Diritto dei Mercati Finanziari
Il Caso.it, Sez. Giurisprudenza, 461 - pubb. 01/07/2007
Sollecitazione all'investimento e onere della prova
Tribunale Catania, 23 Gennaio 2007. Pres. Macrì. Est. Paternò Raddusa.
Intermediazione finanziaria – Sollecitazione all’investimento e negoziazione – Onere della prova
Intermediazione finanziaria – Negoziazione in contropartita diretta – Conflitto di interessi – Scopo diverso da quello dell’interesse del cliente - Onere della prova
Intermediazione finanziaria – Obblighi informativi – Violazione – Responsabilità precontattuale – Esclusione – Inadempimento – Sussistenza
Intermediazione finanziaria – Violazione degli obblighi informativi – Violazione – Determinazione del danno risarcibile – Adeguatezza dell’operazione – Valutazione – Necessità
Qualora il risparmiatore, nel giudizio promosso nei confronti dell’intermediario per la violazione dei doveri allo stesso imposti dal contratto e dalle norme di legge venga dedotta la circostanza della sollecitazione all’investimento, grava sull’intermediario l’onere di provare che la fattispecie dedotta non integra la sollecitazione all’investimento ma la negoziazione. (Franco Benassi) (riproduzione riservata)
La negoziazione in contropartita diretta non è di per sé sufficiente a far ritenere la sussistenza di un conflitto di interessi laddove la compravendita si sia perfezionata sulla base di un ordine conferito spontaneamente dal cliente e manchi la prova che si sia perfezionata su suggerimento o sollecitazione dell’intermediario diretta a perseguire scopi ulteriori e diversi dalla realizzazione dell’interesse del cliente. (Franco Benassi) (riproduzione riservata)
L’inadempimento dell’intermediario agli obblighi informativi previsti dalla legge e dal contratto quadro non è fonte di responsabilità precontrattuale ma motivo di inadempimento del contratto. In tale fattispecie, infatti, l’oggetto della violazione è il contratto quadro e non il singolo ordine che costituisce solo un momento esecutivo dell’accordo. Nel valutare la gravità dell’inadempimento si dovrà tenere presente la natura degli interessi tutelati, non esclusivamente riconducibili alla sfera soggettiva del contraente investitore. Inoltre, vertendosi in ipotesi di contratto di durata, la risoluzione travolgerà il contratto quadro limitatamente all’ordine negoziato in difformità agli obblighi di condotta. (Franco Benassi) (riproduzione riservata)
In presenza di violazione degli obblighi informativi dell’intermediario, per aversi un danno risarcibile è necessario che il prodotto negoziato sia inadeguato al profilo di rischio dell’investitore. E’ necessario, in sostanza, accertare se, una volta fornita la necessaria consapevolezza al cliente, questi avrebbe acquistato un prodotto maggiormente adeguato alle proprie caratteristiche per poi individuare le differenze di valore e rendimento tra il prodotto acquistato e quello adeguato. (Franco Benassi) (riproduzione riservata)
Doveri informativi dell’intermediario, violazione, rimedi, resp. contrattuale
Doveri informativi dell’intermediario, rimedi, onere della prova e nesso di causalità
Sollecitazione al pubblico risparmio
omissis
Svolgimento del processo
Con citazione notificata il 7 ottobre 2005 G. A. conveniva in giudizio la Banca Popolare Italiana all’uopo esponendo:
· di aver acquistato, in data 06.05.2002, dalla filiale di Giarre (CT) della Banca Popolare di Lodi, oggi Banca Popolare Italiana obbligazioni per un importo totale di euro 25.790,75 della Parmalat Finance Corporation BV, società finanziaria con sede in Olanda;
· che il detto acquisto doveva ritenersi nullo o annullabile o comunque fonte di risarcimento di un danno contrattuale;
· che, in particolare, quanto alla invalidità del contratto, andava in primo luogo evidenziata la nullità per vizio di forma ai sensi del disposto di cui all’art. 23, comma 1, d.lg. n. 58/98 in forza al quale “I contratti relativi alla prestazione dei servizi di investimento e accessori sono redatti per iscritto ed un esemplare è consegnato ai clienti… Nei casi di inosservanza della forma prescritta, il contratto è nullo”;
· che, in punto alla annullabilità per errore e dolo del contratto di intermediazione finanziaria stipulato con la banca convenuta, occorreva evidenziare come la sua volontà negoziale era stata manifestata in presenza di una falsa rappresentazione (provocata dolosamente, o quantomeno colpevolmente, da vari soggetti) avuto riguardo, in particolare alla reale situazione patrimoniale del gruppo Parmalat - come prospettata dai bilanci che riportavano un sostanziale ed apparente equilibrio economico a fronte del dissesto che notoriamente ebbe a manifestarsi da li a poco tempo dopo - e alla erronea credenza di comprare obbligazioni emesse dalla Parmalat S.p.a. e Parmalat Finanziaria italiana, quando invece le obbligazioni vendute appartenevano ad una società estera, con capitale sociale ridicolo (rispetto agli importi delle emissioni obbligazionarie);
· che la detta falsa rappresentazione aveva dato luogo a diversi errori essenziali ex art. 1429 c.c. perché caduti: a) sull’oggetto del contratto: l’attore riteneva di ricevere un titolo finanziario avente alla propria base una determinata situazione patrimoniale di equilibrio ed invece ne ha comprato uno che riposava solo su una voragine di svariati miliardi di euro di debiti; b) sull’identità dell’oggetto della prestazione e su una qualità della stessa determinante del consenso: l’attore credeva di acquistare prodotti finanziari che avevano attraversato il vaglio, quantomeno della liceità e della legalità, dell’operazione finanziaria di emissione dei bond. Tale qualità si è rivelata inesistente perché egli ha, per contro, comprato titoli che non avrebbero mai potuto e dovuto esistere all’interno dei mercati finanziari, siccome privi di tutti i requisiti minimi richiesti dalla legge per la loro immissione sul mercato; c) sulla natura del contratto: l’attore riteneva di acquistare un titolo soggetto all’alea dei mercati dal quale attendersi ricavi o perdite collegate all’andamento del mercato industriale e/o finanziario ed invece ne ha comprato uno frutto di un’operazione di mera truffa ed aggiotaggio;
· che l’errore era altresì riconoscibile da parte della banca poiché, ex art. 1431 c.c., “in relazione al contenuto, alle circostanze del contratto ovvero alla qualità dei contraenti, una persona di media diligenza avrebbe potuto rilevarlo” considerato peraltro il ruolo professionale della convenuta tale da conoscere la reale situazione finanziaria di una società o di un gruppo;
· di più, che non solo di errore poteva parlarsi nella specie, indubitabile essendo la volontà della convenuta di trarre in inganno il cliente si da riportare la fattispecie sotto l’egida del dolo determinante, causa di annullamento del contratto a norma dell’art. 1439 c.c;
· che l’acquisto in tema doveva altresì ritenersi nullo per la violazione delle norme relative alla sollecitazione del pubblico risparmio giacchè l'offerta in sottoscrizione o in vendita delle obbligazioni Parmalat era avvenuta in violazione della disciplina in tema di sollecitazione all'investimento prevista dal T.U.F., d.lg. 58/98 e dai regolamenti di attuazione;
· che, in particolare, le obbligazioni acquistate dal G. erano prive del prospetto imposto dall’art. 94 d.lg. cit. o comunque connotate da un prospetto recante false informazioni; trattandosi, inoltre, di obbligazioni emesse in Lussemburgo da una finanziaria formalmente estera, le banche appartenenti al consorzio di collocamento (lead o co-lead managers) avevano l’obbligo di non offrirle o venderle a risparmiatori privati, in quanto le medesime potevano essere negoziate soltanto con Investitori Professionali come definiti dagli articoli 25 e 31 del Regolamento Consob 11522/98; infine, ad ulteriore conferma della violazione delle regole sulla sollecitazione al risparmio, risultavano altresì violati gli artt 13, commi I°, 4° e 14, 1° e 2° comma del Reg Consob nr., 11971/99;
· che il contratto di acquisto in esame era comunque da ritenersi nullo o per altri versi fonte di responsabilità contrattuale per la violazione dei doveri di diligenza, correttezza e trasparenza e degli obblighi di informazione necessari imposti dal TUF e dal regolamento consob 11522 al fine di garantire ai risparmiatori consapevoli scelte di investimento nella prestazione dei servizi di investimento;
· che, in particolare, risultava violato il combinato disposto di cui agli art. 21 T.U.F, 26 e 28 Reg. Consob 11522/1998, per aver la convenuta quantomeno omesso di informarsi diligentemente sul tenore dei prodotti negoziati, mancato di informare adeguamente il cliente del rischio legato alle obbligazioni in esame e ugualmente favorito la negoziazione degli stessi pur in presenza di indici che sconsigliavano l’operazione avuto riguardo al profilo di rischio dell’investitore;
· che, peraltro, quanto alla adeguatezza del prodotto negoziato rispetto al profilo di rischio dell’investitore, proprio in ragione della mancata osservanza degli obblighi informativi di cui si è appena detto, andava rimarcata la inefficacia - per contrasto con l’art. 1469-bis c.c. - della clausola sottoscritta dal cliente all’atto del conferimento dell’incarico di acquisto dei titoli del seguente tenore: “La informiamo che l’ordine si riferisce a: un’operazione che in base alle informazioni in nostro possesso risulta anche per gli elementi di rischio in esso contenuti - per Lei inadeguata” e ciò in quanto l’avere totalmente omesso di informare il cliente circa il contenuto dell’investimento ha concretato un significativo squilibrio dei diritti e degli obblighi scaturenti dal contratto in danno dell’aderente, riferendosi espressamente tale clausola proprio a quelleinformazioni circa la capacità patrimoniale del cliente che, ove richieste - come previste per legge- avrebbero effettivamente consentito alla banca diallertare l’investitore rispetto ad un’iniziativa finanziaria considerata inadeguata in relazione al patrimonio dello stesso, così esonerandolo da eventuali responsabilità in caso di andamento negativo dell’ investimento;
· che, ancora, l’acquisto era stato effettuato in violazione al divieto di agire in conflitto di interessi sia perché al momento dell’emissione dei prestiti obbligazionari, l’istituto convenuto e/o il gruppo al quale apparteneva vantava infatti ingenti crediti nei confronti delle società del gruppo che, in considerazione delle pessime condizioni finanziarie dello stesso, erano di fatto già all’epoca inesigibili sia perché la banca ha - nella quasi totalità dei casi - alienato obbligazioni di cui era già proprietaria avendoli nel proprio portafoglio, sia infine perché, nella fattispecie in esame si è verificato anche il caso disciplinato dagli artt. 1394 e 1395 c.c. per avere la Banca Popolare di Lodi svolto le funzioni d’intermediario e al contempo di venditore.
Tanto premesso, chiedeva
- IN VIA PRINCIPALE, accertare e dichiarare la nullità del contratto d’investimento avente ad oggetto obbligazioni del gruppo Parmalat stipulato in data 06.05.2002 con la Banca Popolare di Lodi per difetto di forma e conseguente violazione dell’23 d.lgs. 24 febbraio 1998 n. 58, e comunque per illiceità della causa ai sensi degli artt. 1343 c.c. stante la violazione degli artt. 21 d.lgs. cit., nonché dell’art. 28 e 29 del Regolamento Consob n. 11522/98;
- IN SUBORDINE, pronunciare l’annullamento del contratto in parola ex artt. 1429 e segg., 1439, 1394 e 1395 c.c.;
- IN OGNI CASO, dichiarare inefficace ex artt. 1469 bis e segg. c.c. la clausola contenuta nella proposta di acquisto dei titoli del seguente tenore: La informiamo che l’ ordine si riferisce a: un’operazione che in base alle informazioni in nostro possesso risulta - anche per gli elementi di rischio in esso contenuti - per Lei inadeguata”.
- PER L’EFFETTO, dichiarare tenuta e condannare la Popolare Italiana alla restituzione della complessiva somma di € 25.790,75, oltre interessi legali dal dì della stipula del contratto al saldo;
- IN ULTERIORE SUBORDINE, dichiarare tenuta e condannare la Banca Popolare Italiana al risarcimento di tutti i danni arrecati al signor G. A. a causa dei comportamenti meglio specificati in premesse; danni tutti che si quantificano nella complessiva somma di € 25.790,75, ovvero in quell’altra somma maggiore o minore che verrà ritenuta di giustizia, oltre interessi dal dì del dovuto al saldo;
- INOLTRE, oltre alle somme sopra indicate, dichiarare tenuta e condannare la Banca Popolare Italiana al pagamento in favore del signor G. della somma di euro 10.000,00 (ovvero di quell’altra somma maggiore o minore che sarà ritenuta di equità), a titolo di danno esistenziale e comunque non patrimoniale, ex artt. 2043 e 2059 c.c., oltre interessi legali dal dì del dovuto al saldo.
Con comparsa notificata nel rispetto del termine concessole dagli attori, la convenuta contestava in fatto e diritto la prospettazione di parte attrice adducendo all’uopo la insussistenza dell’asserito conflitto di interessi, la inapplicabilità alla specie della normativa dettata in tema di sollecitazione del pubblico risparmio, l’infondatezza della dedotta annullabilità del contratto disposto, segnalando all’uopo, la correttezza del comportamento tenuto nell’attività di negoziazione nel pieno rispetto delle regole di condotta imposte dal tuf e dal regolamento consob la cui violazione, comunque, poteva provocare solo un inadempimento contrattuale e giammai la nullità dell’acquisto.
Concludeva, quindi, per la reiezione della domanda.
In esito alla notifica della comparsa di costituzione e risposta, attore e convenuta scambiavano memorie ex artt 6 e 7 dlvo 5/03.
Successivamente l’attore provvedeva a notificare istanza di fissazione d’udienza cui seguivano le note conclusive della convenuta, la designazione del relatore dal parte del Presidente e il decreto di fissazione della udienza collegiale di discussione innanzi al Collegio.
Depositate, infine, le rispettive comparse conclusionali la causa, in esito alla discussione orale innanzi al Collegio, veniva così decisa.
MOTIVI DELLA DECISIONE
Parte attrice - con ampia e articolata esposizione, non sempre immediatamente riferibile alla concreta fattispecie rimessa al vaglio del Tribunale - ha toccato quasi tutti gli snodi essenziali della tematica inerente le controversie legate alla negoziazione di strumenti finanziari sì che, al fine di rendere una statuizione quanto più intelligibile, giova riordinare i diversi profili di lagnanza, pur non necessariamente seguendo l’ordine di esposizione rappresentato in citazione.
Merita, primariamente, evidenziare che l’attore, a fronte delle diverse violazioni affermate in citazione, ha concluso chiedendo accertarsi la nullità dell’acquisto segnalato in narrativa o, in subordine l’annullabilità dello stesso o, infine, l’inadempimento contrattuale della convenuta in funzione della articolata pretesa risarcitoria. Di tali petita, per come si dirà da qui a poco, quello che correttamente si attaglia al caso in esame è esclusivamente l’ultimo, avuto riguardo, in particolare, alla violazione delle regole di condotta tracciate - dalla normativa primaria e secondaria oltre che dal contratto occorso tra le parti - in materia di negoziazione di strumenti finanziari. Tuttavia, prima, di affrontare tale tematica e di pervenire ad una valutazione nel merito della fondatezza, in parte qua, della pretesa, occorre sgombrare il campo
a) dalla affermata nullità per la mancanza del contratto quadro;
b) dalla dedotta applicabilità alla specie della disciplina dettata in materia di sollecitazione all’investimento;
c) dalla sussistenza nella specie della ipotesi di conflitto di interessi presa in considerazione dal TUF e dal regolamento consob;
d) infine, dalla opzione interpretativa, tutt’altro che infrequente nella giurisprudenza di merito, che individua nella nullità dell’acquisto il rimedio giudiziale confacente alla violazione delle regole di condotta imposte nella materia de qua agli intermediari.
La prima delle asserzioni di parte attrice, legata alla violazione dell’obbligo di forma scritta imposta dal comma I dell’art 23 del TUF, risulta agevolmente smentita dalla allegazione (doc sub 8 del fascicolo della convenuta) del contratto scritto stipulato inter partes il 13 ottobre 1999 in forza al quale è stato di poi reso l’ordinativo di acquisto oggi in contestazione.
La seconda questione da affrontare è quella che mira ad accertare se nella specie è stata realizzata, così come sostiene la convenuta, una mera negoziazione per conto proprio ovvero, per come affermato dall’attore, una sollecitazione all’investimento, trattandosi di attività ontologicamente differenti soggette ad una diversa disciplina.
La questione presuppone, a monte, la soluzione di un profilo probatorio: occorre cioè chiarire se, una volta dedotta in giudizio dall’investitore - attore la riconducibilità dell’operazione contestata al profilo della sollecitazione, graverà su questi o, per contro, sull’intermediario convenuto, l’obbligo di allegare gli elementi probatori utili a ricostruire la specifica vicenda negoziale.
Ora, è noto che ai sensi dell’art 1 lettera t del Tuf costituisce sollecitazione all’investimento “ ogni offerta, invito ad offrire o messaggio promozionale, in qualsiasi forma rivolti al pubblico, finalizzati alla vendita o alla sottoscrizione di prodotti finanziari”; ancora, che la disciplina chiamata a regolare tale attività è diversa da quella tracciata dagli artt 21 e ss del Tuf e dal regolamento 11522/98 della Consob per i servizi di investimento - tra i quali va annoverato quello della negoziazione, per conto proprio o altrui, degli strumenti finanziari – trovando qui applicazione le regole sancite dall’art 94 e ss sempre del tuf e, quanto alla normazione secondaria, il regolamento consob 11971/99.
Per aversi sollecitazione occorre quindi una offerta (di vendita o sottoscrizione di prodotti finanziari), non importa in che forme resa, indistintamente rivolta ad incertam personam, a condizioni standardizzate; ed è proprio per la sua direzione – e quindi per l’esigenza primaria di preservare la fiducia del pubblico dei risparmiatori - che la sollecitazione va preceduta dalla pubblicazione di un prospetto (esplicativo di tutte le informazioni necessarie a consentire al pubblico degli investitori una valutazione consapevole sia dell’emittente che del prodotto) da comunicare alla Consob, chiamata, in taluni casi, ad autorizzarne preventivamente la propalazione (per i prodotti finanziari non quotati né diffusi tra il pubblico) e comunque tenuta ad intervenire con misure interdittive anche cautelari in caso di accertata sussistenza di violazioni inerenti la disciplina in esame.
La negoziazione, per contro, si sostanzia in una attività individualizzata di compravendita di strumenti finanziari, realizzata, di volta in volta, a condizioni differenziate e non standardizzate; può essere per conto proprio (se l’intermediario ha acquistato i titoli e li rivende al cliente al fine di lucrare la differenza tra il prezzo di acquisto e vendita dello strumento compravenduto) o per conto terzi (dove l’intermediario agisce nell’interesse esclusivo del cliente acquisendo una provvigione); non è soggetta ai penetranti controlli sopra esposti per la sollecitazione ma, poiché attraverso essa si mette comunque in gioco il superiore interesse della integrità dei mercati e considerando, altresì, l’ esigenza di tutela dell’investitore per la asimmetria informativa che ne connota sfavorevolmente la posizione a fronte di quella propria dell’intermediario, si vede assoggettata ad una serie di regole di condotta normativamente prefissate, dirette ad incidere in modo sostanziale sul comportamento chiesto agli intermediari.
È di tutta evidenza che, a prescindere dai rimedi civilistici conseguenziali alle violazioni delle regole di condotta diversamente dettate (verosimilmente non differenti), ciò che distingue le due ipotesi è il dato dei diversi comportamenti chiesti all’intermediario nell’un caso e nell’altro, dovendosi escludere, ad esempio, che nella negoziazione acquisisca rilievo la presenza del prospetto informativo.
Tanto precisato, ad opinione del Collegio, introdotto in giudizio il tema della sollecitazione, grava sull’intermediario l’onere di dimostrare che nella specie il riferimento alla stessa si rivela non conducente. E ciò per ragioni diverse, in parte fondate su considerazioni di ordine generale, in parte determinate dalla peculiarità degli interessi cui risulta finalizzata tutta la disciplina di settore.
Prendendo le mosse da quest’ultimo dato, giova segnalare come - aderendo sul punto alla disamina interpretativa recentemente prospettata in materia da attenta dottrina - le esigenze di trasparenza e correttezza che permeano la disciplina normativa della sollecitazione all’investimento ed improntano gli obblighi gravanti sugli emittenti, offerenti e intermediari collocatori al fine precipuo di garantire i destinatari dell’offerta pubblica, ben possano giustificare lo spostamento in capo all’intermediario dell’onere di allegare e comprovare gli elementi in fatto grazie ai quali risalire alla esatta individuazione dell’attività connotante l’acquisto di specie anche alla luce del peculiare principio dettato dall’art 23 del Tuf in tema di servizi di investimento cui può farsi riferimento in via di interpretazione analogica.
Guardando poi ai principi generali e, in particolare, a quello di cosiddetta vicinanza della prova, può altresì coerentemente affermarsi che grava sull’intermediario convenuto - chiamato, nella prospettazione dell’attore, a rispondere del mancato adempimento agli obblighi imposti dalla sollecitazione all’investimento - l’onere di dimostrare di aver osservato il precetto normativo o, ancor più in radice, di non aver tenuto comportamenti elusivi dello stesso proprio perché altre e diverse erano le regole di condotta da osservare alla luce della effettiva consistenza dell’attività posta in essere. Del resto, sembra evidente che la reale entità della operazione posta in essere ben più agevolmente potrà essere giudizialmente chiarita dall’intermediario il quale, attraverso la deduzione e la dimostrazione di chiare circostanze positive, immediatamente legate alle modalità di effettuazione dell’operazione di acquisto, potrà smentire la sussistenza del presupposto indefettibile della sollecitazione, id est la offerta standardizzata e rivolta generalmente al pubblico del prodotto in contesa, per portare la fattispecie sotto l’egida della mera negoziazione individuale.
Passando al caso di specie, ritiene il Tribunale che la banca convenuta ha compiutamente dato prova della riconducibilità del rapporto in esame alla figura della negoziazione (in particolare in contropartita diretta), adducendo una serie di circostanze mai contraddette dalla difesa dell’attore tanto da divenire incontroverse anche alla luce del disposto di cui all’art 10 comma III del dlvo 5/03. In particolare, dall’insieme delle - non meno copiose - asserzioni difensive formulate dalla banca in risposta alle lamentele articolate dall’attore può evincersi, quanto alla operazione che occupa:
· che le obbligazioni acquistate dal G. facevano parte di una emissione resa da società estera sull’euromercato, diretta ad investitori professionali e come tale, per ciò solo (ex art 100 del Tuf) non accompagnate dal prospetto informativo;
· che essa convenuta non faceva parte del consorzio di collocamento delle dette eurobbligazioni e che aveva provveduto all’acquisto da potere di altro investitore professionale che dal detto consorzio si era approvvigionato;
· che, entrate nel proprio portafoglio, tale obbligazioni erano state poste a disposizione dei clienti secondo un sistema di scambi organizzati ex art 78 TUF e per il tramite di negoziazioni individuali – e quindi senza procedere ad alcuna offerta generalizzata, indistinta e standardizzata – così come dimostrato dal diverso valore di acquisto ascritto alle dette obbligazioni nei mesi immediatamente precedenti e successivi l’operazione che occupa (doc 5 sempre del fascicolo di parte opposta);
· che nella specie, a seguito della stipula del contratto quadro, il G. aveva spontaneamente deciso di investire, tra i diversi titoli a sua disposizione, parte del suo portafoglio nelle dette obbligazioni.
Questa ricostruzione in fatto della vicenda negoziale che occupa, favorita in parte dalle allegazioni documentali di parte convenuta, in parte dalla mancata e precisa contestazione di parte attrice avverso le deduzioni rese sul punto in giudizio dalla banca, consente al Tribunale di escludere ogni fondatezza e rilievo al richiamo, operato dall’attore, alle regole disciplinanti la sollecitazione all’investimento. Più precisamente l’offerta relativa alle obbligazioni in questione non necessitava del prospetto informativo perché diretta, in prima battuta, ad investitori professionali (art 100 Lett a del Tuf); gli intermediari che ebbero a partecipare al relativo consorzio di collocamento e quelli che ebbero ad acquistare dai primi avrebbero potuto immettere, quindi, sul mercato secondario i detti strumenti finanziari pur in assenza del prospetto informativo senza tuttavia operare offerte generalizzate e standardizzate, tali da far divenire nuovamente attuale la ipotesi della sollecitazione, ma procedendo a negoziazioni individuali; semmai, per come si dirà più precisamente da qui a poco, la modalità di introduzione dei prodotti finanziari in oggetto sul mercato della clientela retail, alla luce della peculiare natura dell’emissione (resa in paesi tali da consentire con facilità il superamento del limite massimo di cui all’art 2410 cc all’epoca vigente), lungi dal portare l’operazione nell’ambito della sollecitazione ha avuto piuttosto l’effetto di accrescere il grado di diligenza chiesta all’intermediario nel rendere al cliente le necessarie informazioni utili a garantirne una scelta consapevole.
Negata fondatezza al richiamo alla disciplina della sollecitazione, del pari deve negarsi, venendo alla terza delle tematiche dibattute e sulla base delle considerazioni in fatto sopra esposte, che l’operazione in questione ebbe a realizzarsi in presenza del conflitto di interessi stigmatizzato dalla lettera c dell’art 21 del Tuf e regolamentato, quanto alla condotta richiesta all’intermediario, dall’art 27 del regolamento nr 11522 della Consob.
Osserva all’uopo il Tribunale (con il conforto, sul punto di non pochi precedenti di merito Cfr da ultimo Trib Genova 8 maggio 2006; 16 Maggio 2006; Trib Milano 26 aprile 2006, tutte su www.ilcaso.it) che la semplice circostanza in forza alla quale sì è in presenza di negoziazioni di titoli compiute dalla banca in contropartita con il cliente non è tale far ritenere sussistente il dedotto conflitto di interessi laddove la compravendita, così come nella specie appare processualmente incontroverso, si sia perfezionata sulla base di un ordine conferito spontaneamente dal cliente e manchi, per contro, la prova che l'operazione si sia perfezionata su suggerimento o su sollecitazione dell'intermediario diretta a perseguire scopi ulteriori e diversi rispetto alla realizzazione dell'interesse del cliente. Di più. Volta che si ritenga incontroversa la circostanza in forza alla quale la convenuta non era ricompresa tra le banche facenti parte del consorzio di collocamento delle emissioni in oggetto, risulta di poi del tutto irrilevante l’ulteriore aspetto (allo stato non provato ma per quanto sopra estraneo alle esigenze probatorie del processo che occupa) dell’indebitamento dell’emittente nei confronti dell’intermediario, inutilmente addotto dalla attrice a sostegno della lagnanza in oggetto.
Ne viene che, alla luce di quanto sopra, anche il lamentato conflitto di interessi non trova nella specie alcuna conferma.
Erronee in diritto devono, infine, ritenersi le prospettazioni attoree che riportano sul versante della nullità o in subordine della annullabilità dell’acquisto la sanzione prevista dall’ordinamento in caso di riscontrata violazione delle regole di condotta gravanti sull’intermediario nel compimento dell’attività di negoziazione. E ciò in quanto, a parere del Tribunale, malgrado il contrario orientamento espresso in materia da buona parte della giurisprudenza di merito (cfr, nel segno della nullità, Trib. Mantova 18/3/04 in Società, 2004, 1139; ancora sempre Trib. Mantova 12/11/04, Trib. Firenze 30 Maggio 2004, Trib. Milano 7 ottobre 2004, Trib Venezia 22/11/04, tutte in in Giur. It. 2005, 754), il rimedio giudiziale che meglio si attaglia a siffatte violazione è quello della risoluzione e/o del risarcimento da inadempimento contrattuale.
La valutazione interpretativa che occupa non può di certo prescindere dalla preventiva qualificazione del quadro negoziale di riferimento cui ancorare i rapporti tra gli odierni contraddittori; quadro, questo, che sembra indispensabile nell’ottica di una esauriente comprensione in primis della disciplina sottesa a siffatta situazione contrattuale e quindi del contenuto e soprattutto della natura delle regole di condotta che nella specie si assumono violate.
In punto di fatto, va segnalato come con contratto dell’ottobre 1999 l’ attore ebbe a conferire alla convenuta l’incarico a tempo indeterminato, di negoziare, ricevere o trasmettere ordini su strumenti finanziari secondo le modalità ivi espressamente regolate (doc sub 8 del fascicolo della convenuta); in ottemperanza all’impegno a monte assunto con il contratto sopra citato e allo specifico ordine impartitole dall’investitore la banca convenuta ha poi provveduto ad acquistare le obbligazioni Parmalat descritte in narrativa (doc sub 7 stesso fascicolo).
Questo il quadro fattuale di riferimento, va poi osservato che la fattispecie in esame trova diretta regolamentazione oltre che nel programma negoziale sopra riferito anche e soprattutto nella disciplina di settore (pedissequamente trasfusa nel primo), raccolta sia nel TU 58/98 (artt 21 e 23 per quel che qui più direttamente interessa) che nel successivo regolamento attuativo della Consob nr 11522/98 (artt da 26 a 30) che, com’è noto, costituiscono le fonti normative, primaria e secondaria, in seno alle quali risultano cristallizzati i doveri degli intermediari finanziari nello svolgimento dei servizi di investimento Più in particolare, l’art 21 del TUF prevede – tra gli altri criteri generali – che, nella prestazione dei servizi di investimento e accessori, i soggetti abilitati devono “comportarsi con diligenza, correttezza e trasparenza, nell'interesse dei clienti e per l'integrità dei mercati (lettera a), acquisire le informazioni necessarie dai clienti e operare in modo che essi siano sempre adeguatamente informati (lettera b)”. In attuazione del precetto generale dettato nel Tuf, l’art 26 del regolamento 11522 sancisce poi a carico degli intermediari, sempre nell'interesse degli investitori e dell'integrità del mercato mobiliare, “l’obbligo di acquisire una conoscenza degli strumenti finanziari, dei servizi nonché dei prodotti diversi dai servizi di investimento, propri o di terzi, da essi stessi offerti, adeguata al tipo di prestazione da fornire (lettera e)“; ai sensi del successivo art 28 è altresì previsto che “prima della stipulazione del contratto di gestione e di consulenza in materia di investimenti e dell'inizio della prestazione dei servizi di investimento e dei servizi accessori a questi collegati, gli intermediari autorizzati devono chiedere all'investitore notizie circa la sua esperienza in materia di investimenti in strumenti finanziari, la sua situazione finanziaria, i suoi obiettivi di investimento, nonché circa la sua propensione al rischio” mentre “l'eventuale rifiuto di fornire le notizie richieste deve risultare dal contratto di cui al successivo articolo 30, ovvero da apposita dichiarazione sottoscritta dall'investitore”; ancora, giusta il comma II del citato art 28, “gli intermediari autorizzati non possono effettuare o consigliare operazioni o prestare il servizio di gestione se non dopo aver fornito all'investitore informazioni adeguate sulla natura, sui rischi e sulle implicazioni della specifica operazione o del servizio, la cui conoscenza sia necessaria per effettuare consapevoli scelte di investimento o disinvestimento”; infine, l’art 29 stesso regolamento, espressamente impone che “gli intermediari autorizzati debbono astenersi “dall'effettuare con o per conto degli investitori operazioni non adeguate per tipologia, oggetto, frequenza o dimensione” dovendo, in tali casi, informare l’investitore della inadeguatezza dell’operazione e delle ragioni per cui non è opportuno procedere alla sua esecuzione e provvedere alla stessa solo in esito ad “un ordine impartito per iscritto ovvero, nel caso di ordini telefonici, registrato su nastro magnetico o su altro supporto equivalente, in cui sia fatto esplicito riferimento alle avvertenze ricevute”.
Il quadro normativo sopra riferito, pedissequamente richiamato in più punti dal programma negoziale adottato nella specie dalle parti, porta il Collegio a ritenere che lo schema relativo alla negoziazione di strumenti finanziari, pur se non esaustivamente riconducibile alle figure codicistiche del mandato o della commissione, trova tuttavia in questi tipi contrattuali forti momenti di analogia che divengono punti di assoluta identità con specifico riguardo agli ordini impartiti all’investitore e portati ad esecuzione dall’intermediario in forza dell’incarico conferito a monte. Più precisamente, ma per forza di cose succintamente, ritiene il Collegio:
a) che i particolari doveri imposti normativamente agli intermediari, icasticamente riassunti nella sinergia tra gli obblighi di informarsi (sulla situazione finanziaria del cliente, sulla propensione al rischio dello stesso, sulla conoscenza che questi ha del mercato finanziario e sulle connotazioni del prodotto oggetto dell’investimento), informare (il cliente della tipologia del prodotto finanziario oggetto di interesse) e di non effettuare operazioni non adeguate (alle informazioni attive e passive sopra riferite), trovano una immediata giustificazione nella esigenza di ridurre la asimmetria informativa che contraddistingue le relazioni tra intermediario e investitore e si sostanziano, conseguentemente, in regole di condotta sicuramente più stringenti rispetto a quelle dettate nel codice civile in punto ai doveri di correttezza, lealtà e diligenza chiesti al mandatario;
b) che tuttavia, pur se gli obblighi gravanti sull’intermediario non consentono di ricondurre lo schema del contratto relativo alla negoziazione di strumenti finanziari pacificamente e pedissequamente alla figura del mandato, non v’è ragione, per contro, per distinguere tra l’ordine impartito dall’investitore all’intermediario e le istruzioni dettate dal mandante al mandatario nella esecuzione del mandato, trattandosi in entrambi i casi di dichiarazioni non negoziali di volontà (cd determinative) cui fa seguito una mera attività esecutiva (l’acquisto o il disinvestimento) che non si concreta in un ulteriore accordo tra le parti (proprio perché l’intermediario esegue e non accetta di eseguire l’ordine);
c) che quanto affermato sub b) trova conferma nel disposto dell’art 29 del regolamento 11522 che, in presenza di operazioni non adeguate, in prima battuta legittima l’intermediario ad astenersi dall’esecuzione ma poi impone allo stesso di dare comunque corso all’ordine in caso di insistenza in tal senso manifestata dal cliente all’uopo debitamente informato.
Ne viene che, alla luce di quanto sopra, il contratto stipulato inter partes, pur se non riconducibile, pedissequamente, all’alveo della disciplina dettata in tema di mandato, da questa tuttavia deriva la sua struttura di base (concretandosi in un contratto di durata con il quale l’investitore conferisce all’intermediario l’incarico avente ad oggetto, per l’appunto, l’attività di negoziazione e raccolta ordini su strumenti finanziari) dalla quale devia in termini di evidente rilevanza in punto alla regolamentazione degli obblighi di diligenza imposti al mandatario (in considerazione della specialità dell’oggetto dell’incarico e dei soggetti che lo eseguono) ma non con riferimento al momento della esecuzione dell’incarico.
Ciò precisato, osserva il Tribunale che, come sopra già evidenziato, alla violazione delle prescrizioni contenute negli artt 21 TUF e 28 e 29 Reg 11522/98 parte della giurisprudenza fa seguire la nullità dell’ ordine di acquisto dei titoli per la natura imperativa dei precetti violati.Più precisamente, si sostiene che le norme in questione sono poste a presidio di interessi che superano la sfera soggettiva del contraente immediatamente interessato, perchè dirette a tutelare l’ordine pubblico economico costituzionalmente garantito; e si richiama a conforto l’arresto reso dalla Corte regolatrice (sent. Nr 3272/2001) in forza al quale “ in presenza di un negozio contrario a norme imperative, la mancanza di una espressa sanzione di nullità non è rilevante ai fini della nullità dell'atto negoziale in conflitto con il divieto, in quanto vi sopperisce l'art. 1418, comma 1, c.c., che rappresenta un principio generale rivolto a prevedere e disciplinare proprio quei casi in cui alla violazione dei precetti imperativi non si accompagna una previsione di nullità. Pertanto - poiché il carattere inderogabile delle disposizioni della l. 2 gennaio 1991 n. 1, che prevedono la necessità dell'iscrizione all'albo delle società di intermediazione mobiliare, previo accertamento da parte della CONSOB della sussistenza di una serie di requisiti, deriva dalla natura, pubblica e generale, degli interessi con esse garantiti, che concernono la tutela dei risparmiatori "uti singuli" e quella del risparmio pubblico come elemento di valore della economia nazionale - è affetto da nullità assoluta il contratto di "swap" (da annoverare tra le attività di intermediazione mobiliare disciplinate dalla suddetta legge) stipulato, in contrasto con la stessa, da un intermediario abusivo, atteso l'interesse dell'ordinamento a rimuovere detto contratto per le turbative che la conservazione di esso è destinata a creare nel sistema finanziario generale”.
L’assunto non convince.
È incontrovertibile che le ragioni poste a fondamento dell’intervento normativo cristallizzato nel TUF e nel regolamento Consob più volte citato superano la sfera soggettiva del singolo contraente debole, il risparmiatore non professionale privo delle necessarie conoscenze utili ad un consapevole approccio con il mercato finanziario, così che il rafforzamento degli obblighi di condotta imposti in nome delle regole di correttezza, lealtà e diligenza ordinariamente dettate dal diritto comune con riferimento alla fase di esecuzione del contratto appare diretto non solo a realizzare una riduzione del gap informativo che connota i rapporti tra investitore e intermediario ma anche (per il tramite della prima) a garantire la realizzazione di un interesse della collettività quale quello della “integrità dei mercati" espressamente richiamato dall’art 21 del TUF. Nè, ancora, si vuole mettere in discussione la natura imperativa (peraltro confermata dall’art 190 del TUF) dei precetti in esame che, come più volte affermato in dottrina e giurisprudenza, costituiscono canoni comportamentali immediatamente conformanti il regolamento negoziale a prescindere da una esplicita sussunzione delle dette regole nelle specifiche ipotesi di contratto all’uopo stipulate.
Ciò che non convince, piuttosto, è il tipo di rimedio suggerito per la violazione delle regole di condotta sancite da queste norme.
Non può non evidenziarsi, in primo luogo, che non sempre la violazione di una norma imperativa porta con se la nullità del contratto. Lo precisa l’art 1418 comma I che, nel prevedere le ipotesi di nullità virtuali da contrapporre a quelle testuali di cui al II comma, fa espressamente salvi i casi in cui è la stessa legge a prevedere un diverso rimedio a fronte della violazione del precetto imperativo.
Va poi sottolineato come nella specie trattasi di violazioni legate a norme di condotta, id est a comportamenti imposti ex lege ai singoli contraenti e divenuti parte integrante dei relativi contatti a prescindere da specifici richiami giusta l’art 1374 cc; e la violazione di obblighi comportamentali in genere è destinata a provocare vizi non genetici – incidenti cioè sulla conclusione del contratto – bensì funzionali, inerenti quindi ad un contratto già perfezionato e strumentali a rimedi diversi dalla nullità quale la risoluzione del contratto e/o il risarcimento da inadempimento.
Non ignora peraltro il Collegio che negli anni, a livello legislativo e con ricadute non irrilevanti sul piano interpretativo, si è via via ridotta la linea di demarcazione tra regole di validità e regole di comportamento, quest’ultime in diverse occasioni considerate non più in prospettiva dello scioglimento dal rapporto e del risarcimento del danno bensì quali vizi direttamente incidenti sul momento genetico dell’accordo (proprio con riferimento al TUF, vedi l’art 122 comma III). Siffatta tendenza va, tuttavia, radicalmente esclusa la dove il legislatore, espressamente, abbia preso posizione per mantenere la violazione di regole comportamentali nell’ambito tradizionale dei vizi funzionali concretanti inadempimento agli obblighi contrattuali. E nella specie, il mantenimento dell’ordinario sillogismo tra regole di comportamento e giudizi di responsabilità trova una inequivoca conferma nel disposto di cui all’art 23 comma VI del TUF la dove, nel regolare l’onere della prova inerente il rispetto del grado di diligenza richiesto all’intermediario, viene espressamente precisato che la regola è destinata ad operare “ nei giudizi di risarcimento dei danni cagionati al cliente nello svolgimento dei servizi di investimento”, così chiarendo che la violazione delle regole di condotta imposte all’intermediario è destinata ad incidere funzionalmente sul contratto ai fini della risoluzione e del risarcimento danni e non sulla conclusione dell’accordo.
Non sembra poi conducente il richiamo al precedente della Corte regolatrice sopra riportato. L’ipotesi affrontata e risolta dalla Corte, peraltro nella vigenza della legge 1/91, da ultimo superata dal TUF, involgeva la stipula di un contratto di negoziazione per il tramite di un intermediario abusivo; ed è di tutta evidenza che in siffatta ipotesi, la violazione di legge incideva direttamente sulla capacità del soggetto a stipulare inerendo quindi alla fase genetica del rapporto, al contratto come atto e non come rapporto. Più in particolare, così come recentemente affermato da altro Tribunale (Roma, sentenza del 25/5/05, ad oggi inedita, che si riporta pedissequamente per la relativa chiarezza) la pronuncia in questione riguardava un caso di “ difformità tra fattispecie e schema normativo, cioè di contrasto – accertato all’esito di un confronto per così dire statico – tra modello negoziale configurato dalla legge in astratto (con riguardo ad esempio ai requisiti soggettivi che devono essere posseduti da uno dei contraenti) e fattispecie realizzata dalle parti in concreto” mentre, nel caso in esame, le disposizioni violate “ prescrivono obblighi comportamentali di cui si deve accertare in concreto l’esatto adempimento da parte della banca, alla luce dei parametri di diligenza stabiliti dalla legge nell’ambito di un giudizio di responsabilità da inadempimento”
Del resto ed infine, sul punto, militano in favore della tesi contraria alla nullità e favorevole all’inadempimento le ulteriori seguenti considerazioni.
In primis, va ricordato che la dove il legislatore, nel TUF, ha voluto correlare a specifiche violazioni la sanzione della nullità lo ha fatto espressamente (cfr l’art 23 commi I e II, in tema di forma scritta del contratto di investimento e di richiamo agli usi); e lo ha fatto introducendo una nullità relativa, rilevabile cioè solo da parte dell’interessato, mentre pare al Collegio che in assenza di una apposita previsione esplicita da parte del legislatore, l’eventuale nullità virtuale qui ricavabile in via ermeneutica non potrebbe che essere assoluta.
Se fosse così, tuttavia, resterebbe da chiedersi come possa ritenersi logico un sistema che, per le ipotesi ben più pregnanti e di certo incidenti sulla formazione dell’accordo, quali quelle legate alla trasparenza delle operazioni di intermediazione sottese al vincolo di forma, prevede, in modo esplicito, una nullità per così dire attenuata mentre colpisce, per contro, violazioni inerenti obblighi di condotta con la nullità, non espressamente sancita, assoluta del contratto.
Seguendo la tesi interpretativa qui criticata, resta poi poco comprensibile il disposto di cui all’art 28 comma I lettera a Regolamento Consob in forza al quale se per un verso, prima della stipulazione del contratto di gestione e di consulenza in materia di investimenti e dell'inizio della prestazione dei servizi di investimento e dei servizi accessori a questi collegati, gli intermediari autorizzati devono, (in quell’ottica) a pena di nullità (per la natura collettiva e non individuale dell’interesse tutelato), chiedere all'investitore notizie circa la sua esperienza in materia di investimenti in strumenti finanziari, la sua situazione finanziaria, i suoi obiettivi di investimento, nonché circa la sua propensione al rischio, per altro verso consente all’intermediario di non procedere alla acquisizione di siffatti dati, sempre che il cliente si sia rifiutato di fornire le notizie richieste e tale rifiuto risulti dal contratto di cui al successivo articolo 30, ovvero da apposita dichiarazione sottoscritta dall'investitore.
Lascia perplessi, infatti, l’attribuzione ad una parte, l’investitore, non titolare esclusivo dell’interesse tutelato, della possibilità di consentire omissioni relative a regole comportamentali poste a tutela di interessi superiori, e quindi estranee al suo potere di disposizione; per contro, la norma riacquisisce razionalità intrinseca ove ci si sposti dal piano della validità a quello della responsabilità, ferma, peraltro, la considerazione, sulla quale si dirà da qui a poco, che in tali ipotesi, sempre in nome degli interessi sovra individuali che connotano tali rapporti negoziali, l’intermediario sarà comunque tenuto, per un adempimento immune da censure, a valutare l’adeguatezza della operazione proposta considerando, in mancanza di altri dati utili al fine, il profilo di investitore avente la propensione al rischio più bassa.
Infine, la scelta interpretativa della nullità, pur se spinta dalla non emendabile intenzione di garantire - tramite la sanzione più radicale – la piena realizzazione degli interessi in gioco, involgenti il singolo contraente ed il regolare e corretto funzionamento dei mercati, potrebbe tuttavia portare nella pratica ad effetti distorsivi del tutto contrastanti con le finalità che la hanno motivata.
Va ricordato, infatti, che la declaratoria di nullità prescinde da una valutazione della incidenza della condotta asserita siccome illegale sull’assetto di interessi, immediato o indiretto, che appare sotteso alla singola negoziazione. Allontanandosi, cioè, dalla responsabilità per l’inadempimento, si finisce per considerare motivi di nullità omissioni o comportamenti che non risultando in linea con le regole di condotta normativamente imposte, non sono comunque destinati, ad incidere nè sull’interesse dell’investitore a stipulare nè, in via mediata, sulla stessa “ integrità del mercato”, tanto da favorire possibili speculazioni da parte del cliente che, innanzi ad una debacle dello strumento prescelto in alcun modo addebitabile all’intermediario, intenda approfittare del rimedio per privare di effetti una scelta, a monte, incauta. Con la particolarità, non del tutto irrilevante, che nella specie manca una specifica tipizzazione delle ipotesi di nullità, trattandosi di regole di condotta che non consentono una preventiva analitica tipizzazione normativa diversamente da quanto la forza dirimente del rimedio suggerito sembra invece imporre.
Ritiene quindi il Tribunale (oggi peraltro con il conforto, quantomeno in punto alla soluzione adottata, di non pochi precedenti conformi nel variegato panorama recentemente espresso dalla giurisprudenza di merito nella materia de qua: vedi Trib. Taranto, 27 Ottobre 2004, in Giur IT 2005,, 754; la citata Trib. Roma 25/5/05; Trib Monza, sez Desio, 27/7/04 in Resp Civ e Prev 2005, 135; Trib. Genova 15 Marzo 2005, ad oggi inedita; Trib Rimini 11 maggio 2005, Trib Torino 7 novembre 2005, Trib Milano 24 novembre 2005, queste ultime tutte pubblicate su Giur It 2006, 521;) che alla luce di quanto sopra, a fronte di una asserita violazione degli obblighi di condotta, imposti ex lege e trasfusi in contratto gravanti, nei contratti di investimento, sull’intermediario, al cliente spetta il rimedio della risoluzione da inadempimento e/o del risarcimento del danno.
L’inadempimento, in particolare, attiene alla avvenuta esecuzione dell’ordine impartito dall’investitore senza ottemperare ai canoni comportamentali che trovano fonte immediata nel contratto di investimento e mediata nelle disposizioni di legge e regolamentari che disciplinano la materia de qua. Con l’ulteriore precisazione, per completezza di disamina, che, in ipotesi di iniziativa volta alla risoluzione
· ad essere aggredito è il contratto base di investimento e non l’ordine, che costituisce solo un momento esecutivo e non un accordo;
· la gravità dell’inadempimento andrà vagliata tendendo conto della natura degli interessi tutelati, non esclusivamente riconducibili alla sfera soggettiva del contraente investitore
· comunque, vertendosi in ipotesi di contratto di durata, opera il disposto di cui all’art 1458 cc e viene quindi travolto il contratto (di investimento) limitatamente al solo ordine negoziato in difformità agli obblighi di condotta, senza che la risoluzione si estenda agli altri ordini e acquisti posti in essere in forza del contratto base e che la stessa possa comunque incidere sul contratto di acquisto realizzato dall’intermediario con il terzo sul mercato).
Del resto, la scelta interpretativa qui espressa, trova oggi ulteriore supporto in un recente arresto della Corte regolatrice (Cass 19024/05 IN Giur Comm 2006, 4, 626) che nega fondatezza alla tesi della nullità virtuale.
Per la verità, è a dirsi che con la statuizione in oggetto la Corte, a differenza di quanto ritiene il Tribunale, finisce con l’affermare che la violazione delle regole di condotta in questione è fonte di responsabilità precontrattuale e non motivo di inadempimento contrattuale.
Tale scelta, tuttavia, non pare del tutto convincente, malgrado l’autorevolezza della fonte. Ciò in quanto la valutazione resa dalla Cassazione nell’occasione sembra prescindere da una corretta ricostruzione del fenomeno negoziale in esame e, in particolare, dei rapporti correnti tra il contratto quadro e i singoli ordini di acquisto impartiti dal cliente all’intermediario. Se si ritiene, così come ne è convito il Tribunale per quanto sopra più dettagliatamente evidenziato, che i singoli ordini di acquisto effettuati in base al contratto quadro debbano essere ricondotti nell’ambito delle dichiarazioni di volontà prive di natura negoziale (cd determinative) alla stregua degli atti esecutivi posti in essere dal mandatario su incarico del mandante nell’adempimento del contratto, non può poi non evidenziarsi l’assenza di sufficienti spazi per pervenire sia alla conclusione della responsabilità pre-contrattuale sostenuta dalla Corte regolatrice che, del resto, a quella della annullabilità (addotta dalla difesa dell’attore tra le diverse e gradate prospettazioni articolate in citazione), le quali entrambe, indefettibilmente, presuppongono la natura negoziale e quindi la presenza di un accordo tra cliente e intermediario anche con riferimento ai singoli ordini di acquisto.
Considerato quanto sopra, non resta che scendere nel merito per valutare la fondatezza delle lagnanze di parte attrice funzionalizzate al risarcimento del danno legato all’inadempimento ascritto alla convenuta.
Guardando alle doglianze articolate in citazione, è agevole evidenziare che il Guidotto lamenta per un verso l’insufficienza delle informazioni fornite dall’intermediario in ordine al tenore dell’operazione compiuta e quindi l’inadeguatezza del prodotto finanziario acquistato se raffrontato al profilo di investitore ad esso riferibile; si duole, ancora, del mancato suggerimento da parte della convenuta quanto al disinvestimento dei titoli una volta manifestatosi in tutta la sua evidenza lo stato di difficoltà economica della impresa emittente. Si aggancia, quindi, nel prospettare l’inadempimento di parte convenuta, alle regole di condotta generale tracciate dagli artt 28 comma II (in forza al quale, come si è visto “gli intermediari autorizzati non possono effettuare o consigliare operazioni o prestare il servizio di gestione se non dopo aver fornito all'investitore informazioni adeguate sulla natura, sui rischi e sulle implicazioni della specifica operazione o del servizio, la cui conoscenza sia necessaria per effettuare consapevoli scelte di investimento o disinvestimento”) e 29 regolamento consob 11522/98 (il quale impone che “gli intermediari autorizzati debbono astenersi “dall'effettuare con o per conto degli investitori operazioni non adeguate per tipologia, oggetto, frequenza o dimensione” dovendo, in tali casi, informare l’investitore della inadeguatezza dell’operazione e delle ragioni per cui non è opportuno procedere alla sua esecuzione e provvedere alla stessa solo in esito ad “un ordine impartito per iscritto ovvero, nel caso di ordini telefonici, registrato su nastro magnetico o su altro supporto equivalente, in cui sia fatto esplicito riferimento alle avvertenze ricevute”).
L’ultimo dei motivi di inadempimento addotti va negato in radice per l’evidente infondatezza in diritto del relativo assunto.
Va infatti escluso che in forza del contratto di negoziazione stipulato inter partes gravasse sull’intermediario l’obbligo specifico di attivarsi per favorire il disinvestimento del titolo in ipotesi di verosimile default dello stesso.
Più precisamente, ritiene il Tribunale che l’attività di consulenza finanziaria che si accompagna implicitamente al contratto di negoziazione e che appare sottesa ai tre momenti dell’obbligo di informarsi, informare e valutare l’adeguatezza dell’ordine impartito, trova un limite invalicabile, per l’appunto, nella negoziazione finalizzata all’acquisto o al disinvestimento, dovendosi escludere, per il resto, che gravi sull’intermediario in tali casi un obbligo specifico di monitorare l’andamento del titolo (e quindi della situazione finanziaria dell’emittente) al fine di suggerire all’investitore di intervenire sul mercato per ridurre eventuali conseguenze negative collegabili a probabili default. E nella specie è pacifico, seguendo lo stesso assunto di parte attrice, che non venne conferito alcun ordine di disinvestimento nelle forme convenzionali imposte dal contratto base; circostanza, questa che avrebbe, per contro, attivato gli oneri comportamentali imposti all’intermediario si da poter concretare l’inadempimento lamentato in caso di ingiustificata omissione tout court o di suggerita inadeguatezza della operazione di disinvestimento.
Né, ancora, la sussistenza di un siffatto specifico obbligo può ritenersi desumibile dal regolamento negoziale inerente il collegato e accessorio rapporto di deposito titoli e custodia nella specie stipulato contestualmente al contratto base di negoziazione. Non si è, in tal caso, infatti, in presenza di un servizio di gestione su base discrezionale della Banca ma di un servizio di negoziazione, raccolta e trasmissione di ordini collegato ad un contratto di amministrazione c.d. statica, avente ad oggetto la mera custodia degli strumenti finanziari dei clienti. E nell’ambito di tale ultimo rapporto, la banca è abilitata a porre in essere esclusivamente le operazioni specificamente disposte dal cliente in forza e con le forme imposte dal contratto di negoziazione, risultandole preclusa la possibilità di attivarsi autonomamente nella gestione degli strumenti finanziari custoditi.
L’inadempimento deve piuttosto ritenersi comprovato già con riferimento alla violazione del primo dei degli obblighi di condotta sopra enunziati.
Giova in primo luogo ricordare che ai sensi del già citato art 23 TUF gravava sull’intermediario l’obbligo processuale di fornire la prova del puntuale e corretto adempimento al dovere di informazione imposto dalla normativa citata. E siffatta prova non è stata fornita avuto riguardo, per un verso, alla circostanza che le affermazioni di parte convenuta sul punto, contestate in radice della attrice già in forza della stessa prospettazione dei fatti, sono rimaste sul piano, inadeguato, delle mere asserzioni verbali e, per altro verso, per la intrinseca inidoneità delle stesse alla realizzazione del fine processuale perseguito (id est la prova del puntuale adempimento dell’obbligo di informare il cliente).
In parte qua, la banca convenuta ha affermato (pagg 30 e 31 della comparsa di risposta):
a) di aver consegnato al cliente il documento sui rischi generali degli investimenti in strumenti finanziari;
b) di aver spiegato, specificamente al Guidotto, all’atto dell’acquisto, che “il pagamento delle cedole e il rimborso del capitale erano garantiti esclusivamente dal patrimonio dell’emittente e che il rendimento particolarmente interessante dell’obbligazione si spiegava con il grado di rischio della stessa“.
Ora, il dovere di informazione quale obbligo di condotta imposto ex lege all’intermediario rappresenta lo strumento esplicito diretto a garantire, tramite la protezione immediata dell’investitore su base individuale, il risultato riflesso della efficienza del mercato, diversamente compromessa in presenza di una inalterata sussistenza dell’asimmetria informativa che, per forza di cose, connota i rapporti tra intermediario e cliente retail. Per tale ragione la diligenza dell’intermediario viene, rispetto ai normali canoni contrattuali, costretta dentro vincoli di comportamento normativamente imposti che tradiscono palesemente l’intenzione di tutelare un interesse ultroneo rispetto a quello immediatamente proprio del contraente più debole. Il dato normativo citato impone, per come appare di tutta evidenza, una immediata correlazione funzionale tra l’informazione da rendere al cliente e la consapevolezza in capo a quest’ultimo del significato dell’operazione posta in essere ovvero delle ragioni che ne sconsigliano il compimento; e ciò perchè solo l’attribuzione cognitiva al cliente degli elementi utili a pervenire ad una quanto più razionale scelta di investimento grazie ad una valida comprensione delle ragioni che giustificano la quotazione del prodotto consente di realizzare il fine ultimo della efficiente allocazione delle risorse.
Va da sé, poi, che la regola della informazione completa trova un logico corollario in quella legata alla valutazione, rimessa all’intermediario, di adeguatezza del prodotto al profilo di rischio del cliente. Solo l’investitore consapevole è in grado di valutare il warning opposto dall’intermediario all’acquisto del prodotto proprio perchè, in caso di informazione carente e non idonea al fine, non si attribuisce all’investitore, già sul piano astratto, la possibilità di scelte consapevoli in punto alla opportunità dell’investimento così da creare un netto distacco tra volontà dell’operazione e responsabilità del rendimento che ad essa consegue. E non a caso, l’art 29 del citato regolamento nel prevedere, in capo all’intermediario che ritenga inadeguata l’operazione, ciò che si concreta, nella sostanza, in un obbligo di segnalazione (giacchè resta comunque all’investitore l’ultima parola in ordine all’acquisto), finisce con l’imporre non solo la comunicazione di siffatta valutazione negativa ma anche delle ragioni per cui non è opportuno procedere alla esecuzione dell’ordine: il fine ultimo è quello di inserire nel mercato un investitore consapevole delle scelte giacchè grazie a tale risultato si riesce a garantire una maggiore efficienza del mercato stesso.
Tanto premesso, occorre poi chiedersi quali debbano essere l’oggetto e le modalità che connotano siffatto obbligo di informazione.
Sul primo punto non può non evidenziarsi che l’informazione deve cadere - oltre che ovviamente sui costi dell’investimento – sulla disciplina dello strumento finanziario (pagamento delle cedole o dei dividendi, durata del rapporto etc) e sui rischi allo stesso legati (guardando alle caratteristiche di emissione, a quelle dell‘emittente, al mercato di riferimento), così da consentire al cliente una consapevole conoscenza delle ragioni che risultano sottese al prezzo di mercato del prodotto e una elaborazione ragionata in punto alla opportunità dell’investimento.
Quanto alle modalità della informazione, nulla esclude che la stessa possa essere realizzata secondo clausole standardizzate diversificate tuttavia, in considerazione della natura dei prodotti e della soggettività dell’investitore, giacchè la tipizzazione delle comunicazioni contrattuali in parte qua non deve aprioristicamente ritenersi in contrasto con un informazione adeguata al fine. Ciò che rileva, piuttosto, è che non si tratti di informazioni tipizzate indistantamente, buone per tutte le ipotesi di negoziazione e che, comunque, il contenuto delle stesse, per la concretezza e la intellegibilità che le connota, risulti confacente alla negoziazione di specie.
Alla luce di quanto sopra e guardando al caso di specie, è agevole osservare che:
· lo scopo prefisso dall’obbligo di informare il cliente non può di certo ritenersi raggiunto tramite la consegna del documento sui rischi generali che, del tutto genericamente e comunque a prescindere dalla singola operazione, tende, una volta stipulato il contratto quadro, a rendere edotto l’investitore quanto alle caratteristiche minime di funzionamento del mercato finanziario;
· le informazioni asseritamente rese dalla banca all’investitore risultano solo labialmente affermate e prive di alcun riscontro probatorio;
· in ogni caso, le stesse, per come letteralmente rappresentate nella memoria responsiva, sono connotate da una tale genericità che di certo si contrappone alla compiuta consapevolezza che piuttosto andava garantita al cliente quanto al tenore dell’operazione in oggetto.
Di più. La genericità dell’informazione nella specie resa dall’intermediario si rivela quanto più stridente tanto più si guardi al fatto che nel caso in esame occorreva, a parere del Tribunale, una circostanziata rappresentazione sia delle caratteristiche peculiari della emittente, sia delle particolari modalità di emissione sia, infine, dello strumento finanziario in se.
Più precisamente, anche alla luce dei non pochi precedenti conformi emessi dalla giurisprudenza di merito in casi analoghi al presente (cfr Trib Bologna 30 maggio 2006; Trib Genova 26 giugno 2006; Tribunale Rimini 22 marzo 2006; Tribunale Firenze 21 febbraio 2006; Tribunale Torino 9 febbraio 2006; Tribunale Cagliari 2 gennaio 2006; Tribunale Brindisi 22 Dicembre 2005, tutte su www.ilcaso.it) occorreva esplicitamente segnalare
a) sul primo punto, che l’emissione veniva effettuata da società estera operante in un ordinamento nel quale non vigeva il limite massimo sancito ex art 2410 cc e quindi legittimata ad emettere prescindendo dal limite costituito dal capitale versato ed esistente;
b) sul secondo punto, che l’emissione, in quanto diretta ad investitori professionali, prescindeva dalla pubblicazione del prospetto informativo;
c) sul terzo punto, che, proprio per quanto segnalato sub b, le informazioni inerenti l’emissione andavano ricavate dalla “offering circular” che accompagna le emissioni dirette ad investitori professionali, consegnandone copia al cliente o riportandone notizia quanto ai tratti salienti della stessa.
Ritiene pertanto il Tribunale comprovata la sussistenza dell’inadempimento ascritto alla convenuta quanto alla violazione della regola di condotta sancita dal comma II dell’art 28 del regolamento consob più volte citato.
Passando dall’accertamento della condotta violata a quello del danno conseguenziale a siffatto inadempimento non può peraltro prescindersi dalla valutazione di adeguatezza del prodotto finanziario acquistato al peculiare profilo di rischio dell’investitore. E ciò non tanto guardando al versante della regola di comportamento, qui a dire dell’attore asseritamente violata, quale motivo di inadempimento contrattuale (giacchè l’inadempimento già acclarato in processo costituisce di per sè fonte autonoma di un danno risarcibile), quanto volgendo l’attenzione al profilo del danno eziologicamente correlato alla già riscontrata violazione contrattuale, sul presupposto che, pur in presenza di una insufficiente informazione, dovrebbe comunque negarsi la sussistenza di un danno risarcibile la dove lo strumento finanziario acquistato si riveli comunque oggettivamente adeguato al profilo di rischio ascrivibile all’investitore.
Non va dimenticato, infatti, che ci si muove all’interno del risarcimento del danno da responsabilità contrattuale senza alcuna correlazione, peraltro, ad una contestuale richiesta di risoluzione; che, proprio per tale motivo ed a differenza delle pretese risarcitorie diversamente prospettabili nella specie (nullità, annullabilità, responsabilità precontrattuale) per potersi avere un nocumento risarcibile quale conseguenza eziologica della violazione dell’obbligo di informazione occorre acclarare se, una volta fornita la necessaria consapevolezza al cliente, questi avrebbe acquistato un prodotto maggiormente adeguato alle proprie caratteristiche per poi individuare le differenze di valore e rendimento tra il prodotto acquistato e quello adeguato; che infine (rectius a monte) ove il prodotto acquistato risulti, malgrado la carenza di informazioni, comunque adeguato all’investitore, non possa che concludersi per la insussistenza di un danno risarcibile.
Prima di procedere a siffatta verifica, va in punto di fatto sottolineato come risulti tra le parti incontroversa – per averla all’uopo dedotta l’attore in citazione e confermata la convenuta in comparsa e pur non rinvenendosene in atti alcuna conferma documentale - la circostanza in forza alla quale l’ordine scritto di acquisto in contestazione recava una siffatta esplicitazione, proveniente dall’intermediario: “ la informiamo che l’ordine si riferisce a: un’ operazione che in base alle informazioni in nostro possesso risulta, anche per gli elementi di rischio in esso contenuti, per Lei inadeguata”.
Dinanzi ad una siffatta precisazione contrattuale (si ribadisce, priva di riscontro documentale ma ritenuta dai contraddittori incontrovertibilmente sussistente) e alla luce di quanto sopra osservato in ordine alla incidenza che deve ascriversi al profilo della adeguatezza della operazione in punto all’accertamento di un nocumento risarcibile in ipotesi, come quella di specie, di già riscontrato inadempimento dell’obbligo di informare il cliente, viene da chiedersi se può ritenersi ugualmente responsabile l’intermediario, laddove, per come qui avvenuto, abbia comunque segnalato al cliente l’inadeguatezza dell’operazione.
Ritiene in particolare il Tribunale che una compiuta comunicazione della valutazione di inadeguatezza non può prescindere da una corretta esecuzione dell’obbligo di informazione del cliente e che conseguentemente, laddove correttamente effettuata, debba escludersi a monte la responsabilità dell’intermediario per il default connotante un prodotto finanziario adeguatamente sconsigliato all’investitore.
Più precisamente non appare superfluo ribadire che la valutazione di adeguatezza costituisce un corollario logico dell’obbligo di informare satisfattivamente il cliente e che la consapevolezza della scelta attribuita all’investitore, positiva o negativa che essa sia, dipende dal grado di informazioni allo stesso fornite sulle caratteristiche della operazione. Ne viene che la segnalazione della banca ai sensi dell’art 29 del regolamento 11522 potrà ritenersi idonea a realizzare l’effetto di esonerare, a monte, l’intermediario dalle conseguenze di un eventuale default del titolo ugualmente acquistato dal cliente laddove
· risulti compiutamente adempiuto l’obbligo di informazione imposto ex art 28 stesso regolamento;
· la segnalazione risulti effettuata dando conto delle specifiche ragioni per le quali l’operazione appare inadeguata, così come espressamente sancito, per le ragioni logiche segnalate in precedenza, dalla stessa norma secondaria citata.
Diversamente, e cioè se l’informazione è carente e/o la segnalazione di inadeguatezza risulti acriticamente evidenziata senza specificazione delle ragioni che l’ hanno fondata, deve escludersi che il cliente abbia acquisto la necessaria consapevolezza delle ragioni che sconsigliano il compimento dell’operazione e ne favoriscono una scelta ragionata con conseguente sostanziale inefficacia dell’avvertimento non idoneamente operato dall’intermediario (cfr espressamente sul punto Trib. Genova 3 Novembre 2006; 8 agosto 2006; 26 Giugno 2006; Trib Lecce 12 Giugno 2006, tutte su www.ilcaso.it).
Nella specie, si è già detto della inidoneità delle informazioni fornite dalla convenuta all’attore in occasione dell’acquisto che occupa; di più, va rimarcata l’assunta mancanza di specifiche e circostanziate ragioni giustificatrici poste a fondamento della segnalazione di inadeguatezza si che la stessa, alla luce della motivazioni fondanti l’intervento normativo che ne impone l’effettuazione, deve ritenersi siccome priva di effetti e quindi non incidente sulla fattispecie in esame anche con riferimento al mero versante della individuazione di un danno risarcibile.
Tutto ciò precisato, ritiene il Tribunale necessario rimettere la causa sul ruolo istruttorio per consentire un accertamento tecnico diretto in primo luogo ad acclarare se, in considerazione del profilo di investitore ascrivibile all’attore in forza del dato comunque evincibile grazie agli elementi acquisiti nel corso del processo, il prodotto finanziario in contestazione possa o meno ritenersi adeguato per poi individuare, in caso di riscontrata inadeguatezza, l’eventuale danno ascrivibile alla convenuta.
Le spese con la sentenza definitiva
PQM
non definitivamente pronunziando, ogni ulteriore domanda rigettata, dichiara l’inadempimento contrattuale della convenuta siccome accertato e precisato in motivazione e dispone la rimessione della causa sul ruolo come da separata ordinanza per l’accertamento del danno conseguenziale al riscontrato inadempimento.
Così
deciso in Catania il 23/01/2007.
Il giudice estensore
Dott. Benedetto Paternò Raddusa
Il presidente
Dott. Giovanni Battista Macrì