Crisi d'Impresa e Insolvenza
Il Caso.it, Sez. Giurisprudenza, 23545 - pubb. 01/05/2020
La presenza di decine di migliaia di situazioni di sofferenza nel complesso della clientela debitoria non esonera la banca dal dovere di controllo
Cassazione civile, sez. I, 12 Marzo 2020, n. 7109. Pres. Didone. Est. Dolmetta.
Avviso al creditore del fallito ex art. 92 legge fall. – Domanda tardiva ex art. 101 legge fall. – Onere della prova in capo al curatore fallimentare
Creditore bancario – Dovere di monitoraggio situazioni debitorie – Esonero – Oggettiva difficoltà di controllo – Indicazione del mercato di riferimento – Attività dell’Autorità di Vigilanza
Il mancato avviso al creditore del fallito ex art. 92 legge fall. integra gli estremi della causa non imputabile del ritardo della domanda di ammissione al passivo ai sensi dell’art. 101, co. 4, legge fall., a meno che il curatore non provi che il creditore abbia avuto notizia del fallimento indipendentemente dalla recezione dell’avviso; in tal caso, infatti, è evidente che il creditore avrebbe comunque potuto presentare la propria domanda di insinuazione.
L’eventuale presenza di decine di migliaia di situazioni di sofferenza nel complesso della clientela debitoria della banca non esonera il creditore bancario dal dovere di controllo delle situazioni debitorie, salva la prova dell’effettiva difficoltà di monitoraggio, fornita mediante l’indicazione di dati concernenti l’area operativa di appartenenza del credito ovvero la sussistenza di attività ispettive dell’Autorità di Vigilanza. (Lucrezia Cipriani) (riproduzione riservata)
FATTI DI CAUSA
1.- La s.p.a. Unicredit ha presentato domanda tardiva di insinuazione L. Fall., ex art. 101, comma 4, nel passivo fallimentare della s.p.a. (*) a titolo di più scoperti di conto corrente, di fideiussione e di crediti residui da mutuo fondiario, in parte in privilegio e in parte in chirografo. Ha assunto di non avere avuto notizia della procedura, non essendo stata raggiunta dalla comunicazione del curatore di cui alla L. Fall., art. 92.
Il giudice delegato ha respinto la domanda, "ritenendo che l'istante non abbia provato che il ritardo è dipeso da causa a lui non imputabile. A tal fine è da osservare, fra l'altro, che la PEC L. Fall., ex art. 92, è stata inviata a Unicredit Credit Management Bank s.p.a. mandataria, che nel corso della procedura di concordato preventivo aveva espressamente chiesto l'invio di tutta la corrispondenza e che la cessazione del mandato non è mai stata comunicata.
Si rileva che la società aveva votato nel concordato preventivo e che a esso è conseguito il fallimento senza soluzione di continuità. Inoltre, la notizia del fallimento con la data della verifica è stata regolarmente iscritta nei dieci giorni nel Registro delle imprese. Tenuto conto infine dell'entità del credito (quasi 15 milioni di Euro) e che l'istante è un istituto bancario di primaria importanza, appare inverosimile la circostanza che sia venuto a conoscenza del fallimento a distanza di oltre un anno e otto mesi dalla sentenza e che questo ritardo sia dipeso da causa a lui non imputabile".
2.- La s.p.a. Unicredit ha allora proposto opposizione L. Fall., ex art. 98, avanti al Tribunale di Firenze. Che la ha respinta con decreto depositato in data 6 marzo 2017.
3.- In proposito, il Tribunale ha riscontrato, in primo luogo, che la comunicazione L. Fall., ex art. 92, era stata inviata alla società (Unicredit Management) designata dal creditore, con apposita procura speciale notarile, quale "mandatario di tutte le operazioni di gestione e tutela del credito e presso il cui indirizzo gli organi della procedura avrebbero dovuto far recapitare le comunicazioni"; e che la comunicazione inviata dalla detta mandataria, e relativa a una successiva cessazione del mandato con rappresentanza, non era mai pervenuta agli organi della procedura.
Sulla base di questi dati, il Tribunale ha poi osservato che, "ai sensi dell'art. 1396 c.c., comma 1... la revoca o la modifica della procura deve essere portata a conoscenza dei terzi con mezzi idonei" e ha concluso che tale "prova non era stata fornita dalla Banca in quanto il documento, che attesta la privazione dell'efficacia della procura, è rimasto per stessa ammissione della Banca un atto interno".
4.- Con distinto ordine di rilievi, il Tribunale ha altresì rilevato che l'opposizione andava in ogni caso respinta, anche in via indipendente da tali ragioni.
Nel caso in cui manchi la comunicazione L. Fall., ex art. 92, il curatore può comunque provare - così si è annotato - che il creditore ha avuto nel concreto notizia del fallimento del debitore. Cosa effettivamente accaduta nel caso di specie, "avendo il curatore offerto elementi, di natura presuntiva, univoci, precisi e concordanti, che dimostrano che la Banca non potesse non essere a conoscenza dell'apertura di una procedura fallimentare a carico dell'(*)".
Trattasi - ha osservato il decreto - di creditore bancario, "soggetto professionalmente attrezzato a monitorare in modo costante ed efficace la situazione economico-finanziaria dei propri clienti mediante verifiche e controlli presso il registro delle imprese": "sarebbe bastato una semplice visura camerale per venire agevolmente a conoscenza del fallimento della (*)"; "azienda", del resto, "di grosse dimensioni nel settore edilizio, nota nel mondo imprenditoriale fiorentino".
Del resto, Unicredit era ben a conoscenza della difficile situazione in cui versava il debitore, avendo "preso parte attiva nella procedura di concordato preventivo, per il tramite della propria mandataria". "In tale contesto è del tutto inverosimile che la Banca, vantando un credito di elevatissimo importo... si sia completamente disinteressata dell'esito della procedura di omologa del concordato, omettendo per oltre 20 mesi qualsivoglia verifica e accertamento".
"Altrettanto implausibile è che la Unicredit Management, che fa parte dello stesso gruppo bancario della banca mandante, non abbia informato la s.p.a Unicredit, titolare dell'ingente credito, pur essendo venuto meno il potere di rappresentanza" dell'esito della procedura concordataria e della coeva emissione della sentenza di fallimento relativa al debitore in questione.
5.- Avverso questo provvedimento propone ricorso la s.p.a. Unicredit, affidandolo a quattro motivi di cassazione.
Resiste, con controricorso, il fallimento.
Quest'ultimo ha anche depositato memoria.
RAGIONI DELLA DECISIONE
6.- Col primo motivo, il ricorrente assume la violazione della L. Fall., art. 92 e art. 101, comma 4. Erra il Tribunale a ritenere equivalente - a quella diretta alla persona del creditore - la comunicazione L. Fall., ex art. 92, che sia fatta al mandatario con rappresentanza.
L'ipotesi di "comunicazione alternativa al rappresentante del creditore è contemplata dal legislatore esclusivamente nel caso in cui il medesimo creditore abbia sede o residenza all'estero e sia provvisto di un rappresentante in Italia (L. Fall., art. 92, comma 2)".
7.- Col secondo motivo, si lamenta "violazione dell'art. 1396 c.c., L. Fall., art. 174, in relazione alla L. Fall., art. 92".
Ritiene in proposito il ricorrente che, nella specie, il curatore non può essere considerato "terzo", nel senso di cui all'art. 1396 c.c.. Un conto è il curatore del fallimento; un conto - così si argomenta - è il commissario giudiziale del concordato. Il fatto che, nel caso in questione, si tratti della stessa persona fisica è un mero accidente: ontologicamente diverse sono le rispettive funzioni.
Il rapporto "trilaterale instauratosi tra rappresentante (UCCMB), rappresentato (Unicredit) e Commissario giudiziale non ha nulla a che vedere con la sopravvenuta procedura fallimentare. Nessuna comunicazione di revoca doveva quindi essere inviata al curatore.
8.- Col terzo motivo, il ricorrente si duole della violazione degli art. 77,82 c.p.c. e art. 172 c.c., sempre in relazione alla L. Fall., art. 92. Ha errato il Tribunale a ritenere che la procura conferita da Unicredit a UCCMB valesse "anche nella diversa procedura fallimentare".
"Ove il procedimento di (concordato) in cui si è esercitata la rappresentanza processuale si estingua e si apra un nuovo processo (fallimento) formalmente e sostanzialmente diverso" - si argomenta - allora "occorrerà una specifica autorizzazione in tal senso del medesimo creditore rappresentato, che dovrà conferire una nuova procura al rappresentante, a valere nel nuovo procedimento instauratosi".
9.- Col quarto motivo, il ricorrente lamenta la violazione delle norme degli artt. 2727 e 2729 c.c., in relazione alle norme della L. Fall., art. 92 e art. 101, comma 4.
Ad avviso del ricorrente, la deduzione del Tribunale su doveri di monitoraggio del creditore bancario sulla evoluzione della situazione economica e finanziaria dei proprio debitori è "oltremodo generica e non condivisibile". E anche "oggettivamente impossibile, se solo si considerano le decine di migliaia di situazioni di sofferenza che Unicredit s.p.a. dovrebbe costantemente monitorare". Del resto, quello di comunicazione, di cui alla L. Fall., art. 92, è da ritenere un onere esclusivo, che non ammette equipollenti.
Non è vero, d'altro canto, che Unicredit ha dimostrato "disinteresse" per il proprio credito verso la s.p.a. (*): "la domanda di ammissione ultratardiva proposta da Unicredit è stata depositata a distanza di appena quattro mesi dal termine ultimo annuale".
"L'intervenuta cessazione del mandato nella fase concordataria non comportava alcun obbligo di rappresentanza per UCCMB nella successiva fase fallimentare": "la partecipazione allo stesso gruppo societario non fa venire meno la distinta personalità giuridica e l'autonomia patrimoniale e gestionale delle quali restano dotate le società partecipanti".
10.- Il ricorso è infondato e non può quindi essere accolto.
Al riguardo è da osservare, in via di approccio, che la decisione del decreto del Tribunale di Firenze risulta fondata su due distinte e autonome rationesdecidendi (come ciascuna da sola fondante, cioè, la decisione di non ammettere il credito richiesto): una, relativa al tema della revoca della procura a suo tempo conferita dal creditore ad altra società; l'altra, inerente alla imputabilità al creditore del ritardo con cui ha presentato la domanda di insinuazione.
I primi tre motivi di ricorso aggrediscono la prima delle due rationes; il quarto motivo si confronta con l'altra argomentazione.
Richiamando la regola della c.d. ragione più liquida, il Collegio ritiene di procedere senz'altro all'esame del quarto motivo di ricorso.
11.- Secondo il consolidato orientamento della giurisprudenza di questa Corte, il mancato avviso a un creditore del fallito da parte della curatela fallimentare, che è previsto dalla norma della L. Fall., art. 92, integra gli estremi della causa non imputabile del ritardo della domanda tardiva, di cui alla L. Fall., art. 101, comma 4. Resta tuttavia in ogni caso salva la possibilità per il curatore di provare, ai fini della inammissibilità della domanda medesima, che il creditore abbia avuto notizia aliunde dell'avvenuto fallimento, in via indipendente cioè dal fatto dell'eventuale recezione dell'avviso in questione (cfr. Cass., 19 giugno 2018, n. 16103; Cass., 13 novembre 2015, n. 23302; Cass., 10 settembre 2013, n. 20686).
In altri termini, il sistema vigente non pone in capo ai creditori uno specifico onere di informarsi sul fatto che il proprio debitore sia eventualmente fallito: al curatore affidando appunto un compito di avviso L. Fall., ex art. 92 - in via di integrazione della pubblicità data dall'annotazione della relativa sentenza nel registro delle imprese ai sensi della L. Fall., art. 17, comma 2, rispetto ai più diretti interessati alla procedura, quali sono i creditori.
Peculiare resta, peraltro, il caso in cui un creditore sia comunque venuto a conoscenza dell'aperto fallimento. Una simile evenienza indica in modo manifesto che questo creditore ben avrebbe in ogni caso potuto presentare la propria domanda di insinuazione. Per la rilevazione di principio, per cui la normativa sulla insinuazione tardiva intende propriamente apprestare una "giusta tutela soltanto al creditore effettivamente incolpevole" è da richiamare già la pronuncia di Cass., 7 settembre 1979, n. 4735.
12.- L'orientamento di questa Corte, che si è sopra richiamato, prosegue sottolineando, con specifico riferimento proprio alla disposizione L. Fall., art. 101,u.c., che spetta al giudice di merito la valutazione dell'accertamento relativo alla circostanza che il creditore abbia comunque avuto, per una o per altra via, conoscenza dell'avvenuto fallimento.
"Se congruamente e logicamente motivato", dunque, tale accertamento "sfugge al sindacato di legittimità" (cfr., oltre agli arresti già richiamati nel precedente n. 11, pure la pronuncia di Cass., 31 luglio 2017, n. 19017).
13.- Ora, non v'è dubbio che l'accertamento posto in essere, nel caso di specie, dal Tribunale di Firenze sia supportato da una motivazione congrua e del tutto logica.
In effetti, la pronuncia ha basato il proprio convincimento, in proposito, su una nutrita serie di circostanze univoche. Quali, in particolare: il carattere professionale del creditore (in quanto impresa bancaria); l'ingente misura del credito in questione; la notorietà del debitore nella piazza fiorentina; la conoscenza, da parte del creditore, della forte precarietà delle condizioni economico finanziarie del debitore; la partecipazione del creditore alla procedura concordataria sfociata poi nel fallimento; il fatto che, nella fase precedente alla dichiarazione di fallimento, il rapporto era stato "gestito" da una società facente parte del medesimo gruppo bancario del creditore (cfr. sopra, n. 4).
14.- Di fronte a questa messe di rilievi non può venire a incrinare la ragionevolezza e logicità dell'accertamento compiuto dal Tribunale l'osservazione del ricorrente per cui la presenza di "decine di migliaia di situazioni di sofferenza" - che assume connotare il proprio portafoglio di crediti - renderebbe troppo difficoltoso, se non impossibile, lo svolgimento di effettive attività di controllo sull'evoluzione delle singole situazioni debitorie (cfr. sopra, il secondo capoverso del n. 9).
Si tratta, del resto, di un rilievo generico e anzi indeterminato: non supportato, nè da dati di fatto - che in ogni caso dovrebbero particolarmente riguardare, com'è evidente, la specifica area operativa di appartenenza di credito di cui si discute -, nè da indicazioni sull'eventuale sussistenza, all'epoca dei fatti, di attività ispettive o comunque di verifica della correttezza dell'attività imprenditoriale del creditore da parte dell'Autorità di Vigilanza.
Tanto meno può valere, al riguardo, il rilievo dell'assunta "modestia del ritardo" nella presentazione della domanda ultra tardiva (a giudizio del ricorrente, quattro mesi dalla scadenza; cfr. sopra, terzo capoverso del n. 9).
Chè un simile assunto intende mettere in discussione la stessa congruità del termine per la presentazione delle domande tardive fissato dalla legge. Del resto, che un creditore professionale si sia "completamente disinteressato" delle sorti del credito in questione per un periodo di "oltre 20 mesi" - secondo quanto riscontrato dal Tribunale - non appare nella specie in nessun modo pensabile: visto, per di più, che in quel torno di tempo si era appena svolta una procedura di concordato preventivo, alla quale il medesimo creditore non aveva mancato di prendere parte.
Quanto poi all'ulteriore rilievo del ricorrente, per cui l'appartenenza di due società a un unico gruppo bancario non elimina la distinta soggettività dei relativi enti (n. 9, quarto capoverso), è da osservare che la sua esattezza non ne comporta la rilevanza rispetto al tema in questione.
L'appartenenza a un unico gruppo societario per sua natura sollecita - come riscontra il Tribunale - delle sinergie informative tra i partecipanti del medesimo: è del tutto normale, decisamente fisiologico, che ciò avvenga. Da rimarcare, piuttosto, è che il ricorrente neppure ha segnalato la sussistenza di opposte prassi operative nell'ambito del gruppo bancario di cui fa concretamente parte il ricorrente: a segnare, per l'appunto, la peculiarità di un simile modo di svolgere l'attività di impresa.
15.- Le spese seguono la regola della soccombenza e vengono liquidate in dispositivo.
P.Q.M.
La Corte respinge il ricorso. Condanna il ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di legittimità, che liquida nella somma di Euro 22.200,00 (di cui Euro 200,00 per esborsi), oltre a spese forfettarie nella misura del 15% e accessori di legge.
Dà atto, ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell'ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, secondo quanto stabilito dalla norma dell'art. 13, comma 1 bis.
Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Prima Civile, il 21 novembre 2019.
Depositato in Cancelleria il 12 marzo 2020.