Diritto Fallimentare


Il Caso.it, Sez. Giurisprudenza, 1742 - pubb. 01/06/2009

Azione non derivante dal fallimento e determinazione della competenza interstatale

Cassazione Sez. Un. Civili, 27 Marzo 2009, n. 7428. Est. Travaglino.


Fallimento - Azioni derivate e connesse - Ripetizione di indebito - Esclusione - Applicazione del regolamento CE 1346/2000 - Esclusione.

Ripetizione di indebito - Azione - Competenza giurisdizionale interstatale - Criteri di determinazione - Azione contrattuale o da fatto illecito - Esclusione - Obbligazione ex lege - Foro del convenuto.



L’azione di ripetizione di indebito che appartenga al patrimonio del fallito già prima della dichiarazione di fallimento, per avere ad oggetto diritti sorti in epoca precedente, non può dirsi strettamente connessa al fallimento ed essere quindi qualificata come azione che da esso derivi; ne consegue che ai fini della individuazione della competenza giurisdizionale non si potrà far ricorso al regolamento 1346/2000 CE sull’insolvenza transnazionale.

In base alle norme che disciplinano la competenza giurisdizionale interstatale, la fattispecie del pagamento dell’indebito non può collocarsi né nell’orbita delle obbligazioni ex contractu né in quella dell’illecito rientrando invece nel tertium genus delle obbligazioni ex lege. Il carattere autonomo di tale azione e la non appartenenza ai generi suddetti comporta che quale criterio per l’individuazione della giurisdizione dovrà essere applicata la noma generale del foro del convenuto.



omissis

 

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Fatto e Diritto

La D.A., società di diritto tedesco con sede in Germania, ha proposto regolamento preventivo di giurisdizione nel corso di un giudizio di opposizione a decreto ingiuntivo notificatole, nel (OMISSIS), dal fallimento della s.r.l. ***.

Il decreto ingiuntivo emesso nei confronti della società estera oggi ricorrente era fondato su di un titolo (restitutorio) vantato dal fallimento in relazione a somme non dovute perchè indebitamente corrisposte in favore della D.A.. L'indebito traeva origine, secondo la prospettazione dell'opposta, da una cessione di crediti, vantati dalla *** s.r.l. nei confronti della s.p.a.

Gruppo GS (che, nella vicenda, assumerà la veste di debitore ceduto), in favore della società tedesca D.A., la quale, nell'assumere la veste di cessionaria, avrebbe, nel tempo, ricevuto dal debitore ceduto pagamenti in eccesso, eseguiti sino al (OMISSIS).

La questione di giurisdizione proposta dalla società tedesca si fonda:

- da un canto, sul disposto dell'art. 2 del regolamento CE n. 44 del 2001, dettato in tema di foro generale del convenuto;

- dall'altro, sull'assunto per cui la controversia in ordine al preteso debito restitutorio, non rientrando nella disciplina dettata in tema di obbligazioni "contrattuali", andava del tutto legittimamente ricondotta, quoad iurisdictionis, al foro convenzionale risultante dalla espressa accettazione, da parte della *** s.r.l., di una clausola di proroga della giurisdizione in favore del giudice tedesco (contenuta, nella specie, all'interno delle condizioni generali del contratto di fornitura stipulato inter partes);

- dall'altro ancora, sull'impredicabilità, nella specie, di qualsivoglia vis trahens del fallimento rispetto alla vicenda obbligatoria oggetto di controversia, poichè la natura stessa dell'azione proposta (ripetizione di indebito) non "derivava" nè "aveva occasione" nel fallimento stesso, nè tantomeno poteva dirsi "inquadrata nella relativa procedura" - con conseguente inapplicabilità del regolamento CE 1346/2000, e altrettanto conseguente, speculare applicabilità del successivo regolamento 44/01 (considerato inoltre che i pagamenti in eccesso si sarebbero realizzati negli anni 2000/2001 mentre la dichiarazione di fallimento della società istante era di due anni successiva) -.

Il ricorso deve, ad avviso di queste sezioni unite, dirsi fondato, sia pur in parte qua.

Va conseguentemente dichiarato il difetto di giurisdizione del giudice italiano.

Oggetto di indagine preliminare risulta senz' altro la questione, sollevata dalla difesa della resistente, afferente alla pretesa vis trahens del fallimento rispetto all'azione di indebito oggetto del presente giudizio.

Tale efficacia attrattiva della competenza giurisdizionale del giudice nazionale ad opera della procedura concorsuale non pare, nella specie, legittimamente predicabile.

Pur testuale l'esclusione, dal campo di applicazione del regolamento comunitario 44/01 "dei fallimenti, dei concordati e delle procedure affini" (art. 1, comma 2), è noto come la stessa giurisprudenza comunitaria sviluppatasi sotto il vigore della Convenzione di Bruxelles (rispetto alla quale il citato regolamento non ha sostanzialmente innovato) abbia sempre circoscritto la portata applicativa della normativa derogatoria ai soli procedimenti "direttamente derivanti dal fallimento" e "inseriti strettamente nell'ambito del procedimento fallimentare" (in termini, CGCE 22.2.1978, in C - 133/78).

Esplicita conferma della bontà di tale interpretazione restrittiva delle disposizioni ad excludendum della materia fallimentare dalle regole ordinarie di competenza è lecito trarre dal contenuto stesso del regolamento CE 134 6/00, emanato per disciplinare specificamente le procedure di insolvenza, ove è chiaro il riferimento a vicende processuali che "derivino direttamente dalla procedura di insolvenza" e "le sono strettamente connesse".

"Diretta derivazione" e "stretta connessione" - che si configurano, pertanto, in guisa di presupposti cumulativi (e non alternativi) dell'applicabilità della norma speciale devono peraltro dirsi pacificamente esclusi nel caso di specie, poichè l'azione di ripetizione di indebito, al di là della sua connotazione soggettiva (proposizione da parte dal curatore), appare, per ogni altro verso, del tutto avulsa dalla procedura concorsuale che, nel 2003, ha riguardato la *** s.r.l.. Essa, difatti, non "deriva" (nè "ha occasione"), nè risulta "strettamente connessa" al fallimento, poichè ha riferimento ad un rapporto (quello tra debitore ceduto e cessionario) cui risulta formalmente estraneo il cedente, poichè essa si trovava già nel patrimonio del fallito, per avere ad oggetto diritti sorti in epoca antecedente alla dichiarazione di fallimento, poichè tali diritti si trovano, con la procedura concorsuale, in un rapporto di occasionale strumentante (in argomento, di recente, Cass. ss. uu., ord. n. 9745 del 2008, in tema di domanda di nullità contrattuale e di domanda di garanzia per vizi di un contratto di appalto, ritenute entrambe "azioni non derivanti dal fallimento"; Cass. 11189/1993, a mente della quale la vis trahens del fallimento "non opera per le azioni che già sono nel patrimonio del fallito, corrispondenti a diritti soggettivi preesistenti, e che sono in rapporto di mera occasionalità col fallimento, spiegando invece effetto per le controversie che, anche se relative a rapporti preesistenti, abbiano subito deviazioni dallo schema legale tipico").

Esclusa, per le ragioni suesposte, ogni incidenza del fallimento sulle regole attributive della competenza giurisdizionale nel caso di specie, occorre poi procedere alla corretta qualificazione, in punto di diritto, dell'azione di ripetizione di indebito (sempre ai limitati fini che in questa sede occupano il collegio), onde poter conseguentemente individuare la norma comunitaria legittimamente applicabile e, con essa, il giudice territoriale competente.

Ritengono queste sezioni unite che la fattispecie del pagamento dell'indebito non possa legittimamente collocarsi nè nell'orbita dell'obbligazione ex contractu, nè in quella dell'illecito (ovvero, secondo la dizione della Convenzione di Bruxelles, del "delitto o quasi delitto").

La ripetizione di indebito, nel panorama complessivo delle norme che disciplinano la competenza giurisdizionale interstatuale, pare rientrare, difatti, in un tertium genus di obbligazioni, non contrattuali nè delittuali, costituito dalle cd. obbligazioni ex lege (quale, ad esempio, quelle alimentari previste dall'art. 5, comma 2 della Convenzione di Bruxelles).

Il carattere autonomo delle obbligazioni restitutorie ex lege rispetto a quelle di natura contrattuale o aquiliana, al di là ed a prescindere dalla sua legittima predicabilità sul piano del diritto interno, non pare seriamente discutibile sul piano del riparto internazionale di giurisdizione.

Depongono in tal senso: da un canto, espressi indici normativi, quali quelli di cui all'art. 61 della legge di riforma del diritto internazionale privato (L. 31 maggio 1995, n. 218), che introduce una apposita e specifica disposizione di conflitto per "le obbligazioni nascenti dalla legge" - indicando quale criterio di collegamento "il luogo in cui si è verificato il fatto da cui deriva l'obbligazione", onde escludere la possibilità di far dipendere la legge regolatrice da altre fattispecie obbligatorie; dall'altro, altrettanto espressi indici giurisprudenziali, avendo la Corte comunitaria: 1) delimitato l'ambito della materia contrattuale alle sole vicende di "obblighi liberamente assunti da una parte nei confronti di un'altra" (C.G. 17.6.1992, in C - 26/91, Handte; 27.10.1998, in C - 51/97, Reunion Europeenne), specificando all'uopo che le norme derogatorie del principio generale del foro del convenuto sono di stretta interpretazione, da applicarsi in via di eccezione ai casi tassativamente elencati (C.G. 3.7.1997, in C 269/95, Benincasa); 2) precisato che la nozione di delitto o quasi delitto (da considerarsi autonoma rispetto al diritto nazionale applicabile) comprende, sì, qualsiasi domanda che miri a coinvolgere la responsabilità di un convenuto e che non si ricolleghi alla materia contrattuale (C.G. 27.9.1988, in C - 189/87, Kalfelis), ma non consente al giudice competente a norma dell'art. 5.3 della Convenzione di Bruxelles di conoscere del punto di domanda che si fonda su fatti, o atti diversi dall'illecito: la conferma dell'esistenza di una vera e propria "tripartizione", quoad iurisdictionis, del catalogo di tutte le possibili vicende obbligatorie inter partes pare concretamente emergere dalla lettura della stessa motivazione della sentenza, nella parte in cui il giudice comunitario evidenzia come la pretesa risarcitoria del ricorrente si fondasse, nella specie, sull'azione di responsabilità contrattuale da inadempimento dell'obbligo di informazione, sull'azione di responsabilità da illecito in virtù del combinato disposto dell'art. 823 e 826 del BGB e dell'art. 263 dello St.GB, sull'azione di arricchimento senza causa (in quanto, nella specie, i contratti vertenti sulle operazioni borsistiche a termine oggetto di controversia non vincolavano le parti in forza delle disposizioni cogenti, in materia, del diritto tedesco, onde la legittimità della richiesta di restituzione delle somme versate a tal titolo dal privato);

dall'altro ancora, la indiscutibile disomogeneità morfologica tra l'illecito aquiliano (che si caratterizza per l'inesistenza fenomenica, prima ancora che giuridica, di un pregresso rapporto tra le parti) e la ripetizione di indebito (che, pur nella sua non riconducibilità a rapporti di natura contrattuale, trae peraltro linfa dalla preesistenza di una relazione giuridica inter partes).

Il carattere autonomo dell'obbligazione restitutoria ex lege rispetto agli obblighi di natura contrattuale e a quelli di tipo aquiliano (predicato, peraltro, anche sul piano del diritto interno, da autorevole dottrina specialistica, oltre che dalla migliore manualistica civile, che non a caso discorre, a proposito dell'indebito oggettivo, di "fonti di obbligazioni non contrattuali" e, ancor più specificamente, di "obbligazioni non contrattuali da atto lecito") comporta l'applicabilità, quale criterio di individuazione della giurisdizione, della norma generale del foro del convenuto, in mancanza di disposizioni espressamente derogatorie legittimamente applicabili.

Resta così assorbita la questione, sollevata dall'odierno ricorrente con il secondo motivo dell'impugnazione, circa la validità della clausola di proroga della giurisdizione in ipotesi intercorsa inter partes.

La disciplina delle spese (che possono per motivi di equità essere in questa sede compensate, attesa la complessità e la relativa novità delle questioni trattate e della soluzione adottata) segue come da dispositivo.

 

P.Q.M.

La corte accoglie il ricorso e dichiara il difetto di giurisdizione del giudice italiano. Spese compensate.

Così deciso in Roma, il 13 gennaio 2009.

Depositato in Cancelleria il 27 marzo 2009


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