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Il Caso.it, Sez. Articoli e Saggi - Data pubblicazione 09/08/2012 Scarica PDF
L'art. 30 tuf innanzi alle Sezioni Unite (nota a Cass. 21 giugno 2012 n. 10376)
Gioacchino La Rocca, Professore ordinario di diritto civile nell'Università di Milano Bicocca1. Con
ordinanza del 21 giugno 2012, n. 10376 (in Ilcaso.it, I, doc. 7358), la Prima
Sezione civile della Corte di Cassazione ha proposto di rimettere alle Sezioni
Unite - in quanto "questione di particolare importanza" -
l'interpretazione dell'art. 30, d.lgs. 58/98 (TUF)" e stabilire così se la
nullità ivi prevista si applica oppure no ai "contratti" conclusi
nell'ambito dei servizi di negoziazione e di esecuzione ordini (in senso
negativo Cass. 14 febbraio 2012, n. 2065, in ilcaso.it, I, doc. 6957) ma v. le
precisazioni formulate infra § 7).
L'ordinanza si distingue per il completo riesame del dibattito sviluppatosi in
giurisprudenza e dottrina e quindi esime da un'ulteriore sua ripetizione.
Sembra, piuttosto, di maggiore utilità richiamare lo scenario normativo sul
quale le Sezioni Unite sono chiamate a decidere.
2. Innanzi tutto, è utile determinare la prospettiva di fondo. Al riguardo
occorre chiedersi se l'imponente apparato di enti e discipline che governa il
mercato finanziario è in funzione della tutela del risparmiatore, o se, e fino
a che punto, debbono essere presi in considerazione interessi degli emittenti e
degli intermediari, come peraltro auspicato da quanti vorrebbero una
regolazione market driven, ossia sensibile agli interessi di coloro che,
operando professionalmente nel mercato, tendono ad identificarsi con esso.
Il dato normativo è inequivocabile: per la Mifid il quadro giuridico
comunitario deve essere tale da "offrire agli investitori un livello
elevato di protezione" (consid. n. 2). Con ciò la Mifid assegna agli
investitori una posizione preminente rispetto alle loro controparti
contrattuali, ossia emittenti ed intermediari, agli interessi dei quali non è
in alcun luogo riconosciuto analogo "livello elevato di protezione".
Sul piano sostanziale il maggior favore riservato agli investitori è radicato
nella ownership of investments loro propria (MACNEIL, An introduction to the
law on financial Investment, Oxford-Portland, 2005, 313): insomma, gli
investitori non sono protetti per buonismo, ma perché sono i finanziatori
ultimi del sistema. E gli interessi degli emittenti sono recessivi perché essi
utilizzano il denaro altrui per i loro scopi, mentre gli intermediari esistono
perché dovrebbero agire - non nel loro interesse, ma - nell'interesse dei
clienti e per l'integrità del mercato in vista di una non rischiosa allocazione
del risparmio.
3. Analoga indiscutibile preminenza dell'interesse dell'investitore si
riscontra nell'ordinamento interno. Esso appare particolarmente evidente dal
confronto tra gli artt. 41 e 47 Cost. Per il primo l'interesse contrapposto a
quello imprenditoriale può costituire al massimo un limite esterno
all'esercizio dell'impresa (v. comma 2). La prospettiva è ribaltata quando
all'impresa si contrappongono il risparmio ed il risparmiatore: in tal caso
l'impresa è assoggettata a coordinamento e controllo da parte della Repubblica
se si tratta di un intermediario finanziario; mentre, se l'impresa in discorso
è un'emittente, il suo interesse è recessivo rispetto al risparmio, in quanto
quest'ultimo è letteralmente "favorito" rispetto ad essa (art. 47,
comma 1 e 2).
Analoga indicazione in ordine alla preminenza dell'interesse dell'investitore
si rinviene nel recente Discorso al mercato per il 2011 del Presidente della
Consob, nella parte in cui, a proposito dell'innovazione finanziaria, si
precisa che essa "può essere positiva, ma legislatori e autorità hanno il
dovere di evitare che si trasformi in un meccanismo che brucia i risparmi delle
famiglie. Legislatori e autorità devono chiedersi se alcuni tipi di innovazione
rappresentino per i risparmiatori un bene o un male. Ove verificassero che si
tratta del secondo caso, non devono avere remore intellettuali a opporre
semplicemente divieti alla diffusione di prodotti e pratiche nocive, anche per
evitare ricadute sistemiche"
4. Il quadro normativo offre un'ulteriore indiscutibile indicazione: essa
consiste nello storico disfavore per i "contratti negoziati fuori dei
locali commerciali". Fin dalla dir. 85/577 tale disfavore si è espresso
con la previsione del diritto di recesso del consumatore e la sollecitazione ai
legislatori nazionali di "misura appropriate" per reprimere l'omessa
avvertenza del diritto di recesso. Il fondamento di tale disfavore si articola
su
due aspetti: la circostanza che in questi casi l'imprenditore prende
l'iniziativa della negoziazione fuori dei locali commerciali e la
"sorpresa" del consumatore, che in questi casi non ha neppure a
disposizione scelte alternative (consid. 4 e 5 dir. Cit.).
In particolare, queste circostanze minano "la libertà di scelta dei
consumatori, loro diritto essenziale" (consid. 3, dir. 2002/65, su cui v.
infra § 6).
Anche in questo caso le scelte legislative hanno fondamenti precisi. La finanza
comportamentale Ð accreditata dal Nobel a KAHENMAN nel 2003 Ð ha dimostrato
sperimentalmente che le scelte di investimento (anche di soggetti sofisticati)
sono fortemente condizionate dal come, dal dove e dal quando viene presentato
l'investimento stesso (v. bibliografia nel sito http://www.finanzacomportamentale.it e v. anche gli
studi citati da MOTTERLINI, Martin MONTI, Il caso ha le sue ragioni É , in
Ilsole24ore, 1 aprile 2012, 26). Questo aspetto non è sfuggito al legislatore
comunitario del mercato finanziario, il quale - dato atto della "sempre
maggiore dipendenza degli investimenti dalle raccomandazioni
personalizzate" (consid. N. 3 Mifid), ossia dalle raccomandazioni dirette
ad un investitore determinato Ð ha imposto agli intermediari di conformare il
loro approccio al cliente al fine di "servire al meglio" l'interesse
di quest'ultimo.
5. A questo punto il quadro è completo.
La prospettiva dalla quale muovere è quella dell'investitore e della sua
tutela.
Se fosse accolta l'interpretazione restrittiva dell'art. 30 tuf si perverrebbe
al singolare risultato che lo stesso investimento, effettuato "fuori
sede" dallo stesso investitore e avente ad oggetto lo stesso strumento
finanziario, se effettuato sul mercato secondario (servizio di negoziazione e
di ricezione ordini) non beneficerebbe della tutela che avrebbe se fosse posto
in essere sul mercato primario (servizio di collocamento). E questa diversità
di tutela non conseguirebbe ad una scelta dell'investitore, ma alla decisione
commerciale dell'intermediario di offrire "fuori sede" strumenti
finanziari già emessi, minando così, in conseguenza delle sue logiche
commerciali, "la libertà di scelta" degli investitori, che per la
direttiva 2002/65 rappresenta un "diritto essenziale" dei medesimi.
Se fosse accolta questa soluzione, sarebbe poco agevole superare il dubbio su
come essa sia ragionevolmente coerente tanto con il principio di eguaglianza,
quanto con un ordinamento che impone di riconoscere un livello
di tutela "elevato" all'investitore, mentre non riconosce analoga
tutela agli interessi imprenditoriali delle controparti contrattuali di
quest'ultimo.
6. Tanto più che, a ben vedere, la tesi restrittiva non ha supporti convincenti
nel diritto positivo, né a livello comunitario, né a livello interno.
Per quanto riguarda il secondo, è frutto di un equivoco ritenere che il
sintagma "collocamento" presente nel comma 6, art. 30 tuf, abbia lo
stesso significato della parola "collocamento" di cui all'art. 1, c.
5, lett. c e c-bis.
In realtà, le due disposizioni hanno ad oggetto fattispecie contrattuali
completamente diverse: nel primo caso non vi è dubbio che l'art. 30 fa
riferimento ad un contratto di cui sono parti l'intermediario ed il cliente.
Invero, vi è espressa menzione di un contratto sottoscritto dall'investitore,
mediante moduli o formulari consegnati al medesimo.
Senonché, un contratto di questo tipo non corrisponde al contratto sotteso al
"servizio di collocamento", che presuppone un contratto tra
intermediario ed emittente. Come si è anticipato, il contratto cui allude
l'art. 30 intercorre tra cliente e intermediario ed è il contratto con cui il
primo da incarico al secondo di acquistare per suo conto determinati strumenti
finanziari. é, in altre parole, il contratto di commissione, nel quale consiste
il c.d. "ordine di borsa", ed è un contratto che si riscontra tanto
nel servizio di negoziazione, quanto nel servizio di collocamento.
Ne segue che - al di là delle parole utilizzate - la fattispecie contrattuale
cui fa riferimento l'art. 30 è diversa da quella cui fa riferimento l'art. 1,
comma 5, lett. c e c-bis.
Per quanto riguarda il diritto comunitario, è noto che la dir. 2002/65, sulla
commercializzazione a distanza dei servizi finanziari, esclude il diritto di
recesso nei "servizi finanziari il cui prezzo dipende da fluttuazioni che
il fornitore non è in grado di controllare". Tale direttiva, tuttavia,
precisa che "il consumatore dovrebbe essere tutelato dai servizi non
sollecitati. Dovrebbe essere sollevato da qualsiasi obbligo nel caso di servizi
non sollecitati" (consid. N. 25).
La direttiva del 2002, in altre parole, invita a distinguere tra servizi
sollecitati dal cliente e servizi non sollecitati dal cliente. é una
indicazione dalla importanza dirimente, in quanto a) individua il caso concreto
in cui non sussiste il diritto di recesso: si tratta dell'ipotesi di servizi a
distanza "sollecitati" dall'investitore. È evidente, infatti, che in
questa ipotesi non v'è "sorpresa" per quest'ultimo; b) delinea la
sanzione per il caso di servizi finanziari a distanza non sollecitati e determina
tale sanzione nella inefficacia di detti servizi verso l'investitore (si dice, infatti, che in caso di servizi
non sollecitati egli "dovrebbe essere sollevato da qualsiasi
obbligo").
7. E' possibile, a questo punto, esaminare Cass. 2065/12. Essa sembra escludere
il diritto di recesso nell'ipotesi in cui l'ordine di acquisto di determinati
strumenti finanziari (ossia l'atto che segna la concreta decisione di
investimento assunta dal cliente) abbia luogo nell'ambito di operatività di un
precedente "contratto quadro".
Al riguardo è utile rammentare che con il contratto quadro si disciplina
l'attività svolta in futuro dall'intermediario a favore del cliente e in esso
non sono assunte attuali decisioni di investimento. Orbene non è agevole
comprendere come un contratto siffatto escluda l'effetto "sorpresa"
qualora successivamente il cliente riceva raccomandazioni di investimento
"fuori dei locali commerciali". Non si comprende, in particolare, per
quale motivo il contratto quadro possa compromettere il "diritto
essenziale" del cliente alla "libertà di scelta" per quanto
riguarda un investimento futuro, in ipotesi nemmeno lontanamente previsto
all'epoca della sottoscrizione del contratto quadro.
A meno che il cliente non abbia esplicitamente richiesto di sottoscrivere
l'ordine "fuori sede". Solo in questo caso, di cui deve essere data
prova rigorosa dall'intermediario che invoca l'esimente, può escludersi con
qualche ragionevolezza l'effetto "sorpresa" e la relativa tutela.
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