Societario
Il Caso.it, Sez. Articoli e Saggi - Data pubblicazione 07/03/2016 Scarica PDF
Abuso del diritto societario e tutela dei "creditori involontari"
Francesco Fimmanò, Professore ordinario di diritto commerciale presso l'Università delle camere di commercio "Universitas Mercatorum" di Roma e Vicepresidente del Consiglio di Presidenza della Corte dei contiSommario: 1. L’emersione della categoria dei creditori involontari ed il ruolo dell’informazione nel diritto delle società; - 2. La classificazione delle pretese. I crediti derivanti da fattispecie “non negoziate”; - 3. L’Erario come stakeholder secondario e creditore involontario; - 4. L’abuso di estinzione formale della società e la norma speciale dettata nel 2014 per i creditori fiscali; - 5. L’efficacia estintiva della cancellazione dal registro delle imprese; - 6. Il problema delle sopravvenienze; - 7. La norma speciale come norma sostanziale ad effetti processuali; - 8. La reazione dell’ordinamento agli abusi fraudolenti; - 9 L’abuso della operazione di scissione.
1. L’emersione della categoria dei creditori involontari ed il ruolo dell’informazione nel diritto delle società
Già nel 1877 il celebre giureconsulto inglese sir George Jessel scriveva con grande modernità «non vedo la ragione per cui le persone non possano gestire affari liberi da ogni responsabilità che ecceda la somma che hanno sottoscritto, se ciò si è debitamente notificato ai creditori, sia con responsabilità limitata ad una determinata somma, superiore all’apporto, sia con responsabilità completamente illimitata»[1]
Il sistema delle norme di diritto delle società è diretto, tra l’altro, alla tendenziale correzione delle asimmetrie tra le diverse componenti interessate alla corretta esecuzione del contratto che possono avere interessi divergenti o persino in conflitto. I dati di diritto positivo introdotti dagli interventi riformatori di questi ultimi dieci anni accentuano un dimensionamento evolutivo della società come contratto associativo collegabile ad una rete o ad una associazione di contratti che regolamentano le relazioni «tra gli azionisti, gli amministratori, i lavoratori, gli obbligazionisti, i titolari di strumenti partecipativi, i partecipanti a specifici affari, i finanziatori, le diverse categorie di creditori» [2]. In particolare, nell’ambito di questa rete esiste un impegno dei gestori della società, tanto verso la società che verso i creditori sociali e più in generale gli stakeholders, alla conservazione del patrimonio. Impegno che è rafforzato da previsioni normative volte a sanzionare il contegno inottemperante dei vari soggetti che, a diverso titolo, gestiscono la società e l’abuso del diritto societario a danno dei creditori[3].
Gli strumenti organizzativi del patrimonio delle società per azioni, diretti ad allocare in modo ottimale le risorse, anche in funzione delle componenti esterne al contratto, sono disciplinati essenzialmente in funzione della interrelazione con il mercato. Tali strumenti possono essere analizzati come un vero e proprio sistema informativo a tutela dei creditori. D’altra parte lo stesso capitale nominale è un faro che avvisa i naviganti in un’ottica in cui organizzazione ed informazione assumono un ruolo centrale nella funzione di garanzia dei creditori sociali.
Nell’ambito del ceto creditorio va lentamente emergendo tuttavia una nuova categoria che è quella dei soggetti che involontariamente divengono titolari di pretese nei confronti della società. Il primo esempio normativo apparso con la riforma del 2004 è stato quello dei patrimoni destinatia specifici affari [4] di società per azioni, per i quali il legislatore ha contemplato sistemi informativi e di tutela diversi in funzione delle diverse categorie di creditori sociali, involontari e volontari. Le forme di tutela approntate dall’ordinamento a beneficio dei creditori volontari, a cominciare dal diritto di opposizione alla destinazionee dalle condizioni di efficacia ed opponibilità della segregazione, e correlativamente le responsabilità dell’ente e degli agenti hanno natura eminentemente contrattuale e sono graduate in funzione della quantità e qualità delle informazioni offerte. Con la peculiarità che con i patrimoni destinati la società realizza una frammentazione del rischio di impresa, con la conseguente creazione di classi di creditori, senza essere assoggettata alle limitazioni imposte dalla disciplina del capitale sociale, con un tasso di imperatività molto più basso. Autonomia contrattuale ed informazione sono i cardini della destinazione societaria ad uno specifico affare che costituisce una forma di segregazione organizzativa del patrimonio basata su principi del tutto differenti da quelli fondanti il sistema del capitale sociale, come dimostrano non solo le regole di costituzione, ma quelle di funzionamento e soprattutto di liquidazione.
La disciplina delle società per azioni si fonda da sempre, e continua a fondarsi, sul principio capitalistico-corporativo e su quello della responsabilità limitata.
Dal primo punto di vista, il capitale mira ad assicurare che tra l’attivo ed il passivo esista un netto “come surplus a garanzia dei creditori” come strumento di informazione e quindi di garanzia dei terzi e dei creditori in funzione distributiva. Cesare Vivante scriveva già all’inizio del secolo scorso con impareggiabile efficacia e modernità che «il capitale nominale ed astratto (nomen iuris) compie di fronte al patrimonio o capitale reale, la funzione di un recipiente destinato a misurare il grano che ora supera la misura e ora non giunge a colmarla» e che «la confusione fra questi due strumenti della vita sociale, l’uno formale e l’altro materiale, può dar luogo a molti equivoci pericolosi per l’interpretazione della legge se non si tengono distinti» [5]. Dunque il capitale è uno strumento di organizzazione distributiva del patrimonio ossia un sistema informativo che funziona come un indicatore di livello [6].
Dal secondo punto di vista, il principio della responsabilità limitata, comporta che la quantità e la qualità di informazione economica, chiara, veritiera e corretta, dotata di valore legale che la società per azioni deve dare al mercato è maggiore di quella che è tenuto a fornire un imprenditore persona fisica od una società di persone. Ciò in quanto a minore responsabilità deve corrispondere maggiore informazione. In particolare la responsabilità degli amministratori delle società per azioni nei confronti dei terzi e del mercato è tanto maggiore quanto minore è l’informazione offerta [7]. Quando il legislatore pone un obbligo informativo, correlativamente attenua «la tutela dell’ignoranza e della buona fede dei terzi. Questo è il significato economico prima e giuridico poi della pubblicità legale commerciale», della disciplina del bilancio[8] . D’altra parte lo stesso capitale è innanzitutto una grandezza di natura contabile e dipende inevitabilmente dal modo in cui è redatta la contabilità [9].
L’assunto è che il terzo od il creditore solo se informato assume correttamente il rischio anche sul piano dei tassi di remunerazione, e che solo se informato può intervenire per impedire l’evento dannoso.
Nell’ambito del ceto indifferenziato dei creditori esistono soggetti diversi, perché «le potenzialità di monitoraggio che hanno le differenti categorie di creditori nei confronti dei comportamenti del debitore» sono diverse. L’attività di monitoraggio su una società per azioni soggetta ad obblighi informativi molto precisi ed obblighi di conservazione molto severi è ad esempio molto meno impegnativa di quella su debitori persone fisiche «che hanno infiniti incentivi e possibilità di occultare in vario modo i loro beni e la loro effettiva situazione patrimoniale». Le regole sul capitale sociale abbattono i costi complessivi di monitoraggio producendo esternalità positive nel senso che l’attività compiuta da taluni creditori finisce col giovare a tutti. Se un creditore è in grado di rendersi conto che la situazione del debitore si sta deteriorando, prenderà iniziative che condurranno anche gli altri creditori «a rendersi conto di ciò e, nei casi estremi, si arriverà al fermo delle attività del debitore, cioè al fallimento» [10].
Accanto al tradizionale modello di organizzazione dell’attività della società per azioni il legislatore ha, come visto, introdotto quello innovativo dei patrimoni destinati a specifici affari per settori ed ambiti dell’attività economica di appartenenza, mediante forme di frazionamento della garanzia e del rischio in cui il ruolo dei creditori è diversificato per categoria e classe e la relativa tutela è graduata in base all’informazione offerta, alle rispettive potenzialità di monitoraggio fino ad arrivare allo squarcio del velo della destinazione in caso di ragioni di credito derivanti da fatti illeciti [11]. Ed in questo stesso alveo può rientrare anche il fenomeno della sottopatrimonializzazione che sia effetto di un abuso là dove non vi sia adeguatezza, valutata dagli amministratori, con una relazione prognostica, rispetto alla realizzazione dell’affare [12]. In questo contesto epifanica è la disciplina della responsabilità da fatto illecito nei patrimoni destinati di S.pA. (art. 2447 quinquies, comma 3, seconda parte)[13], ove emerge il ruolo centrale attribuito all’informazione rispetto alle diverse classi di creditori sociali e dove per la prima volta compare la fattispecie dello squarcio della segregazione (nel mero senso della inopponibilità della destinazione) nei confronti dei c.d. creditori involontari, ossia per responsabilità extracontrattuale o comunque per violazione proprio degli obblighi informativi.
Complessivamente il negozio-organizzativo che rappresenta un sistema informativo individuale facente capo all’imprenditore-società per azioni incrocia un altro sistema di informazioni stavolta impersonale, facente capo al mercato e quindi ai creditori e più in generale ai c.d. stakeholders ed in particolare a quelli c.d. primari ovvero ai soggetti, che a fronte della prestazione di un’attività o dell’apporto di risorse materiali ed intangibiles, di contributi e di consensi, conseguono una qualche forma di beneficio o di ricompensa di natura economica e non (interessi soddisfatti, vantaggi economici e\o sociali ricevuti) [14]. In questa ottica, gli stakeholders rappresentano l’estensione del raggio di responsabilità del management, tradizionalmente limitata alla sfera degli stockholders [15]. La relativa tutela assume perciò rilevanza nell’assetto organizzativo del patrimonio sociale [16].
2. La classificazione delle pretese. I crediti derivanti da fattispecie non negoziate
Quella dei creditori sociali è l’unica categoria di stakeholder tutelata in ogni ordinamento societario in quanto comprende gruppi di interesse che scambiano la prestazione di beni o servizi con un diritto di credito sui flussi di cassa della società [17]. In buona sostanza, poiché la società di capitali come persona giuridica «definisce l’insieme dei beni che garantiscono l’adempimento di tutti i contratti di cui essa è parte. Tutte le parti che contrattano con la società beneficiano delle tutele dei creditori» [18]. Anche sul piano dell’analisi economica del diritto si è osservato che negli ordinamenti in cui più efficiente è il sistema di tutela dei creditori, i costi evidentemente del capitale di debito è più basso [19] e l’impresa trova nell’atmosfera relazionale che la circonda una serie di economie e di sinergie [20].
Nel nuovo diritto delle società si è registrata una riduzione della rilevanza dell’imposizione di una rigida tipologia delle società a favore dell’indicazione di modelli, cioè di complessi di regole caratterizzati da un alto grado di flessibilità. L’autonomia contrattuale, infatti, se da una parte riduce la garanzia derivante dalla tipicità, dall’altra diviene meccanismo preferenziale anche nell’ambito dei rapporti con i creditori (volontari), cui era storicamente estranea, nell’interesse dei quali viene utilizzato lo strumento, anch’esso di natura evidentemente contrattuale, dell’opposizione dei creditori ad una serie di atti organizzativi e gestionali potenzialmente pregiudizievoli per la garanzia patrimoniale. Viceversa le ragioni dei creditori involontari avevano subito, già prima della riforma, un processo di indebolimento a causa della sottocapitalizzazione imperante delle imprese, del naturale alleggerimento patrimoniale dovuto anche alla nuova economia ed alla c.d. ricchezza inesistente e ad altri fattori che hanno propagato nei mercati un rischio diffuso. Il legislatore non a caso ha iniziato ad introdurre per loro uno specifico sistema di tutele.
Guardare al patrimonio della società quale terreno di conflitti e proiezione di interessi di diverse categorie di soggetti aiuta ad inquadrare i problemi della responsabilità patrimoniale del debitore in una prospettiva non limitata al singolo rapporto di debito-credito tra soggetti, ma aperta a considerare il patrimonio nella complessità della sua funzione, o meglio delle sue funzioni. In questa prospettiva l’interesse dei creditori (delle diverse categorie di creditori) si confronta non solo con l’interesse del titolare dei beni ma con quello di eventuali altri soggetti che su quel patrimonio vantano pretese o interessi giuridicamente rilevanti e la separazione emerge come strumento di regolazione di simili rapporti. Quando il debitore diviene insolvente «il gioco tra creditori diventa a somma zero, nel senso che quello che guadagna un creditore viene necessariamente perso da un altro». In questa logica le norme che «lasciano più spazio all’autotutela dei creditori finiscono inevitabilmente per penalizzare (in caso di insolvenza del debitore) i creditori che hanno minori possibilità di autotutelarsi. Norme che consentono ai soggetti che hanno maggiori capacità di monitoraggio di approfittare di tali loro capacità, finiscono inevitabilmente per danneggiare i creditori che non hanno tali capacità»[21].
Come si è visto, ad esempio nelle norme sui patrimoni destinati per la prima volta si guarda ai creditori sociali involontari che hanno pretese che nascono da torts subiti e sui quali si ritiene ingiusto esternalizzare i costi delle operazioni della società ed il relativo rischio di cui non hanno alcuna contezza. Il legislatore italiano, tra i primi ad adottare una specifica misura di tutela in materia[22], ha sancito che resta salva tuttavia la responsabilità illimitata della società per le obbligazioni derivanti da fatto illecito. Per le obbligazioni contratte in relazione allo specifico affare la società risponde nei limiti del patrimonio destinato allo stesso, il legislatore fa salva la responsabilità illimitata del patrimonio generale per le obbligazioni derivanti da «fatto illecito», sorte evidentemente dopo la gemmazione. Rendendo inopponibile la limitazione della responsabilità, si è inteso evitare che la separazione comporti un incentivo anomalo a frazionare il rischio d’impresa [23] «e a esternizzarlo sui creditori involontari» con una predeterminazione della quantità di rischio alla quale esporre i singoli settori dell’attività
E’ stato evidenziato che si tratta della penetrazione nel nostro ordinamento di quella tendenza, sviluppata nel sistema statunitense, che basa sulla distinzione della natura della fonte dell’obbligazione i limiti del privilegio della limitazione della responsabilità. E tale tendenza si è manifestata nel sistema nordamericano quale ipotesi di superamento della persona giuridica a favore dei titolari di un credito per risarcimento «dei danni di dimensioni tali da non poter essere soddisfatto dal patrimonio della persona giuridica, con conseguente allargamento della responsabilità al di là della limitazione connessa alla persona giuridica»[24]. Anche se, l’impatto sistematico nel nostro caso è completamente diverso e ben meno rilevante, considerato che una cosa è superare il diaframma della personalità giuridica in caso di abuso della stessa [25] e tutt’altra è semplicemente rendere inopponibile ai creditori involontari un vincolo di destinazione funzionale a scopo di garanzia, in un contesto in cui manca ogni alterità soggettiva [26]. Tuttavia ci pare che la disciplina sia dettata dalle medesime ragioni economiche poste alla base dell’applicazione della tecnica giurisprudenziale del c.d. piercing the corporate veil [27]. Tecnica che peraltro non è codificata a differenza della disposizione codicistica che è una delle pochissime discipline positive in tema di creditori involontari dettate nel mondo. Ciò dipende in primo luogo dal fatto che solo recentemente si è sviluppata la disciplina dei fatti illeciti anche in relazione ai c.d. illeciti di massa (mass torts) e le relative class actions, ma soprattutto perché non c’è di base una domanda politica di tutela per i creditori involontari, in quanto le vittime di un fatto illecito non sanno in anticipo che diventeranno tali e quindi non hanno alcun incentivo a fare pressioni per una riforma prima di subire un illecito aquiliano[28].
Lo squarcio del velo della personalità giuridica è normalmente connesso proprio a fatti illeciti piuttosto che a contratti [29]. In effetti la base razionale di questa distinzione discende direttamente dall’economia del rischio morale: nei casi in cui «le società debbono pagare per il rischio affrontato dai creditori in conseguenza della responsabilità limitata, è meno probabile che intraprendano attività i cui costi per la collettività siano superiori ai benefici per la medesima. I creditori contrattuali, in altre parole, trovano una remunerazione ex ante per l’aumento del rischio di inadempimento ex post. I creditori extracontrattuali, al contrario, non trovano remunerazione, se non per quanto i prezzi dei prodotti dell’impresa subiscono degli aggiustamenti» [30].
I creditori devono essere messi in condizione di conoscere e valutare il rischio di inadempimento, e là dove vengano sviati dalla falsa o dolosa [31] rappresentazione offerta loro dal debitore in ordine al detto rischio, non chiederanno una remunerazione adeguata [32]. Tale circostanza a sua volta comporterà una eccessiva assunzione di rischi da parte delle imprese, poiché parte dei costi verrà sostanzialmente trasferita sui creditori.
Alcuni sistemi giudiziari fanno fronte a queste situazioni consentendo in società in cui gli azionisti partecipano alla gestione, in situazioni estreme ed eccezionali[33], ai creditori lo squarcio del velo della responsabilità in modo da aggredire il patrimonio della società in caso di dolo o falsa informazione [34]. I casi più frequenti si verificano quando una società offre una falsa rappresentazione della natura delle proprie attività, della propria capacità operativa, ovvero della situazione finanziaria. Situazioni meno evidenti emergono quando un’impresa porta il creditore a credere erroneamente di potersi rivalere sul patrimonio di altre società in caso di inadempimento [35].
In particolare la regola della closely held corporation riguarda società di capitali unipersonali o, comunque, con un numero ristretto di soci, dove sono molto più frequenti le applicazioni del piercing the corporate veil, quando invocate da creditori involontari della società (come i danneggiati da fatto illecito compiuto dalla società o dei beneficiari finali dei prodotti di consumo o dei servizi offerti dalla società) [36]. I giudici tendono a considerare illimitatamente responsabili i soci nel caso in cui la società abbia creato una falsificazione della propria situazione finanziaria tale da trarre in inganno i creditori circa la propria solvibilità. Le applicazioni del principio conducono molto più spesso alla dichiarazione di responsabilità di una società per i debiti assunti appunto da una società collegata o partecipata che alla dichiarazione di responsabilità illimitata di singoli individui per le obbligazioni assunte dalla società di appartenenza; le corti giudiziarie «applicano la regola della responsabilità illimitata nella maggior parte dei casi in cui i partecipanti ad un’attività economica societaria hanno disatteso importanti formalità procedurali proprie dell’organizzazione della società (formalità che riguardano ad esempio le procedure di emissione delle azioni, di elezione degli amministratori, di indizione e svolgimento dell’assemblea, di tenuta delle scritture contabili); là dove i soci abbiano trascurato di mantenere separati i loro patrimoni personali e quello societario, creando confusione tra gli stessi, specie all’atto di eseguire pagamenti; là dove non si sia disposto di un capitale adeguato a far fronte ai rischi che l’attività economica comporta» [37].
3. L’Erario come stakeholder primario e creditore involontario
La coesione degli stakeholders intorno all’impresa dipende dal valore derivante dalle sue iniziative e dal sistema delle tutele . Nella prospettiva degli stakeholders [38], primi fra tutti i creditori sociali, il valore delle loro relazioni con l’impresa consiste nella differenza netta tra benefici e costi che essi percepiscono nello stabilire e mantenere dette relazioni [39]. Questa evoluzione ha inciso evidentemente anche sulla società come contratto, ove gli stakeholders[40] rappresentano l’estensione del raggio di responsabilità del management della società, tradizionalmente limitata alla sfera degli stockholders. Gli stakeholder primari sono coloro che hanno una formale relazione contrattuale con l’impresa (fornitori, i lavoratori, i clienti) e quelli secondari, sono tutti gli altri soggetti e\o gruppi che influenzano o sono influenzati in modo indiretto dall’impresa (lo Stato specie l’amministrazione finanziaria, i sindacati, i creditori involontari, il mercato)[41].
Il principio, cui è ispirata anche la riforma del diritto delle società, secondo cui la disciplina delle società deve essere in massima parte derogabile e consentire la libera contrattazione tra le parti, presuppone evidentemente l’origine volontaria del rapporto, in modo che ciascuno sia simmetricamente libero di accettare o meno le condizioni proposte e questo non accade per i creditori c.d. involontari [42]. E’ stata da qualcuno individuata, senza trarne peculiari effetti, anche la categoria dei creditori “quasi-volontari”, ovvero fornitori, dipendenti e consumatori, che pur intrattenendo relazioni formali e volontarie con la società non pongono condizioni destinate a metterli al riparo dal sistema della responsabilità limitata[43].Salvo la citata norma dei patrimoni destinati non è stata apprestata una tutela specifica per una pluralità indistinta ed indeterminata di soggetti, terzi rispetto a determinate attività e creditori involontari delle stesse, nel cui ambito vi sono anche Stakeholders secondari, la cui protezione «non può essere per definizione affidata alla loro capacità di scegliersi debitori che offrono sufficienti garanzie di adempimento» [44].
Insomma privi di tutela sarebbero i creditori c.d. non adjusting, non in grado di imporre all’impresa la prestazione di garanzie o clausole contrattuali di salvaguardia e neppure di chiedere un tasso di interesse più elevato, quale corrispettivo per la concessione del credito non garantito che li ripaghi per il rischio corso. E tra questi appunto i creditori involontari, che per definizione non possono “aggiustare” il proprio contratto di debito per tenere conto della rischiosità dell’impresa[45].
Da questo angolo visuale, l’amministrazione
finanziaria può essere considerata spesso un creditore involontario non avendo
scelto i propri debitori, né disponendo di specifiche informazioni su di essi.
Ed infatti proprio con riferimento ai patrimoni destinati si pose la questione
della opponibilità della limitazione di responsabilità del patrimonio destinato[46] nell’ambito dei lavori della cd. “Commissione
Gallo” per l’adeguamento dell’ordinamento fiscale al nuovo diritto delle
società, come d’altra parte emerge espressamente nello schema di articolato e
nella relativa relazione di
accompagnamento [47]. Per
Per questa situazione, infatti, è stata ipotizzata la istituzione di una forma speciale di azione, una sorta di revocatoria fiscale, tuttavia per nulla definita nelle sue caratteristiche essenziali. L’istituto, reso necessario dalla pretesa necessità di salvaguardare i crediti degli enti pubblici, non ha avuto seguito né successivo riscontro, probabilmente anche per l’oggettiva difficoltà di dimostrare la preordinazione fraudolenta da parte della società[48], ovvero che il patrimonio destinato sia stato costituito al fine esclusivo di impedire l’azione del fisco o di diminuire le sue garanzie patrimoniali.[49]
Invero l’avere ipotizzato una norma specifica a tutela dei crediti dell’Erario e degli altri enti pubblici è stata vista come una forma di protezione di carattere paternalistico[50], se non discriminante, rispetto alle altre categorie di creditori, soprattutto se fondata sul debole presupposto che il creditore pubblico, a differenza di quello privato, non sempre è in grado di monitorare costantemente la situazione [51].
D’altra parte il tema della opponibilità della segregazione allo Stakeholder Stato ed in particolare all’amministrazione finanziaria è oggetto di appositi interventi normativi e di dibattiti in altri paesi del mondo. L’art. 25, comma 2, della Lei general tributaria portoghese [52], in caso di fallimento dell’estabilicimento individual (Eirl), per una causa ricollegabile all’attività del suo titolare, prevede che quest’ultimo risponderà illimitatamente dei debiti fiscali, salvo che riesca a provare di aver osservato il principio della separazione patrimoniale con una inversione dell’onere probatorio rispetto all’azione degli altri creditori. Negli Stati Uniti, inoltre, il Restatment Second of Trusts individua espressamente tra le classi di creditori che possono aggredire i beni costituiti in trust lo Stato per i crediti vantati nei suoi confronti. La section 156 sancisceche «ove un soggetto istituisca un trust in proprio favore con una clausola che limita il trasferimento volontario o involontario del suo interest, i creditori possono comunque pignorarlo». La section 157 del Restatement individua alcune classi di creditori come la moglie ed il figlio del beneficiario per i crediti relativi agli alimenti ed al mantenimento; i prestatori di beni o servizi erogati direttamente al beneficiario o impiegati per conservare od incrementare il valore del suo interest, lo Stato per i relativi crediti. Il Restatement aggiunge che questo elenco non è necessariamente esaustivo e che le Corti possono comunque permettere il pignoramento in tutti i casi in cui la public policy lo richieda. Quindi, un creditore che trae titolo da un illecito aquiliano potrebbe pignorare con successo l’interest del beneficiario (anche se questo è più difficile che avvenga nella prassi giurisprudenziale), un po’ come accade nella norma sullo squarcio della destinazione della cellula di società per azioni in caso di responsabilità derivante da fatto illecito[53].
In realtà, già il creditore di una prestazione contrattuale può atteggiarsi come creditore volontario e\o involontario, guardando al rapporto tra obbligazione principale e obbligazione risarcitoria. Sarà qualificabile “volontario” rispetto all’obbligazione principale, essendo da questi voluta per espressa convenzione negoziale, ma “involontario” rispetto all’obbligazione risarcitoria conseguente all’inadempimento, che, di certo, non ha voluto. Lo stesso si può dire quando l’obbligazione ha la sua fonte nella legge: lo Stato, allo stesso modo, è creditore “volontario” rispetto all’obbligazione (principale) contributiva, ma diventa creditore “involontario” rispetto a quella risarcitoria.
4. L’abuso di estinzione formale della società e la norma speciale dettata nel 2014 per i creditori fiscali
Un esempio di intervento normativo importante nella linea evolutiva rappresentata è l’art. 28 comma 4 del d. lgs n. 175 del 2014, secondo cui “Ai soli fini della validità e dell’efficacia degli atti di liquidazione, accertamento, contenzioso e riscossione dei tributi e contributi, sanzioni e interessi, l’estinzione della società di cui all’articolo 2495 del codice civile ha effetto trascorsi cinque anni dalla richiesta di cancellazione del Registro delle imprese”.
Norma su cui peraltro è già intervenuta la Suprema Corte chiarendo che la stessa - di natura sostanziale incidente sulla capacità della società cancellata dal registro delle imprese - non ha efficacia retroattiva e, pertanto, il differimento quinquennale (operante nei soli confronti dell'amministrazione finanziaria e degli altri enti creditori o di riscossione, indicati nello stesso comma, con riguardo a tributi o contributi) degli effetti dell’estinzione della società derivanti dall’art. 2495 c.c., comma 2, si applica esclusivamente ai casi in cui la richiesta di cancellazione della società dal registro delle imprese (richiesta che costituisce il presupposto di tale differimento) sia presentata nella vigenza di detto decreto legislativo e cioè il 13 dicembre 2014 o successivamente[54].
Come noto la cancellazione della società dal registro delle imprese (e la conseguente estinzione “formale”) pone il problema della definizione dei rapporti pendenti, specie con riferimento alla tutela dei terzi che evidentemente non sono in grado di incidere sulla scelta di cancellare “prematuramente”. La delicata problematica, invero, emerge con sfumature diverse per le società di persone e per quelle di capitali, per le quali l’ordinamento attribuisce alla pubblicità commerciale valore costitutivo [55].
La riforma del diritto delle società è, come noto, intervenuta in materia “replicando” in parte il vecchio art. 2456 c.c. [56] (la norma continua ad investire i liquidatori dell’onere della cancellazione) e sancendo, altresì, che la stessa possa avvenire anche d’ufficio, secondo il dettato dell’art. 2490, comma 6, c.c. qualora la società non abbia provveduto al deposito del bilancio annuale di liquidazione per tre anni consecutivi, e, quindi, quando manchi la pubblicità di un’attività liquidatoria [57].
Alla luce del pregresso dibattito, il legislatore ha poi recepito le complesse problematiche afferenti l’individuazione del momento dell’estinzione della società, con particolare riferimento all’efficacia costitutiva dell’adempimento pubblicitario della cancellazione della persona giuridica dal registro delle imprese[58]. Ed, infatti, ha previsto che una volta cancellata la società, questa si estingue ipso facto, come desumibile chiaramente dall’espressione “.. ferma restando la estinzione della società…” utilizzata nel corpo dell’art. 2495 c.c.. La novella ha voluto, in questo modo, rimarcare l’efficacia estintiva della cancellazione rispetto alle precedenti interpretazioni che esigevano, al contrario l’effettivo “esaurimento” di tutti i rapporti pendenti.
Sembrava così potersi sopire il contrasto emerso in dottrina ed in giurisprudenza tra liquidazione formale, rappresentata dalla cancellazione dal registro e liquidazione sostanziale, coincidente con la definizione di tutti i rapporti pendenti, attivi e passivi.
In realtà, il problema è apparso negli ultimi anni tutt’altro che risolto. Se alcun dubbio sorge qualora non vi siano da definire rapporti pendenti o non vi sia continuazione dell’attività, delicate e complesse questioni si pongono nel caso in cui rapporti o attività sopravvivano o sopravvengano alla cancellazione. Ci si chiede in particolare se in questi casi gli effetti dell’estinzione siano “tombali” ed in caso affermativo quali siano gli strumenti diretti a sanzionare l’abuso di estinzione formale.
L’ufficio del registro delle imprese, da parte sua, in caso di richiesta dovrà semplicemente eseguire la cancellazione, limitandosi ad un controllo meramente formale della documentazione, in modo da verificare l’avvenuta approvazione del bilancio finale, senza spingersi a sindacare l’iscrizione in ragione dell’esistenza o meno di passività esposte o l’inserimento di fondi rischi nel bilancio stesso. In altri termini, laddove sia stato approvato il documento contabile finale e, sebbene da questo emergano ancora delle passività, l’ufficio del registro deve provvedere alla cancellazione, senza poter in alcun modo valutare il merito o la legalità sostanziale della vicenda [59].
La tutela dei creditori è infatti rimessa alla specifica capacità di monitoraggio ed azione degli stessi, indirizzandosi tanto nei confronti dei soci, laddove questi abbiano ricevuto riparti, quanto dei liquidatori in ipotesi di loro inottemperanze o violazioni.
D’altra parte l’estinzione della società non è inibita dall’esistenza di debiti visto che il legislatore prende in considerazione l’ipotesi che la società si estingua, nonostante il mancato pagamento dei creditori sociali, sancendo come visto: “…ferma restando l’estinzione della società...i creditori insoddisfatti…”. Come si vede, allora, estinzione della società ed esistenza di debiti sono fattispecie ontologicamente compatibili, sicché la persona giuridica può estinguersi anche in presenza di passività attuali o potenziali.
Del resto se l’ufficio del registro delle imprese avesse il potere-dovere di controllare l’esistenza di tali passività prima di procedere alla cancellazione, almeno ex actis, non si spiegherebbe la disposizione di cui all’art. 2490, comma 6, c.c., a tenore della quale la cancellazione della società è disposta d’ufficio laddove per oltre tre anni consecutivi non sia stato presentato il bilancio di esercizio. In questa, ipotesi, infatti, la cancellazione avviene a prescindere dalla disamina della posizione debitoria della società stessa, in ossequio ad una mera esigenza di efficienza del traffico giuridico-economico. Per questo, l’ufficio dovrà limitarsi al controllo della regolarità formale e cioè di esistenza, veridicità e tipicità dell’atto e non dei fatti e contegni presupposti [60].
E’ chiaro che questa impostazione pone una serie di problemi applicativi sul piano degli effetti dell’estinzione; ed al contempo impone di dare una valenza diversa alla richiesta volontaria di cancellazione della società ed a quella d’ufficio, sia ai fini della relativa efficacia, sia ai fini della valutazione dell’eventuale contegno abusivo, che solo nel primo caso evidentemente ha una base “commissiva” e non inerziale-omissiva.
5. L’efficacia estintiva della cancellazione dal registro delle imprese
Allo stato si può affermare che l’iscrizione della cancellazione, almeno per le società di capitali, produce un effetto estintivo “tombale”, anche là dove esistano ancora rapporti pendenti. La Suprema Corte si è ripetutamente pronunciata in tema negli ultimi anni scegliendo soluzioni, solo apparentemente univoche, e ciò vale anche per i tre pronunciamenti, a sezioni unite, del marzo 2013 [61], che ripercorrono gli orientamenti risultanti dal dibattito degli ultimi anni sugli effetti sostanziali e processuali e cercano di sistemare, la materia, in funzione di un difficile equilibrio tra esigenze di certezza del diritto ed esigenze di tutela dei delicatissimi interessi in gioco, a cominciare da quelli del mercato [62]. Peraltro i giudici di legittimità hanno già avuto modo di applicare a stretto giro l’impostazione “nomofilattica”, a dimostrazione della rilevanza anche quantitativa della questione, legata spesso a cancellazioni “abusive”[63].
La stessa Suprema Corte aveva già evidenziato nel 2010 come la data di entrata in vigore della riforma era lo spartiacque, in quanto le vicende estintive verificatesi nel periodo antecedente vanno assoggettate al precedente “regime” e le cancellazioni successive al nuovo [64]. Si era infatti anche rilevato che l’art. 2495 c.c. non contiene una norma interpretativa della precedente disciplina, nè retroattiva, ma è espressione di una lettura in contrasto con l’orientamento che negava la natura costitutiva della cancellazione, per cui la novella rappresenterebbe una visione costituzionalmente orientata del precedente sistema[65].
Nelle sentenze del 2013 si afferma di non voler mettere in discussione i principi sanciti dalle Sezioni Unite precedentemente, ma di voler partire da quelle decisioni per cercare di far chiarezza sulle ulteriori ricadute.
In realtà la Suprema Corte nel corso del 2010 ha prima affermato l’efficacia estintiva della cancellazione per le società di capitali [66] (ed il medesimo effetto dissolutivo è stato sancito anche qualora venga cancellata una società personale [67] con la fine della capacità e soggettività limitata), ma poi successivamente ha operato un sostanziale revirement contenuto in decisioni di difficile lettura e figlie di un tentativo, mal riuscito, di non contraddirsi[68].
Per le società di capitali, invero, era stato ancora prima ancora riconosciuto l’effetto estintivo della cancellazione, indipendentemente dalla sussistenza di rapporti pendenti, sino ad affermare l’applicazione della norma «anche alle cancellazioni già iscritte nel registro delle imprese» rispetto alla sua entrata in vigore[69].
Le ultime Sezioni Unite ricordano che la citata sostanziale difformità tra società di capitali e di persone viene rinvenuta per le società a base personale sotto il mero profilo pubblicitario. Se la cancellazione delle prime ha natura costituiva, al contrario, resta affermata la natura dichiarativa della cancellazione delle seconde per simmetria rispetto alla natura dell’iscrizione dell’atto costitutivo. Questa distinzione è confermata dalla responsabilità dei soci di società di persone[70].
La Cassazione, tuttavia, con le due ulteriori pronunce del 2010 (sentenze a sezioni unite nn. 8426 e 8427), cambiò sostanzialmente impostazione, seppure con un ragionamento molto articolato. Si tratta di sentenze che affrontano il caso di società a responsabilità limitata che, dopo la cancellazione volontaria, avevano trasferito la propria sede all’estero. Tali cancellazioni, ex art. 2191 c.c., erano state successivamente cancellate dal giudice del registro, con il conseguente assoggettamento a fallimento delle società in quanto nuovamente iscritte e “ridotate” di personalità giuridica.
In buona sostanza, il trasferimento della sede veniva considerato un evento tale da far presumere la prosecuzione implicita dell’attività così da legittimare il provvedimento del giudice. Dichiarato così il fallimento, il motivo di ricorso sottoposto al vaglio dei giudici era volto ad individuare il momento temporale cui dare rilievo ai fini della dichiarazione dell’insolvenza dello stesso, secondo il dettato dell’art. 10 l.f..: in pratica si chiedeva se prevalesse il dato pubblicitario relativo alla cancellazione della cancellazione o, al contrario, se rilevasse la cancellazione pregressa.
I giudici affermavano in motivazione che la cancellazione disposta ex art. 2191 c.c. è dichiarativa e pertanto comporta solo l’opponibilità ai terzi della insussistenza delle condizioni in forza delle quali è precedentemente avvenuta. Per l’effetto, si presumerebbe il perdurare dell’esistenza della società, ricadendo sugli interessati l’onere di provare che l’effettiva cessazione dell’attività d’impresa sia avvenuta da oltre un anno rispetto alla istanza di fallimento. Tale prova, nel caso preso in esame, non sarebbe stata offerta e, pertanto, la natura dichiarativa della cancellazione ex art. 2191 c.c. faceva presumere la continuazione dell’attività.
Le precedenti statuizioni sono state poste, insomma, in discussione, nonostante i malcelati tentativi di farle apparire in continuità logica ed ideologica[71].
Infatti, da un lato si afferma l’efficacia estintiva della cancellazione[72], dall’altro si riconosce che qualora sopraggiunga il decreto di cancellazione della cancellazione, seppur in un caso peculiare, la società deve considerarsi ancora viva, salvo prova contraria. Non appare chiaro allora quale dovrebbe essere il criterio positivo (ispirato al fondamentale principio di certezza del diritto) col quale stabilire i casi in cui possa essere applicato l’art. 2191, c.c., senza renderlo uno strumento meramente discrezionale ed arbitrario per riportare ad libitum in vita società ormai “defunte”, qualora, ad esempio vi siano ancora passività.
Peraltro, la cancellazione della cancellazione potrebbe intervenire, sulla base di questi principi, non soltanto quando effettuata abusivamente, ma anche nelle ipotesi in cui sono stati posti in essere in buona fede (ed inconsapevolmente) atti di prosecuzione dell’impresa, con conseguenze di non poco rilevo[73].
L’iscrizione della cancellazione della cancellazione, secondo i giudici, configurerebbe una forma di pubblicità «dichiarativa del mancato esaurimento di tutti i rapporti giuridici pendenti facenti capo alla s.r.l., la cui personalità deve negarsi si sia estinta, retroagendo l’accertamento a base del decreto della mancanza dei requisiti per la cancellazione dell’iscrizione e la sua estinzione, che deve quindi presumersi mai avvenuta, per essere continuata l’attività d’impresa di detto soggetto». Tale presunzione che l’estinzione non sia avvenuta, sarebbe “relativa” ammettendo la prova contraria in sede di modifica del provvedimento ad opera del giudice del registro o di una ordinaria azione di cognizione sulla pretesa esistenza dei requisiti ritenuti indispensabili all’estinzione.
C’è da dire tuttavia che nella fattispecie concreta esaminata dalla Cassazione era emersa la natura “fittizia” del trasferimento all’estero e la continuazione dell’attività in Italia ove sarebbe rimasto il relativo centro di interessi[74]. Ma il ragionamento - seppur riferito a una casistica assai peculiare - ha aperto un rilevante varco al “fronte” della cancellazione della cancellazione[75].
La Suprema Corte, successivamente[76], è parsa tornare sulla linea precedente sancendo che : “in esito alla riforma del diritto delle società, non è più dubitabile che la cancellazione dal registro delle imprese produca l’effetto (costitutivo) della estinzione irreversibile della società anche in presenza di debiti insoddisfatti o di rapporti non definiti, da ciò istituendosi una comunione fra i soci in ordine ai beni residuati dalla liquidazione ovvero sopravvenuti alla cancellazione…” [77].
Le tre sentenze del 2013 “glissano” sul contenuto implicito delle sentenze nn. 8426 e 8427, limitandosi a sancire che le stesse hanno previsto la possibilità che si addivenga anche d’ufficio alla “cancellazione della cancellazione” (cioè alla rimozione della cancellazione dal registro in precedenza intervenuta), in forza del disposto dell’art. 2191 c.c., con la conseguente presunzione che la società non abbia mai cessato medio tempore di operare e di esistere, cioè sulla base della prova di un fatto dinamico e non di un dato statico quale è la pendenza dei rapporti non definiti.
Insomma la Suprema Corte continua a non prendere posizione sul “se” la cancellazione della società di capitali possa essere cancellata nel caso in cui il soggetto continui ad operare e se la persona giuridica possa risorgere, glissando forse, da un lato, per non evidenziare la discontinuità degli orientamenti, dall’altro, per lasciare una porta aperta a interventi repressivi di abusi particolarmente evidenti dell’istituto della cancellazione nei confronti appunto dei creditori involontari. Tuttavia il sistema complessivo e gli stessi ragionamenti della Suprema Corte conducono inevitabilmente verso l’effetto “tombale” della cancellazione. La dinamica delle tutele risiede ormai, in positivo ed in negativo, nella pubblicità commerciale che assume nell’ordinamento sostanziale e processuale un ruolo centrale. D’altra parte la norma speciale dettata per i creditori fiscali si basa sempre sul registro delle imprese, allungando solo il termine entro cui questi possono agire.
6. Il problema delle sopravvenienze
Il mancato riferimento, nell’art. 2495 comma 2 , c.c., alla società, come soggetto destinatario della pretesa dei creditori sociali non soddisfatti agli esiti del procedimento di liquidazione, conferma che non esiste più, dopo la cancellazione, un patrimonio sociale distinto da quello personale dei soci. I creditori sociali non soddisfatti, infatti, possono far valere i loro crediti soltanto nei confronti dei soci e, ciò fino a concorrenza delle somme riscosse in base al bilancio finale di liquidazione, ovvero nei confronti dei liquidatori, se il mancato pagamento è dipeso da colpa di questi. Sicché - salvo quanto precisato - anche i creditori fiscali saranno costretti a concorrere con i creditori particolari del socio per ottenere quanto loro dovuto dalla società estinta, nei limiti tuttavia della quota di liquidazione che a questi sia stata versata sulla base del bilancio finale di liquidazione[78].
La responsabilità dei soci, nei limiti e presupposti detti, trova una precisa ragione nel fatto che il diritto del creditore non può venir meno definitivamente a causa della cancellazione del debitore. Se così fosse infatti – sottolineano le Sezioni Unite - si finirebbe col consentire al debitore di disporre unilateralmente del diritto altrui (magari facendo venir meno, di conseguenza, le garanzie prestate da terzi, che a quei debiti eventualmente accedano). E ciò pare tanto più inammissibile in un contesto normativo nel quale l’art. 2492 c.c. neppure accorda al creditore la legittimazione a proporre reclamo contro il bilancio finale di liquidazione della società debitrice, il cui deposito prelude alla cancellazione. Ne consegue che venuta meno la società, i soci diventano gli effettivi titolari dei debiti sociali nei limiti della responsabilità che essi avevano secondo il tipo prescelto. Quindi nelle società di persone la responsabilità illimitata resta tale anche dopo la cancellazione, secondo il dettato dell’art. 2312, c.c.. Al contrario, i soci di società di capitali continuano a godere di una limitata responsabilità, rispondendo delle c.d. sopravvenienze passive nei limiti dei conferimenti rimborsati e delle quote di liquidazione oltre che degli eventuali acconti percepiti e dei conferimenti non ancora eseguiti.
In questo senso, secondo la Cassazione, le previsioni di cui all’art. 2495 c.c. implicano, anche se si vogliono rifiutare improprie suggestioni antropomorfiche (tra morte della persona fisica ed estinzione di quella giuridica), un fenomeno di tipo successorio, sia pure sui generis, che coinvolge i soci ed è variamente disciplinato dalla legge a seconda del diverso regime di responsabilità da cui, pendente societate, erano caratterizzati i pregressi rapporti sociali. Ed a conferma di ciò il legislatore dispone che la domanda proposta dai creditori insoddisfatti nei confronti dei soci possa essere notificata entro un anno dalla cancellazione della società dal registro, presso l’ultima sede legale, ispirandosi palesemente al secondo comma dell’art. 303 c.p.c. che consente, entro l’anno dalla morte della parte, di notificare l’atto di riassunzione agli eredi nell’ultimo domicilio del defunto. D’altra parte il successore che risponde solo intra vires dei debiti trasmessi non cessa, solo per questo di essere successore ed i limiti alla responsabilità derivanti dal tipo sociale che dovessero rendere inutili le azioni del creditore si riflettono sull’interesse ad agire e non sulla legittimazione passiva.
Quanto ai residui attivi non liquidati, è preferibile aderire all’orientamento secondo cui, rimanendo irreversibile l’estinzione della società, nasce una comunione dei beni sopravvenuti alla cancellazione. Più articolata è la soluzione offerta dalle recenti Sezioni Unite, che, qualificando anche in questo caso il fenomeno come successorio ed escludendo l’ipotesi di un patrimonio “adespota” assimilabile alla figura dell’eredità giacente, affermano che “si trasferiscono del pari ai soci, in regime di contitolarità o di comunione indivisa, i diritti ed i beni non compresi nel bilancio di liquidazione della società estinta, ma non anche le mere pretese, ancorché azionate o azionabili in giudizio, né i diritti di credito ancora incerti o illiquidi la cui inclusione in detto bilancio avrebbe richiesto una attività ulteriore (giudiziale o extragiudiziale) il cui mancato espletamento da parte del liquidatore consente di ritenere che la società vi abbia rinunciato”.
La qualificazione atecnica di “mere pretese” accanto a quella di crediti incerti o illiquidi riguarda probabilmente le regole di iscrizione in bilancio, nel senso che in base al principio di prudenza (art. 2423-bis n. 1, c.c.) e alla sua ulteriore declinazione - il principio di asimmetria (Imparitätsprinzip) - le componenti attive devono essere iscritte solo se certe, mentre ogni probabilità - per quanto ridotta - di eventi negativi deve venir considerata in bilancio. Peraltro queste regole, come noto, non valgono quando si tratta di bilancio “straordinario”, come quello di liquidazione.
La soluzione non serve a valorizzare la funzione del bilancio finale né conseguentemente la possibilità della cancellazione d’ufficio della cancellazione ex art. 2191 c.c., ma al contrario è frutto del condizionamento dei profili pratico-processuali sui profili giuridico-sostanziali della fattispecie. Si vuole evitare che da un lato non vengano evidenziate sopravvenienze attive, attuali o potenziali, al fine da un lato di cancellare e dall’altro di azionare in regime di contitolarità ciò che sarebbe finito nel patrimonio sociale.
Il trattamento dei valori attivi e passivi nel bilancio finale può quindi rilevare, come vedremo, al diverso fine dell’accertamento nelle singole fattispecie del carattere abusivo o fraudolento della cancellazione.
In ogni caso appare chiaro che la scelta della Suprema Corte è di mera opportunità, in quanto non convince certo la distinzione sulla presunta volontà (implicita) del liquidatore di rinunciare alle attività (visto che non può essere oggetto di presunzione assoluta rispetto ad una dimenticanza od all’ignoranza) ed ancor meno convince rispetto ai diritti dei soci che non hanno certo contributo o espresso almeno la volontà di cancellare[79].
D’altra parte la giurisprudenza di legittimità ha affrontato soprattutto i risvolti di natura processuale derivanti dalla cancellazione, partendo da una ovvia considerazione e cioè che la società cancellata dal registro delle imprese non può validamente intraprendere una causa né esservi convenuta (salvo quanto si dirà a proposito del fallimento).
In realtà si possono verificare due situazioni diverse: una società viene cancellata prima che venga introdotta un’azione od una impugnazione o, al contrario, nel corso del giudizio.
La Suprema Corte aveva già in passato statuito che l’impresa collettiva si estingue con la cancellazione e, conseguentemente, perde anche la legittimazione processuale e sostanziale: le azioni proposte da un soggetto già cancellato divengono inammissibili [80]. Stesso discorso vale per le impugnazioni proposte dalla società estinta, o viceversa nei suoi confronti[81], visto che il giudizio deve essere sempre promosso contro i soggetti effettivamente legittimati, ovvero, come anche si usa dire, della “giusta parte”[82]. Ciò anche in considerazione del fatto che laddove l’evento interruttivo per il venir meno di una parte non si stato fatto constare nei modi di legge l’esigenza di stabilità del processo è limitata al grado di giudizio in cui quell’evento è occorso.
Ulteriori questioni si pongono, tuttavia, sia in relazione ad una nuova azione dei creditori sociali da proporre nei confronti degli ex soci e dei liquidatori, sia qualora la società cancellata sia parte di un giudizio precedentemente incardinato. Riguardo alla prima ipotesi, il legislatore ha stabilito che la pretesa potrà proporsi, nell’anno successivo alla cancellazione della società, mediante atto di citazione da notificarsi nell’ultima sede della stessa (art. 2495, comma 2, c.c.). Con questa norma si è inteso semplificare il compito dei creditori sociali “mitigando” i rigorosi effetti della cancellazione[83] sebbene, al contempo, potrebbero essere pregiudicati i diritti dei soci e liquidatori. Sembra preferibile, così, sostenere che la notificazione non possa intendersi come “collettiva ed impersonale” analogamente a quella contemplata dall’art. 303 c.p.c.[84].
Nel caso previsto dall’art. 2495, comma 2, la notifica ha ad oggetto una domanda nuova, verosimilmente quella dei creditori nei confronti dei soci o del liquidatore e per questo l’attore ha il compito di individuarli singolarmente[85]; al contrario, l’art. 303 c.p.c. consente una notifica effettuata collettivamente ed impersonalmente agli eredi, ma solo nel caso di un giudizio già incardinato.
Secondo un certo orientamento giurisprudenziale nel caso di processi pendenti al momento della cancellazione, il giudizio si interrompe e la riassunzione può avvenire nei confronti dei soci anche attraverso una notificazione collettiva e impersonale[86]. In questo caso, tuttavia, la norma applicabile sembra essere proprio quella generale di cui all’art. 303 c.p.c. e non quella espressamente prevista dal codice civile per le società cancellate[87].
Nel caso in cui la società liquidata sia parte in un giudizio in corso, dunque, si verificherà la successione dei soci, ex art. 110 c.p.c., potendo individuare come “altra causa”, secondo il dettato normativo, la vicenda della liquidazione. Peraltro, la prosecuzione del giudizio da parte degli ex soci va a coincidere con l’effetto estintivo della cancellazione.[88].
Se la società si estingue, vi sarà una conseguente carenza di legittimazione attiva del liquidatore a far valere crediti della società[89]. Pertanto, necessariamente saranno i soci ad avere la rappresentanza processuale e nei loro confronti dovrà proseguire il giudizio [90]. La Suprema Corte ha avuto già modo di statuire che è connaturato all’effetto estintivo il venir meno, del potere di rappresentanza dell'ente estinto in capo al liquidatore, come pure la successione dei soci alla società ai fini dell'esercizio, nei limiti e alle condizioni dalla legge stabilite (art. 2495 c.c., comma 2), delle azioni dei creditori insoddisfatti (nella specie l’amministrazione erariale), e ferma restando l’eventuale responsabilità del liquidatore ove il mancato pagamento sia dipeso da colpa o, a fortiori, da dolo[91].
Dunque alla luce di questi principi, le Sezioni Unite del 2013 hanno affermato che in caso di cancellazione ed estinzione in pendenza di giudizio è applicabile la disposizione dell’art. 110 c.p.c. [92], che contempla non solo la “morte” ma qualsiasi “altra causa” per la quale la parte venga meno [93], viceversa non è invocabile l’art. 111 c.p.c. visto che il fenomeno successorio in esame non è riconducibile né ad un trasferimento tra vivi né mortis causa a titolo particolare che postuli l’esistenza di un diverso successore universale[94]. Di conseguenza si applicano altresì le disposizioni di cui agli artt. 299 ss. c.p.c., visto che “la perdita della capacità di stare in giudizio” cui tali norme alludono, è inevitabile conseguenza della sopravvenuta estinzione, con il contemperamento dei diritti processuali del successore della parte venuta meno e della controparte[95].
7. La norma speciale come norma sostanziale ad effetti processuali
L’unica eccezione contemplata dal legislatore al venir meno della legittimazione processuale della società cancellata e del suo legale rappresentante è quella contemplata dall’art. 10 della l. fall. che, è norma speciale rispetto all’art. 2495 c.c., appositamente prevista per fornire tutela ai creditori sociali, specie in relazione a cancellazioni fraudolente.
La norma civilistica trova, cioè, eccezione nella norma fallimentare e la società, benché cancellata, continua a vivere, ma solo ai fini della procedura concorsuale.
Se così è, il ricorso per la dichiarazione di fallimento non va notificato ai soci della società cancellata, continuando ad essere legittimato il liquidatore cui va indirizzato entro l’anno dalla iscrizione della cancellazione [96], presso l’ultima sede legale della società, come già ha avuto modo di statuire la Cassazione [97] e di ribadire nelle ultime tre sentenze a sezioni unite[98].
Le Sezioni Unite hanno chiarito - una volta e per tutte - i rapporti tra l’art. 10 della l. fall.e l’art. 2495 c.c., evidenziando, appunto, che la cancellazione nel limite temporale di cui all’art. 10, l. fall., non esclude la persistenza degli organi societari ai soli fini della dichiarazione di insolvenzae della conseguente procedura concorsuale, in cui la posizione processuale del fallito è sempre impersonata dalla società e da chi legalmente la rappresentava.
Si tratta di “una fictio iuris che postula come esistente ai soli fini del procedimento concorsuale un soggetto ormai estinto (come del resto accade anche per l’imprenditore persona fisica che venga dichiarato fallito entro l’anno dalla morte) e dalla quale non si saprebbero trarre argomenti sistematici da utilizzare in ambiti processuali diversi”.
Tale orientamento, tuttavia, in passato non ha assunto forza “nomofilattica”: secondo altre interpretazioni, infatti, la “riviscenza” della società ai fini fallimentari opererebbe solo dal momento della dichiarazione di fallimento e non anche nella fase prefallimentare. Prima della dichiarazione di fallimento dovrebbero valere le regole poste dall’art. 2495 c.c. e, conseguentemente, essendo la società estinta, sarebbero legittimati passivi solo gli ex soci e non più gli organi sociali[99].
Questo orientamento, in ogni caso, non può essere condiviso dovendosi ritenere applicabile il medesimo criterio tanto nella fase fallimentare, quanto in quella prodromica, con conseguente legittimazione del liquidatore e non dei soci. Il fallimento è ormai processo a cognizione piena, con tutte le relative garanzie, in fase istruttoria, del contraddittorio. Tale contraddittorio di conseguenza va instaurato nei confronti del soggetto che a seguito della dichiarazione di insolvenza rimane l’organo amministrativo sospeso dalle funzioni gestionali, ma dotato di specifici poteri riguardanti la persona giuridica fallita (quale ad esempio il potere di sottoscrivere la proposta di concordato fallimentare ed anche quello di deliberarlo nelle società di capitali a norma dell’art. 152, l. fall.).
Strettamente connesso all’effetto estintivo della cancellazione è l’impatto sistematico dell’art. 10, l.fall., come novellato. La norma sancisce che “gli imprenditori individuali e collettivi possono essere dichiarati falliti entro un anno dalla cancellazione dal registro delle imprese, se l’insolvenza si è manifestata anteriormente alla medesima o entro l’anno successivo”[100].
La società cancellata può fallire [101], ma il nuovo dettato fa sì che la cancellazione della stessa produca non solo un effetto estintivo, ma segni anche il dies a quo per calcolare l’anno entro il quale può sopraggiungere la declaratoria di fallimento. Se la cancellazione non avesse efficacia estintiva sarebbe agevole aggirare il termine annuale scaduto, in quanto potrebbe essere sufficiente eliminare la cancellazione.
Il mutamento del principio di valutazione del presupposto di fallibilità «non potrebbe essere più chiaro: da quello, precorso di effettività (con richiamo forte, per ben due volte, alla concreta cessazione), a quello di pubblicità (dell’iscrizione, presso il registro delle imprese, della cancellazione)».[102]
Quest’ultima è, dunque, condizione necessaria affinchè possa essere dichiarato il fallimento entro il termine annuale, sebbene non sia, da sola sufficiente per le società cancellate d’ufficio, così come per l’imprenditore individuale. In questa ipotesi, infatti, accanto alla cancellazione deve sussistere anche l’effettiva cessazione dell’attività al fine di far decorrere il termine annuale. La norma è evidentemente volta a favore non del debitore, ma dei creditori i quali sono gli unici, accanto al pubblico ministero, a poter fornire la prova volta a dimostrare che, nonostante la cancellazione, l’attività di impresa non sia cessata e conseguentemente, l’imprenditore sia ancora esposto al fallimento.
E’ opportuno osservare il rapporto ”effettuale” tra le norme civilistiche e fallimentari. Se infatti si applicasse alla lettera il dettato dell’art. 2495 c.c. i creditori di una società cancellata, e poi dichiarata insolvente, non potrebbero insinuarsi nel passivo fallimentare in quanto potrebbero rivalersi solo nei confronti dei soci e dei creditori. Ma il fallimento viene dichiarato, ex art. 10 l.f., proprio per consentire il concorso dei creditori sul patrimonio sociale, eventualmente ricostruito anche con azioni di pertinenza della massa [103].
In buona sostanza non appare chiaro, dal combinato disposto, se dopo la cancellazione si possa ancora parlare di debiti della persona giuridica. In caso affermativo, si dovrebbe ammettere che l’estinzione non coincide con il concetto di “non esistenza” e quindi anche dopo l’estinzione il soggetto giuridico potrebbe ancora esistere o quanto meno “resuscitare”[104].
Ma in quest’ultimo caso si dovrebbe affermare che la norma civilistica trova eccezione nella norma fallimentare per cui l’effetto estintivo della cancellazione viene meno solo in caso di fallimento. Ciò a meno di non voler ritenere possibile un fallimento senza soggetto e che riguardi un centro di imputazione degli interessi dei creditori sociali rappresentato dal curatore. Tuttavia, sul piano sistematico, l’art. 1, l. fall., contempla il fallimento di un imprenditore e non di un’impresa o di un patrimonio; ed il centro di imputazione di interessi in esame non è un nuovo soggetto diverso od autonomo rispetto alla società cancellata. Vero è che la stessa legge fallimentare contempla ipotesi di fallimento di impresa senza imprenditore, si pensi all’insolvenza dell’incapace o del defunto[105] ed in particolare dell’eredità giacente o ancora delle fondazioni e delle associazioni non riconosciute che esercitano attività commerciale là dove si parta dal presupposto che queste ultime siano sfornite di personalità, tuttavia è altrettanto vero che all’origine v’è sempre la dichiarazione di insolvenza dell’imprenditore. E le norme di cui agli artt. 11 e 12 della legge fallimentare vengono ad esempio considerate, da una parte della dottrina, come la più energica affermazione del soggetto che sopravvive, come centro di imputazione alla propria morte: se, comunque, in tali fattispecie “non v’è preminenza della soggettività dell’imprenditore rispetto all’oggettività dell’attività commerciale, purtuttavia permane sempre un centro d’imputazione e la riferibilità soggettiva conil de cuius” [106].
Il fallimento dell’imprenditore defunto deriva dalla preesistente declaratoria di fallimento del soggetto deceduto, imputandosi in capo agli eredi solo alcuni effetti della procedura. Analogamente nel caso dell’imprenditore incapace e delle associazioni o delle fondazioni che esercitano attività commerciale, gli effetti di natura sostanziale del fallimento seguono alla imputazione formale della dichiarazione di insolvenza in capo all’associazione o alla fondazione, che vengono riconosciuti come imprenditori in virtù della natura dell’attività dagli stessi concretamente esercitata. In queste ipotesi, dunque, l’identificazione dell’attività di soggetti formalmente non imprenditori serve a qualificarli tali ed a rendere possibile l’imputazione del requisito soggettivo richiesto dall’art. 1 della legge fallimentare. In tutte le fattispecie citate a sostegno dell’ammissibilità del fallimento meramente oggettivo l’attività d’impresa costituisce presupposto servente rispetto alla qualificazione del soggetto quale imprenditore commerciale ed alla sua successiva dichiarazione di fallimento.
Quindi, al di là delle eccezioni temporali legate alla possibilità di dichiarare il fallimento, anche le ipotesi citate non derogano all’imprescindibile presupposto della preventiva dichiarazione di fallimento di un soggetto imprenditore (nel nostro caso la società) entro un determinato lasso temporale dalla cessazione dell’attività.
Secondo una ricostruzione offerta in dottrina, le società cancellatesi spontaneamente cessano di essere centri di imputazione di nuove attività, ma non perdono la responsabilità per le obbligazioni poste in essere alla data della cancellazione sino all’anno successivo. E così entro il predetto periodo la società deve considerarsi titolare sia di beni presenti nel patrimonio che di beni eventualmente sopravvenuti con la procedura fallimentare[107]. Peraltro la Consulta aveva già, in epoca ormai risalente, dichiarato non fondata la questione di legittimità costituzionale sollevata in relazione all’art. 10 l.f.[108]. Infatti i rapporti posti in essere dall’imprenditore sono in grado di generare i propri effetti anche in un momento successivo alla cessazione dell’attività e, conseguentemente, se l’insolvenza si manifesta entro l’anno può essere logicamente ricondotta al precedente esercizio dell’attività d’impresa. Dunque, osserva la Corte, è corretta l’equiparazione compiuta dall’art. 10 tra colui il quale non è più imprenditore e chi, al contrario, continua ad esercitare l’attività.
E allora dal fallimento di una società ormai cessata derivano, al più, deroghe solo relative alle modalità di esecuzione e di applicazione della procedura concorsuale: in particolare, al fine di individuare il soggetto legittimato a rappresentare la società estinta, l’ultimo liquidatore, legale rappresentante, nominato dai soci in qualità di successori, evoca il modello individuato all’art. 12 l.f. ove è prevista la nomina, si pure ex post, di un rappresentante comune da parte degli eredi o del giudice [109].
Orbene, in base al D.Lgs. n. 175 del 2014, art. 28, comma 4, l’effetto estintivo della società (di persone o di capitali), qualora derivi da una cancellazione dal registro delle imprese disposta su richiesta, è differito per cinque anni, decorrenti dalla richiesta di cancellazione, con differimento limitato al settore tributario e contributivo (“ai soli fini”), nel senso che l’estinzione intervenuta durante tale periodo non fa venir meno la validità e l’efficacia sia degli atti di liquidazione, di accertamento, di riscossione relativi a tributi e contributi, sanzioni e interessi, sia degli atti processuali afferenti a giudizi concernenti detti tributi e contributi, sanzioni e interessi. Va, poi, sottolineato che il differimento degli effetti dell’estinzione non opera necessariamente per un quinquennio, ma per l’eventuale minor periodo che risulta al netto dello scarto temporale tra la richiesta di cancellazione e l’estinzione[110].
La Cassazione ha affermato che la norma ha natura sostanziale incidente sulla capacità della società cancellata dal registro delle imprese, ma gli effetti diventano processuali come visto sopra, e si trasformano in sostanza in un allungamento per i soli creditori fiscali della legittimazione a chiedere ed ottenere il fallimento della società in un termine quinquennale in deroga alla previsione dell’art. 10 della legge fallimentare.
8. La reazione dell’ordinamento agli abusi fraudolenti
Ricapitolando, il quadro che emerge è che la cancellazione dal registro delle imprese ha effetti tombali, almeno per le società di capitali, e che il rimedio della cancellazione della cancellazione resta precluso, salvo forse che per quella effettuata d’ufficio. Il tutto sulla base di un unico strumento di tutela efficiente rappresentato dalla dichiarazione di fallimento entro un anno, o cinque per i creditori fiscali, dal perfezionamento della formalità pubblicitaria con valore costitutivo.
Questo comporta che la salvaguardia delle ragioni dei creditori è rimessa alla stessa pubblicità commerciale ed all’onere di monitoraggio. Tuttavia nella pratica si verifica spesso che la cancellazione venga effettuata mentre il giudizio, o spesso i numerosi giudizi, di accertamento dei debiti (specie fiscali, previdenziali e lavoristici) non hanno ancora prodotto titoli esecutivi a favore dei creditori (come visto ciò accade soprattutto per i creditori c.d. involontari e stakeholders secondari). Quindi nelle more della prosecuzione del giudizio di cognizione, eventualmente dopo una corretta riassunzione nei confronti dei soci, l’anno inevitabilmente decorre.
Tuttavia, in tal caso, il contegno, eventualmente fraudolento può sicuramente rilevare, se è strumentale ad una cancellazione richiesta sulla base di un bilancio finale di liquidazione da cui non risultino i debiti oggetto di contenzioso, i quali neppure siano stati inseriti in un fondo rischi.
Basti pensare che a norma dell’art. 7, comma 2, l.fall., il pubblico ministero può presentare la richiesta di fallimento ex art. 6 comma 1, l. fall., quando l’insolvenza risulta nel corso di un procedimento penale, ovvero dalla fuga, dalla irreperibilità o dalla latitanza dell’imprenditore, dalla chiusura dei locali dell’impresa, dal trafugamento, dalla sostituzione o dalla diminuzione fraudolenta dell’attivo da parte dell’imprenditore; quando l’insolvenza risulta dalla segnalazione proveniente dal giudice che l’abbia rilevata nel corso di un procedimento civile.
La Cassazione ha più volte affermato che in tema di iniziativa del p.m. per la dichiarazione di fallimento, la doverosità della sua richiesta può fondarsi dalla risultanza dell’insolvenza, alternativamente, sia dalle notizie proprie di un procedimento penale pendente, sia dalle condotte, del tutto autonome indicate in tal modo dalla congiunzione “ovvero” di cui alla norma, che non sono necessariamente esemplificative né di fatti costituenti reato né della pendenza di un procedimento penale, che può anche mancare [111].
E si badi bene che il potere del p.m. di assumere l’iniziativa della richiesta al tribunale della dichiarazione di fallimento, secondo la giurisprudenza di legittimità, non è limitata alle specifiche ipotesi di cui all’art. 7 l. fall. ma ha, invece, carattere generale[112]. Orbene, la chiusura dei locali dell’impresa evoca sicuramente il fenomeno della cancellazione della società, così come la fuga può evocare tanto la stessa vicenda, quanto il trasferimento della sede all’estero (altra pratica spesso fraudolenta). Quindi non si tratta di equiparare le fattispecie o di applicarle analogicamente, ma di farle rientrare nelle condotte alternative ed autonome, che a differenza delle modalità di conoscenza della scientia decoctionis non sono tassative ma esemplificative.
D’altra parte la fuga dell’imprenditore in stato di dissesto, nelle antiche legislazioni comunali, ha sempre rappresentato il principale sintomo del fallimento: il fugitivus a causa dell’impossibilità di far fronte ai propri debiti, era presumibilmente in stato di decozione. Difatti, per un arco di tempo che va dalla metà del XIII alla metà del XVII secolo, troviamo il costante, e talora esclusivo, riferimento alla fuga come presupposto del fallimento[113]. Solo con la promulgazione del codice napoleonico nel 1808, e la sua successiva revisione nel 1838, il presupposto oggettivo dello stato di crisi è stato affinato: il sintomo dominante del dissesto è la cessazione dei pagamenti, ma si precisa, guarda caso, che l’incapacità ad adempiere può “desumersi da manifestazioni esterne indirette (ad esempio, la chiusura dei magazzini)”[114].
Molto spesso il fenomeno della fuga-trasferimento all’estero si sovrappone a quello della chiusura-cancellazione, tant’è che nelle vicende affrontate dalle Sezioni Unite nn. 8426 e n. 8427 del 2010, si trattava proprio di società a responsabilità limitata che, dopo la cancellazione volontaria, avevano trasferito la propria sede all’estero (rispettivamente in Romania ed in Lituania). Tali cancellazioni, ex art. 2191 c.c., venivano successivamente cancellate dal giudice del registro, con il conseguente assoggettamento a fallimento delle società in quanto nuovamente iscritte e “ridotate” di personalità giuridica. In buona sostanza, il trasferimento della sede veniva considerato un evento tale da far presumere la prosecuzione implicita dell’attività così da legittimare il provvedimento del giudice.
In realtà il fittizio trasferimento della sede non dovrebbe determinare alcuno spostamento della giurisdizione[115], e ciò a prescindere dalla data della cancellazione per trasferimento, vicenda ontologicamente distinta da quella della cancellazione per cessazione dell’attività[116]. L’operazione ha spesso la finalità abusiva di trasformare la persona giuridica in soggetto “irreperibile”, ovvero soggetto nei confronti del quale è, di fatto, impossibile effettuare le notificazioni. Le difficoltà appaiono evidenti quando al trasferimento fittizio segua, di fatto, l’impossibilità di trovare presso la sede, risultata essere quella effettiva, il rappresentante legale o altra persona addetta a ricevere le notifiche, come individuate all'art. 145 comma 1 c.p.c., ovvero quando si sveli che, in realtà, con il trasferimento simulato all’estero la società sia sostanzialmente fuggita dai creditori, con la nomina di prestanome (cittadino del paese del trasferimento fittizio ivi residente), in realtà non reperibile presso l’indirizzo risultante dalla visura camerale. Valutando gli effetti di una eventuale inefficacia del trasferimento fittizio potrebbe sostenersi, in analogia con quanto sancito dalla Cassazione per la notifica del ricorso di fallimento della società cancellata, la possibilità di notificare, nelle forme di legge, all’ultimo legale rappresentante «italiano» prima del trasferimento all’estero, ovvero a quello che continua essere l’amministratore od il liquidatore effettivo, ovvero a quello che ha interesse a impugnare la sentenza dichiarativa di fallimento. Nel caso in cui presso la sede statutaria, per abbandono della stessa non sia possibile procedere alla notifica ai sensi dell’art. 145, comma 1, c.p.c., né procedere mediante notifica al legale rappresentante rimane aperta la questione se sia possibile effettuare la notifica ai sensi degli artt. 140 e 143 c.p.c.[117].
In ogni caso, nelle ipotesi di estinzione fraudolenta, come di fuga o trasferimento fittizio all’estero, il Pubblico ministero (eventualmente compulsato dal titolare della pretesa azionata), potrà esperire ricorso di fallimento tempestivo, proprio sulla base di una cancellazione abusiva, effettuata in virtù di un bilancio da cui non risultino i crediti del creditore denunciante o comunque risultino rapporti non definiti.
9. L’abuso dell’operazione di scissione
Come visto il legislatore è intervenuto con una norma per contrastare i c.d. abusi di cancellazione nei confronti del creditore fiscale, norma che peraltro produrrà sicuramente incertezze sul piano sistematico. In ogni caso la scelta è diretta inequivocabilmente nella direzione complessiva rappresentata in epigrafe.
Diverso è il caso il cui tale impostazione nasce da interpretazioni, talora forzate, di norme tributarie, come nel caso ad esempio della scissione.
Nell’ordinamento, infatti, non v’è alcun principio generale diretto a consentire un trattamento speciale dei creditori fiscali in assenze di norme espresse e specifiche ed il loro impatto va bene osservato al fine di non generare applicazioni aberranti generalizzate.
Il riferimento è ad esempio a quanto sta accadendo nella giurisprudenza tributaria in tema di scissione[118]. L’istituto, forse a causa della sua stessa denominazione - che evoca una segregazione depauperativa del patrimonio - è oggetto spesso di pregiudizi, anche in sede penale. In realtà eventuali illeciti ed abusi non vanno individuati nella operazione in sé che peraltro non ha natura gestionale e viene posta in essere dall’assemblea come una modifica statutaria, ma nelle modalità, forme ed attività con le quali viene compiuta.
Anche la società di capitali in genere si presta all’abuso della personalità giuridica, ma nessuno si è mai sognato per questo di sanzionarne l’uso in genere.
La suprema Corte ha affermato in un recente arresto che la responsabilità per i debiti fiscali relativi a periodi d’imposta anteriori l’operazione di scissione parziale, sarebbe disciplinata dall’art. 173, comma 13, d.p.r. 22 dicembre 1986, n. 917 mediante aggiunta di un elemento specializzante rispetto alla omologa responsabilità riguardante le obbligazioni civili. E ciò nel senso che, fermi gli obblighi erariali in capo alla scissa e alla designata, la disposizione stabilirebbe che per i debiti fiscali rispondono non solo solidalmente ma altresì illimitatamente tutte le società partecipanti all’operazione, salvo, sempre, il diritto di esercitare il regresso nei confronti degli altri coobbligati[119].
Secondo la Cassazione tale lettura sarebbe confermata dall’art. 15, comma 2, d.lgs. 18 dicembre 1997, n. 472che, dal lato interpretativo sistematico, prevederebbe che le società partecipanti la scissione siano tutte solidalmente e illimitatamente responsabili per le somme dovute per le violazioni tributarie. E nella previsione di una illimitata responsabilità solidale, starebbe il carattere eccezionale della disciplina fiscale della solidarietà discendente dalle operazioni di scissione parziale. differentemente dalla disciplina della responsabilità delle partecipanti la scissione relativa alle obbligazioni civili, per la quale invece gli artt. 2506 bis, comma 2 e 2506 quater, comma 3, c.c. prevedono precisi limiti.
Orbene il comma 12 dell’art. 173 sancisce che “gli obblighi tributari della società scissa riferibili a periodi di imposta anteriori alla data dalla quale l’operazione ha effetto sono adempiuti in caso di scissione parziale dalla stessa società scissa o trasferiti, in caso di scissione totale, alla società beneficiaria appositamente designata nell’atto di scissione”. Il comma 13 aggiunge che “i controlli, gli accertamenti e ogni altro procedimento relativo ai suddetti obblighi sono svolti nei confronti della società scissa o, nel caso di scissione totale, di quella appositamente designata, ferma restando la competenza dell’ufficio dell'Agenzia delle entrate della società scissa. Se la designazione è omessa, si considera designata la beneficiaria nominata per prima nell’atto di scissione. Le altre società beneficiarie sono responsabili in solido per le imposte, le sanzioni pecuniarie, gli interessi e ogni altro debito e anche nei loro confronti possono essere adottati i provvedimenti cautelari previsti dalla legge. Le società coobbligate hanno facoltà di partecipare ai suddetti procedimenti e di prendere cognizione dei relativi atti, senza oneri di avvisi o di altri adempimenti per l’Amministrazione”[120].
Come noto l’articolo 2506-quater, comma 3, c.c. prevede invece che ogni società è responsabile in solido dei debiti della società scissa non pagati dalla società cui fanno carico, ma solo entro il perimetro del valore effettivo del patrimonio netto a essa assegnato o trattenuto[121]. La stessa limitazione riguardo alle beneficiarie vale a norma dell’art. 2506 bis c.c. laddove la destinazione degli elementi del passivo, semmai sopravvenuti, non si desume affatto dal progetto[122].
La norma tributaria a nostro avviso non esclude questa limitazione di responsabilità e l’eventuale operazione fraudolenta, diretta a scaricare i debiti fiscali in una beneficiaria o nella scissa (semmai accompagnata a cancellazioni), va contrastata - come visto – con azioni ad hoc, ivi compreso il fallimento e l’azione risarcitoria diretta a dimostrare l’effettività dei valori[123]. Una interpretazione diversa finirebbe col rendere l’istituto della scissione inutilizzabile per il rischio, specie per le beneficiarie, di trovarsi investite nel tempo da una mole di debiti tributari della quale esse potrebbero ignorare l’esistenza al momento della data di efficacia dell’operazione.
Pubblicato in Gazzetta forense, 2015, n. 6.
[1] Perez Fontana, Responsabilità limitata del commerciante, in Riv. dir. comm., 1960, 326.
[2] Denozza, Analisi economica del diritto delle società per azioni, in Analisi economica del diritto privato, a cura di Alpa, Milano, 1998, 318; ID, Shareholders v.stakeholders. Obblighi di informazione e responsabilità sociale delle società, in AA.VV, Principi civilistici nella riforma del diritto societario a cura di Visentini – Afferni, Milano 2005, 177. Invero, nel nostro ordinamento non può trasfondersi semplicisticamente, nonostante le novità introdotte dalla riforma, la concezione della società basata sulla teoria del nexus of contracts (sulla tematica cfr. C. Marchetti, La “nexus of contracts” theory. Teorie e visioni del diritto societario, Milano 2000; Fimmanò, Patrimoni destinati e tutela dei creditori nella società per azioni, Milano 2008, 20 s.). Si è osservato che per quanto la visione della società come fascio di contratti (anche) di investimento in specifiche iniziative economiche dalla stessa perseguite possa risultare «descrittivamente efficace ed indubbiamente utile ad emancipare la tradizionale concezione statica della vicenda imperniata sui diritti di proprietà di pertinenza dei soci, appare invero irrinunciabile sul piano giuridico formale, proprio nella prospettiva di assicurare ai protagonisti dei singoli rapporti la giusta tutela, cogliere le peculiarità di ciascuno di essi» (così Santagata, Strumenti finanziari partecipativi a “specifici affari” e tutela degli investitori in patrimoni destinati , in Banca, borsa, tit. cred., 2005, n. 32; Tombari, Azioni di risparmio e tutela dell’investitore (verso nuove forme rappresentative delle società con azioni quotate), in Riv. soc., 2002, 1104 s.; Portale, Lezioni di diritto privato comparato, Torino, 2001, 177 s.; Angelici, Le basi contrattuali della società per azioni, in Trattato delle Spa Colombo - Portale, vol. 1, Torino, 2004, 132; Eisenberg, The conception that the corporation is a nexus of contracts and the dual nature of the firm, in Journ. corp. Law, 1999, vol .24, 823 s.).
[3] Invero si può abusare solo di una situazione soggettiva attiva di cui si può fare legittimamente uso, “ossia di una situazione di cui si è titolari (per effetto del controllo, nelle sue varie accezioni) e che si estrinseca in diritti o poteri o facoltà. Se non c’è questa posizione attiva non c’è abuso, c’è fatto illecito” (così L. Rovelli, Clausole generali e diritto societario: applicazione in tema di gruppi, leveraged buy out, motivazione delle delibere, in Tratt. Contratto, a cura di Roppo, VI, Milano, 2006, 755).
[4] Fimmanò, Patrimoni destinati e tutela de creditori, cit., 11 s.
[5] Vivante, Trattato di diritto Commerciale, II, V ed., II rist., Milano, 1929, 193. E’ quasi d’obbligo in tema di rapporti tra capitale e patrimonio, richiamare il precetto del grande giurista, prima di noi e più autorevolmente Buonocore, Impresa, Società per azioni e mercato: “Contiguità” tra economia e diritto e analisi economica del diritto, in Governo dell’impresa e mercato delle regole. Scritti giuridici per Guido Rossi, Milano, 2002, 11, il quale evidenzia che l’A. non fa solo «un espressivo paragone tratto dal mondo dell’agricoltura, ma fa capire al lettore, in primo luogo che il capitale sociale non è una sorta di accumulo di danaro accantonato – a mò di fondo rischi – per far fronte alle obbligazioni patrimoniali della società, ma è uno strumento da utilizzare – una sorta di impiego vivo – per far vivere la società… e che la costante comparazione tra capitale e patrimonio consente di misurare in ogni momento lo stato di salute della società».
[6] E strumento organizzativo è anche la destinazione patrimoniale che non è tuttavia soggetta ad analoghe regole di stabilità e la cui disciplina accentua in modo rilevante il ruolo dell’autonomia contrattuale e della informazione rispetto alla responsabilità (dichiarazione negli atti della funzionalità all’affare, pubblicità non solo commerciale (art. 2447 quinquies, comma 2, c.c.) ai fini dell’opponibilità, piano economico finanziario sulla congruità dei mezzi (art. 2447 ter, comma 1, lettera c, c.c.). , responsabilità da fatto illecito nei confronti dei creditori involontari).
[7] Si è osservato che l’eliminazione - o, quanto meno, l’affievolimento - del capitale sociale quale mezzo di tutela dei creditori e l’emergenza, in sua vece, di altri metri di valutazione della capacità dell’impresa sociale di adempiere regolarmente alle proprie obbligazioni, ossia in altre parole di rimanere normalmente sul mercato, non puo` prescindere da un rafforzamento del sistema della responsabilita` degli amministratori e, soprattutto, da un’accentuazione del rigore delle regole di redazione dei bilanci (G. Rossi, La riforma nel quadro comunitario, relazione al convegno di Courmayeur dei giorni 27 e 28 settembre 2002 sul tema «Diritto societario: dai progetti alla riforma»).
[8] Bocchini, Introduzione al diritto commerciale nella new economy, Padova, 2001, 25.
[9] Denozza, Le funzioni distributive del capitale, in Giur. comm., I, 2006, 495, che evidenzia come in un ordinamento che consente di iscrivere all’attivo del patrimonio sociale prevalentemente intangibiles il capitale è destinato ad operare in una maniera completamente diversa da come esso opera in un ordinamento che consenta la presenza all’attivo solo di beni espropriabili iscritti al loro valore di liquidazione. Tale contrapposizione diviene «meno inattuale se la si cala nella realtà del passaggio dal sistema di contabilità tradizionalmente utilizzato in Italia al sistema introdotto con il recepimento dei c.d. IAS\IFRS», che già adesso consentono di mantenere nel bilancio ingenti poste attive a titolo di avviamento, senza necessità di automatici ammortamenti, e quindi senza limiti temporali e senza vincoli alla distribuzione di utili (sul tema Enriques, Capitale sociale, informazione contabile e sistema del netto: una risposta a Francesco Denozza, in Giur. comm., 2005, I, 607; Olivieri, Capitale e patrimonio nella riforma delle società, in Riv. dir.civ., 2004, 257; Sfameni, Perdita del capitale sociale e bilancio straordinario, Milano, 2004, 20 s.).
[10] Denozza, Riforma delle società e tutela dei creditori, in La corporate governance nelle società non quotate, a cura di S. Rossi e Zamperetti, Milano, 2001, 23.
[11] Nel dibattito statunitense e con gli strumenti dell’analisi economica del diritto è maturata, già da anni, un’ampia riflessione in ordine alla disciplina delle garanzie patrimoniali e, più in generale, al tema delle regole di riparto tra creditori (Jackson - Kronman, Secured Financing and Priorities among Creditors, 88 Yale L. J. 1105, 1979; Schwartz, Security Interests and Bankruptcy Priorities: a Review of Current Theories, 10 J. Leg. St. 1, 1981; Easterbrook - Fischel, Limited Liability and the Corporation, 52 U. Chi. L. Rev. 89, 1985; Bebchuck - Fried, The Uneasy Case for the Priority of Secured Claims in Bankruptcy, 105 Yale L. J. 857, 1996; LoPucki, The Death of Liability, 106 Yale L. J. 1, 1996; Baird - Rasmussen, Control Rights, Priority Rights, and the Conceptual Foundations of Corporate Reorganizations, Va. L. Rev., 2001). Con particolare riguardo al tema della separazione, un contributo ha messo qualche anno fa in relazione questi temi con quelli della limitazione della responsabilità del debitore (per lo più l’impresa), guardando alla separazione (l’asset partitioning) come modo di regolazione dei conflitti, ma anche come strumento di incentivo nella definizione dei rapporti tra i diversi operatori economici che ruotano intorno all’organizzazione (Hansmann - Kraakman, The Essential Role of Organizational Law, NYU Law and Economics Working Paper No. 00-006, Id. Il ruolo essenziale dell’organizational law, in Riv. soc., 2001, 21 )
[12] Si tratta di una impostazione analoga alle tecniche del cd. piercing e del c.d. durchgriff che rappresenta una formula riassuntiva di decisioni di tipo equitativo, fondate su presupposti difficilmente enunciabili sotto forma di regola. L’applicazione di tali tecniche trova i suoi fautori anche nella dottrina italiana che si richiama alle cosiddette teorie riduzionistiche della personalità giuridica. Essa, di regola, riconnette all’accertamento di alcuni presupposti tipici, indicativi di un comportamento fraudolento.
[13] La norma recita “Qualora la deliberazione prevista dall'articolo 2447-ter non disponga diversamente, per le obbligazioni contratte in relazione allo specifico affare la società risponde nei limiti del patrimonio ad esso destinato. Resta salva tuttavia la responsabilità illimitata della società per le obbligazioni derivanti da fatto illecito”.
[14] Il termine stakeholder
venne utilizzato per la prima volta nel
[15] Shleifer – Vishny, Large Shareholders and Corporate control, in Journal of political economy, 1986, 461 s.
[16] La tipicità-imperatività del sistema del diritto delle società trovava causa e giustificazione, secondo i più, nell’esigenza di tutelare i terzi, nei confronti dei quali il contratto di società, facendo eccezione alla regola generale dell’efficacia solo interna degli atti di autonomia privata, spiega effetti. A seguito della riforma questo principio sarebbe venuto meno e l’autonomia privata sarebbe sottoposta a limiti inderogabili, non già a tutela dei terzi, ma invece solo ed in quanto ciò fosse necessario per proteggere gli investitori provenienti dal risparmio diffuso (i quali sono parti del contratto e non terzi). Si è osservato che «il pilastro basilare della tipicità-imperatività del diritto societario non è dunque più da collegarsi con il rilievo reale, cioè ultra partes, del contratto sociale, bensì con un’istanza del tutto diversa…la tutela del contraente debole, del possessore di risparmio diffuso e ignaro che cerca proficue occasioni di investimento sul mercato del capitale di rischio» (così d’Alessandro, «La provincia del diritto societario (ri)determinata» Ovvero esiste ancora il diritto societario ?, in Riv. soc., 2003, 39).
[17] La relativa tutela, specie nei mutamenti dell’assetto organizzativo del patrimonio sociale, ha perciò un peculiare rilievo: gli stakeholders primari in particolare sono soggetti chiave del processo di gestione strategica dell’impresa, anche quando non partecipano in via diretta ai processi decisionali, e quindi occorre tenere in conto i relativi interessi nell’orientare il corso dell’attività, a cominciare proprio da quelle che riguardano la tutela del loro affidamento.
[18] Kraakman – Davies – Hansmann - Hertig, - Hopt – Kanda - Rock, Diritto societario comparato, a cura di Enriques, Bologna 2006, 89, i quali aggiungono che il bisogno di tutelare i creditori sociali, peraltro, non implica necessariamente che sia il diritto societario a doverli tutelare: il compito potrebbe essere lasciato interamente alla contrattazione tra lr parti o al diritto generale delle obbligazioni. Perciò, una seconda ragione della collocazione della tutela dei creditori all’interno del diritto societario deve essere che i creditori sociali affrontano un rischio particolare, specificamente correlato al fatto che debitrice è una società di capitali. Questo rischio deriva dalla possibilità per i soci di sfruttare il beneficio della responsabilità limitata a danno dei creditori.
[19] I Paesi che assicurano una maggiore tutela ai creditori garantiti sono Belgio, Finlandia, Grecia, Portogallo, Regno Unito e Stati Uniti. Italia e Francia sono quelli che offrono il grado di tutela più basso. Un ordinamento poco efficiente incide da un lato sul livello dell’onerosità e della disponibilità del credito bancario, dall’altro, su quello del costo dell’insuccesso del progetto legato all’investimento ossia sul livello del premio di rischio. La letteratura economica in genere è ricca di contributi in cui si verifica analiticamente ed empiricamente la relazione tra limitazioni nella concessione del credito – razionamento e alti tassi di interesse - e qualità della normativa e dell’enforcement giudiziario sui quali può contare il creditore nel recupero di una somma prestata.
[20] Cfr.
[21] Denozza, Le funzioni cit., 494, secondo cui il fenomeno è reso evidente già dall’esame del più semplice tra i problemi che ogni sistema di protezione dei creditori deve risolvere e cioè il problema del momento in cui il debitore dovrà porre fine (volontariamente o su istanza di altri) alla sua attività. Nella pratica i creditori più avveduti sono in grado di approfittare delle loro intuizioni circa la prossima insolvenza del debitore per un considerevole lasso di tempo prima che il mercato sia in grado di raggiungere analoghi livelli di percezione e di rifletterli nei prezzi in maniera generalizzata.
[22] Solo il legislatore russo aveva prima riconosciuto ai creditori involontari una forma di privilegio oltre a quello italiano.
[23] In senso inverso al «ruolo di prevenzione (…) normalmente svolto dalla minaccia di una obbligazione risarcitoria, la quale riduce (…) le probabilità di danni ai terzi per la maggiore cautela che mettono nel loro operato i soggetti che rischiano di essere chiamati a rispondere» (Weigmann, La responsabilità delle società di capitali di fronte ai fatti illeciti, in Studi in onore di Sacco, 1994, Milano, 1240, sul c.d. Teorema di Coase); «scopo della responsabilità è quello di internalizzare i costi, specialmente i costi degli incidenti. Se gli incidenti sono ottimali, vittime e danneggiati mantengono un livello di precauzione che minimizza il costo sociale degli incidenti» (Cooter – Mattei – Monasteri - Pardolesi - Ulen, Il mercato delle regole. Analisi economica del diritto civile, Bologna, 1999, 379. Sulle moderne teorie in tema di rischio di impresa cfr. Calabresi, Costo degli incidenti e responsabilità civile. Analisi economico-giuridica, Milano, 1975; Trimarchi, Rischio e responsabilità oggettiva, Milano, 1961.
[24] Così Inzitari, I patrimoni destinati ad uno specifico affare, in Società, 2003, 299; Weigmann, La responsabilità delle società di capitali di fronte ai fatti illeciti, in Studi in onore di Sacco, 1994, Milano, 233.
[25] Il ricorso a tecniche di squarcio del velo della personalità è stato, come noto, tentato anche da una parte della dottrina italiana che si richiama alle cosiddette teorie riduzionistiche. Tale impostazione collega all’accertamento di alcuni presupposti tipici, indicativi di un comportamento fraudolento da parte del soggetto o dell’ente che controlla e dirige le imprese di gruppo, l’effetto della confusione giuridica dei patrimoni con l’assunzione illimitata, da parte della controllante, di tutte le obbligazioni della controllata. Dal che consegue che, diversamente da quanto pure proposto in dottrina, l’entità imprenditoriale individuata nel gruppo, in mancanza dell’abuso, non è di per sé capace di determinare il superamento dello schermo della personalità giuridica. L’altro strumento di repressione dell’abuso consiste invece nell’applicazione di regole di responsabilità: responsabilità chiaramente della società capogruppo e dei suoi amministratori verso i creditori e i soci di minoranza della controllata verso la controllata medesima. A differenza del primo, tale rimedio non contraddice la logica del gruppo ed il principio della separazione delle sfere giuridiche dei singoli enti che lo compongono (Meoli,Crisi ed insolvenza delle società e dei gruppi nel progetto di riforma fallimentare, in Fall., 2004, suppl. 2004\12, 38 s.). Esso si fonda sulla premessa che ogni società resti pur sempre un centro di profitto indipendente e che pertanto sia necessario salvaguardarne appunto l’autonomia, impedendo, attraverso lo strumento risarcitorio, il travaso di risorse da un ente all’altro con conseguente danno dei soggetti controinteressati. Il risarcimento però, determinando «il limitato effetto di riportare il patrimonio della società danneggiata nella situazione precedente all’inizio del rapporto di dominio, non determina, a differenza dei fenomeni di piercing, la confusione delle masse e dunque dei rischi, sicché finisce per tutelare maggiormente le ragioni dei creditori della controllante» (in tema Montalenti, Persona giuridica, gruppi di società, corporate governance, Padova, 1999).
[26] Non esistono margini per l’applicazione estensiva,
analogica e\o sistematica della norma specie in tema di gruppi, quanto meno in
considerazione del fatto che nella fattispecie non siamo neppure di fronte ad
una ipotesi di soggettività. Una
dottrina ricostruisce l’istituto come forma di segregazione nella segregazione,
fattispecie in cui sfuma e talora scompare l’unicità indistinta del patrimonio
sociale, si misurano i diritti dei soci sulla base di patrimoni distinti e
viene meno (in tutto od in parte) la responsabilità illimitata della persona
giuridica e dunque l’aggredibilità del suo intero patrimonio da parte dei
creditori sociali (Lamandini, I patrimoni
“destinati” nell’esperienza societaria. Prime note sul d. lgs. 17 gennaio 2003
n.
[27] Il principio è
espresso nella giurisprudenza statunitense in una nota massima: «A corporation will be looked upon as a legal
entity as a rule and until sufficient reason to the contrary appears; but when
the notion of legal entity is used to defeat public convenience justify
wrong,protect fraud, or defend crime,
the law will regard the corporation as an association of persons»(United States v Milwaukee Refrigerator
Transit Co
[28] Fatta eccezione proprio della disposizione in oggetto e della normativa introdotta dal legislatore russo che ha riconosciuto ai creditori involontari una forma di privilegio (come ricordano Kraakman – Davies – Hansmann - Hertig, - Hopt – Kanda - RockDiritto societario comparato, a cura di Enriques, Bologna 2006, 96, che richiamano Zhuravskaya – Sonin, Bankrupty in Russia: Away from Creditor Protection and Restructuring, 9 Russian Economic Trends 6, 2000).
[29] Sulla differenza per primi Douglas e Shanks, Insulation form Liability through Subsidiary Corporations, 39, Yale L. J. 193, 1929.
[30] Così L’economia delle società per azioni, Milano 1996, 72 con prefazione di Weigmann, Ed orig. Harward Univ. Press Cambridge Ma. – London.
[31] La distinzione tra creditori contrattuali ed extracontrattuali cade quando il debitore si impegna con dolo o falsa rappresentazione: in tal caso i costi dell’assunzione di rischi eccessivi non possono essere completamente internalizzati.
[32] Il compenso richiesto dai creditori volontari (dipendenti, clienti, fornitori, finanziatori) è quindi in funzione del rischio che affrontano. Un rischio è la possibilità di non essere pagati a causa della responsabilità limitata. Un altro «è la prospettiva, comune a tutti i rapporti debitore-creditore, che dopo aver stabilito le condizioni dell’accordo, il debitore assuma rischi maggiori. L’incentivo a prendere precauzioni ottimali contro gli aumenti del rischio non dipende dal fatto che tutti i creditori volontari abbiano informazioni precise. In certi casi le capacità dei soggetti informati risulteranno dal sovrapprezzo appropriato al rischio che viene imposto. Per esempio i rischi creati dalle attività di un’impresa possono essere compresi da un rappresentante degli obbligazionisti o da un sindacato, anche se non da un singolo obbligazionista o lavoratore. Se il premio per il rischio è determinato in maniera corretta, è irrilevante che ogni singolo creditore contrattuale disponga delle informazioni».
[33] In nessun ordinamento risultano casi di superamento
dello schermo societario in relazione a società quotate o quando gli azionisti
non partecipino alla gestione, mentre i casi più importanti includono ipotesi
di dolo contrattuale o di condotte opportunistiche dei soci (cfr. Thompson, Piercing the Corporate Veil: An Empirical Study,
[34] Krendl – Krendl, Piercing the Corporate veil: Focusing the Inquiry, 55 Den L. J 1, 1978, 31-34, e Blumberg, The law of corporate groups: tort, contract and other Common law problems in the substantive law of parent and subsidiary corporations, 1987; Easterbrook – Fischel, op. cit., 303; sul tema cfr. pure Verrucoli, Il superamento della personalità giuridica delle società di capitali nella common law e nella civil law, Milano 1964.
[35] Ciò può verificarsi se gli amministratori rendono dichiarazioni esplicite che una società controllante si accollerà i debiti della controllata oppure se la controllante e la controllata hanno nomi simili, atti a generare confusione, di modo che il creditore creda di avere a che fare con la controllante. In tutte queste situazioni i creditori non sono in grado di valutare con accuratezza il rischio di inadempimento e perciò la probabilità che l’impresa intraprenda attività dai rischi eccessivi aumenta.
[36] Manes, La teoria del lifting the veil of incorporation in Inghilterra, in Contr. imp., 1999, 709; con particolare riferimento all’esperienza tedesca, Zorzi, L’abuso della personalità giuridica, Padova 2002, 16; per l’ampia esperienza statunitense si rinvia Verrucoli, op. cit., 26 s.; e Tonello, La dottrina del piercing the veil nell’american corporate law, in Contr. e imp., 1998, 165. Sulla tecnica del superamento della personalità in tema di società unipersonale cfr. Cataldo, Limited Liability with One-man companies and subsidiary corporations, in Law Contemporary Problems, Vol. 18, n. 4, 1953, 482.
[37] Tonello, L’abuso della responsabilità limitata nelle società di capitali, Padova 1999.
[38] Il termine stakeholder venne utilizzato per la
prima volta nel
[39] Cfr. Cantone, Creazione di valore attraverso le relazioni con i clienti, Napoli, 1996, 39 s..
[40] Possono quindi essere considerati stakeholders i clienti finali, i clienti intermedi (utilizzatori industriali), i clienti intermediari (commerciali e distributori), i dipendenti, i managers, e poi i concorrenti, ovvero tutti soggetti, interni ed esterni all’impresa, che a fronte della prestazione di un’attività o dell’apporto di risorse materiali ed immateriali, di contributi e di consensi, conseguono una qualche forma di beneficio o di ricompensa di natura economica e non (interessi soddisfatti, vantaggi economici e\o sociali ricevuti). Il valore creato per ciascuno produce i suoi effetti sulla capacità dell’impresa di perseguire le proprie iniziative strategiche e di attrarre verso di essa, dagli stessi clienti le risorse, i contributi ed i consensi necessari a tale scopo.
[41] La concezione tradizionale dell’impresa ovvero del modello che descrive azionisti, dipendenti, fornitori, creditori quali soggetti che forniscono gli input alla scatola nera che li trasformerà in output per i clienti , è stata da tempo superata, come noto, da una più complessa configurazione che tiene conto degli altri soggetti che hanno interesse alle vicende dell’impresa e del suo patrimonio. La moderna teoria dell’impresa considera quest’ultima quindi non più come una black box, ma come una concentrazione contrattuale di risorse specifiche e non specifiche, tale da determinare un prodotto unico, non producibile in una situazione in cui le risorse fossero organizzate separatamente all’esterno dell’impresa, come tale caratterizzata da un particolare tipo di produttività che emerge dalla specifica combinazione di risorse, professionalità e diritti realizzata nell’impresa considerata (cfr. al riguardo Scandizzo, Il mercato e l’impresa: le teorie e i fatti, in Trattato di diritto commerciale diretto da Buonocore, I, VI, Torino, 2002).
[42] Così Denozza, Analisi economica del diritto delle società per azioni, in Analisi economica del diritto privato, a cura di Alpa, Milano, 1998, 321. Il principio, cui è ispirata anche la riforma, secondo cui la disciplina delle società per azioni deve essere in massima parte derogabile e consentire la libera contrattazione tra le parti, presuppone evidentemente l’origine volontaria del rapporto, in modo che ciascuno sia simmetricamente libero di accettare o meno le condizioni proposte e questo non accade per i creditori c.d. involontari. Sul tema cfr. anche Amatucci, Fatto illecito della società e responsabilità “proporzionata” dei soci, Milano, 2002, il quale evidenzia che nella legislazione americana sono state introdotte rilevanti deroghe della responsabilità limitata dei soci, persone fisiche o giuridiche, di società di capitali colpevoli di danni ambientali e patrimonialmente incapaci di risarcire le autorità amministrative deputate, dalla stessa legge, al ripristino delle lesioni, spesso gravissime e irreversibili.
[43] Courir, Limiti alla responsabilità imprenditoriale e rischi dei terzi, Milano 1997, 36,
[44] Le elaborazioni di dottrina e giurisprudenza in ordine alle reazioni ipotizzabili rispetto a contegni abusivi della limitazione della responsabilità si sono orientate, prima della riforma ed in mancanza di riferimenti positivi, in varie direzioni «…nella consapevolezza della mancanza di sicuri appigli normativi e della necessità di dovere affrontare faticosi sforzi ermeneutici per pervenire a risultati concreti e apprezzabili...» (Nigro, Le società per azioni nelle procedure concorsuali, in Trattato delle Spa Colombo – Portale, vol IX, 2, Torino 1993, 434). E in questo contesto «malgrado la sua generale utilità descrittiva e di sintesi la nozione di persona giuridica – per il dogmatismo di cui è impregnata e per essere lo strumento ordinatore di una discutibile scelta di sistematica giuridica – è una nozione fortemente equivoca e gravemente dannosa quando impiegata nella rappresentazione dei fenomeni in cui lo schema societario è utilizzato per beneficiare indebitamente della responsabilità illimitata…». In ogni caso l’intento è quello di dare vita a valvole di sicurezza volte ad evitare che un’applicazione rigida ed aprioristica del principio di comporate liability o della responsabilità limitata produca soluzioni abnormi ed inique in termini di giustizia sostanziale, dovendosi giungere, in tali casi, al “disregard of the corporate entity” o alla responsabilizzazione diretta dei soci per induzione all’inadempimento. Orbene, pur nella loro diversità, le teorizzazioni elaborate nei vari ordinamenti hanno, in comune tra loro, una elaborazione così vasta e sfaccettata da rendere ardua la ricerca di un comune filo conduttore. Sui temi degli effetti positivi e negativi della limited liability rule, della limitazione della responsabilità del debitore-impresa e della separazione sia quale sistema di regolazione di conflitti, sia di incentivo cfr. Courir, op. cit., 12 s.
[45] Secondo una certa impostazione i fornitori (c.d. trade creditors) rientrerebbero in questa categoria (Denozza, Different policies for corporate creditors protection, in Eur. Business Organization Law Rev., 2006, Vol. 7, 411). Secondo la tesi opposta tuttavia, di regola, questo tipo di creditori presta somme di danaro relativamente piccole e a breve termine, sotto forma di concessione di una dilazione del pagamento e che l’enforcement di tali prestiti si basa su meccanismi largamente informali, come ad es. la reputazione o la minaccia di non fornire più beni essenziali all’impresa (Petersen – Raghuram Rajan, Trade credit: theories and evidence, in Review of Finacial Studies, 1997, vol. 10, 661 s.). Anche con riferimento ai lavoratori vi sono alcuni dubbi: da un lato vale nei loro confronti quanto si è osservato in relazione ai fornitori, ma dall’altro occorre riconoscere che vi sono categorie di lavoratori particolarmente esposte, come i lavoratori precari e quelli sprovvisti di competenze specifiche e quindi facilmente sostituibili. Con riferimento a questa categoria di creditori si può osservare però che essa si presta ad essere adeguatamente protetta anche da altri settori dell’ordinamento, come ad es. il diritto del lavoro, o la disciplina dei privilegi.
[46] Il sistema elaborato dal legislatore non ha inteso tener conto delle conseguenze della segregazione dei beni destinati allo specifico affare rispetto al creditore-Stato ed, in particolare, rispetto all’Erario ed alle obbligazioni tributarie della società per azioni gemmante. Ed infatti considerato che, trascorso il termine previsto per la opposizione dei creditori, la deliberazione di costituzione del patrimonio destinato non può più costituire oggetto di impugnazione, si è discusso sulla necessità di limitare in modo specifico il funzionamento della separazione nei confronti di quei particolari soggetti che, per natura, struttura ed organizzazione, non hanno contezza tempestiva del loro credito o comunque non sono in grado di monitorarlo in modo efficiente, tenendo nel dovuto conto peraltro dei termini ben più lunghi previsti dalla legge, a pena di decadenza per l’accertamento delle eventuali obbligazioni tributarie e previdenziali.
[47]
[48] L’esperibilità della revocatoria sarebbe assai improbabile, infatti, nel caso in cui al momento della gemmazione non sia stata notificata alcuna contestazione né effettuato neppure alcun accertamento, sarebbe difficile provare che la destinazione era diretta ad impedire l’azione proprio dell’Amministrazione o a ridurre le garanzie patrimoniali del credito della stessa .
[49]
[50] A nostro giudizio la controindicazione alla previsione di una eccezione specifica per l’Erario è altra: alla luce del sistema di tutela complessivo ricostruito non v’è ragione di alterare il principio di uguaglianza sostanziale tra creditori. Né si vede perché il creditore pubblico dovrebbe essere considerato sempre alla stregua di creditore privilegiato. Il creditore pubblico godrà delle stesse eccezioni generiche alla segregazione di cui godono gli altri creditori della medesima categoria in caso di mancata menzione dell’affare, di responsabilità da fatto illecito e di inopponibilità della segregazione per inadeguatezza dei mezzi. In caso di incapienza del patrimonio rispetto alle relative obbligazioni, allo strumento di carattere speciale dell’opposizione si aggiungerà lo strumento generale della revocatoria in presenza dei relativi presupposti.Insomma il soggetto pubblico godrà degli strumenti apprestati per il creditore volontario quando è tale (per obbligazioni derivanti da fatti illeciti perpetrati dal contribuente nei suoi confronti), e delle regole correttive delle asimmetrie nei casi in cui la sua pretesa fosse qualificabile come involontaria.
[51] Tuttavia, una volta superata la proposta della
Commissione Gallo, appare comunque
possibile ipotizzare, per i creditori ed in particolare per i terzi (che
intendano partecipare all’affare oggetto del patrimonio destinato con personali
apporti), la predisposizione di forme di tutela preventiva in grado di evitare
eventuali, successive azioni del fisco o di altri creditori pubblici, aventi ad
oggetto il recupero di crediti nei confronti
della società gemmante, ovvero ottenere dalla società la costituzione di idonee
garanzie in ipotesi di escussione del patrimonio destinato per ragioni estranee
all’affare. Il d. lgs. 18 dicembre 1997, n. 472, relativo ai principi generali
del sistema sanzionatorio tributario non penale, ad esempio, contiene norme
specifiche per le operazioni straordinarie, ed in particolare, in ordine alle
contestazioni “aperte”, offre la possibilità di richiedere all’Amministrazione
Finanziaria il rilascio di un certificato dal quale emergano le contestazioni
pendenti e quelle già definite, per le quali i debiti non sono stati
soddisfatti. Il certificato ha pieno valore liberatorio qualora risulti
negativo o non venga rilasciato entro quaranta giorni dalla richiesta. Si
tratta degli articoli 14 (Cessione di azienda) e 15 (Trasformazione, fusione e
scissione di società). Le disposizioni
hanno modificato le previsioni normative che precedentemente erano
contenute in due norme: l’art. 19 della
Legge 7 gennaio 1929, n. 4 per quanto
concerne il principio generale, e l’art. 66 del D.R. 23 settembre 1973, n.
[52] Si tratta della legge n. 398 del 1998 (al riguardo de Oliveira Ascensao, Direito comercial – Institutos gerais, Lisboa, 1998\1999, che parla di “violencia e o oportunismo do legislador fiscal”).
[53] Si tenga conto che nel modello americano lo spendthrift trust permette al disponente di attribuire al beneficiario un interest intrasferibile, né volontariamente, né per forza di legge: quest’ultimo non può in alcun modo disporne e neanche i suoi creditori possono appropriarsene. La giurisprudenza nordamericana qualifica lo spendthrift come il trust creato allo scopo di fornire i fondi per il mantenimento di un soggetto ed al tempo stesso di tutelarlo contro la propria imperizia ed incapacità di autosalvaguardarsi. A differenza di quanto avviene per la clausola protective nell’ordinamento inglese dove essa è inopponibile al solo fallimento del beneficiario, negli Stati Uniti la clausola spendthrift è inopponibile anche al singolo creditore del beneficiario-disponente che avvii un’esecuzione individuale e a certe classi di creditori del beneficiario.
[54] Cass. 2 aprile 2015, n. 6743, Pres. Piccininni - Est. Bielli, in www.ilcaso.it. La Suprema Corte ha tra l’altro rilevato chePosto che il D.Lgs. n. 175 del 2014, art. 28, comma 4 non ha alcuna valenza interpretativa (dato il suo tenore testuale, che non solo non assegna espressamente alla disposizione alcuna natura interpretativa, ai sensi del comma 2 dell'art. 1 dello statuto dei diritti del contribuente, ma neppure in via implicita intende privilegiare una tra le diverse possibili interpretazioni delle precedenti disposizioni in tema di estinzione della società), occorre prendere atto che, in concreto, il testo della disposizione non consente di individuare alcun indice di retroattività per la sua efficacia e, pertanto, rispetta il comma 1 dell’art. 3 dello statuto dei diritti del contribuente. Più in dettaglio, l'enunciato della disposizione in esame non autorizza ad attribuire effetti di sanatoria in relazione ad atti notificati a società già estinte per le quali la richiesta di cancellazione e l’estinzione siano intervenute anteriormente al 13 dicembre 2014. La stessa relazione illustrativa al d.lgs. non affronta in alcun modo la questione dell’eventuale efficacia retroattiva della norma.
[55] Mi permetto di rinviare al riguardo a Fimmanò, Estinzione fraudolenta della società e ricorso di fallimento “sintomatico” del pubblico ministero, in Dir. fall., 2013, 735 s.; Id., Abuso di estinzione “formale” degli enti lucrativi e tutela dei creditori, in Riv. not., 2013, 1135 s.; Id., Le Sezioni Unite pongono la “pietra tombale” sugli “effetti tombali” della cancellazione delle società di capitali, in Società, 2013, 536 s.; Id., Pubblicità commerciale e sindacato del Conservatore del registro delle imprese, in Notariato, 2014, 479 s.; Id., Cancellazione ed estinzione delle società di persone, ivi, 2013, 279 s.
[56] Cfr. Niccolini, sub art. 2495, in Società di capitali, Commentario a cura di Niccolini e Stagno d’Alcontres, Napoli, 2004, 1836.
[57] In tema da ultimo Bianca, La cancellazione delle società inattive dal registro delle imprese: quando l’ufficio fa pulizia, in Dir. fall., 2015, 253 s. Propendono per l’applicabilità alla fattispecie dell’art. 2191 c.c.: Trib. Bologna, 6 giugno 2013, in Giur. merito, 2013, 1560; Trib. Modena, 28 ottobre 2011, in Giur. locale, Modena, 2011; Trib. Padova, 13 agosto 2004, in Giur. comm., 2006, II, 994. In senso contrario: Trib. Lucca, 12 gennaio 2009, in Giur. merito, 10, 2479, con nota di Franchi; Tribunale Como, 24 aprile 2007, in Giur. comm., 2008, II, 1247, con nota di Zorzi, Sopravvenienze attive e cancellazione ex art. 2191 della cancellazione delle società; Trib. Catania, 9 aprile 2009, con nota di Zanardo, Cancellazione di s.r.l. dal registro delle imprese: presupposti e ruolo del conservatore. Sul punto già Fimmanò-Angioni, Gli effetti della cancellazione della società alla luce delle pronunce delle sezioni unite della Cassazione, in Riv. not., 2010, 465; Ibba, Iscrizione nel registro delle imprese e difformità fra situazione iscritta e situazione reale, in Riv. soc., 2013, 873; Spolidoro, Seppellimento prematuro. Cancellazione della società di capitali dal registro delle imprese ed il problema delle sopravvenienze attive, in Riv. soc., 2007, 823; Zorzi, L’estinzione delle società di capitali, Milano, 2014.
[58] Si è osservato come convenga, alla fine, esaminare in sé la cancellazione rinunciando ad ogni inquadramento e limitandosi a prendere atto che siamo dinanzi ad una di quelle ipotesi in cui la legge particolare attribuisce all’iscrizione una efficacia maggiore di quella dichiarativa, perché ha come effetto di modificare una situazione giuridica preesistente (Porzio, La cancellazione, in Il nuovo diritto delle società, Liber amicorum G.F. Campobasso, Torino, 2007, 4, 82).
[59] Secondo una certa dottrina, invece, la tutela (indiretta) dei creditori sociali nella fattispecie dell’estinzione della società è attribuita, oltre che dal procedimento di liquidazione, dal controllo svolto da parte del registro delle imprese al momento dell’iscrizione della cancellazione (artt. 2189, comma 2°, c.c. e 11, comma 6°, d.p.r. 581 del 1995): tale controllo dovrebbe infatti «ritenersi più ampio di quello effettuato nei confronti degli atti soggetti a controllo notarile. (Speranzin, L'estinzione delle società di capitali in seguito alla iscrizione della cancellazione nel registro delle imprese, in Riv. soc., 2004, 527 s.)
[60] Cfr. in tema Fimmanò, Il procedimento di iscrizione nel registro delle Imprese su domanda, in Nuove Leggi Civili Commentate, 1999, 900 s.
[61] Cass. civ. Sez. Un., 12 marzo 2013, n. 6070, 6071, 6072, in Foro it., 2013, I, 2212, in Società, 2013, 5, 555 con nota di Fimmanò, Le Sezioni Unite pongono la “pietra tombale” sugli “effetti tombali” della cancellazione delle società di capitali; Guizzi, Le Sezioni Unite, la cancellazione della società e il “problema” del soggetto: qualche considerazione critica, ibidem, 564; La Croce, Gli effetti della cancellazione delle società dal registro delle imprese e il fallimento delle società cessate - La Cassazione mette la parola fine alla querelle sugli effetti della cancellazione delle società da registro delle imprese, in Fallimento, 2013.7, 831; Iaccarino, Interpretazione della valenza innovativa dell’art. 2495 c.c. effettuata dalla Cassazione dal 2008 al 2013, in Notariato, 2013, 3, 261; Cottino, La difficile estinzione della società: ancora un intervento (chiarificatore?) delle Sezioni Unite, Giur. it, 2013, 4, 858; Consolo – Godio, Le Sezioni Unite sull’estinzione di società: la tutela creditoria “ritrovata” (o quasi), Corriere giur., 2013, 5, 697; Iorio - Ambrosi, Estinzione della società e obblighi patrimoniali dei soci, Corr. trib., 2013, 9, 1526; La Porta, L’estinzione del soggettoe le vicende delle situazioni soggettive nella cancellazione della società dal registro delle imprese, in Riv. not., 2013, 725; Paccoia-Scarpa, Estinzione delle società di capitali e tutela dei creditori sociali: evoluzione giurisprudenziale e riflessioni sistematiche, in Contr. Impr., 2014, 1202 s.;Riva Crugnola, Liquidazione, cancellazione, estinzione delle società di capitali: la posizione dei creditori sociali, casi giurisprudenziali e questioni aperte, in Società, 2015, 520;
[62] Ci permettiamo di evidenziare che, nello sviluppo sistemico dei provvedimenti, le soluzioni scelte, avallate in qualche modo da ultmo anche da Corte cost., 17 luglio 2013, n. 198, corrispondono a quelle da noi individuate via via nel tempo (al riguardo Fimmanò, La fase dell’estinzione,in Fimmanò – Esposito – Traversa, Scioglimento e liquidazione delle società di capitali, Milano, 2005, 356; ID., Scioglimento e liquidazione delle società di capitali, Giuffrè, Milano 2011, 136 s.; Fimmano – Angiolini, Cancellazione, estinzione e cancellazione della cancellazione: quando la società di capitali può “risorgere” e fallire, in www.ilcaso.it.).
[63] Cass., 30 maggio 2013, n. 1365, Cass., 11 luglio 2013, n.17208, in Dir. giust., 12 luglio 2013 con nota di Papagni, Solo se avviene entro l’anno dalla cancellazione dal registro delle imprese. Nello stesso senso anche Tribunale di Milano 20 maggio 2013 - Giud. Reg. impr., in Società, 2013, 1029. con nota di La Porta che evidenzia come l’art. 2495, comma 2, c.c. non è destinato a garantire continuità nella titolarità delle situazioni soggettive passive (come accade nel caso della successione per causa di morte) ma soltanto a garantire continuità di tutela al creditore.
[64]Cass. Sez un. 22 febbraio 2010, nn. 4060, 4061, 4062, in Giust. civ. Mass., 2010, 2, 242; in Vita not., 2010, 2, 801, in Giust. civ. 2010, 7-8, I, 1648; in Foro it., 2011, 5, I, 1498) n. 4062, in Giur. comm. 2010, 4, II, 698; in Società, 2010, 8, 1017 con nota di Dalfino, Le Sezioni Unite e gli effetti della cancellazione della società dal registro delle imprese (che qualifica la soluzione “salomonica” poiché in grado di contemperare le diverse esigenze). Già secondo Cass., 5 novembre 2010, n. 22548, in Giust. civ. Mass., 2010, 11, 1411, «la cancellazione dal registro delle imprese di una società di capitali, avvenuta in data anteriore all’entrata in vigore del nuovo art. 2495 c.c. determina l’estinzione della società dal 1° gennaio 2004, data in cui è entrata in vigore la nuova disposizione, la quale non ha inciso sui presupposti della cancellazione in precedenza effettuata, ma ne ha regolato gli effetti, comportando, perciò, l’operare dell’effetto estintivo da tale data». Conformi: Cass., 23 maggio 2012 n. 8170, in Guida al diritto, 2012, 35, 93; Cass. 13 luglio 2012, n. 11968, in Vita not., 2012, 3, 1423; Cass., 3 novembre 2011, n. 22863, in Giust. civ. Mass. 2011, 11, 1557; Cass., 10 novembre 2010, n. 22830, in Giust. civ. Mass., 2010, 11, 1428 App. Roma, 15 marzo 2012, n. 1451, in Guida al diritto, 2012, 24, 85; Trib. Cremona, 17 marzo 2012, inedita; Trib, Modena 20 marzo 2012, n. 524, inedita; App. Roma, 18 aprile 2012, n. 2098, in Guida al diritto, 2012, 25, 66; Trib. Piacenza 14 aprile 2011, n. 313 in www.ilcaso.it. Difforme: App. Napoli, 25 gennaio 2012, inedita.
[65] La Suprema Corte osserva che «anche la tutela dell’affidamento dei cittadini in rapporto agli effetti della loro conoscenza dell’iscrizione della cancellazione che all’epoca in cui la stessa avvenne non escludeva la continuazione dell’esistenza in vita della società e l’effetto estintivo di cui alla novella, induce a ritenere, la irretroattività delle norme». (Cass. S.U. 22 febbraio 2010, n. 4062, cit.). In tal senso anche Trib. Piacenza, 14 aprile 2011, cit., secondo cui l’art. 2495 “è una norma innovativa e non interpretativa che (…) vale solo per l’avvenire. ».
[66] Cass. Sez Un. 22 febbraio 2010, nn. 4060, 4061, 4062 cit. (per un primo commento cfr. Sgobbo, L’efficacia costitutiva della cancellazione dal registro delle imprese delle società alla luce delle modifiche societarie del 2003, in Fonti del diritto italiano - Codice civile – di Pietro Rescigno, 2010, 00, 4; Mazzù, Variazioni sul tema della soggettività giuridica: il principio di uguaglianza e il fenomeno dell’estinzione delle società, in Notariato, 2010, 4, 368 s.; Weigmann, La difficile estinzione delle società, in Giur. it.,, 2010, 2010, 7, 1610 e più ampiamente Spolidoro, La cancellazione delle società davanti alle Sezioni Unite, in Notariato, 2010, 6, 643 s.).
[67] Consegue quindi che «l’inciso “ferma restando l’estinzione della società”, che la novella ha inserito con riferimento espresso alle società di capitali e alle cooperative, integra comunque il presupposto logico, nel sistema, per una lettura della cancellazione delle iscrizioni di società di persone dichiarativa della cessazione della loro attività dal momento di entrata in vigore della legge anche per le cancellazioni precedenti e dalla data della cancellazione dell’iscrizione per quelle successive al 1° gennaio 2004 (…)». (Cass. S.U. 22 febbraio 2010, n. 4062, cit.; Cass. 23 maggio 2012 n. 8170, in Guida al diritto, 2012, 35,93).
[68] Cass. S.U., 9 aprile 2010, nn. 8426 e n. 8427, in Giust. civ., 2011, 3, 735.
[69] Cass. 28 agosto 2007, n. 18618, in Fall., 2007, 3, 294 con nota di Zanichelli, Società irregolari: cessazione dell’attività e dichiarazione di fallimento ed in Dir. fall., 2008, II, 246 con nota di Conedera, La rilevanza dell’iscrizione della cancellazione nel registro delle imprese alla luce delle modifiche intervenute nell’art. 2495 cod. civ. a l’applicabilità dell’art. 10 legge fallimentare alle società di fatto; Cass., 13 novembre 2009, n. 24037, in Riv. not., 2010, 5, 1395, con nota di Boggiali – Ruotolo, Efficacia estintiva della cancellazione delle società di capitali e di persone dal registro delle imprese. E’ stata rilevata l’incoerenza per il sistema di riconoscere l’effetto estintivo della cancellazione solo per le società di capitali, in quanto non ci sarebbe ragione di ammettere discipline differenti per situazioni analoghe (Niccolini, La liquidazione volontaria delle società tra passato e presente, in Le liquidazioni aziendali, a cura di Adamo e Niccolini, Torino, 2010, 38; . Salafia, Estensione alle società di persone del nuovo art. 2495, cit., 569).
[70] In tal senso Trib. Napoli, 26 aprile 2010, in www.il caso.it ove si afferma, in relazione a società di persone, che «in caso di scioglimento della società, i beni sociali vengono trasferiti a titolo particolare ai soci per effetto del bilancio finale di liquidazione, ragion per cui la scoperta o l’insorgenza di sopravvivenze o sopravvenienze attive rende ineludibile la cancellazione (…) dell’iscrizione nel registro delle imprese della cancellazione della società, onde consentire il completamento delle operazioni di liquidazione. (…)». Contra: Trib. Busto Arsizio, 2 ottobre 2012 (che afferma l’effetto tombale anche per le società personali), in Notariato, 2013, 3, 279, con nota critica di Fimmanò, Cancellazione ed estinzione delle società di persone; Trib. Varese, 8 marzo 2010, ilcaso.it . In tema cfr. pure Cass., 7 febbraio 2012, n. 1677, Società, 2013, 1, con nota di L. Corradi, Ancora su cancellazione ed estinzione delle società commerciali di persone; in Giur. it., 2012, 12, 2575 con nota di Cottino, La difficile estinzione delle società: ancora qualche (libera) divagazione sul punto; in Obbl. e contr., 2012, 6, 415 con nota di Bolognesi, La Cassazione conferma: la cancellazione da registro delle imprese determina l’immediata estinzione anche per le società di persone.
[71] Osserva Spolidoro, La cancellazione delle società davanti alle Sezioni unite, cit., 648, come le sentenze di febbraio non siano conciliabili con le due pronunciate in aprile.
[72] Cass. S.U. 22 febbraio 2010, nn. 4060 e 4062, cit.
[73] Cataldo, Gli effetti della cancellazione della società per i creditori, in Fallimento, 2010, 12, 1413.
[74] La peculiarità è nella circostanza che i soci avevano deliberato, nel caso in esame, successivamente alla cancellazione il trasferimento fittizio all’estero della sede sociale, confermandone la permanenza in vita dopo la cancellazione, decisa per potere continuare l'attività d’impresa senza adempiere ai gravosi oneri fiscali connessi all'applicazione della legislazione tributaria italiana. E’ in tale contesto che il giudice del registro ha ritenuto insussistenti le condizioni di legge per la estinzione della società di cui alla cancellazione iscritta su istanza degli amministratori e ha ordinato quindi che la iscrizione di tale vicenda fosse a sua volta cancellata con pubblicità dichiarativa dell'inesistenza della estinzione, che rende presunto relativamente tale evento negativo, salvo prova contraria data dall'interessato della vicenda estintiva o un'eventuale azione di cognizione che nel caso nessuno degli interessati ha proposto. Il decreto del giudice del registro, secondo i giudici di legittimità, avrebbe determinato una pubblicità dichiarativa del mancato esaurimento di tutti i rapporti giuridici pendenti facenti capo alla società, la cui personalità deve negarsi si sia estinta retroagendo l'accertamento a base del decreto della mancanza dei requisiti per la cancellazione dell'iscrizione della società e la sua estinzione. Il trasferimento all'estero della società è stato considerato motivatamente falso in sentenza, laddove se fosse stato effettivo, avrebbe comportato la giurisdizione del giudice straniero ai sensi dell'art. 3, comma 1 del Regolamento CE del Consiglio del 29 maggio 2000.
[75] Si segnala al riguardo Trib. Padova, 2 marzo 2011, in www.ilcaso.it, che afferma che qualora il liquidatore dimostri che in realtà la liquidazione non è terminata è possibile provvedere alla cancellazione dal registro delle imprese della iscrizione della cancellazione. Nello stesso senso già Trib. Padova, 13 agosto 2004, in Società, 2005, 6, 765 con nota di Civerra, Presupposti ed effetti della cancellazione di società dal Registro delle imprese; in Dir. fall. 2006, 1, II, 246 con nota di Carano, Il mito della “immortalità” delle società è duro a morire, secondo cui i creditori sociali possono agire contro la cancellazione … perché non si sono potute produrre ex lege le conseguenze sostanziali (estinzione) della cancellazione». Cfr altresì sul tema Spiotta, Cancellazione della … cancellazione,. in Giur. comm., 2006, 5, I, 706.
[76] Cass. 16 maggio 2012, n. 7679 in Dir. Giust., 2012, 22 maggio, con nota di Terlizzi; Cass. n. 22863 del 2 novembre 2011, in Giust. civ. Mass., 2011, 11, 1557; Cass., 4 maggio 2011 n. 9744, in Giust. civ. Mass. 2011, 5, 687; Cass., 5 novembre 2010, n. 22548 in Giust. civ. Mass., 2010, 11, 1411.
[77] Nello stesso senso: Trib. Benevento, in riforma al provvedimento del Giudice del Registro di Benevento del 14 marzo 2012, inediti, (secondo cui la cancellazione può essere cancellata quando avvenuta in mancanza delle condizioni richieste dalla legge e cioè l’effettiva estinzione); Tribunale Modena 20 marzo 2012 n. 524, inedito (secondo cui a cancellazione di una società di capitali o persone dal registro delle imprese ne determina "ipso facto" l’estinzione, anche in presenza di debiti insoddisfatti o di rapporti non definiti, istituendosi una comunione fra i soci in ordine ai beni residuati dalla liquidazione o sopravvenuti alla cancellazione); App. Napoli 25 gennaio 2012, inedita; Comm. trib. reg. Potenza 5 gennaio 2012, inedita; Tribunale Modena 30 settembre 2011 n. 1521, inedita; Trib. Piacenza 14 aprile 2011; n. 313 inedita; Trib. Monza 18 gennaio 2011 inedita; App. Roma sez. II 16 settembre 2010 n. 3606, inedita.
[78] Ogni atto del creditore fiscale, come di qualsiasi altro, dovrà essere notificato non alla società ormai estinta bensì al liquidatore, ove ne ricorrano gli specifici presupposti di cui all’art. 2495, comma secondo, c.c. ovvero ai soci, ove essi abbiano percepito somme in sede di liquidazione. La responsabilità del liquidatore potrà essere invocata ove se possa dimostrare la colpa, ovvero che in presenza di un attivo disponibile questo sia stato devoluto al pagamento di debiti sociali di grado inferiore a quello tributario ovvero siano stati destinati ai soci. La responsabilità dei soci per le obbligazioni tributarie è limitata alla parte da ciascuno di essi conseguita nella distribuzione dell’attivo nelle varie fasi, sicchè il fisco, il quale voglia agire nei confronti del socio, è tenuto a dimostrare il presupposto della responsabilità di quest’ultimo, e cioè che, in concreto, in base al bilancio finale di liquidazione, vi sia stata la distribuzione dell’attivo e che una quota di tale attivo sia stata riscossa; tale vicenda (distribuzione attivo e relativa riscossione) infatti non costituisce soltanto il limite di responsabilità del socio quanto al debito sociale, ma anche la condizione per il coinvolgimento del socio stesso nel processo, posto che egli, rispetto ai creditori della società, non è debitore in quanto tale, ma lo diventa nella specifica ipotesi, disciplinata dalla legge di riscossione della quota; di conseguenza “la prova di tale circostanza è a carico delle altre parti ed integra la stessa condizione dell’interesse ad agire, che richiede non solo l’accertamento di una situazione giuridica, ma anche la prospettazione della possibilità di ottenere un risultato utile, non essendo il processo utilizzabile in previsione di esigenze soltanto astratte. L’Erario, pertanto, non potrà limitarsi a notificare l’eventuale avviso di accertamento al socio piuttosto che alla società. Dovrà, piuttosto, dotare l’atto di una motivazione rafforzata che dimostri anche gli specifici presupposti di responsabilità del socio. Ove i soci siano più di uno, essi non saranno legati da vincolo di solidarietà passiva, ma ciascuno di essi risponderà pro quota entro il limite massimo di quanto egli ha effettivamente ricevuto. Viceversa l’Erario non potrà applicare al liquidatore ed ai soci, rispetto alla specifica fattispecie del debito preteso solo dopo l’estinzione della società e la sua fisiologica cancellazione per assenza di debito anche l’art. 36 del DPR n. 602/1973 che resta, invece, applicabile a tutti i casi nei quali il debito fosse stato accertato ante cancellazione.
[79] Nel senso espresso dalle Sezioni Unite in commento: Cass. 23 maggio 2012 n. 8170, cit.; Trib. Arezzo, 8 gennaio 2013, inedita; Trib. Torino, 30 aprile 2012, in Foro it. 2012, 3060
[80] Cass. S.U. 22 febbraio 2010, nn. 4060, 4062, citate. In caso di cancellazione «di una società di persone dal registro delle imprese i singoli soci non sono legittimati all’esercizio di azioni giudiziarie la cui titolarità sarebbe spettata alla società, ma che questa ha scelto di non esperire sciogliendosi e facendosi cancellare dal registro». (in tal senso Cass. 16 luglio 2010, n. 16758, in Le società, 2011, 1, 5, con nota di A. Fusi, Estinzione delle società di persone, azioni giudiziarie e legittimazione degli ex soci).
[81] Le sezioni unite in commento richiamano i precedenti di Cass. 15 aprile 2010, n. 9032; Cass. 8 ottobre 2010, n. 20878 e Cass. 10 novembre 2010 n. 22830.
[82] Cass., 3 agosto 2012 n. 14106; Cass. 8 febbraio 2012, n. 1760; Cass. 13 maggio 2011, n. 10649; Cass. 7 gennaio 2011, n. 259; Cass. sez. un. 18 giugno 2010, n. 14699; Cass. 8 giugno 2007, n. 13395; Cass. sez. un. 28 luglio 2005, n. 15783.
[83] Niccolini, sub art. 2495, cit., 1847.
[84] Niccolini, Scioglimento, liquidazione ed estinzione delle società di capitali, cit. 193. Secondo parte della dottrina la notifica presso la società potrebbe essere effettuata collettivamente ed impersonalmente in quanto si sarebbe inteso superare il tradizionale insegnamento giurisprudenziale secondo il quale, fino alla sopravvivenza di rapporti obbligatori insoddisfatti, la cancellazione della società non avrebbe potuto avere effetto, con la conseguenza che solo contro di essa le residue domande dei creditori dovevano essere rivolte.
[85]Al riguardo afferma G. Niccolini, op. ult. cit., 193 che «qui non si tratta di proseguire un processo già incardinato, di coltivare una domanda già proposta estendendola telle quelle ai successori a titolo universale, ma di introdurre ex novo un giudizio, di formulare nei confronti dei vari soci domande diverse in funzione delle diverse somma da ciascuno di essi apprese». Si è altresì osservato come « l’applicazione alla società cancellata del comma 2 dell’art. 303 c.p.c. è però assai incerta, prima di tutto perché è dubbio che gli ex soci siano successori universali della società ed in secondo luogo perché, anche se lo fossero, la disposizione in questione è derogatoria di una regola generale e non suscettibile di estensione analogica» (Spolidoro, Seppellimento prematuro. La cancellazione delle società di capitali dal registro delle imprese ed il problema delle sopravvenienze attive, cit., 830, nt. 19).
[86] Trib. Como, 24 aprile 2007, cit.
[87] Cfr. anche Zorzi, Sopravvenienze attive, cit., 1261.
[88] Al contrario secondo il precedente orientamento, la società non si estingueva sino a quando non venivano definiti tutti i rapporti, la stessa manteneva ancora la rappresentanza processuale e quindi, quand’anche cancellata, il giudizio proseguiva nei confronti dei medesimi soggetti che la rappresentavano prima della cancellazione, potendo anche proporre impugnazione a mezzo dei liquidatori (così, ex plurimis, Cass. 20 ottobre, 1998, n. 10380, in Giur. comm., 2000, 4, II, 281).
[89] App. Milano, 20 novembre 2007, in Corr. merito, 2008, 3, 295.
[90] La cancellazione dal registro delle imprese determina l’estinzione del soggetto giuridico e la perdita della sua capacità processuale. Ne consegue che, nei processi in corso, anche se essi non siano interrotti per mancata dichiarazione dell’evento interruttivo da parte del difensore, la legittimazione sostanziale e processuale, attiva e passiva, si trasferisce automaticamente, ex art. 110 c.p.c., ai soci (così, Cass., 9 aprile 2013, n. 8596, Dir. giust., 2013, 10 aprile; e in Società, 2013, 6, 740; Cass., 4 luglio 2013, n. 16751, Dir. giust., 2013, 0, 1016 con nota di Nocera, Il ricorso di fallimento presentato da un creditore società estinta non è idoneo a far iniziare il procedimento, e in Fallimento, 2013, 8. In tema cfr. anche App. Milano, 18 aprile 2012, in Giur. it., 2013, 382, con nota di Weigmann secondo cui «è rilevante e non manifestamente infondata la questione di costituzionalità degli artt. 2312, 2315, 2324, 2495 c.c. (…) nella parte in cui non prevedono, in caso di estinzione della società per effetto di volontaria cancellazione dal registro delle imprese, che il processo prosegua o sia proseguito nei gradi di impugnazione da o nei confronti della società cancellata, sino alla formazione del giudicato». Dalfino, Le Sezioni Unite cit., 1014, rileva altresì che se la cancellazione avviene nel corso di un giudizio di appello, sarà inammissibile il ricorso in cassazione proposto da o nei confronti della società; i liquidatori non avranno più alcun potere di rappresentanza e, conseguentemente, nemmeno quello di conferire procura alle liti.
[91] Cass., Sez. trib, 3 novembre 2011, n. 22863 in Diritto & Giustizia 2011, 19 novembre 2011.
[92] Nello stesso senso Cass. 15 ottobre 2012, n. 17637, in Diritto & Giustizia, 2012, 16 ottobre 2012, che peraltro sancisce l’applicabilità dell'art. 2495, secondo comma, c.c., anche alle cooperative in virtù del rinvio disposto dall'art. 2519 c.c.
[93] Conformi Cass. 6 giugno 2012 n. 9110, in Giust. civ. Mass. 2012, 6, 741; Cass. 23 luglio 2012 n. 12796, in Diritto & Giustizia, 2012, 24 luglio 2012.
[94]App. Napoli, sez. I, 28 maggio 2008 (inedita), afferma invece che è inammissibile che la cancellazione possa dar luogo alla interruzione del giudizio in quanto istituto connesso agli artt. 110 e 111 c.p.c. che non opera qualora non vi siano soggetti legittimati a costituirsi in sostituzione della parte defunta. Dunque l’azione dei creditori verso i soci ed i liquidatori è un’azione autonoma rispetto a quella che avrebbero potuto proporre nei confronti della società. Cfr. altresì Trib. Prato, 18 novembre 2010, in www.ilcaso.it, che afferma che l’azione è autonoma e non può essere introdotta nelle forme della riassunzione del processo instaurato nei confronti della società e poi interrotto a seguito della cancellazione, non essendovi alcuna successione del liquidatore nel rapporto originariamente dedotto in giudizio.
[95] Nel medesimo senso già Cass. 16 maggio 2012, n. 7676, in Giust. civ. Mass. 2012, 5, 624; Cass. 16 maggio 2012 n. 7679, in Foro. It., 2012, 3059.
[96] Cass. 20 dicembre 2012 n. 23668, in Diritto & Giustizia, 2012, 21 dicembre; Cass. 21 maggio 2012 n. 8033, in Giust. civ. Mass., 2012, 5, 650; Cass. 03 maggio 2012 n. 6692, in Giust. civ. Mass. 2012, 5, 555 Il termine di un anno costituisce un limite obiettivo «…. non basta che entro quel termine sia presentata l’istanza per la dichiarazione di fallimento; occorre che sia tempestivamente depositata in cancelleria la sentenza del tribunale competente» (così Bonfatti-Censoni, Manuale di diritto fallimentare, Padova, 2009,41).
[97] Cass. 10 aprile 2012 n. 5655, in Giust. civ. Mass., 2012, 4, 468; Cass., 31 maggio 2011, n. 12018; Cass., 5 novembre 2010, n. 22547, in Giust. civ. Mass., 2010, 11, 1410, secondo cui il liquidatore, il quale, anche dopo la cancellazione è altresì legittimato a proporre reclamo avverso la sentenza di fallimento, tenuto conto che, in generale, tale mezzo di impugnazione è esperibile, ex art. 18 l. fall., da parte di chiunque vi abbia interesse». Conforme: Cass. 28 maggio 2012, n. 8455, in Guida al diritto 2012, 35, 87
[98] Cass., 30 maggio 2013, n. 13659, inedita; Cass., 11 luglio 2013, n.17208, in Dir. giust., 12 luglio 2013 con nota di Papagni, Solo se avviene entro l’anno dalla cancellazione dal registro delle imprese.
[99] App. Napoli, 11 luglio 2011; App. Napoli del 6 ottobre .2011; App. Napoli, 8 febbraio 2012 tutte inedite (in particolare nell’ultima pur consapevole dell’orientamento della Cassazione afferma di non riuscire a comprendere come sia concepibile che un organismo ormai estinto per il mondo giuridico, come deve ritenersi sia il caso della società di capitali cancellata dal registro delle imprese a seguito della chiusura della sua liquidazione, possa stare in giudizio o comunque avere propri rappresentanti organici, volontari o legali, che lo rappresentino in giudizio, così come in qualsiasi rapporto giuridico.
[100] Cfr. Lamanna, sub art. 10, in Il nuovo diritto fallimentare, diretto da Jorio, Bologna, 2007, 1, 258 ss..
[101] Cfr. Lubrano di Scorpaniello, Il crepuscolo del “vecchio” art. 10 l. fall. tra “eterni ritorni”, lacune di disciplina e timide riforme, in Banca, borsa, tit. credito, 2007, 5, 681. Trib. Napoli, 1 ottobre 2008, in Corr. merito, 2009, 1, 29, con nota di Bruno, Società in liquidazione e requisiti dimensionali di fallibilità. IlTribunale partenopeo dichiara il fallimento di una società in liquidazione e fa proprio il principio secondo il quale quando la società è in liquidazione è necessario accertare se gli elementi attivi del patrimonio sociale consentano di assicurare l’eguale ed integrale soddisfacimento dei creditori sociali, poiché non è più richiesto che essa disponga, come invece la società in piena attività, di credito e di risorse necessarie per soddisfare le obbligazioni contratte.
[102] App. Torino, sez. I, 19 febbraio 2008, edita in Fallimento, 2008, 7, 808 con nota di Bettazzi, L’art. 10 tra passato e presente.
[103] Niccolini, La liquidazione volontaria delle società tra passato e presente, cit., 54, critico nei confronti del legislatore laddove non prevede una forma di opposizione del creditore sociale alla liquidazione in questo delicato momento della vita della società, nella quale i soci si riappropriano del conferimento e si dividono l’utile derivato dall’operazione imprenditoriale.
[104] Ibba, Il fallimento dell’impresa cessata, cit., 957, che osserva come «potrebbe farsi ricorso alle formule antiche del fallimento senza fallito o del fallimento di un patrimonio senza soggetto».
[105] Al riguardo cfr. tra gli altri Vellani, Fallimento post mortem e separazione dei beni, Padova 1991; Salanitro, Il fallimento dell’imprenditore defunto, Milano, 1974.
[106] Certo è che la disciplina è nel sistema anche se tali norme vengono rappresentate come un’anomalia (Satta, Diritto fallimentare, Padova, 1974, 29; cfr. pure Buonocore, Fallimento e impresa, Napoli, 1969, 212; Jorio, Gli articoli 10 e 11 della legge fallimentare e le società commerciali, in Riv. soc., 1969, 342; Ragusa Maggiore, La morte dell’imprenditore e il fallimento, in Dir. fall., 1978, I, 12; Di Sabato, Il fallimento dell’imprenditore defunto, in Riv. trim. dir. proc. civ., 1962, II, 375).
[107] Alleca, Iscrizione della cancellazione, estinzione e fallimento, in Riv. soc., 2010, 4, 720. L’estinzione potrebbe così intendersi come la disapplicazione ex nunc delle regole che governerebbero altrimenti l’imputazione dell’attività in capo all’ente senza per questo negare alla società quella limitata soggettività e capacità giuridica, come società semplice o di fatto, che le consente di mantenere la titolarità dei propri rapporti pregressi e la necessaria legittimazione sostanziale e processuale. (Alleca, Le sezioni Unite e l’estinzione delle società a seguito della cancellazione, in Riv. dir. civ., 2010, 6, 648).
[108] Corte Cost., 17 luglio 1975 n. 223.
[109] M. Speranzin, Il fallimento della società estinta, in Temi del nuovo diritto fallimentare, a cura di G. Palmieri, Torino, 2009, 139. Così come si dovrà ritenere preclusa la possibilità di riaprire la procedura fallimentare, ex art. 121 l.f., in quanto a seguito della estinzione è venuto meno il soggetto fallito (così, A. Nigro, Diritto societario e procedure concorsuali, in Il nuovo diritto delle società, Liber amicorumcit., 2007, 1, 186).
[110] Cass. 2 aprile 2015, n. 6743, Pres. Piccininni - Est. Bielli, in www.ilcaso.it.
[111] In particolare cfr. Cass, 21 aprile 2011, n. 9260, in Giust. Civ. Mass., 2011, 4, 649.
[112] Cass., 5 dicembre 2001, n. 15407, in Foro it., 2002, I, 374; in Giust. civ., 2002, I, 1032, in Fallimento, 2002, 1295.
[113] Al riguardo: Santarelli, Per la storia del fallimento nelle legislazioni italiane dell'età intermedia, Padova, 1964, 50; D’Avack, La natura giuridica del fallimento, Padova, 1940, 25 s.
[114] Recita l’art. 441 del codice napoleonico del 1808: «L’ouverture de la faillite est déclarée par le tribunal de commerce: son époque est fixée, soit par la retraite du débiteur, soit par la cloture de ses magasins, soit par la date de tous actes constatant le refus d’acquitter ou de payer des engagemens de commerce. Tous les actes ci-dessus mentionnés ne constateront néanmoins l'ouverture de la faillite que lorsqu'il y aura cessation de paiement ou déclaration du faille».
[115] La disciplina da applicare è quella di cui agli artt. 145 c.p.c. (al riguardo cfr. Montella, Competenza internazionale del giudice italiano e trasferimento (fuga) del debitore all'estero, in Fall., 2011, 715). Per le società che hanno trasferito solo formalmente la sede statutaria all’estero, ma che di fatto sono irreperibili e in fuga dai creditori anche attraverso la nomina di amministratore fittizi stranieri, non occorre una doppia notificazione in Italia e all’estero, né alcun doppio esperimento di notifica è peraltro più richiesto dall’art. 145 c.p.c. nuova formulazione (contra:App. Roma , 14 novembre 2011, n. 4795, in Giur. Merito, 2012, 4, 905, con nota critica di Filippi, La notifica del ricorso per la dichiarazione di fallimento a società italiana che ha trasferito, solo formalmente, la sede all’estero, la quale evidenzia come il Regolamento CE 1393/2007 trova applicazione nei casi in cui, in materia civile e commerciale, un atto giudiziario o extragiudiziale debba essere trasmesso in un altro Stato membro per essere notificato o comunicato al suo destinatario avente sede all’estero, non rientrando in questa casistica il trasferimento della sede sociale all'estero non è mai avvenuto).
[116] In tal senso già De Cesari, Il trasferimento all'estero della sede legale dell’impresa insolvente, in Fallimento, 2010, 666; Filippi, Cancellazione per trasferimento dell’attività (art. 9 l. fall.) e cancellazione per cessazione dell'attività (art. 10 l. fall.), in Giur. Merito, 2010, 2435.
[117]Trib. Roma 24 aprile 2015, in www.ilcaso.it ha evidenziato che nel caso di trasferimento della sede statutaria di una società debitrice prima della proposizione di una domanda di apertura di una procedura d’insolvenza, si presume che il centro degli interessi principali di tale società si trovi presso la nuova sede statutaria della medesima, la Corte di giustizia della Unione Europea ha con chiarezza indicato che, per individuare il centro degli interessi principali di una società debitrice, l'art. 3, n. 1, seconda frase, del regolamento n. 1346/2000 dev'essere interpretato nel senso che tale centro degli interessi - da intendere con riferimento al diritto dell'Unione - s'individua privilegiando il luogo dell'amministrazione principale della società, come determinabile sulla base di elementi oggettivi e riconoscibili dai terzi. Pertanto, qualora gli organi direttivi e di controllo di una società si trovino presso la sua sede statutaria ed in quel luogo le decisioni di gestione di tale società siano assunte in maniera riconoscibile dai terzi, la presunzione introdotta dalla menzionata disposizione del regolamento non è superabile; viceversa, laddove il luogo dell'amministrazione principale della società non si trovi presso la sua sede statutaria, la presenza di valori sociali nonchè l'esistenza di attività di gestione degli stessi in uno stato membro diverso da quello della sede statutaria di tale società possono essere considerate elementi sufficienti a superare detta presunzione, a condizione che una valutazione globale di tutti gli elementi rilevanti consenta di stabilire che, sempre in maniera riconoscibile dai terzi, il centro effettivo di direzione e di controllo della società stessa, nonché della gestione dei suoi interessi, è situato in tale altro stato membro (così Corte giustizia Unione Europea 20 ottobre 2011, n. 396/09). L'esistenza di una situazione reale, diversa da quella che si ritiene corrispondere alla collocazione ufficiale della sede statutaria, può anche consistere nel fatto che la società non svolge alcuna attività sul territorio dello Stato membro in cui è formalmente collocata la sua sede sociale (cfr., Corte giustizia Comunità Europee 2 maggio 2006, n. 341/04). Spetta al giudice italiano la giurisdizione con riguardo all'istanza di fallimento presentata nei confronti di società di capitali, già costituita in Italia che, dopo il manifestarsi della crisi dell'impresa, abbia trasferito all'estero la sede legale, nel caso in cui i soci, chi impersona l'organo amministrativo ovvero chi ha maggiormente operato per la società, siano cittadini italiani senza collegamenti significativi con lo stato straniero: circostanze che, unitamente alla difficoltà di notificare l'istanza di fallimento nel luogo indicato come sede legale, lasciavano chiaramente intendere come la delibera di trasferimento fosse preordinata allo scopo di sottrarre la società dal rischio di una prossima probabile dichiarazione di fallimento (Cass., sez. un., 20 luglio 2011, n. 15880; ed in termini sostanzialmente analoghi, con riferimento ad un fittizio trasferimento della sede sociale in uno stato extracomunitario, Cass., sez. un., 3 ottobre 2011, n. 20144). La presunzione di coincidenza del centro degli interessi principali con il luogo della sede statutaria, stabilita dall'art. 3, par. 1, del citato regolamento n. 1346/2000 del 29 maggio 2000, deve infatti considerarsi vinta allorché nella nuova sede non sia effettivamente esercitata attività economica, né sia stato spostato presso di essa il centro dell'attività direttiva, amministrativa e organizzativa dell'impresa (Cass., sez. un., 18 maggio 2009, n. 11398).
[118] In fattispecie di operazione di scissione parziale, per i debiti fiscali della scissa relativi a periodi d’imposta anteriori l’operazione si è affermato che rispondono solidalmente e illimitatamente tutte le società partecipanti la scissione. E ciò differentemente dalla disciplina della responsabilità relativa alle obbligazioni civili, per la quale, invece, sono previsti precisi limiti (tra le altre: Comm. Trib. Reg. Abruzzo L'Aquila Pescara Sez. VII, 26 ottobre 2015, in Fisco, 2015, 44, 4298; Comm. Trib. Reg. Piemonte Sez. XXXVI, 23 gennaio 2014, in Notariato, 2014, 4, 452; Comm. Trib. Reg. Lazio, Sez. I, n. 549 del 1 gennaio 2014, con nota critica di Crenca, La responsabilità tributaria delle società beneficiarie nella scissione alla luce della sentenza n. 549/01/14 del 31 gennaio 2014 della commissione tributaria regionale del lazio, in www.ilcaso.it)
[119] Cass. 24 giugno 2015, n. 13059 in www.ilcaso.it., inNotariato, 2015, 5, 544; in Fisco, 2015, 28, 2797.
[120] Il comma 2 dell’art. 15, d.lgs. 18 dicembre 1997, n. 472. Nei casi di scissione anche parziale di società od enti, ciascuna società od ente è obbligato in solido al pagamento delle somme dovute per violazioni commesse anteriormente alla data dalla quale la scissione produce effetto.
[121]In tema si veda già ampiamente Fimmanò, Scissione e responsabilità sussidiaria per i debiti insoddisfatti, in Società, 2002, n. 11. La giurisprudenza ha ribadito che la limitazione della responsabilità della società beneficiaria, destinataria solo di parte del patrimonio della società scissa, va riferita non al “valore contabile” del patrimonio trasferito, ma al “valore effettivo” di tale patrimonio, come espressamente indicato nell’art. 2506-quater, comma 3, c.c. (App. Milano, 23 luglio 2013, inSocietà, 2013, 11, 1253).
[122] Cfr. Trib. Torino Sez. VIII, 21 luglio 2009, in Giur. It., 2010, 1, 121 (quando dal progetto di scissione non sia desumibile a quale tra le società beneficiarie debba far carico un debito della società scissa - che nella fattispecie aveva conservato parte del suo patrimonio-, rispondono in solido tutte le società, senza che le prime possano eccepire il beneficio della previa escussione della seconda, dovendo essere rispettato soltanto il limite costituito dal valore effettivo del patrimonio netto attribuito a ciascuna di esse).
[123] Addirittura una certa giurisprudenza è arrivata a sostenere la possibilità che l’articolo 173, comma 13, riguardi anche altri tributi, oltre alle imposte dirette, comprese IVA e IRAP. In realtà non si può far certo derivare da una norma valida per le imposte dirette (il D.P.R. 22 dicembre 1986, n. 917 è infatti denominato, come ben noto, “Testo unico sulle imposte sui redditi”), un’estensione di validità ad altri tipi di tributi, per i quali esistono, invece, disposizioni particolari. Ai fini IVA esistono norme specifiche, previste dall’articolo 16, commi 11 e 12, della L. 24 dicembre 1993, n. 537, che stabiliscono la responsabilità solidale di tutte le beneficiarie nel solo caso di scissione totale senza trasferimento di aziende, disciplinando, peraltro, il meccanismo impositivo in modo ben diverso dall’articolo 173, comma 13, Tuir.
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