Diritto Civile
Il Caso.it, Sez. Giurisprudenza, 20479 - pubb. 15/09/2018
Natura formale o sostanziale della nullità degli atti di trasferimento di diritti reali su immobili, prevista dagli artt. 17, comma 1 e 40, comma 2, della l. n. 47 del 1985
Cassazione civile, sez. II, 30 Luglio 2018, n. 20061. Est. Cosentino.
Trasferimento di diritti reali immobiliari - Nullità ex artt. 17, comma 1 e 40, comma 2, della L. n. 47 del 1985 - Carattere sostanziale o formale - Contrasto - Nozione di irregolarità urbanistica - Contrasto
La Seconda Sezione civile ha rimesso gli atti al Primo Presidente per l’eventuale assegnazione della causa alle Sezioni Unite in ordine alla risoluzione delle questioni, oggetto di contrasto, circa la natura formale o sostanziale della nullità degli atti di trasferimento di diritti reali su immobili, prevista dagli artt. 17, comma 1 e 40, comma 2, della l. n. 47 del 1985 (e, attualmente, dall'art. 46, comma 1, del d.P.R. n. 380 del 2001), nonché circa la nozione di irregolarità urbanistica rilevante ai fini della declaratoria della nullità suddetta. (Redazione IL CASO.it) (riproduzione riservata)
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE SECONDA CIVILE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. PETITTI Stefano - Presidente -
Dott. FEDERICO Guido - Consigliere -
Dott. COSENTINO Antonello - rel. Consigliere -
Dott. CARRATO Aldo - Consigliere -
Dott. VARRONE Luca - Consigliere -
ha pronunciato la seguente:
ORDINANZA ITERLOCUTORIA
Svolgimento del processo
Con atto di citazione notificato nelle date 27.7.2005 e 9.9.2005, il sig. A.S. esponeva che:
- in costanza di matrimonio con la sig.ra M.A.D., egli aveva acquistato due appezzamenti di terreno, in uno dei quali insisteva un fatiscente fabbricato rurale, intestandone fittiziamente, per ragioni fiscali, la nuda proprietà alla moglie e l'usufrutto alla di lei madre Ar.Ro.; dopo l'acquisto, egli aveva curato la ristrutturazione totale del fabbricato, sostenendo a proprio esclusivo carico la spesa di Euro 90.000,00 per l'esecuzione di opere edili;
- successivamente, andato in crisi il matrimonio ed instauratosi un procedimento di separazione coniugale giudiziale, egli aveva proposto contro le sig.re M. ed Ar. una domanda giudiziale di simulazione dell'intestazione dei suddetti cespiti e di condanna delle convenute alla refusione in suo favore della somma di Euro 90,000,00, da lui spesa per la ristrutturazione del fabbricato;
- nella pendenza del giudizio di simulazione egli aveva appreso che le sig.re M. ed Ar. avevano venduto i suddetti immobili ai sig.ri C.D. e Se.Gi. con contratto notar S. dell'1.6.2005.
Tanto premesso, l' A. conveniva davanti al tribunale di Nola le sigg.re M.A.D. e Ar.Ro., i sigg.ri C.D. e Se.Gi., nonchè il notaio S.A., per sentir dichiarare che l'atto di compravendita dell'1.6.2005 intervenuto tra detti convenuti a ministero del notar S. era, in tesi, nullo - perchè l'immobile compravenduto era stata interessato da vari lavori di natura abusiva, non regolarmente assentiti - e, in ipotesi, inefficace nei suoi confronti, ai sensi dell'art. 2901 c.c., in quanto compiuto in pregiudizio delle sue ragioni creditorie.
Il Tribunale di Nola rigettava la domanda dell' A. e la corte di appello di Napoli, da costui adita, confermava la pronuncia di primo grado e in particolare, per quanto qui ancora interessa, confermava il rigetto della domanda di declaratoria di nullità del contratto di trasferimento immobiliare a rogito S. dell'1.6.2005, argomentando che la dedotta nullità non sussisteva, nonostante la difformità del fabbricato dal progetto oggetto di concessione edilizia, perchè gli estremi di tale concessione risultavano menzionati nel contratto stesso, avendo ivi le venditrici reso le dichiarazioni previste dalla L. n. 47 del 1985, artt. 17 e 40. Tali articoli infatti, secondo la corte distrettuale, non riguarderebbero la regolarità urbanistica sostanziale dell'immobile dedotto in contratto (ossia la conformità o meno dell'opera edilizia allo strumento concessorio menzionato nel contratto di trasferimento) ma sanzionerebbero la sola violazione dell'obbligo, di natura formale, di indicare nel contratto gli estremi della concessione o della domanda di sanatoria.
Per la cassazione della sentenza d'appello A.S. ha proposto ricorso sulla base di due motivi, entrambi concernenti la suddetta statuizione di rigetto della domanda di nullità del contratto dedotto in giudizio ai sensi della L. n. 47 del 1985, artt. 17 e 40, e riferiti, il primo, al vizio di violazione di legge (con riguardo, appunto, alla L. n. 47 del 1985, suddetti artt. 17 e 40) ed il secondo al vizio di omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio.
Il notaio S. e i sigg. C. e Se. hanno resistito con controricorso, gli ultimi due proponendo, a loro volta, ricorso incidentale condizionato su tre motivi, concernenti, il primo, l'omessa pronuncia sul loro motivo di appello incidentale relativo alla carenza di interesse ad agire dell' A. e, il secondo ed il terzo, l'erroneità rispettivamente sotto il profilo della violazione di legge (artt. 81 e 100 c.p.c., e art. 1421 c.c.) e dell'omesso esame di un fatto decisivo - della, statuizione, eventualmente ritenuta implicita, di rigetto del suddetto motivo di appello.
Le signore M. ed Ar. non hanno spiegato attività difensiva in questa sede.
Chiamata una prima volta all'udienza del 14.3.2017, la causa è stata rinviata a nuovo ruolo per la verifica dell'integrità del contraddittorio nei confronti della sig.ra M. e quindi discussa alla pubblica udienza del 9.1.18, per la quale soltanto i ricorrenti hanno depositato una memoria illustrativa e nella quale il Procuratore Generale ha concluso come in epigrafe.
Motivi della decisione
In via preliminare il Collegio rileva che il ricorso incidentale condizionato dei sigg. C. e Se., ancorchè relativo ad una questione preliminare di rito (l'eccezione di carenza di interesse dell' A. ad agire per la declaratoria di nullità del contratto de quo, in considerazione della mancata dimostrazione in giudizio della pendenza o dell'esito della causa avente ad oggetto la sua domanda di simulazione dell'atto di acquisto delle sig.re M. ed Ar.), non va esaminata con priorità, ma solo all'esito di un eventuale giudizio di fondatezza del ricorso principale; tale ricorso incidentale è stato infatti qualificato espressamente come condizionato all'accoglimento del principale (pag. 14, primo rigo, del controricorso) e, d'altra parte, nella specie trova applicazione il principio che il ricorso incidentale proposto dalla parte totalmente vittoriosa, relativo a questioni pregiudiziali di rito che abbiano formato oggetto di decisione esplicita o implicita da parte del giudice di merito, deve essere esaminato solo in presenza dell'attualità dell'interesse, sussistente unicamente nell'ipotesi della fondatezza del ricorso principale (Cass. SSUU 5456/2009, Cass. 4619/2015); l'eccezione di carenza di interesse ad agire dell' A. - veicolata in secondo grado con l'appello incidentale dei sigg. C. e Se., vittoriosi in primo grado - ha infatti formato oggetto di una pronuncia di rigetto implicita, avendo la corte territoriale conosciuto nei merito della domanda di nullità contrattuale proposta dell' A. (rigettandola) e, per contro, limitato la declaratoria di assorbimento dell'appello incidentale dei sigg. C. e Se. (pag. 10, in fine, della sentenza gravata) al motivo di appello con il quale costoro avevano riproposto in secondo grado la domanda di garanzia nei confronti delle venditrici, per il caso di accoglimento dell'appello principale.
Passando all'esame dei mezzi di gravame, si osserva quanto segue.
Con il primo motivo, rubricato con riferimento all'art. 360 c.p.c., n. 3, il ricorrente denuncia la violazione e falsa applicazione della L. n. 47 del 1985, artt. 17 e 40, (ora D.P.R. n. 380 del 2001, art. 46) in cui la corte d'appello sarebbe incorsa escludendo la nullità dell'impugnato contratto di compravendita sulla base del solo rilievo che "l'atto per notar S. dell'1.6.2005, impugnato da A.S., contiene, all'art. 6, le dichiarazioni rese dalle venditrici, Ar.Ro. ed Angela M., in conformità alla L. n. 47 del 1985, (art. 40) ed al D.P.R. n. 380 del 2001, ormai più volte citati, e ciò esclude la sanzione di nullità formale del testo negoziale, mentre, sotto il profilo sostanziale, resta valido il trasferimento dei beni, nonostante la difformità tra quanto autorizzato e quanto edificato". Nel mezzo di gravame si sostiene che, contrariamente a quanto affermato dalla corte partenopea, la nullità di cui alla L. n. 47 del 1985, artt. 17 e 40, avrebbe natura sostanziale e non meramente formale e, pertanto, deriverebbe non soltanto dall'assenza, nel contratto, delle dichiarazioni del venditore previste da tali disposizioni, ma anche dalla difformità tra il bene venduto ed il progetto assentito.
Con il secondo motivo, rubricato con riferimento all'art. 360 c.p.c., nn. 3 e 5, il ricorrente deduce l'omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti, lamentando che la corte territoriale non avrebbe valutato le risultanze documentali da cui emergerebbe l'esistenza di importati difformità del manufatto rispetto al progetto assentito con la concessione edilizia del Comune di (OMISSIS) e la falsità della dichiarazione, resa nell'impugnato contratto dalle sig.re M. e Ar., attestante l'assenza di "modificazioni amministrative rilevanti e non autorizzate" effettuate successivamente ai lavori di miglioramento igienico-funzionale e di ampliamento realizzati sulla base di detta concessione.
Il primo motivo di ricorso pone una questione di diritto su cui il Collegio ritiene di dover svolgere le seguenti considerazioni.
La previsione della nullità degli atti relativi a costruzioni abusive venne introdotta nell'ordinamento dalla L. n. 10 del 1977 (c.d. legge Bucalossi); già precedentemente, peraltro, la sanzione della nullità era stata prevista la L. n. 765 del 1967 (c.d. "legge ponte"), all'art. 10, per gli atti di compravendita di terreni abusivamente lottizzati.
La L. n. 10 del 1977, art. 15, comma 7, (poi abrogato dalla L. n. 47 del 1985, art. 2) recitava: "gli atti giuridici aventi per oggetto unità edilizie costruite in assenza di concessione sono nulli ove da essi non risulti che l'acquirente era a conoscenza della mancanza della concessione". La ratio di tale disposizione era la protezione dell'acquirente più che il contrasto all'abusivismo e, coerentemente con tale ratio, la nullità negoziale ivi comminata venne qualificata dalla giurisprudenza come relativa (Cass. n. 8685/1999 e altre).
Con la successiva L. n. 47 del 1985 (art. 17, comma 1, e art. 40, comma 2) il legislatore introdusse la sanzione della nullità ("sono nulli e non possono essere stipulati") degli atti tra vivi di trasferimento o costituzione o scioglimento della comunione di diritti reali - relativi ad edifici, o loro parti, la cui costruzione fosse iniziata dopo l'entrata in vigore della legge - che non contenessero, per dichiarazione dell'alienante, gli estremi della concessione ad edificare (art. 17) o del condono edilizio o della domanda di condono edilizio con gli estremi dei prescritti versamenti (art. 40).
La nullità di cui alla L. n. 47 del 1985, (oggi riprodotta nella disposizione del D.P.R. n. 380 del 2001, art. 46, comma 1) si collocava, come è stato osservato in dottrina, a cavallo di prospettive eterogenee.
Per un verso il legislatore, rimuovendo qualunque riferimento alla mancata conoscenza della concessione da parte dell'acquirente dell'immobile, potenziava il profilo della tutela dell'interesse pubblico al contrasto all'abusivismo; donde la riconosciuta natura assoluta, e non relativa, di tale nullità (Cass. 8685/1999, Cass. 630/2003, Cass. 23541/2017).
Per altro verso, tuttavia, il medesimo legislatore mostrava un'attenzione all'esigenza di non paralizzare il commercio giuridico degli immobili maggiore di quella mostrata con la L. n. 10 del 1977. Infatti, sotto un primo profilo, il regime di incommerciabilità assoluta degli immobili abusivi previsto da quest'ultima legge (che attingeva qualunque atto "atto giuridico" avente ad oggetto immobili costruiti in assenza di concessione) veniva sostituito da un regime in cui la nullità derivante dalla natura abusiva dell'immobile dedotto in contratto non incideva nè sugli atti concernenti diritti reali di garanzia e di servitù (per effetto di previsione normativa espressa), nè sugli atti mortis causa (per effetto della limitazione della previsione della nullità agli atti tra vivi). Sotto un secondo profilo, il rigore della sanzione della nullità risulta attenuato dal rimedio della conferma dell'atto nullo di cui al quarto comma dell'art. 17, e alla L. n. 47 del 1985, art. 40, comma 3, (e al D.P.R. n. 380 del 2001, art. 46, comma 4).
All'evidenziata ambiguità della disciplina introdotta dalla L. n. 47 del 1985, e ripresa dal D.P.R. n. 380 del 2001 - la quale, se da un lato mira a sanzionare l'abusivismo edilizio precludendo la possibilità che immobili abusivi possano essere venduti in forza di accordi fra le parti, dall'altro appare non insensibile all'esigenza di garantire una qualche forma di tutela del traffico giuridico e dell'interesse dell'acquirente di evitare la nullità dell'atto di trasferimento - sembra potersi ricondurre la dicotomia diacronicamente sviluppatasi nella giurisprudenza di questa Corte sul modo di intendere la nullità urbanistica.
Secondo un più risalente orientamento, che privilegia un'interpretazione letterale della norma, alla L. 28 febbraio 1985, n. 47, artt. 17 e 40, comminano la nullità degli atti tra vivi con i quali vengano trasferiti diritti reali su immobili nel caso in cui tali atti non contengano la dichiarazione degli estremi della concessione edilizia dell'immobile oggetto di compravendita, ovvero degli estremi della domanda di concessione in sanatoria, mentre non prendono in considerazione l'ipotesi della irregolarità sostanziale del bene sotto il profilo urbanistico, ossia della conformità o meno della realizzazione edilizia rispetto alla licenza o alla concessione; tale conformità, pertanto, rileva sul piano dell'adempimento del venditore ma non su quello della validità dell'atto di trasferimento. L'indicazione nell'atto degli estremi dello strumento concessorio costituisce quindi, secondo questo orientamento, una tutela per l'acquirente, il quale tramite tale indicazione viene messo in condizione di controllare la conformità dell'immobile alle risultanze dalla concessione edilizia o della concessione in sanatoria; solo la mancanza di tale indicazione (e non anche la difformità dell'immobile) comporta, quindi, la nullità del negozio, giacchè impedisce il suddetto controllo all'acquirente (cfr. sentt. nn. 14025/1999, 8147/2000, 5068/01, 5898/2004, 26970/05; si veda anche, per l'affermazione dell'irrilevanza della non veridicità della dichiarazione sostitutiva di atto notorio attestante l'inizio dell'opera in data anteriore al 2 settembre 1967, sent. n. 16876/13).
Tale orientamento ha formato oggetto di un radicale riesame critico nelle sentenze della seconda sezione di questa Corte nn. 23591/13 e 28194/13 (decise nella medesima udienza del 18.6.13), le quali hanno ritenuto di trarre dal testo della L. n. 47 del 1985, art. 40, comma 2, (e ad onta della "non perfetta formulazione della disposizione") il "principio generale della nullità (di carattere sostanziale) degli atti di trasferimento di immobili non in regola con la normativa urbanistica, cui si aggiunge una nullità (di carattere formale) per gli atti di trasferimento di immobili in regola con la normativa urbanistica o per i quali è in corso la regolarizzazione, ove tali circostanze non risultino dagli atti stessi". Conferma di tale principio viene tratta, nelle citate sentenze, dal rilievo che la possibilità che l'atto nullo venga confermato mediante un atto successivo contenente le menzioni omesse risulta prevista dalla L. n. 47 del 1985, art. 40, comma 3, (nonchè, può aggiungersi, dalla L. n. 47 del 1985, art. 17, comma 4, e, ora, dal D.P.R. n. 380 del 2001, art. 46, comma 4) solo nella ipotesi in cui la mancanza delle dichiarazioni non sia dipesa dall'insussistenza della licenza o della concessione o dall'inesistenza della domanda di concessione in sanatoria al tempo della stipula dell'atto stesso.
Alla base di questo più recente orientamento vi è:
- in primo luogo, il rilievo che la tesi della nullità formale produrrebbe il risultato - contrastante con la ratio di impedire il trasferimento degli immobili abusivi - di far giudicare nullo un contratto avente ad oggetto un immobile urbanisticamente regolare (per il vizio formale della mancata menzione nell'atto del titolo concessorio) e valido un contratto avente ad oggetto un immobile anche totalmente difforme dallo strumento concessorio menzionato nel contratto;
- in secondo luogo, il rilievo che dal tenore letterale della L. n. 47 del 1985, art. 40, comma 2, sarebbe possibile desumere (nonostante la "non perfetta formulazione della disposizione in questione") la previsione di due differenti ipotesi di nullità: una, di carattere sostanziale, che colpisce "gli atti di trasferimento di immobili non in regola con la normativa urbanistica" e una, di carattere formale, che colpisce "gli atti di trasferimento di immobili in regola con la normativa urbanistica o per i quali è in corso la regolarizzazione, ove tali circostanze non risultino dagli atti stessi" (i virgolettati sono tratti da Cass. 23591/13, pagina 14, primo capoverso).
Nelle citate sentenze nn. 23591/13 e 28194/13 si è altresì affermato il principio che la summenzionata nullità "sebbene riferita agli atti di trasferimento con immediata efficacia reale, si estende al preliminare, con efficacia meramente obbligatoria, in quanto avente ad oggetto la stipulazione di un contratto definitivo nullo per contrarietà a norma imperativa". Questa seconda affermazione non ha trovato seguito nella successiva giurisprudenza di legittimità (salvo che, tra le pronunce massimate, nella sentenza n. 18261/2015, anch'essa della seconda sezione, la quale ha affermato la nullità L. n. 47 del 1985, ex art. 40, di un contratto qualificato dalla corte di merito come preliminare, senza, tuttavia, soffermarsi espressamente sulla questione della applicabilità di tale disposizione ai contratti con effetti obbligatori); l'esclusione dei contratti obbligatori dall'ambito di operatività della nullità ex art. 40 L. 47/1985 - costantemente affermata nella giurisprudenza anteriore alle citate sentenze nn. 23591/13 e 28194/13 (cfr., tra le tante, le sentenze nn. 6018/99, 14489/05, 9849/07, 15734/11) - è stata infatti ribadita, pur dopo le sentenze nn. 23591/13 e 28194/13, nelle sentenze della terza sezione nn. 28456/2013 e 21942/2017 e nelle sentenze della seconda sezione nn. 9318/16 e 11659/18.
Ai fini del presente giudizio, in cui si discute della nullità di un contratto di compravendita, rileva tuttavia soltanto la prima delle suddette affermazioni, ossia quella relativa alla natura "sostanziale" della nullità di cui alla L. n. 47 del 1985, artt. 17 e 40, (ora D.P.R. n. 380 del 2001, art. 46); affermazione successivamente ribadita nelle sentenze 25811/14 e 18261/15. Tale orientamento, in sostanza, riconduce la nullità urbanistica al disposto dell'art. 1418 c.c., comma 1, ossia nell'ambito delle nullità c.d. "virtuali", laddove l'orientamento precedente considerava tale nullità come una nullità "testuale" ai sensi del medesimo art. 1418 c.c., u.c..
Ad avviso del Collegio, l'orientamento inaugurato dalle sentenze nn. 23591/13 e 28194/13 merita una riconsiderazione da parte delle Sezioni Unite.
La tesi della nullità virtuale, oltre a non trovare un solido riscontro nella lettera della legge (nella quale si sanziona con la nullità l'assenza di una dichiarazione negoziale dell'alienante avente ad oggetto gli estremi dei provvedimenti concessori relativi all'immobile dedotto in contratto, senza alcun riferimento alla necessità che a consistenza reale di tale immobile sia conforme a quella risultante dai progetti approvati con detti provvedimenti concessori) può risultare foriera di notevoli complicazioni nella prassi applicativa e, conseguentemente, rischia di pregiudicare in maniera significativa gli interessi della parte acquirente; quest'ultima, infatti, si vede esposta, con la dichiarazione di nullità dell'atto di trasferimento, alla perdita dell'immobile (con la conseguente necessità di procedere al recupero del prezzo versato) pure in situazioni nelle quali aveva fatto incolpevole affidamento sulla validità dell'atto.
Al riguardo il collegio rileva che la nozione di irregolarità urbanistica è nozione assai ampia, che presenta un esteso ventaglio di articolazioni, dall'immobile edificato in assenza di concessione all'immobile edificato in totale difformità dalla concessione all'immobile che presenta una variazione essenziale rispetto alla concessione o, ancora, a quello che presenta una parziale difformità dalla concessione.
La giurisprudenza di questa Corte ha espresso un orientamento "alquanto prudente" (così viene definito in Cass. 11659/18, pag. 5) nell'uso dello strumento della incommerciabilità del bene quale riflesso della nullità negoziale dipendente dalla irregolarità urbanistica dell'immobile; si considerino al riguardo, con riferimento ai contratti a effetti reali, Cass. 52/10, che giudica irregolari e, come tali, non commerciabili quei fabbricati che abbiano subito "modifiche nella sagoma o nel volume rispetto a quello preesistente"; nonchè, con riferimento all'esecuzione in forma specifica dell'obbligo di concludere un contratto ex art. 2392 c.c., la stessa sentenza n. 11659/18 e le sentenze nn. 20258/09 e 8081/14, secondo le quali, ai sensi della L. n. 47 del 1985, art. 40, può essere pronunciata sentenza di trasferimento coattivo ex art. 2932 c.c., nel caso in cui l'immobile abbia un vizio di regolarità urbanistica non oltrepassante la soglia della parziale difformità rispetto alla concessione.
Tali ultime tre sentenze enunciano principi di particolare interesse ai fini che ci occupano.
In Cass. n. 20258/09, pur richiamandosi l'indirizzo, all'epoca dominante, della natura formale della nullità urbanistica e della relativa riconduzione alla categoria delle nullità testuali di cui all'art. 1418 c.c., u.c., ("la legge eleva a requisito formale del contratto la presenza in esso di alcune dichiarazioni ed è la loro assenza che di per sè comporta la nullità dell'atto, a prescindere cioè dalla regolarità dell'immobile che ne costituisce l'oggetto", pag. 16) si afferma che la ratio legis è quella di "garantire che il bene nasca e si trasmetta nella contrattazione soltanto se privo di determinati caratteri di abusivismo" (pag. 18) e, richiamando Cass. 9647/06, si stabilisce che il presupposto dell'obbligo di dichiarare in contratto gli estremi della concessione edilizia (o della documentazione alternativa, rappresentata dalla concessione in sanatoria) è che tali documenti effettivamente esistano, concludendo quindi (sul rilievo che la presenza o la mancanza dello strumento concessorio non possono essere affermate in astratto, ma devono essere affermate in relazione all'immobile concretamente dedotto in contratto) nel senso della nullità di un atto di trasferimento (o della non eseguibilità in forma specifica di un obbligo di trasferire) avente ad oggetto immobili costruiti in maniera così diversa dalla previsione contenuta nella licenza o nella concessione da non potere essere ricondotti alla stessa.
Con la sentenza n. 20258/09 si è quindi, in sostanza, aperto un primo varco nella concezione della natura formale della nullità urbanistica, affermandosi che, ai fini della validità dell'atto di trasferimento (e della suscettibilità di esecuzione in forma specifica dell'obbligo di contrarre) non è sufficiente che nell'atto sia menzionato (o nel giudizio di esecuzione in forma specifica venga prodotto) lo strumento concessorio, ma è altresì necessario che tale strumento sia effettivamente riferibile alla concreta consistenza dell'immobile dedotto in contratto, fermo restando che a tali fini non è rilevante la mera difformità parziale dell'immobile rispetto al progetto approvato con lo strumento concessorio.
I principi espressi nella sentenza n. 20258/09 sono stati poi ripresi e specificati, in materia di esecuzione in forma specifica dell'obbligo di contrarre, nelle sentenze (successive al revirement di cui alle sentenze nn. 23591/13 e 28194/13) n. 8081/14 e 11659/18.
Nella sentenza n. 8081/14 - con riguardo alla possibilità di eseguire in forma specifica un contratto preliminare relativo ad un immobile difforme dal progetto approvato con la concessione o il condono - si è valorizzata la distinzione tra l'ipotesi di difformità totale o variazione essenziale (L. n. 47 del 1985, artt. 7 e 8) e l'ipotesi di variazione parziale e non essenziale (art. 12 della L. n. 47 del 1985).
Nella sentenza n. 11659/18 - sempre con riguardo alla possibilità di eseguire in forma specifica un contratto preliminare relativo ad un immobile difforme dal progetto approvato con la concessione o il condono - si è poi affermato che l'applicazione della regola della nullità come sanzione va preceduta dalla verifica della esistenza di norme che consentono alla fattispecie di sfuggire alla norma imperativa apparentemente applicabile e si è evidenziato come, in tema di vendita di immobili, il sovrapporsi della legislazione speciale introdotta a partire dal 1985 imponga di tener conto della distinzione tra ipotesi di abuso primario (relativo a beni immobili edificati o resi abitabili in assenza di concessione e alienati in modo autonomo rispetto all'immobile principale di cui in ipotesi facevano parte) e abuso secondario (caratterizzato dalla circostanza che solo una parte di unità immobiliare già esistente abbia subito modifica o mutamento di destinazione d'uso) e si è sottolineato come proprio la normativa in materia di condoni edilizi costituisca una delle ipotesi di "disposizioni di legge" che limitano la nullità ex art. 1418, comma 1, quale effetto di qualsivoglia irregolarità urbanistica.
Tornando allo specifico tema del presente giudizio, vale a dire quello della invalidità del contratto ad effetti reali, il Collegio in primo luogo evidenzia che nè nelle sentenze nn. 23591/13 e 28194/13 nè nelle sentenze nn. 25811/14 e 18261/15 (che a quelle hanno dato seguito), si distingue tra le ipotesi di difformità totale o variazione essenziale e l'ipotesi di variazione parziale non essenziale, giacchè in tali pronunce si enuncia il principio generale della nullità (di carattere sostanziale) degli atti di trasferimento di "immobili non in regola con la normativa urbanistica" (così a pag. 14 di Cass. n. 23591/13, a pag. 12 di Cass. n. 28194/13 e a pag. 4 di Cass. n. 25811/14; di immobili che "non siano in regola con la normativa urbanistica" si parla, infine, nella sentenza n. 18261/15 a pag. 8).
Sotto un primo profilo sarebbe quindi auspicabile un chiarimento, da parte delle Sezioni Unite, sulla portata della nozione di irregolarità urbanistica, ai fini che ci occupano, e sulla possibilità di applicare, in tema di validità degli atti traslativi, la distinzione - elaborata in tema di esecuzione specifica dell'obbligo di contrarre - tra variazione essenziale e variazione non essenziale dell'immobile dedotto in contratto rispetto al progetto approvato dall'amministrazione comunale.
Sotto un secondo profilo, il Collegio evidenzia come la tesi della natura sostanziale della nullità urbanistica finisca con il far dipendere la validità del contratto di trasferimento da valutazioni - quali quelle legate alla differenza tra variazione essenziale e variazione non essenziale, natura primaria o secondaria dell'abuso, condonabilità o meno dell'abuso stesso - che, se sul piano teorico possono considerarsi sufficientemente nitide, nella loro applicazione in una fattispecie concreta possono implicare non pochi margini di opinabilità. Tanto più che la questione della verifica in concreto della gravità dell'irregolarità urbanistica di uno specifico fabbricato, ai fini della loro sanatoria e dell'applicazione delle sanzioni di carattere pubblicistico previste dalla legge per contrastare il fenomeno dell'abusivismo, è demandata dalla legge alle amministrazioni municipali (le cui normative ed i cui orientamenti interpretativi non sempre forniscono criteri di valutazione idonei ad orientare con chiarezza e certezza le valutazioni dei tecnici delle parti contraenti e dello stesso notaio rogante), oltre che, in seconda battuta, al giudice amministrativo.
La ragione che, ad avviso del Collegio, rende opportuna la rivalutazione, da parte delle Sezioni Unite, della natura formale o sostanziale della nullità urbanistica è, in ultima analisi, una ragione di bilanciamento tra le esigenze del contrasto all'abusivismo (che potrebbero ritenersi sufficientemente tutelate dalla nullità formale derivante dalla mancata menzione nell'atto di trasferimento degli strumenti concessori dell'immobile ivi dedotto) e le esigenze di tutela dell'acquirente nel caso di una difformità dell'immobile dal titolo concessorio menzionato nell'atto che, al momento dell'acquisto, egli (o i suoi tecnici o il notaio rogante) non abbiano rilevato o, pur rilevandola, abbiano qualificato come difformità parziale e non essenziale. In questo caso - ferma restando la possibilità dell'acquirente di chiedere, se ne ricorrano i presupposti, la risoluzione del contratto o la tutela redibitoria o quella risarcitoria potrebbe ritenersi, e si rimette la relativa valutazione alle Sezioni Unite, che la sanzione della nullità, con la conseguente perdita della proprietà dell'immobile da parte dell'acquirente che lo abbia pagato, risulti sproporzionata rispetto al fine pubblicistico che la legge intende tutelare.
il Collegio ritiene quindi di rimettere gli atti al Primo Presidente per l'eventuale assegnazione alle Sezioni Unite, ai fini della composizione del rilevato contrasto diacronico sulla natura della nullità urbanistica.
P.Q.M.
La Corte dispone la trasmissione degli atti al Primo Presidente per l'eventuale assegnazione alle Sezioni Unite.
Così deciso in Roma, nella Camera di Consiglio della Sezione Seconda Civile, il 9 gennaio 2018.
Depositato in Cancelleria il 30 luglio 2018.