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Il Caso.it, Sez. Articoli e Saggi - Data pubblicazione 07/10/2013 Scarica PDF

L' "offerta fuori sede di strumenti finanziari" in Cassazione e l'art. 56 quater del d.l. "del fare"

Gioacchino La Rocca, Professore ordinario di diritto civile nell'Università di Milano Bicocca


1. – Con sentenza n. 13905, depositata il 3 giugno 2013, le Sezioni Unite della Corte di Cassazione hanno affermato che “il diritto di recesso  accordato dal sesto comma dell’art. 30, d.lgs n. 58 del 1998 e la previsione di nullità dei contratti in cui quel diritto non sia contemplato, contenuta nel successivo settimo comma, trovano espressione non soltanto nel caso in cui la vendita fuori sede di strumenti finanziari da parte dell’intermediario sia avvenuta nell’ambito di un servizio di collocamento prestato dall’intermediario a favore dell’emittente o dell’offerente di tali strumenti, ma anche quando la medesima vendita fuori sede abbia avuto luogo in esecuzione di un servizio di investimento diverso, ove occorra la stessa esigenza di tutela” ([1]).

Un commento esauriente della sentenza in epigrafe dovrebbe articolarsi su una pluralità di profili, tra i quali non si saprebbe indicare l’ordine di importanza: a questi profili qui può solo accennarsi.

In primo piano vi è la tecnica di interpretazione seguita.

In proposito è utile rammentare che le sentenze – di legittimità ([2]), come di merito ([3]) – fautrici dell’orientamento rigettato dalle Sezioni Unite adducono a loro fondamento il tenore letterale dell’art. 30 TUF in applicazione dell’art. 12 disp. prel. al c.c. (di seguito “prel.”).

Peraltro, tale orientamento presume che nel TUF il legislatore impieghi il sintagma “collocamento” in modo peculiare: più precisamente tale orientamento postula che il sesto comma dell’art. 30 ed il quinto comma dell’art. 1 utilizzino la parola “collocamento” sempre con lo stesso significato ([4]); al contrario, secondo questa giurisprudenza nel primo comma dell’art. 30 il sintagma “collocamento” avrebbe un significato diverso da quello prima postulato.

L’incertezza sul significato da attribuire alla parola “collocamento” non domina solo la giurisprudenza. Nella recente letteratura si è, ad esempio, parlato di “fattispecie ‘collocamento’”, salvo poi a distinguere tra “collocamento propriamente detto” e una cosa altra denominata pur sempre “collocamento” ed inserita nella “offerta fuori sede” ([5]). Altro esempio significativo può trarsi dal comunicato con il quale l’ABI ha dato notizia di Cass. 13905/13 ([6]): in tale comunicato, nell’esporre i momenti rilevanti della decisione, ad un certo punto si menziona un “collocamento inteso in senso tecnico”, con ciò evidentemente ammettendo che il sintagma “collocamento” possa avere anche un “senso” diverso da quello definito come “tecnico”.

Gli esempi addotti sono eloquenti: quanti esaminano la questione avvertono la necessità di precisare il senso nel quale di volta in volta viene utilizzato il termine “collocamento”. Ciò conferma che “collocamento” non è una parola che i teorici dell’interpretazione qualificherebbero “vera per definizione”, ma quanto meno “vaga”, ossia suscettibile di avere una pluralità di significati ([7]). Quindi condivisibilmente Cass. 13905/2013 nega che al sintagma “collocamento” possa assegnarsi un significato univoco all’interno del TUF. A ben vedere ciò è coerente con l’art. 12 prel.: questo, infatti, avverte che “il significato proprio delle parole” presenti negli enunciati normativi non è necessariamente univoco e l’interprete deve scegliere quello “fatto palese … dalla connessione di esse”: in altre parole, lo stesso art. 12, benché imponga l’adozione del criterio letterale ([8]), ammette che il significato delle parole possa variare a seconda del contesto (e del cotesto, direbbero i teorici) in cui le stesse sono inserite.

Nella fattispecie la sentenza evidenzia come la parola “collocamento” assuma nell’espressione “servizio di collocamento” (art. 1, comma 5. Lett. c e c-bis, TUF) un significato diverso rispetto a quello assunto nell’espressione “contratti di collocamento di strumenti finanziari [muniti di] sottoscrizione da parte dell’investitore” (art. 30, comma 6): v. in proposito infra par. 4.

La sentenza in esame, inoltre, è coerente con la tesi secondo la quale l’art. 12 è soggetto all’incidenza adeguatrice della Costituzione e del diritto comunitario ([9]): infatti la sentenza ha cura di verificare la congruenza delle sue conclusioni con i principi costituzionali dell’eguaglianza e della protezione del risparmio in tutte le sue forme, nonché con la Carta dei diritti fondamentali della UE.

   

2. – Cass. 13905/13 propone poi il problema della portata normativa dell’art. 30 TUF la quale consiste nella definizione del perimetro dell’offerta fuori sede dei servizi di investimento.

Al riguardo occorre rammentare che storicamente in Italia la raccolta del risparmio – ossia l’attività cui sono preordinati i servizi di investimento – è stata fortemente intermediata dalle banche ([10]). Di conseguenza essa ha di fatto sofferto di un limite proprio dell’attività bancaria, consistente nella circostanza che l’attività fuori sede è stata oggetto di diffidenze tali da estendersi nel passato fino a ravvisare la necessità dell’assenso della Banca d’Italia anche per installare cash dispencer al di fuori delle agenzie ([11]); del pari è espressione dell’incisività del pregresso potere regolamentare della autorità di vigilanza il fatto che tuttora la disciplina dell’attività bancaria fuori sede sia contenuta nelle Istruzioni di Vigilanza (Tit. III, Cap. II, sez. III) e nel “Comunicato della Banca d’Italia” pubblicato in G.U. n. 11 del 14 gennaio 2006.

In questo contesto storico deve collocarsi l’art. 30 TUF. Esso (con l’art. 22, d.lgs. 415/1996)fa seguito alle aperture asistematiche dell’art. 18-ter l. 7 giugno 1974, n. 16 e dell’art. 5, l. 2 gennaio 1991, n. 1 ([12]) e dispone con la lett. b che i servizi e le attività di investimento possono essere svolte “in luogo diverso dalla sede legale e dalle dipendenze di chi presta promuove o colloca il servizio o l’attività”.

Diviene chiaro il disegno sistematico sotteso all’art. 30: esso consente agli intermediari di svolgere fuori sede il complesso delle attività e dei servizi loro riservati per legge (lett. b). Rispetto all’ampia previsione della lett. b, la lett. a ha un ruolo a ben vedere residuale, anche se non trascurabile: la lett. a, infatti, specifica che tra le attività consentite fuori sede vi sono “la promozione ed il collocamento” di strumenti finanziari. In tal modo il tuf definisce la morfologia del mercato, ampliando i “canali” attraverso i quali gli intermediari finanziari (in Italia tradizionalmente le banche) possono svolgere le attività loro riservate dalla legge in quello specifico segmento del mercato finanziario costituito dal mercato mobiliare: non solo in “sede”, presso gli sportelli, ma anche “fuori sede” per il tramite di promotori finanziari (art. 31 TUF), oppure “a distanza”, via telefono o internet (art. 32).

   

3. – Si possono muovere riserve sulla formulazione dell’art. 30, che relega nella lett. b, e dietro un giro di parole non perspicuo, il cuore della sua portata normativa, ma il retaggio storico di una disciplina asistematica ed alluvionale non può far velo nella lettura della disposizione e non ha infatti impedito alle S.U. di porre nella giusta luce la lett. b dell’art. 30 evidenziando come il significato della parola “collocamento” ivi presente sia svincolato dal servizio di cui all’art. 1, c. 5, lett. c e c-bis, TUF: la lett. b in esame non ha ad oggetto questo o quel servizio in quanto è finalizzata a consentire lo svolgimento “fuori sede” di tutte le attività riservate agli intermediari abilitati allo svolgimento dei servizi di investimento.

Nella prospettiva storica e sistematica sopra accennata è evidente che la parola “collocamento” contenuta nell’art. 30 tuf può essere correttamente intesa solo se esaminata nel contesto della locuzione “promozione e collocamento” con la quale è stata abitualmente sintetizzata l’attività fuori sede della banca. In altre parole, il dato storico è rilevante perché mostra che l’art. 30 deve esaminarsi nel solco della raccolta del risparmio fuori sede. In tale prospettiva si coglie agevolmente che la locuzione “promozione e collocamento” costituisce la formula di sintesi storicamente utilizzata per designare il complesso dell’attività svolta fuori sede dagli intermediari finanziari: non è dunque inappropriato, e risponde anzi a elementari criteri di omogeneità e buon senso, interpretare l’art. 30 utilizzando i risultati faticosamente acquisiti a proposito dell’attività bancaria fuori sede. Su questa linea con il sintagma “promozione” può intendersi la “pubblicizzazione e consulenza nei confronti di potenziale clientela” di prodotti e servizi, mentre il ¨collocamento dei medesimi … si sostanzia nella raccolta delle proposte contrattuali firmate dai clienti, in una prima eventuale istruttoria e nel successivo inoltro della proposta stessa alla banca” (v. Comunicato Banca d’Italia cit.).

Si è già accennato al ruolo della lett. a, art. 30 TUF, che ribadisce la facoltà, per gli intermediari abilitati, di svolgere fuori sede la stessa attività che svolgono presso “sede legale e dipendenze” e quindi anche promuovere e collocare strumenti finanziari. Se si guarda alla lett. a, sulla base delle indicazioni offerte dalla Banca d’Italia, la locuzione “promozione e collocamento … di strumenti finanziari” allude ad ogni attività diretta a pubblicizzare e fare consulenza (“generica” e non: v. in proposito la successiva nota 23) su strumenti finanziari (“promozione”), nonché alla raccolta di contratti o proposte contrattuali firmate da clienti aventi ad oggetto strumenti finanziari (“collocamento”).


4. – Nella prospettiva sopra delineata – che, come si è visto, è l’unica corretta quando non si dimentichi che le disposizioni di legge non sono frutto di geometrie astoriche e asettiche, ma discendono da sedimentazioni storiche, da concettualizzazioni inveterate nella prassi e dalle esigenze di tutela emergenti nel tempo – si dischiude un ulteriore aspetto meritevole di attenzione in sede di analisi della sentenza in esame. Tale aspetto riguarda l’espressione “contratti di collocamento di strumenti finanziari” contenuta nel comma 6 dell’art. 30.

Innanzi tutto è indubbio che i contratti cui al comma 6 non possono coincidere con il contratto alla base del servizio di collocamento ex lett. c e c-bis, art. 1, comma 5, tuf.: questo intercorre tra intermediari ed emittenti; quelli oggetto dei comma 6 e 7, invece, sono contratti di cui sono parte l’intermediario e gli investitori, come è reso palese dal fatto che l’art. 30 fa esplicito riferimento alla sottoscrizione degli investitori medesimi: se si invoca un criterio testuale di interpretazione – come fanno i sostenitori della tesi restrittiva - occorre almeno prestare attenzione al testo dell’enunciato interpretando ([13]). Ne segue che non possono biasimarsi le SU quando escludono una coincidenza di significato della parola “collocamento” nell’art. 1, comma 5, e nel comma 6 dell’art. 30: come si è già sottolineato, l’art. 12 prel. raccomanda (per non dire che impone) di assegnare alle parole usate dal legislatore “il significato loro proprio secondo la connessione di esse” e nel comma 6, art. 30, la parola “collocamento” è connessa con le parole “contratti [muniti della] sottoscrizione da parte dell’investitore”, la quale, come è pacifico, non compare nei contratti alla base del servizio di collocamento previsto dall’art. 1 TUF.

In secondo luogo, la prospettiva storica sopra proposta – utile per delineare con un minimo di omogeneità la nozione di offerta fuori sede nel mercato finanziario - conferma che la decisione delle SU è coerente con il mercato finanziario stesso: affermare, come fanno le S.U., che – quando riferita all’offerta fuori sede – “la parola collocamento … è da intendere … come sinonimo di atto negoziale mediante il quale lo strumento finanziario viene fatto acquisire al cliente”, significa compiere non già un’opera di giacobinismo giudiziario, ma molto più semplicemente estendere al settore mobiliare del mercato finanziario concetti familiari da tempo al settore bancario dello stesso mercato, dove, come si è visto, per collocamento fuori sede si intende l’operazione che ha come esito la sottoscrizione di un contratto o di una proposta vincolante da parte del cliente.

Come pure, la cassazione non pone in essere un atto sovversivo, ma applica l’art. 3 Cost quando scandisce in tre momenti un’ulteriore operazione: dapprima osserva che la parola “collocamento” – interpretata nel senso indicato da ultimo – coincide con la “decisione di investimento”, ossia con l’atto con il quale il cliente destina una parte delle sue risorse all’investimento finanziario; poi constata che tale decisione dell’investitore è presente con le stesse caratteristiche quale che sia il servizio di investimento all’esito del quale essa è assunta; infine impone che la tutela dell’investitore deve essere identica in tutti i casi in cui la decisione di investimento è presa fuori dalla sede dell’intermediario.

   

5. – Merita attenzione la figura della “decisione di investimento”: essa è coniata dalle S.U. per mettere a fuoco l’atto negoziale che pone l’esigenza di tutela soddisfatta dal comma 6. Tale esigenza, infatti, si determina non tanto con il contratto quadro, che ha natura programmatica, quanto piuttosto con l’atto con il quale il cliente effettivamente dispone del suo risparmio.

Questa figura – la “decisione di investimento” – quale atto sul quale finalizzare la tutela del cliente, è persuasiva perché ha riscontro sia nell’ultimo comma dell’art. 30 (che estende la disciplina dell’offerta fuori sede ai contratti costituiti da “prodotti finanziari diversi dagli strumenti finanziari” e da “prodotti finanziari emessi da imprese di assicurazione”), sia nello stesso comma 6, che affianca al contratto di “collocamento di strumenti finanziari” il contratto di “gestione di portafogli individuali”: con la sottoscrizione di ciascuno di questi contratti il cliente dispone del suo risparmio o perché sottoscrive un ordine di borsa o acquista un “prodotto finanziario” diverso dagli “strumenti  finanziari” ([14]), ovvero perché con la conclusione del contratto di gestione – che è in definitiva un particolare mandato - mette una somma di denaro a disposizione di un gestore affinché questi proceda ad investimenti per conto del cliente stesso. Anche in quest’ultimo caso vi è una “decisione di investimento”, nel senso che anche in questo caso il cliente dispone del suo risparmio destinandolo agli investimenti finanziari programmati con il gestore.

Come si vede, le S.U. offrono gli strumenti concettuali per comporre le fattispecie contrattuali emergenti dall’art. 30 in un quadro sicuramente coerente con la tutela del risparmio e con l’art. 3 Cost.: in presenza di una qualsiasi “decisione di investimento” assunta fuori sede si applica il diritto di recesso.

   

6. – La sentenza sollecita almeno un altro profilo di indagine. Essa è destinata ad incidere direttamente sulla quotidiana operatività degli intermediari: non sarà più possibile dare immediata esecuzione all’ordine raccolto fuori sede dal promotore, con la conseguenza – lamentata dagli intermediari – che vi potranno essere oscillazioni sensibili di prezzo tra la data dell’ordine e la data in cui lo stesso potrà eseguirsi per essere decorso il termine previsto per il recesso del cliente.

Questa circostanza – che in realtà con gli opportuni accorgimenti non pone ostacoli insormontabili per l’operatività ([15]) - è ritenuta dagli intermediari un tale ostacolo alla fluidità del mercato da escludere la tutela del cliente. Essa è meritevole di riflessione e, come si vedrà, conferma la bontà della decisione delle S.U.

Invero, se – come si ipotizza - un titolo esibisce sensibili oscillazioni di prezzo nell’arco di 7 giorni, significa che è un titolo particolarmente volatile e dunque altamente rischioso. Ne segue che il periodo di ripensamento imposto dalle S.U. è quanto mai opportuno perché offre al cliente la possibilità di riflettere liberamente sull’effettiva opportunità di acquistare un titolo rischioso ([16]). In altre parole, la sentenza in commento è ispirata e, al tempo stesso, suffragata dal principio di salvaguardia della “integrità del mercato”, inteso come conformazione di un mercato finanziario non rischioso, che a sua volta è condizione essenziale sia per un’effettiva tutela del risparmio, sia per la salvaguardia del sistema economico nel suo complesso (v. sul punto anche infra).

Anche da questa prospettiva, dunque, Cass. 13905/13 appare ancorata a precisi principi di ordine pubblico economico.

   

7. – Pochi giorni dopo il deposito della sentenza in commento l’art. 30 tuf è stato modificato, con l’art. 56-quater, d.l. 21 giugno 2013, n. 69 (c.d. “decreto del fare”), convertito con l. 9 agosto 2013 n. 98, il quale dispone: “All'articolo 30, comma 6, del decreto legislativo 24 febbraio 1998, n. 58, dopo il secondo periodo e' aggiunto il seguente: «Ferma restando l'applicazione della disciplina di cui al primo e al secondo periodo ai servizi di investimento di cui all'articolo 1, comma 5, lettere c), c-bis) e d), per i contratti sottoscritti a decorrere dal 1° settembre 2013 la medesima disciplina si applica anche ai servizi di investimento di cui all'articolo 1, comma 5, lettera a)»”.

Anche questa iniziativa legislativa si presterebbe a tante osservazioni, non ultimo il rapporto tra il principio della divisione dei poteri e la risalente pretesa del legislatore di imbrigliare in qualche modo l’interpretazione giurisprudenziale di un enunciato ([17]). Come pure sarebbe interessante soffermarsi sui valori che pilotano la politica del diritto implicita in una modifica legislativa di questo tipo che è stata effettuata con uno strumento riservato a “casi straordinari di necessità ed urgenza” (art. 77 Cost.). Si delinea, infatti, una curiosa situazione: un intervento legislativo che sembrerebbe in qualche modo animato dall’intento (maldestro e non riuscito) di limitare la portata della sentenza in commento in senso sfavorevole ai risparmiatori, è varato con lo strumento del decreto legge, ossia con uno strumento  pensato per “casi straordinari di necessità ed urgenza”. Ne deriva la conclusione che per l’attuale potere politico (tentare di) incidere su un determinato assetto di interessi in senso sfavorevole a quel risparmio che per Costituzione dovrebbe essere tutelato “in tutte le sue forme” (art. 47) integra un caso straordinario di necessità ed urgenza.

Dopo questa amara constatazione può procedersi all’esame della modifica apportata all’art. 30.

L’inciso “ferma restando l’applicazione della disciplina di cui al primo comma al primo e al secondo periodo ai servizi di investimento di cui all’articolo 1, comma 5, lettere c), c-bis) e d)” sembra volto a suggerire un qualche argomento a favore della natura interpretativa della novella. In essa peraltro si legge che la nuova disciplina si applica “a decorrere dal 1° settembre 2013”. Difetta, pertanto, la caratteristica della retroattività, che, seppure con qualche perplessità ([18]), è ritenuta propria delle leggi interpretative dalla Corte costituzionale ([19]).

Questo rilievo contribuisce alla ricostruzione dell’impatto della novella sull’ordinamento perché impone di collocarla nello spazio e nel tempo. Il 3 giugno 2013 le SU hanno stabilito che a quella data nell’ordinamento giuridico italiano la questione dello jus poenitendi  del risparmiatore costituisce “questione di massima di particolare rilevanza” ed è governata dal principio secondo il quale il diritto di ripensamento si estende ad ogni decisione di investimento assunta fuori sede, a prescindere dal servizio in concreto svolto dall’intermediario.

Su questo scenario interviene l’art. 56 quater, il quale conferma che dal 1° settembre 2013 il diritto di ripensamento si applica ai servizi di collocamento, di gestione individuale, di negoziazione. Una prima conseguenza consiste nel fatto che per i contratti conclusi prima del 1° settembre 2013 la disciplina pacificamente resta invariata ed è fissata dalla sentenza in commento. Ne segue che i giudici dei casi pendenti e futuri non potranno non tener conto della decisione delle S.U.

Per i contratti conclusi successivamente, l’art. 56 quater nulla dice circa le decisioni di investimento prese dal cliente quando la banca svolge i servizi di esecuzione e ricezione ordini. Vi è, dunque, una lacuna nel dettato normativo.

L’ipotesi della lacuna è espressamente disciplinata dal legislatore: alla stregua dell’art. 12 prel. l’interprete deve prendere atto che “la controversia non può essere decisa da una precisa disposizione” e dunque deve “aver riguardo a casi simili o materie analoghe”, quali sono lo stesso art. 56 quater e le altre disposizioni che tutelano il non professionista nell’ipotesi in cui il professionista agisca fuori sede.

 

8. – Questa conclusione postula, peraltro, la soluzione in senso negativo della questione se il diritto di ripensamento nel settore mobiliare costituisca “eccezione a regola generale o ad altre leggi”: in questo caso, infatti, l’art. 14 prel. esclude l’analogia. Più precisamente, occorre stabilire se il diritto di ripensamento costituisce eccezione alla regola generale posta dagli artt. 1372 e 1373 c.c.

In realtà vi è da tempo consapevolezza che lo jus poenitendi stenta perfino a coordinarsi con gli artt. 1372 e 1373 c.c.

A tale questione è comunque opportuno accennare. Essa conferma ancora una volta che problemi apparentemente di sapore teorico hanno invece ricadute pratiche di rilievo. Mi riferisco al rapporto tra la disciplina generale dei contratti e i contratti del mercato finanziario. La soluzione di tale questione non può prescindere dall’esame dei presupposti stessi della disciplina generale dei contratti ([20]). In questa sede è sufficiente osservare che lo stesso legislatore ha ormai preso atto del venir meno della centralità della disciplina del contratto in genere: l’art. 1469 bis c.c. ha ribaltato l’art. 1323 c.c., nel senso che nei contratti conclusi dal consumatore la regola generale non è più rappresentata dalla disciplina del contratto in generale, ma da quella del codice del consumo.

È un dato al quale la dottrina non è rimasta indifferente. Qui è utile far riferimento a chi dalla “nuova categoria del contratto del consumatore” ha dedotto la necessità di adottare “una prospettiva articolata che rinuncia programmaticamente ad una teoria unitaria e monolitica del contratto e distingue … il trattamento giuridico del contratto a seconda dei criteri e degli ambiti di applicazione del diritto di fonte comunitaria” ([21]). 

Una analoga rinuncia ad una teoria unitaria e monolitica del contratto si raccomanda anche per i contratti conclusi nel mercato finanziario. Per quanto riguarda la fattispecie in esame, occorre prendere atto che il diritto di ripensamento configurato dalla legislazione recente è istituto che non trova riscontro né nella disciplina generale del contratto, né nel codice civile ([22]). Questo rilievo non è una novità e non può sorprendere: il dato economico-sociale che pone i problemi oggi in esame è quello della commercializzazione di beni e servizi fuori dei locali commerciali. È un dato pressoché sconosciuto all’epoca dell’entrata in vigore del codice e pone problemi peculiari, che hanno ricevuto risposte normative di pari peculiarità nel segno di una generalizzata applicazione del diritto di ripensamento.

La conclusione è che nella fattispecie non vi sono ostacoli pregiudiziali all’applicazione dell’art. 12 secondo comma prel.

   

9. – “In ambito giuridico si ragiona per analogia al fine di stabilire se due classi di casi meritino o meno il medesimo trattamento attraverso una comparazione delle somiglianze e delle differenze tra le classi in questione” ([23]).

Nella fattispecie occorre stabilire se e quali somiglianze sussistano tra la decisione di investimento assunta fuori sede in occasione del servizio di esecuzione ordini (non elencato nell’art. 56 quater) e la decisione di investimento assunta, ad esempio, in occasione dei servizi di investimento compresi nell’art. 56 quater.

I tratti simili di queste classi di casi non sono di difficile individuazione. In tutti questi casi il cliente adotta decisioni di investimento “fuori sede”, vale a dire in un contesto nel quale “può essere sottoposto ad una potenziale pressione psicologica o può trovarsi di fronte ad un elemento di sorpresa indipendentemente dal fatto che abbia richiesto o meno la visita del professionista”. In questi termini si esprime il considerando n. 21 della dir. 2011/83, la quale, benché non applicabile ai contratti aventi ad oggetto servizi finanziari, costituisce comunque un autorevole punto di riferimento per descrivere la situazione di fatto nella quale versa il cliente nell’offerta fuori sede ([24]).

Occorre, peraltro, aggiungere che nel mercato finanziario la descritta situazione del cliente è aggravata dal particolare potere suggestivo goduto dall’intermediario finanziario. Tale particolare posizione deriva all’intermediario in forza della fisiologica ignoranza – dovuta anche alla assai limitata capacità del mercato finanziario di produrre informazioni sui singoli prodotti – in cui versa il cliente a proposito delle concrete caratteristiche dei beni offerti in tale mercato. La descritta situazione del cliente trova riscontro nella legislazione comunitaria: nei considerando n. 2 e 3 della dir. 2004/39 si accenna ad un’offerta di prodotti e servizi finanziari diventata nel corso degli anni “ancora più complessa”, con conseguente “sempre maggiore dipendenza degli investitori dalle raccomandazioni personalizzate”, ossia raccomandazioni di acquisto dirette ad un determinato investitore anche al di fuori del servizio di consulenza ([25]).

Con queste parole il legislatore comunitario prende atto di un dato di esperienza indiscutibile e di cui è agevole avere conferma. Si vedano in proposito le recentissime dichiarazioni di un esponente di PricewaterhouseCoopers spa riportate a pag. 9 dell’inserto del “Sole24ore”, “Plus24”, del 21 settembre 2013. Il dato di mercato commentato nella fattispecie è costituito dal forte incremento delle vendite di polizze rivalutabili malgrado esse negli ultimi anni abbiano reso meno dei titoli di stato. L’intervistato osserva al riguardo che si tratta di “un trend sorprendente. È una conferma di come in Italia sia la distribuzione a dettare le regole e a influenzare le scelte dei risparmiatori. Dati alla mano il canale bancario immette sul mercato i prodotti più opportuni per i propri conti”.

Questa testimonianza, per la verità, ha una duplice valenza: da un lato, come si diceva, conferma la  sempre maggiore dipendenza degli investitori dalle raccomandazioni personalizzate” di cui da atto la dir. 2004/39/CE; dall’altro lato, pone ancora una volta in primo piano la tendenza – ormai rilevata con cadenza periodica  ([26]) - degli intermediari finanziari a svolgere i servizi di investimento in funzione delle loro specifiche convenienze imprenditoriali, con ciò venendo meno alla missione loro assegnata nel sistema anche con la previsione di una specifica riserva di attività in loro favore. Il dato è talmente grave che nel 2011 la Consob è stata costretta ad “evidenziare … agli otto principali intermediari bancari la necessità di rivedere le strategie commerciali e le procedure interne per assicurare una corretta prestazione dei servizi di investimento” ([27]). Dal canto suo, la corte di cassazione si è trovata nella necessità di ribadire che l’attività degli intermediari deve essere contrassegnata dell’obbligo di servire al meglio gli interessi dei clienti ([28]).

Il quadro complessivo che ne risulta non è esaltante: i dati concreti dell’esperienza di mercato sopra riportati confermano che assai spesso i servizi di investimento sono svolti dagli intermediari abilitati tenendo conto soprattutto dei loro interessi (v. ancora le dichiarazioni riportate dal Sole24ore). Nell’offerta fuori sede tutto ciò è aggravato dal c.d. “effetto sorpresa” descritto nei considerando della dir. 2011/83 sopra riportati.

Orbene, questa poco edificante situazione del cliente sussiste a prescindere dallo specifico servizio espletato dall’intermediario. In particolare - per quanto specificamente interessa l’analisi dell’art. 56 quater qui condotta - il cliente versa nella complessa situazione appena tratteggiata sia nel servizio di negoziazione (compreso, nell’art. 56 quater), sia nel servizio di esecuzione ordini (escluso dall’art. cit.). Non solo: in entrambi i servizi l’operazione prende formalmente le mosse con un ordine del cliente ([29]).

Come si vede, le somiglianze tra le due classi di casi sono tali da rendere assolutamente irragionevole, per i contratti conclusi dopo il 1° settembre 2013, una disparità di trattamento tra loro; con la seguente alternativa: o si applica l’art. 12 prel. e si estende per analogia la tutela del cliente alla decisione di investimento assunta nell’ambito del servizio di esecuzione ordini, oppure si solleva la questione di costituzionalità dell’art. 56 quater per violazione dell’art. 3 cost. I minori tempi e costi processuali (e dunque il principio di ordine pubblico di economia processuale) fanno propendere per la prima soluzione.


10. – Nei paragrafi precedenti in diverse occasioni si è accennato ai problemi posti dall’art. 12 prel. Tra tali problemi non è di secondo piano quello dell’incidenza delle norme costituzionali e comunitarie sullo stesso art. 12 e più in generale sull’interpretazione della legge.

È sicuramente banale e a ben vedere riduttivo confermare l’importanza di tale profilo relativamente alla disciplina del mercato finanziario.

Nella fattispecie, peraltro, conviene soffermarsi brevemente su questo aspetto sia per completare la sommaria rassegna della normativa europea in qualche modo rilevante per l’offerta fuori sede, sia soprattutto per accennare ad un profilo recentemente (ri)sollevato da chi, nel commentare Cass. N. 13905/13, ha meritoriamente posto la questione del bilanciamento tra “l’esigenza di tutela degli investitori” e la “stabilità ed il buon funzionamento del sistema finanziario”.

In questo paragrafo si accennerà al primo aspetto; mentre alla seconda questione sarà dedicato il paragrafo successivo.

La disciplina comunitaria non osta alla generalizzata estensione del diritto di recesso affermata dalle SU e sostanzialmente confermata dall’art. 56 quater del “decreto del fare”.

Infatti, la dir. 2011/83 “non si applica ai contratti di servizi finanziari” (art. 3, par. 3, lett. d), vale a dire ai contratti aventi ad oggetto “qualsiasi servizio di natura bancaria, creditizia e assicurativa, servizi pensionistici individuali, di investimento o pagamento” (art. 2, n. 12). Del pari, non pienamente conferente è la dir. 2002/65 perché ha ad oggetto i “contratti a distanza” e non i contratti negoziati fuori sede, i quali si distinguono dai primi per un “effetto sorpresa” ed una distorsione dell’elemento cognitivo particolarmente significativi.

In ogni caso deve osservarsi che, ai sensi dell’art. 6, par. 2, lett. a) dir. ult. Cit. il diritto di recesso non si applica ai servizi finanziari “riguardanti valori mobiliari” se tali contratti “possono aver luogo durante il recesso”. Sono espressioni tecnicamente poco precise. Esse comunque possono intendersi nel senso che non sono soggetti a ripensamento i contratti immediatamente eseguibili. Non è questo il caso del ripensamento previsto dall’art. 30 tuf, dal momento che qui l’inutile decorso del termine per il recesso segna il momento di esecuzione della “decisione di investimento”.

Come pure non si applica ai “contratti relativi ai valori mobiliari” la dir. 85/775 in vigore fino a giugno 2014.

   

11. – In chiusura vi può essere spazio ad alcune notazioni di carattere più generale. In un recente commento alla sentenza in esame è stato posto il problema del “contemperamento” della “esigenza di tutela degli investitori” con la “stabilità ed il buon funzionamento del sistema finanziario” ([30]).

Il problema merita attenzione perché sui valori che animano la legislazione e sul loro rapporto si articola non solo l’interpretazione della legge, ma anche l’azione degli intermediari finanziari e la stessa morfologia del mercato, che è una componente essenziale della società odierna.

Sul piano giuridico istituzionale il contemperamento di interessi confliggenti, ma parimenti riconosciuti meritevoli di tutela dall’ordinamento, è imposto dagli artt. 2 Cost., 1175 e 1375 c.c., ai quali ormai deve essere affiancato l’art. 54 della carta dei diritti fondamentali dell’UE, che – come noto (art. 6 TUE) – ha lo stesso valore giuridico dei trattati fondativi dell’Unione Europea.

Nella fattispecie però la richiesta di “contemperamento” dell’interesse del risparmiatore con l’interesse alla stabilità e al buon funzionamento del mercato finanziario si pone per più versi fuori dall’attuale quadro economico-giuridico, dal momento che il “contemperamento” tra due interessi presuppone un conflitto tra loro di guisa che l’uno può essere in qualche modo salvaguardato solo con la limitazione ed il conseguente sacrificio (più o meno ampio) dell’altro.

Senonché, un tale rapporto di reciproca elisione non si riscontra tra “stabilità del sistema finanziario” e “tutela degli investitori”.

Con l’espressione “stabilità del mercato” – che assume giuridica rilevanza nell’art. 5.1 Testo unico bancario e nell’art. 6 TUF quale criterio dell’azione delle autorità di vigilanza – si designa una (auspicata) qualità tendenziale che il sistema finanziario acquista in ragione della adeguatezza patrimoniale e della qualità degli impieghi delle singole imprese che lo compongono ([31]), onde ridurre il rischio sistemico.

Come si vede, quando si provi a dare un contenuto alle parole, appare singolare chiedere un “contemperamento” tra stabilità del sistema finanziario e tutela degli investitori.

Una conferma sul piano normativo di questa osservazione, si può trarre dal secondo e dal terzo comma dell’art. 6 tuf: nella prospettiva dell’autore le cui osservazioni vengono ora discusse, la “trasparenza e la correttezza dei comportamenti” richieste agli intermediari nei servizi di investimento - nelle quali nella specie si risolve la “tutela degli investitori” – vengono postulate come incidenti negativamente sulla adeguatezza patrimoniale degli intermediari. Sarebbe come dire che la correttezza nelle modalità di raccolta del risparmio – in questo consistono i servizi di investimento ([32]) – può nuocere alla adeguatezza patrimoniale dell’intermediario che vi procede o concorre.

È una tesi ardua da sostenere, addirittura controproducente, perché adombra ed avalla l’idea che il conto economico ed il patrimonio degli intermediari debbano o possano rafforzarsi a spese dei risparmiatori ed in forza di una loro minore tutela (v. supra § 9).

Sennonché, in questa prospettiva – certamente distorta ed inaccettabile – si perde di vista il fatto che correttezza di comportamento verso i risparmiatori e adeguatezza patrimoniale, lungi dall’essere in sia pur teorico conflitto, concorrono entrambe – insieme ad altri fattori - alla “sana e prudente gestione” dell’intermediario finanziario ([33]). In altre parole, la “sana e prudente gestione” dell’intermediario finanziario postula tra l’altro che quest’ultimo sia adeguatamente patrimonializzato, proceda ad impieghi non rischiosi attraverso una corretta valutazione del “merito di credito” di quanti richiedono affidamenti, svolga i servizi di investimento “correttamente”, ossia secondo modalità rispettose della legge così come interpretata dalla giurisprudenza.

Ne segue che presidio del merito di credito, adeguata patrimonializzazione, offerta di investimenti non rischiosi, corretto svolgimento dei servizi di investimento non sono in alternativa tra loro, ma sono solo alcune componenti della “sana e prudente gestione” di ciascun intermediario. Solo nel rispetto di tutte queste tante componenti potrà conseguirsi quella “integrità del mercato” finanziario che rappresenta, con l’“interesse del cliente”, il fine ultimo cui gli intermediari devono improntare lo svolgimento dei servizi di investimento ([34]).

La conclusione è netta: è fuorviante predicare una sorta di trade off  tra tutela dell’investitore e stabilità dell’impresa e del mercato finanziario perché entrambe devono essere perseguite senza che l’una possa essere pensata come ostacolo dell’altra.

Per essere quanto più possibile chiari sul punto occorre aver ben presente che la stabilità del sistema finanziario è messa a repentaglio, non già dalle regole dell’offerta fuori sede, ma da politiche e teorie, le quali - benché smentite dalla storia, dal buon senso e ormai anche dalle scienze cognitive ([35]) – hanno dapprima postulato con la compiacenza delle autorità di vigilanza una soft regulation ([36]), e poi condotto alla costruzione di una “piramide finanziaria … sedici volte più grande della struttura produttiva sottostante” e ad un indebitamento del sistema bancario pari ad oltre 70 volte il patrimonio ([37]). Il risultato è sotto gli occhi di tutti: si è teorizzato e purtroppo praticato uno “Stato minimo”, nel senso che, anche attraverso una regolazione non imperativa, si lasciasse campo il più possibile agli “spiriti animali” degli operatori di mercato. L’esito è stato “bilanci drogati” degli intermediari finanziari, collasso del mercato interbancario, crisi di liquidità, massiccia mobilitazione di risorse pubbliche sottratte ai contribuenti e all’economia reale, innalzamento verticale del rischio di controparte nei contratti di finanziamento a Stati sovrani ([38]).

Ben altro, dunque, che le regole sull’offerta fuori sede: al contrario, sono anche l’assenza o la scarsa incisività della regolazione, che hanno favorito la grande crisi che stiamo vivendo e che ha contribuito a mettere a serio rischio la stabilità del sistema finanziario e non solo ([39]).

   

12. – Il tiro, dunque, deve essere corretto. Certamente, nella fattispecie dell’offerta fuori sede vi sono interessi in conflitto tra loro, ma non sono quelli individuati dall’autore prima indicato.

Raccogliere il risparmio, sollecitando presso il singolo risparmiatore decisioni di investimento che impiegano risorse verso investimenti di fatto sconosciuti e rischiosi, è attività estremamente delicata in quanto centrale per la sopravvivenza e lo sviluppo del sistema economico ed il conseguentemente finanziamento dello stato sociale ([40]).

Di qui la necessità di regole, paletti e cautele a carico di chi abbia liberamente deciso di trarre utili dalla raccolta del risparmio. Regole e paletti, che – presenti nello svolgimento di ogni attività imprenditoriale (art. 41 cost.) – divengono particolarmente incisivi quando l’attività di impresa ha ad oggetto il risparmio (art. 47 Cost.) ([41]), ossia un “bene” che è centrale per la sopravvivenza dei singoli e della comunità.

Quando poi quella delicata attività economica avente ad oggetto la raccolta del risparmio abbia luogo “fuori sede”, ossia attraverso modalità da trenta anni ritenute da psicologi e legislatori particolarmente insidiose, le cautele inevitabilmente aumentano. E ciò non già per un eccesso di tutela del risparmiatore, ma solo per non disincentivare quest’ultimo all’investimento finanziario e così garantire il più possibile al sistema economico la continuità nel lungo periodo delle fonti di finanziamento.

Come ognuno vede, quest’ultimo è l’unico interesse che non ammette “contemperamenti” perché – è già stato detto, ma mette conto ripeterlo – ha riguardo non già al conto economico di questa o quella impresa ([42]), ma alla sopravvivenza di singoli individui e di organizzazioni sociali.

A questo superiore interesse è funzionale Cass. 3 giugno 2013, n. 13905.



[1] ) V. in Il Caso.it, I, 9083.

[2] ) v. Cass. 22 marzo 2012 n. 4564, in Ilcaso, I, doc. 8544, pagg. 10 ss.

[3] ) v. Bersani, La responsabilità degli intermediari finanziari, Milano, 2008, 51 ss.

[4] ) E’ l’argomento della “costanza terminologica”: Velluzzi, Commento artt. 12 – 14 prel., in Barba, Pagliantini (cur.), Commentario c.c., I, Milano, 2012, 248 s. ; Guastini, Interpretare e argomentare, Milano, 2011, 299. Occorre peraltro prendere atto che riguardo all’art. 30 TUF tale argomento è utilizzato “a fasi alterne” in relazione alla conclusione che si vuole raggiungere.

[5] ) Guffanti, Il diritto di ripensamento nell’offerta fuori sede, in Società, 2012, 784 e 786.

[7] ) v. almeno Barberis, Manuale di filosofia del diritto, Torino, 2011, 53 ss., 72 ss.; Luzzati, La vaghezza delle norme. Un’analisi del linguaggio giuridico, Milano, 1990.

[8] ) Sulla cui problematicità v. almeno Velluzzi, op. cit., 237 ss.;Poggi, Contesto e significato letterale, inAnalisi e diritto, 2006, 169 ss.; Pastore, La funzione dell’interpretazione letterale, in Ann.Univ.Ferrara –Sc.giur., 2002, 37 ss.

[9] ) Per una sintesi del problema posto dalla Costituzione con riguardo all’art. 12 prel. si rinvia anche per riferimenti a Velluzzi, op. cit.,267 ss.

[10] ) v. La Rocca, Autonomia privata e mercato dei capitali. La nozione civilistica di “strumento finanziario”2, Torino, 2009, 120 ss. Accennano a questo aspetto Dolmetta, Minneci, Malvagna, Lo “jus poenitendi” tra sorpresa e buona fede: a proposito di Cass. SS. UU. 13905/13, in Riv.dir.banc., dirittobancario.it, 16, 2013, pag. 2

[11] ) cfr. D’Onofrio, Magliocco, Commento all’art. 28 l.b., in Capriglione, Mezzacapo, Codice commentato della banca, Milano, I, 1990, 260 ss.

[12] ) sull’origine alluvionale dell’art. 30 v. Carbonetti Lo jus poenitendi nell’offerta fuori sede di prodotti finanziari, in Banca, borsa, tit. credito,2001, I, 770 ss.; Pagnoni, Commento sub art. 30, in Alpa, Capriglione, Commentario al tuf, Padova, 1998, I, 323.

[13] ) Il dato non è preso in considerazione da ultimo da Civale, Diritto di ripensamento nell’offerta fuori sede di prodotti finanziari: dalle questioni semantiche all’eterogenesi dei fini, in dirittobancario.it, 6.

[14] ) Le nozioni di strumento finanziario e prodotto finanziario sono ancora dibattute: alle tesi che descrivono il primo come una specificazione del secondo, si è contrapposta una diversa chiave di lettura, che costruisce quelle espressioni come formule riassuntive di determinate discipline giuridiche (v. La Rocca, op. cit., spec. 209 ss.). Sulla nozione di strumento finanziario v. recentemente, oltre a La Rocca, Lo strumento finanziario in cassazione, in Foro it., 2012, I, 2430, Righini, Strumenti e prodotti finanziari, voce dell’Enciclopedia del diritto. Annali, IV, Milano, 2011, 1162 ss.

[15] ) Non sembrano giustificati i timori esposti sul punto da Civale, op. cit., 8.

[16] ) Anzi in questo caso la raccomandazione di acquisto del titolo, data dall’intermediario al cliente, dovrebbe essere valutata sul piano dell’effettivo adempimento da parte dell’intermediario agli obblighi che gravano su di esso nell’espletamento del servizio di investimento: v. in proposito Dolmetta, Minneci, Malvagna, op. cit., 5. Sotto questo profilo, in altre parole, assume rilevanza l’obbligo di “servire al meglio l’interesse dei clienti”, posto dalla lett. a dell’art. 21: sulla natura di questo obbligo e sulla sua connessione – tra l’altro - con i considerando nn. 81 e 82 dir. 2006/73 (riportati nella successiva nota 23) rinvio a La Rocca, L’”obbligo di servire al meglio l’interesse dei clienti” in Cassazione (art. 21 tuf), in Foro it., 2013, I, 321.

[17] ) Già la Constitutio tanta vietava in generale l’interpretazione del Corpus juris, e la Corte di Cassazione rinviene le sue origini nel ricorrente tentativo del legislatore (oggi si potrebbe dire: della “politica”) di imbrigliare i giudici: cfr. Calamandrei, La cassazione civile (1920), in Opere giuridiche, VI, Napoli, 1976, spec. 377 ss.; Picardi, La giurisdizione all’alba del terzo millennio, Milano, 2007, 128 ss.

[18] ) Guastini, op. cit., 83.

[19] ) Albanesi, La legge di interpretazione autentica come oggetto di sindacato di legittimità costituzionale e di interpretazione metatestuale da parte dei giudici comuni, in:

 http://www.giuri.unige.it/corsistudio/dottdiritto/documents/Albanesi.pdf, 6 ss.

[20] ) v. La Rocca, Il contratto di intermediazione mobiliare tra teoria economica e categorie civilistiche, in Riv. Critica di dir. Privato, 2009, 107 ss.

[21] ) Mazzamuto, Il contratto di diritto europeo, Torino, 2012, 151 (il corsivo è mio).

[22] ) V. infatti Roppo, Il contratto, Milano, 2001, 554.

[23] ) Velluzzi, op. cit., 284.

[24] ) In proposito sono significativi i rilievi di Sacco, in Sacco, De Nova, Il contratto3, Torino, 2004, I, 488 ss.

[25] ) Sulla c.d. consulenza generica – implicita nelle c.d. “raccomandazioni personalizzate” – assumono una rilevanza dirimente i considerando n. 81 e 82, dir. 2006/73, secondo i quali “gli atti compiuti dall’impresa di investimento che siano preparatori alla prestazione di un servizio di investimento o allo svolgimento di un’attività di investimento devono essere considerati come parte integrante di tale servizio o attività. Tra tali atti rientra ad esempio la prestazione di consulenza generica da parte dell’impresa di investimento a clienti o potenziali clienti prima o nel corso della prestazione … di qualsiasi … servizio o attività di investimento” (considerando n. 82), e “se l’impresa di investimento fornisce una consulenza generica ad un cliente in merito ad un tipo di strumento finanziario che essa presenta come adatto per tale cliente, considerate le sua particolari caratteristiche, e tale consulenza non è in realtà adeguata per tale cliente o non è basata sulla considerazione delle sue caratteristiche, in funzione delle circostanze di ciascun caso, è probabile che l’impresa che fornisce ad un cliente tale consulenza violi l’art. 19, paragrafo 1 o 2, della direttiva 2004/39/CE” (considerando n. 81). Per il dibattito sorto in dottrina può consultarsi La Rocca, Appunti sul contratto relativo alla prestazione del servizio di “consulenza in materia di investimenti”, in Contratto e impresa, 2009, 330 ss.; Parrella, Il contratto di consulenza finanziaria, in Gabrielli, Lener (cur.), I contratti del mercato finanziario, Milano, 2010, II, 1021 ss.

[26] ) In dottrina sottolineano l’aspetto evidenziato nel testo nel 2005 Maffeis, I contratti del mercato finanziario, Torino, 2011, 134; e più recentementeOnado, La crisi finanziaria internazionale: le lezioni per i regolatori, in Banca Impresa Società, 2009, 1 ss., 18; Rordorf, Contratti del mercato finanziario, Impresa e mercato, 2011, 114 ss., 116.

[27] ) v. il “Discorso al mercato finanziario”, tenuto dal Presidente della Consob il 14 maggio 2012, pag. 14, in http://www.consob.it/main/consob/pubblicazioni/relazione_annuale/relazione.html?symblink=/main/consob/pubblicazioni/relazione_annuale/index.html.

[28] ) Cass. 29 dicembre 2011, n. 29864, in Foro it., 2012, I, 2120.

[29] ) Annunziata, La disciplina del mercato mobiliare6, Torino, 2012, 91 ss.

Sia la normativa comunitaria, sia l’esperienza di mercato – delle quali si è ampiamente dato conto nel testo - escludono che si possa condividere l’osservazione secondo la quale “nella fisiologia dei servizi di negoziazione per conto proprio, esecuzione di ordini per conto dei clienti, ricezione e trasmissione di ordini, l’intermediario per definizione riceve un ordine da un cliente senza aver preventivamente svolto alcuna attività latu sensu sollecitatoria” (Civale, op. cit., 9): è un’osservazione che – come si è detto – si pone al di fuori della concreta esperienza di mercato.

[30] ) Civale, op. cit., 9.

[31] ) V. anche per i necessari riferimenti alla dottrina economica La Rocca, Impresa e società nel gruppo bancario, Milano, 1995, spec. 88 ss. A conferma delle conclusioni che furono attinte nel lavoro appena ricordato, è utile rammentare che la crisi finanziaria attuale è insorta a causa dell’accesso al credito di soggetti privi dei necessari requisiti (il termine subprime designa per l’appunto questa caratteristica): v.– anche per la conferma che non la stabilità, ma l’instabilità è purtroppo la condizione effettiva dei mercati finanziari – Onado, op. cit., 5 ss.

[32] ) In proposito mette conto precisare che i servizi di investimento mirano a raccogliere risparmio per destinarlo direttamente verso gli impieghi di volta in volta “raccomandati” al cliente, che per l’appunto è sollecitato ad assumere una “decisione di investimento”.

[33] ) La “sana e corretta gestione” dell’impresa finanziaria è infatti la complessa risultante di una pluralità di fattori (cfr. Greco, Commento sub art. 5, in Testo unico bancario. Commentario, Milano, 2010, 49 ss.), nei quali è compresa, ad esempio, anche la governance: v. ad esempio Brogi, Corporate governance bancaria e sana e prudente gestione, in Banca, Impresa e società, 2010, 283 ss.

[34] ) “Integrità del mercato” è nozione complessa (v. Annunziata, op. cit., 126), che forse si può meglio descrivere in negativo: v. ad es. Comertone-Forde, Rydge, Market integrity and surveillance effort, in J. Finan. Serv. Res., 2006, 149 ss.

[35] ) V. anche per riferimenti Onado, I nodi al pettine. La crisi finanziaria e le regole non scritte, Roma – Bari, 2009; Caruso, Homo oeconomicus: paradigma, critiche, revisioni, Firenze, 2012; Kahneman, Pensieri lenti e veloci, ed.it, Milano, 2012, passim, ma spec. 219 ss; Schmidt, Neuroeconomia. Come le neuroscienze influenzano l’analisi economica, trad. it, Tornio, 2013.  .

[36] ) Onado, La crisi finanziaria internazionale, cit., 16 s. La soft regulation, peraltro, ha ricadute di non poco momento sul piano della certezza della disciplina e della sua conformità a legge: invero, la soft regulation si articola nell’enunciazione non già di disposizioni precise ed imperative o di divieti, ma di principi generali ai quali ciascun intermediario è chiamato ad adeguare autonomamente la sua azione, con la conseguenza che l’intermediario stesso potrà effettivamente conoscere l’effettiva correttezza della condotta in concreto adottata solo in un secondo momento, quando a posteriori l’autorità giudiziaria sarà chiamata a sindacare le sue scelte (cfr. R. Lener, La gestione dei conflitti di interesse delle imprese di investimento tra il TUF e la Mifid, in Anolli, Banfi, Presti, M.Rescigno, Banche, servizi di investimento e conflitto di interessi, Bologna, 2008,  41 ss., 46; Perrone, I conflitti di interesse e le regole di organizzazione, ivi, 57 ss., 65).

[37] ) V. ancora Onado, op.ult.  cit., 12 e 14.

[38] ) E.Barucci, Messori (cur.), Oltre lo shock. Quale stabilità per i mercati finanziari, Milano, 2009.

[39] ) V. ancora Onado, op. ult. cit., 18.

[40] ) Sono rilievi condivisi economisti e giuristi: v. ad esempio Samuelson- Nordhaus, Economia17, trad. it., Milano, 2002, 553 ss.; Di Amato, I servizi di investimento, in Amorosino (cur.), Manuale di diritto del mercato finanziario, Milano, 2008, 89 ss.; Presti, Rescigno, Il conflitto di interessi nella prestazione dei servizi di investimento, in Banche, servizi di investimento e conflitto di interessi, cit., 11 ss., 37.

[41] ) Il rilievo è stato formulato da chi scrive nel commento all’ordinanza di rimessione alle SU della causa che è stata poi decisa dalla sentenza in commento: v. L’art. 30 tuf innanzi alle Sezioni Unite, in Ilcaso.it, II, 305/2012; in Foro it., 2012, I, 3050.

[42] ) Occorre, infatti, tener conto che i profitti da trading costituiscono ormai una parte importante del bilancio delle banche: vi è il concreto rischio che una considerazione di questo tipo potrebbe appannare una serena valutazione della sentenza in esame.


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