritto potestativo di recesso.
3.31. La decisione impugnata si pone in contrasto con la giurisprudenza della Corte di Giustizia, che, in più occasioni ha affermato che, in assenza di un controllo efficace del carattere potenzialmente abusivo delle clausole del contratto da parte del giudice, il rispetto dei diritti conferiti dalla direttiva 93/13 non può essere garantito (sentenza del 13.9.2018, Profit Credit Polska, C-176/17, EU: C.2018:711).
3.32. Tale penetrante controllo è previsto anche in via officiosa affine di ovviare allo squilibrio che esiste tra il consumatore ed il professionista, come affermato nella sentenza dell'11 marzo 2020, Lintner, C-511/17, EU:C:2020:188, in materia di credito al consumo. Nella citata decisione, la corte di Lussemburgo demanda al giudice, anche in caso di mancata comparizione del consumatore, il compito di adottare i mezzi istruttori necessari per verificare il carattere potenzialmente abusivo delle clausole rientranti nell'ambito di applicazione della direttiva 93/13, per garantire al consumatore la tutela dei diritti che gli sono conferiti dalla direttiva stessa.
3.33. Più recentemente, la Corte di Giustizia, con la sentenza del 4.6.2020, nella causa C-495/19, avente ad oggetto la domanda di pronuncia pregiudiziale proposta dal Tribunale Regionale di Poznan, Polonia, concernente l'acquisizione d'ufficio, da parte del giudice, dei mezzi istruttori per accertare la natura abusiva delle clausole, in caso di procedimento contumaciale, ha affermato che tale indagine deve essere effettuata, qualora sussistano dubbi sul carattere abusivo delle clausole. E' stato ribadito che spetta ai giudici nazionali, tenendo conto di tutte le norme del diritto nazionale e applicando i metodi di interpretazione riconosciuti da quest'ultimo, decidere se e in quale misura una disposizione nazionale possa essere interpretata conformemente alla direttiva 93/13, senza procedere ad un'interpretazione contra legem di tale disposizione nazionale (v., per analogia, sentenza del 17 aprile 2018, Egenberger, C-414/16, EU:C: 2018:257, punto 71 e giurisprudenza ivi citata). La Corte ha peraltro stabilito che l'esigenza di un'interpretazione conforme include l'obbligo, per i giudici nazionali, di modificare, se del caso, una giurisprudenza consolidata se questa si basa su un'interpretazione del diritto nazionale incompatibile con gli scopi di una direttiva (sentenza del 17 aprile 2018, Egenberger, C-414/16, EU:C:2018:257, punto 72 e giurisprudenza ivi citata).
3.34. La corte di merito ha omesso di valutare il profilo di vessatorietà della clausola contrattuale, anche con riferimento all'art. 33, lett. e) del Codice del Consumo, che stabilisce la presunzione di vessatorietà della clausola che consente al professionista di trattenere una somma di denaro versata dal "consumatore se quest'ultimo non conclude il contratto o recede da sso, senza prevedere il diritto del consumatore di esigere dal professionista il doppio della somma corrisposta se è quest'ultimo a non concludere il contratto oppure a recedere.
3.35. La sentenza impugnata va cassata in relazione ai motivi accolti, nei limiti di cui in motivazione, e rinviata, anche per le spese del giudizio di legittimità, innanzi al Tribunale di Roma, in diversa composizione, che si atterrà ai seguenti principi di diritto:
"La clausola che attribuisca al mediatore il diritto alla provvigione anche in caso di recesso da parte del venditore può presumersi vessatoria quando il compenso non trova giustificazione nella prestazione svolta dal mediatore. E' compito del giudice di merito valutare se una qualche attività sia stata svolta dal mediatore attraverso le attività propedeutiche e necessarie per la ricerca di soggetti interessati all'acquisto del bene".
"Si presume vessatoria la clausola che consente al professionista di trattenere una somma di denaro versata dal consumatore se quest'ultimo non conclude il contratto o recede da esso, senza prevedere il diritto del consumatore di esigere dal professionista il doppio della somma corrisposta se è quest'ultimo a non concludere il contratto oppure a recedere".
4. Con il secondo motivo di ricorso si deduce la violazione e falsa applicazione, ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3 con riferimento all'art. 1176 c.c., comma 2, e art. 1375 c.c. in relazione agli artt. 1427,1428,1429,1469 bis, 1759,2697 e 2729 c.c. e art. 115 c.p.c., per non aver il Giudice di merito riconosciuto l'errore essenziale in cui sarebbero incorsi i ricorrenti ad opera della controparte nella determinazione del prezzo di vendita dell'immobile, unilateralmente determinato e sottostimato rispetto alle valutazioni compiute da altre agenzie.
4.1. Il motivo è infondato.
4.2. L'errore, quale vizio del consenso idoneo ad incidere sul libero processo di formazione della volontà, deve, per assumere rilevanza ai fini dell'annullamento contrattuale, essere dotato degli specifici requisiti normativamente tipizzati ex art. 1428 c.c. dell'essenzialità e della riconoscibilità.
4.3. L'errore sulla valutazione economica della cosa oggetto del contratto non rientra nella nozione di errore di fatto idoneo a giustificare una pronuncia di annullamento del contratto, in quanto non incide sull'identità o qualità della cosa, ma attiene alla sfera dei motivi in base ai quali la parte si è determinata a concludere un certo accordo ed al rischio che il contraente si assume, nell'ambito dell'autonomia contrattuale, per effetto delle proprie personali valutazioni sull'utilità economica dell'affare (Cass. civ., sez. II, 03/09/2013, n. 20148; Cass. civ., sez. I, 12/06/2008, n. 15706; Cass. civ., sez. Ili, 03/04/2003, n. 5139). 4.4.Il Tribunale di Roma, con apprezzamento di fatto, incensurabile in sede di legittimità, ha tratto la prova relativa all'assenza dei requisiti dell'errore di fatto proprio dalla disparità della valutazione dell'immobile da parte delle altre due agenzie immobiliari, che prevedevano un'oscillazione di circa Euro 30.000,00. 4.5.In secondo luogo, il Tribunale ha accertato che" la censura relativa alla presunta unilaterale determinazione del prezzo di vendita da parte della Do.Ro Immobiliare s.r.l. risultava smentita dalla lettera del regolamento contrattuale, in cui sì menziona espressamente l'accordo raggiunto tra le parti in merito alla quantificazione del corrispettivo di vendita dell'immobile (cfr. pag. 6 sentenza Tribunale).
4.6. Ebbene, nel caso di specie, l'errore invocato dagli odierni ricorrenti esula dalla nozione di errore di fatto essenziale e riconoscibile, traducendosi semplicemente in una falsa rappresentazione avente ad oggetto il valore del bene e, quindi, la convenienza stessa dell'affare concluso dalle parti contraenti.
5. Con il quarto motivo di ricorso si deduce il vizio di omessa motivazione, ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, con riferimento all'art. 1418 c.c., comma 1, artt. 1419 e 1725 c.c., per non aver il Giudice di merito statuito in ordine alla difformità dei modelli di incarico predisposti dalla D. Immobiliare rispetto alla modulistica di settore approvata e recepita da F.I.A.I.P. e dalle Camere di Commercio.
6. Con il quinto motivo di ricorso si deduce l'omessa motivazione ex art. 360 c.p.c., n. 5 con riferimento all'art. 1418 c.c., comma 1, artt. 1419 e 1725 c.c., per non aver il Tribunale di Roma proceduto all'esame delle clausole di cui agli artt. 6 e 7 del contratto di mediazione, rispettivamente disciplinanti la durata del vincolo negoziale ed il diritto di esclusiva, sulle quali sarebbe mancata la trattativa.
7. Con il sesto motivo di ricorso si deduce l'omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione ex art. 360 c.p.c., n. 5 con riferimento all'art. 2697 c.c. e art. 115 c.p.c., per aver il Giudice di merito errato nell'applicazione del c.d. fatto notorio concernente la documentazione prodotta dai ricorrenti in relazione alla stima del valore dell'immobile effettuata da altre agenzie, con ciò disattendo le norme di cui agli artt. 2697 c.c. e ss., in materia di onere della prova.
8.I motivi, che vanno esaminati congiuntamente per la loro connessione, sono inammissibili.
8.1. I ricorrenti, nella formulazione delle suddette doglianze, si sono limitati ad addurre, in violazione del principio di autosufficienza di cui all'art. 366 c.p.c., critiche generiche alla sentenza impugnata, impedendo a codesta Corte di avere una completa cognizione del significato e della portata delle censure formulate.
8.2. I motivi di cui ai nn. 4 e 5 del ricorso, oltre ad essere privi del summenzionato carattere della completezza ed esaustività, risultano, altresì, estranei al thema decidendum del giudizio, con conseguente violazione del consolidato orientamento di questa Corte, secondo cui i motivi di ricorso per cassazione devono investire, a pena di inammissibilità, questioni che abbiano formato oggetto del thema decidendum del giudizio di secondo grado, fissato dalle impugnazioni e dalle richieste delle parti (Cass. civ., sez. II, 11/08/1990, n. 8230).
8.3. Non può, pertanto, alla stregua delle considerazioni svolte, il vizio di omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio, che ha ad oggetto il fatto storico e non la diversa ricostruzione delle emergenze istruttorie da parte del giudice di merito, con motivazione che deve assicurare il "minimo costituzionale" (Cassazione civile sez. un., 07/04/2014, n. 8053.
8.4. Anche il vizio di omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione è inammissibile perchè presuppone come ancora vigente il controllo di legittimità sulla motivazione della sentenza nei termini in cui esso era possibile prima della modifica dell'art. 360 c.p.c., n. 5, apportata dal D.L n. 83 del 2012, convertito - nella L. n. 134 del 2012, essendo viceversa denunciabile soltanto l'omesso esame di uno specifico fatto decisivo che sia stato oggetto di discussione tra le parti (Cass. civ., SS.UU., Sent. n. 8053/2014).
P.Q.M.
Accoglie il primo ed il terzo motivo di ricorso nei limiti di cui in motivazione, rigetta i restanti, cassa la sentenza in relazione ai motivi accolti e rinvia al Tribunale di Roma in diversa composizione, cui demanda di provvedere anche sulle spese del giudizio di legittimità.
Così deciso in Roma, nella Camera di Consiglio della Seconda Sezione Civile della Corte di cassazione, il 5 febbraio 2020.
Depositato in Cancelleria il 18 settembre 2020.