Diritto Civile
Il Caso.it, Sez. Giurisprudenza, 23274 - pubb. 25/02/2020
Il giudicato, la modifica della domanda e l’applicazione degli artt. 1337 e 1440 c.c.
Appello Milano, 30 Ottobre 2019. Pres. Marchetti. Est. Bondi.
Giudicato – Principio del dedotto e deducibile
Processo civile – Modifica della domanda – Tardività dell’eccezione – Petitum e causa petendi
Obblighi di informazione – Buona fede e correttezza – Obblighi nei confronti di soggetto terzo estraneo all’accordo
Per poter operare la preclusione imposta dal giudicato, la questione per la quale si solleva l’eccezione deve essere stata oggetto di specifico accertamento da parte del primo giudice che ha emesso la sentenza passata in giudicato. Non è dunque a tal fine sufficiente l’esame incidenter tantum, non potendosi ricomprendere all’interno del concetto di “deducibile” qualsiasi questione che abbia una qualche assonanza con lo stretto oggetto del giudicato.
La parte ha la possibilità di specificare la propria domanda in sede di prima memoria ex art 183, comma 6 c.p.c., fermo restando che la modifica della domanda non comporti un eccessivo allungamento dei tempi del processo o una lesione del diritto di difesa della controparte purché sussista una connessione tra la nuova domanda così formulata e la vicenda sostanziale dedotta in giudizio.
Nel diritto delle obbligazioni la tutela garantita dagli artt. 1337 e 1440 c.c. opera nei confronti dei soli soggetti che stanno trattando la conclusione dell’accordo e non anche nei confronti di un soggetto terzo estraneo al medesimo rapporto.
In conseguenza di ciò, il generale principio di buona fede che impone di informare la controparte degli elementi necessari per formarsi un’idea esatta del contratto non si estende all’obbligo di informare la controparte contrattuale dei termini di un separato accordo, concluso o concludendo, con un terzo. (Enrico Scoccini) (riproduzione riservata)
Segnalazione dell’Avv. Enrico Scoccini
Fatto e diritto
Questi i prodromi e gli sviluppi processuali della contesa, quali sintetizzati dal primo giudice:
"la marchesa A. A. conveniva innanzi al Tribunale di Milano il Signor C. B., la FONDAZIONE ECCLESIASTICA ISTITUTO S., G. E L. A. ("Fondazione A.") e la CASA G. S. - DIREZIONE GENERALE D. ("Casa S. D."), esponendo di aver concluso una transazione, sottoscritta in data 19.06.2007, con la Fondazione A. e la Casa S. D..
Con il suddetto atto, in relazione alla transazione sopra ricordata, l'attrice formulava le seguenti domande: (i) domanda di risarcimento dei danni subiti per dolo incidente, ai sensi dell'art. 1440 cod. civ., sull'assunto che la condotta complessivamente tenuta dalla Fondazione A. e dalla Casa S. D., in concorso con il Signor S., "sia stata connotata da profili di decettività tanto marcati che, senza di essi, la signora A. non avrebbe sicuramente sottoscritto la transazione alle condizioni in concreto pattuite"; (il) accertarsi l'inadempimento del Signor S. all'Accordo di Gestione sottoscritto con l'attrice in data 04.12.1992, per non avere questi comunicato alla marchesa A. la conclusione di accordi transattivi relativi alle quote di eredità degli altri eredi del de cuius. Sulla base di tali titoli, la marchesa A. ha chiesto la condanna della Fondazione A., della Casa S. D. e del Signor S., in solido tra loro, al risarcimento del danno dalla stessa subito per un ammontare complessivo pari a Euro 30.685.431,70.
(...) si costituivano in giudizio, chiedendo il rigetto di tutte le domande dell'attrice, il Signor S., da un lato, e la Fondazione A. e la Casa S. D., dall'altro lato; queste ultime formulavano altresì istanza di chiamata di terzo nei confronti dell'Avv. X.. Conseguentemente, la prima udienza veniva differita, ai sensi dell'art. 269, c.p.c., al 25.09.2012.
Con atto di intervento ai sensi dell'art. 105, c.p.c., depositato in data 08.03.2012, si costituiva in giudizio il marchese Antonio A. per sentir accertare e dichiarare la responsabilità dei convenuti ex art. 1440 e 2043, cod. civ., con condanna di costoro al risarcimento dei danni, rispetto ad un'altra (diversa) transazione conclusa tra il terzo intervenuto e la Fondazione A. e la Casa S..
Con comparsa di costituzione e risposta depositata in data 18.07.2012, si costituiva in giudizio l'Avv. X. X., il quale chiedeva, a sua volta, di chiamare in causa la Compagnia di assicurazioni Chartis Europe S.A. (ora AIG Europe Limited) e proponeva domanda riconvenzionale nei confronti dell'attrice, a titolo risarcitorio.
Con comparsa di costituzione e risposta depositata in data 22.11.2012 , si costituiva in giudizio Chartis Europe S.A. (ora AIG Europe Limited) eccependo in primo luogo l'inoperatività della polizza sia sotto il profilo dell'art. 24 lettera e), che dell'art. 24 lettera d) della Convenzione, in secondo luogo il limite della garanzia ed in terzo luogo l'esistenza di una franchigia. Ciò premesso, parte terza chiamata instava per il rigetto delle domande proposte nei suoi confronti dall'assicurato.
(...) con ordinanza depositata in data 18.10.2013, il Giudice sospendeva il giudizio "sino a/ passaggio in giudicato della sentenza n. 342/2012 Tribunale di Firenze sez. Pontassieve".
La sospensione, ex art. 337 c.p.c., veniva disposta in considerazione:
a) della ritenuta esistenza di un rapporto di pregiudizialità dipendenza tra una delle domande proposte in questo giudizio dalla marchesa A. A. e un'altra domanda proposta dal Signor S. nei confronti della marchesa A. A. nel distinto giudizio innanzi al Tribunale di Firenze - Sez. dist. Pontassieve;
questo secondo giudizio era allora già pervenuto alla sentenza di l grado n. 342/2012, di rigetto delle domande dell'attore Signor S., e pendeva in grado d'appello innanzi alla Corte di Appello di Firenze; b) del fatto che nel presente giudizio era stata invocata l'autorità della citata sentenza n. 342/2012 del Tribunale toscano, oggetto di appello.
La marchesa A. promuoveva ricorso per regolamento di competenza ai sensi dell'art. 42 c.p.c. innanzi alla Suprema Corte avverso il provvedimento di sospensione, al fine di ottenerne la riforma integrale o quantomeno parziale.
Con ordinanza in data 03.03.2014, resa ai sensi dell'art. 348-bis c.p.c., la Corte d'Appello di Firenze dichiarava inammissibile - in quanto del tutto privo di ragionevoli probabilità di essere accolto - l'appello (manifestamente infondato) promosso dal Signor S..
La suddetta ordinanza veniva comunicata a mezzo pec ad entrambe le parti del giudizio di appello, ossia alla marchesa A. e al Signor S., in data 12.03.2014; non veniva proposto ricorso per cassazione ai sensi dell'art. 348-ter, comma 3°, c.p.c., con conseguente passaggio in giudicato della sentenza n. 342/2012 del Tribunale di Firenze - Sez. dist. Pontassieve. (...).
Nelle more, con ordinanza n. 24046/2014 in data 15.10/12.11.2014, la Suprema Corte di Cassazione dichiarava cessata la materia del contendere nel giudizio di regolamento di competenza, per effetto delle vicende processuali sopra ricordate.
Con atto in data 21.07.2014 la marchesa Cerini formulava istanza di prosecuzione del processo ai sensi dell'art. 297, comma 3°, c.p.c., e per tale incombente il Tribunale fissava l'udienza del 02.12.2014.
(...) All'udienza del 20.05.2015 i procuratori dell'attrice A. A. davano atto dell'avvenuto decesso della loro assistita. Conseguentemente, il Giudice dichiarava l'interruzione del processo ai sensi dell'art. 301 c.p.c.
Con ricorso in data 28.05.2015, il Signor S. riassumeva la causa.
(...) Con comparsa di costituzione, Stefano M. instava per la prosecuzione del processo ex art. 302 c.p.c.".
Il giudizio si concluse con la sentenza n. 7661/16 dei 17/20.6.2016 del Tribunale milanese, il quale dichiarò inammissibile l'intervento di Antonio A.; rigettò la domanda proposta da Beatrice, Emanuela e Stefano M. nei confronti della FONDAZIONE; rigettò la domanda proposta da Renato X. nei confronti delle parti attrici; rigettò ogni ulteriore domanda; condannò le parti attrici, in solido con Antonio A., a pagare le spese di causa in favore delle parti convenute FONDAZIONE X, che liquidò in favore dei due enti in Euro 135.000,00, oltre IVA, CPA e 15% spese generali;
condannò le parti attrici a pagare, in solido con Antonio A., le spese di causa in favore di S. M., che liquidò in Euro 120.000,00, oltre IVA, CPA e 15% spese generali, compensò le spese tra le parti attrici e X. X.; compensò le spese tra la Compagnia di Assicurazioni AIG Europe Limited e X. X..
Gli eredi A./Cordero hanno impugnato tale sentenza. Si sono costituiti S. e la Fondazione con la Casa G., ma non X. Renato, A. Antonio e la Compagnia di Assicurazioni Chartis Europe SA, oggi AIG Europe Limited. Le parti hanno concluso come in epigrafe.
La causa è stata rinviata all'udienza collegiale di precisazione delle conclusioni del 14.3.19, dopodiché, decorsi i termini assegnati per il deposito degli scritti conclusionali, è stata decisa all'odierna camera di consiglio.
Estremamente opportuno fu il richiamo del primo giudice, ad esordio della motivazione dell'impugnata sentenza, ai principi del giusto processo -e della sua ragionevole durata- canonizzati nell'art. 111 della Norma Fondamentale, oltreché recepiti nell'ordinamento processuale (artt. 132 co. 2° n. 4 c.p.c. e 118 disp. att. c.p.c.) ed elaborati dal cosiddetto diritto vivente di formazione giurisprudenziale (in funzione dell'utilizzo della "ragione più liquida" ai fini della decisione delle controversie: da ultimo, v.ad es. Cass. 10839/19 e 363/19), sotto il vitale profilo della concisione e snellezza dei provvedimenti giudiziari. Trattasi evidentemente di esigenza predisposta a salvaguardia del sistema, ma destinata a rimanere frustrata, se non condivisa e perseguita anche nella redazione degli scritti difensivi, tema riguardo al quale il legislatore ha peraltro manifestato la propria sensibilità, ad esempio a mezzo dell'art. 16-bis, comma 9-octies, decreto-legge 18 ottobre 2012, n. 179, convertito, con modificazioni, dalla legge 17 dicembre 2012, n. 221 ("gli atti di parte e i provvedimenti del giudice depositati con modalità telematiche sono redatti in maniera sintetica").
Neanche questa Corte mancherà pertanto di far tesoro di tali precetti ed insegnamenti, e di profondersi nello sforzo di evitare inutili ripetizioni e stucchevoli prolissità, in ossequio ad un imperativo di sintesi, ampiamente negletto in causa.
Con significato parimenti preliminare, conviene inoltre per chiarezza precisare subito che doverosamente la Corte nella sua decisione si atterrà altresì ai due noti principi per cui:
1) i motivi di gravame devono essere interamente espressi e specificati nell'atto introduttivo di secondo grado, senza possibilità alcuna di esaminare eventuali successivi ampliamenti, integrazioni e precisazioni di censure esposte nell'atto di appello in modo generico, introdotti negli scritti conclusionali, per loro natura aventi mera funzione illustrativa di domande ed eccezioni già ritualmente proposte (Cass. 16582/2005 e 6630/2006);
2) la valutazione delle risultanze probatorie, al pari, della scelta di quelle - fra esse - ritenute più idonee ci sorreggere la motivazione, postula un apprezzamento di fatto riservato in via esclusiva al giudice di merito il quale, nel porre a fondamento del proprio convincimento e della propria deci- sione una fonte di prova con esclusione di altre, nel privile- giare una ricostruzione circostanziale a scapito di altre (pur astrattamente possibili e logicamente non impredicabili), non incontra altro limite che quello di indicare le ragioni del proprio convincimento, senza essere peraltro tenuto ad affrontare e discutere ogni singola risultanza processuale ov- vero a confutare qualsiasi deduzione difensiva (Cass. 2947/13).;
Sempre in via preliminare, deve darsi atto dell'infondatezza dell'eccezione sollevata dalla Fondazione in ordine alla mancata integrazione del contraddittorio verso l'avv. X., già costituito in primo grado ed asseritamente litisconsorte necessario. Infatti, l'avv. X. è stato citato anche in questa sede dagli appellanti, unitamente alle altre parti Antonio A. e Chartis Ass., come da relate allegate all'atto introduttivo. Nei confronti di questi appellati non è stata rivolta domanda alcuna dagli appellanti, sicché resta solo da dichiararne la contumacia.
1, 2, 3 e 4 I primi quattro motivi di gravame investono il rapporto A.M. A./ S. e per la precisione l'inadempimento di quest'ultimo nelle obbligazioni discendenti dal c.d. "accordo di gestione" stipulato con la prima il 4.12.92.
La sentenza sarebbe in questo caso erronea, per non avere il Tribunale valutato l'eccezione di giudicato sollevata dalla marchesa Cerini in relazione alla causa celebrata innanzi al giudice fiorentino (sez. dist. di Pontassieve) e quindi alla sentenza da questi pronunciata; per avere il primo giudice inoltre accolto l'eccezione d'inadempimento di S., disattendendo la con- trapposta eccezione di tardività sollevata dalla Cerini; per avere ancora il giudice comparato i reciproci inadempimenti dei contraenti, senza poterlo fare, indagando sulla gravità di quello in cui era incorso S. ed infine per avere il Tribunale sollevato d'ufficio, senza provocare il contraddittorio al riguardo e perciò in violazione dell'art. 101.2 cpc, il tema del concorso dell'inadempimento della A. nella causazione del danno ex art. 1227.1 c.c.
L'appellante insorge contro le determinazioni del giudice monocratico, il quale argomentò:
che dalla sentenza del tribunale fiorentino "è emerso il legittimo rifiuto, ex art. 1460 c.c., della marchesa A. ad adempiere al suddetto accordo che prevedeva (anche) la corresponsione in favore del S. della percentuale del 20% sulla porzione di eredità ottenuta in via transattiva dalla convenuta (di cui oggi si discute)";
che "nella fattispecie di cui alla citata sentenza passata in giudicato sono state valutate da una parte le obbligazioni del S. di sostenere le spese giudiziali e stragiudiziali della marchesa A. (in forza di eccezione ex art. 1460 c.c. solle- vota dalla marchesa A.) dall'altra l'obbligazione di quest'ultima di pagare i120% sulla porzione di eredità ottenuta in via transattiva, in forza di domanda azionata del S."• che "applicando il medesimo principio di cui alla sentenza 21.12.2012 n 342/2012 Tribunale di Pontassieve, alla presente fattispecie, deve ritenersi che la marchesa, inadempiente rispetto alla obbligazione facente capo a sé medesima di "non intraprendere operazioni aventi ad oggetto i diritti ereditari, oggetto del presente contratto o i singoli beni rientranti nell'asse ereditario, senza il preventivo consenso scritto del S., al quale pertanto dovranno tempestivamente essere riferite le eventuali proposte pervenute alla marchesa A., pena la risoluzione del presente contratto con conseguente risarcimento dei danni " (art. 7 scrittura del 4/12/1992), non possa oggi pretendere (recte i suoi eredi) il risarcimento per il mancato adempimento della controparte al contratto".
che la sentenza toscana "non aveva ad oggetto gli inadempimenti di cui al presente giudizio, con particolare riferimento a quello relativo al patto di consultazione contenuto nell'accordo di gestione ed invocato in questa sede da parte attrice" (pag. 28);
che doveva ritenersi prevalente 'l'inadempimento della marchesa A. alla clausola 7 del contratto (cioè quello consi- stito nel celare a S. lo svolgimento e gli esiti della trattativa tra lei e la fondazione) rispetto all'inadempimento principale del S. di sostenere i costi dei processi":
donde la decisione di "rigettare la domanda della parte attrice sui medesimi presupposti, ex art. 1460 CC, rispetto ai quali è stata rigettata la domanda di S. avanti al tribunale di Pontassieve" (pag. 32).
Orbene, la sentenza sarebbe errata, sempre a dire dell'appellante, per avere delibato su affermati inadempimenti della A., oggetto dell'eccezione di S., e la cui inesistenza era stata invece già decretata dal giudice di Firenze con forza di giudicato, nel momento in cui aveva respinto, accogliendo l'eccezione d'inadempimento sollevata dalla A., l'espressa domanda di S. volta ad accertare che costei s'era resa inadempiente al contratto del 4/12/92. Sicché -in tesi- l'inadempimento addebitato alla A. si basava proprio sulla pretesa violazione degli articoli 7 e 4 dell'accordo, non essendo pertanto vero quanto affermato dal tribunale circa la diversità di oggetto della sentenza fiorentina. in altre parole, sulla base del principio per cui il giudicato copre il dedotto ed il deducibile, doveva risultare evidente che S. aveva invocato a presupposto giuridico e fattuale del proprio azionato diritto di credito un inadempimento della A. all'obbligo di informazione, radicalmente escluso per effetto del rigetto ormai definitivo della domanda. Insomma: S. non poteva più eccepire in questa sede l'inadempimento della A..
L'assunto è infondato, per le ragioni che saranno ora brevemente esposte.
Il principio ripetutamente invocato dall'appellante rileva "qualora due giudizi tra le stesse parti abbiano per oggetto un medesimo negozio o rapporto giuridico e uno di essi sia stato definito con sentenza passata in giudicato"; in tal caso "l'accertamento compiuto circa una situazione giuridica o la risoluzione di una questione di fatto o di diritto incidente su punto decisivo comune ad entrambe le cause o costituenti indispensabile premessa logica della statuizione contenuta nella sentenza passata in giudicato, precludono il riesame del punto accertato e risolto" (Cass. 5486/19).
La S.C. al riguardo ha precisato ancora che "il giudicato sostanziale può estendersi anche alle questioni non controverse, ma è necessario che su queste ultime il giudice abbia compiuto un vero e proprio accertamento, così necessariamente e inscindibilmente collegato con il "dictum" finale, da non costituire la semplice affermazione, "incidenter tantum", di uno dei presupposti logici della decisione, bensì l'oggetto, esso stesso, della statuizione finale" (Cass. 19632/19).
Il punto dunque dev'essere "accertato e risolto", nel senso che non basta enunciarlo, magari "incidenter tantum", ma ne è richiesta una vera cognizione giudiziale, la categoria del "deducibile" non potendo essere utilizzata per agganciare e trascinare ab externo nell'area del giudicato tutto ciò che possegga anche una vaga assonanza col decisum.
Tuttavia, le predette condizioni qui non ricorrono, almeno nei termini pretesi dal S.C.
Basta infatti la lettura del 5° paragrafo della sentenza del giudice di Firenze per constatare che in quella sede la disputa riguardò l'inadempimento di S. nel pagamento, (previsto a suo carico dall'accordo di gestione ma) forzatamente anticipato dalla A., delle spese legali da costei affrontate nelle cause ereditarie in successione dello zio, e l'inadempimento della A., che aveva proceduto alla nomina di difensori non previamente concordata come da contratto Ciò porta a concludere che nessun accertamento (né giudicato) ostativo incontra la presente indagine sull'esatto adempimento della A. di tutte le diverse ed articolate obbligazioni incombende (ve n'è un dettagliato elenco alle pagg. 4/5 della replica S. ex art. 190 cpc, rammentandosi che la sentenza fiorentina parimenti confermò essere inadempiente la A., pur nella prevalente gravità dell'inadempimento dell'avversario e nella conseguente legittimità del rifiuto del pagamento opposto dalla A. stessa ex art. 1460 c.c.), né, come non manca di sottolineare S. "vi è stata alcuna statuizione sull'adempimento o inadempimento del S. rispetto all'obbligo di concordare con la marchesa i termini della transazione ai sensi dell'art. 5 dell'accordo di gestione".;
Infondato è anche il secondo mezzo d'impugnativa, col quale la A. ribadisce la tardività dell'eccezione d'inadempimento S., perché sollevata non, come richiesto dall'art. 167 cpc, in comparsa di risposta, malgrado il contrario avviso del Tribunale, ma solo successivamente nella prima memoria ex art. 183.6 cpc, come oltretutto ammesso negli scritti conclusionali del convenuto.
La Corte condivide la decisione, in esito all'interpretazione dei riscontri testuali e degli arresti giurisprudenziali disponibili. Viene infatti in evidenza l'inciso di cui a pagina 9 della comparsa di risposta S. di primo grado, ove si legge "... e reciprocamente dell'eventuale inadempimento della Sig.ra A. all'obbligo di informare il S. della conclusione della transazione" (terna ripreso e chiarito nella prima memoria ex art. 183 cit., ove si legge "in via subordinata di merito, dichiarare inadempiente la signora A. A. agli obblighi di cui alla scrittura privata del 5/12/1992, rigettando in ogni caso la di lei domanda perché infondata").
Significativa al proposito è l'evoluzione della giurisprudenza di legittimità, che è giunta ad affermare il principio secondo cui " la modificazione della domanda ammessa ex art. 183 c.p.c. può riguardare uno o entrambi gli elementi oggettivi della stessa ("petitum" e "causa petendi"), sempre che la domanda così modificata risulti comunque connessa alla vicenda sostanziale dedotta in giudizio e senza che, per ciò solo, si determini la compromissione delle potenzialità difensive della controparte, ovvero l'allungamento dei tempi processuali" (Cass. 28385/17, invocata da S.), essendo innegabile la suddetta connessione tra quanto dedotto nella memoria ex art. cit. e la vicenda controversa ed in particolare la condizione di inadempiente dell'odierna appel- lante, come pur succintamente anticipato in comparsa di risposta.
Non merita miglior destino il terzo motivo, col quale si lamenta la violazione del divieto per il Tribunale di delibare sull'inadempimento A. e sull'indagine comparativa con quello ascritto a S..
L'assunto si basa pressoché interamente sul presupposto della fondatezza delle deduzioni elevate a motivi d'appello (giudicato ostativo e tardività dell'eccezione), come sopra esaminate e disattese ed al cui commento non resta quindi che rinviare.
Per il resto, parte appellante addita l'inammissibilità e la strumentalità del ricorso di S. all'eccezione di cui all'art. 1460 c.c., sia perché la norma asseritamente non è applicabile per paralizzare una semplice domanda risarcitoria promossa a carico di una parte che abbia già perpetrato un inadempimento definitivo (come nella specie, avendo S. omesso dolosamente di notiziare la A., prima che questa concludesse la transazione, della negoziazione intrapresa con la Fondazione e dei suoi esiti), sia perché la comparazione di cui si discorre vedeva soccombente S. - lui solo essendo incorso in un vero inadempimento, determinante l'evento dannoso, alla luce del fatto che, come definitivamente statuito nella sentenza Pontassieve, esso S. per anni "non s'era fatto più vivo".
Intanto la Corte osserva, quanto a quest'ultima obiezione di parte appellante (circa la definitività dell'accertamento sull'essersi S. "fatto vivo" o meno), che "è da escludere il giudicato sul punto di fatto, ossia sul puro e semplice accertamento dei fatti storici contenuto nella motivazione e compiuto dal giudice esclusiva- mente per pronunciare sulla situazione di vantaggio dedotta in giudizio" (Cass. 3669/19).
All'argomento è tuttavia inutile dedicare soverchie attenzioni.
In primo luogo, perché, come evidenziato dal primo giudice (pag. 29 sentenza) "nel testo dell'accordo in questione in capo al S. non vi è alcuno specifico obbligo di informazione preventiva alla associata, essendo il suo principale impegno quello di provvedere alla gestione del contenzioso, facendosi carico delle relative spese".
In secondo luogo, perché ben altra portata assume nell'economia della vicenda e nel suo sbocco processuale il riferimento degli appellanti al versante eziologico, che rappresenta uno dei veri nuclei della controversia.
Quando infatti si parla di "sparizione" di S., in modo da rendersi irraggiungibile dalla A., che sarebbe così rimasta privata della possibilità non solo di essere aggiornata sulle trattative con la Fondazione, ma anche di potere comunicare con lui, si tratteggia uno scenario indimostrato ed inverosimile, che anche a voler reputare sussistente e valorizzare revocata circostanza di fatto (cioè sempre la sparizione), non consentirebbe di attribuire alla circostanza stessa gli assalti effetti (l'incomunicabilità ed il danno).
Il leitmotiv sotteso al caso è infatti rappresentato, nel proliferare di un incontrollabile contenzioso quindicennale, dall'ininterrotto affiancamento alla marchesa A. (che di quel contenzioso era partecipe) di quattro legali, presenti anche nei sette mesi circa di trattativa che precedettero la transazione con la Fondazione, i quali pacificamente rimasero sempre in cordiale contatto coi colleghi che assistevano S., senza che risulti una qualche richiesta d'informazioni o sollecito loro o della loro cliente, naufragata o meno che sia nel rifiuto di S. o dei suoi avvocati di fornirle. Richieste che era legittimo aspettarsi, anche secondo parametri di ordinaria buonafede contrattuale, se veramente per la A. era importante essere messa a parte delle condizioni alle quali sarebbero state concluse le altre transazioni (così il primo giudice a pag. 32 dell'impugnata sentenza).;
Il quarto motivo agita questioni assorbite e perciò immeritevoli di delibazione. Trattasi infatti di censure rivolte ad un capo di motivazione dichiaratamente licenziato dal Tribunale solo ad abundantiam, come del resto affermato dagli stessi appellanti, laddove dichiarano il loro dissenso avverso "un secondo argomento rafforzativo alle pagg. 32-34 per supportare in ogni caso, anche a prescindere dall'applicabilità dell'eccezione di cui all'art. 1460 c.c., la fondatezza del rigetto della domanda di inadempimento" (pag. 26 appello).
Sono quindi per primi gli eredi A. a convenire sulla natura "rafforzativa" di quello che in effetti null'altro è, se non un passaggio motivazionale sprovvisto di decisività, cioè inidoneo a determinare le sorti della lite. E ciò per la ragione che, quand'anche fosse accolta l'eccezione circa il mancato previo stimolo del contraddittorio sul tema del concorso della condotta della A. nella causazione del preteso danno, ai sensi dell'art. 1227.1 c.c. -e quindi ancorché espunto dal materiale processuale tale addebito officioso di livello logico non primario-, nulla cambierebbe, poiché il rigetto della domanda e poi dell'appello rimarrebbe ugualmente fondato sulle restanti evidenze (quelle sinora esaminate e quelle di cui si tratterà a breve), fin d'ora potendosi anticipare che nel presente giudizio il tema del danno non può essere esaminato.
5-15 L'appellante dedica altri undici motivi "alla ritenuta insussistenza del dolo incidente e/o comunque della responsabilità ex artt. 2043 e 1337 c.c. dei S. e di Fondazione", così titolati:
"QUINTO MOTIVO: L'ERRORE Dl METODO SEGUITO DAL TRIBUNALE:
L'ITER MOTIVAZIONALE CONTRASTA CON LE PRESCRIZIONI DELLA SUPREMA CORTE IN TEMA DI ANALISI DEL DOLO. IN OGNI CASO, ERRONEITÀ DELLA SENTENZA PER AVER ESCLUSO LA RESPONSABILI- TÀ DEI CONVENUTI PER DOLO INCIDENTE E/0 EX ART. 1337 E 2043 C.C.;
SESTO MOTIVO: L'ERRONEITÀ DELLE PREMESSE SU CUI SI BASA LA DECISIONE DEL TRIBUNALE: LA PRETESA INSUSSISTENZA DELL'OBBLIGO INFORMATIVO DI S. E FONDAZIONE NEL REN- DERE NOTI I MOTIVI CHE LI HANNO DETERMINATI A STIPULARE L'ACCORDO QUADRO.
SETTIMO MOTIVO: LA SOSTANZIALE EQUIPARAZIONE, NELLA SEN- TENZA, DI DOLO INCIDENTE E DOLO DETERMINANTE E LE CONSE- GUENZE CHE NE SONO DERIVATE.
OTTAVO MOTIVO: ANCORA SUL PRETESO INADEMPIMENTO DELLA A. Al FINI DELLA DIMOSTRAZIONE DELL'INSUSSISTENZA DEL DO- LO INCIDENTE. ULTERIORE ERRORE (PER MANCATA CONSIDERA- ZIONE DELL'ECCEZIONE DI GIUDICATO) DA PARTE DEL TRIBUNALE.
NONO MOTIVO: SULLA PRETESA ASSENZA DI DILIGENZA IN CAPO ALLA A. E SULLA "FACILE CONOSCIBILITÀ" DELLE CONDIZIONI CUI FONDAZIONE E S. AVREBBERO DEFINITO LA LITE.
DECIMO MOTIVO: NULLITÀ DELLA SENTENZA PER RILIEVO DI UFFICIO DI QUESTIONE MAI SOLLEVATA DA FONDAZIONE O DA S. E CONSEGUENTE VIOLAZIONE DEL DISPOSTO DI CUI ALL'ART. 101 C.P.C. E DEL PRINCIPIO DEL CONTRADDITTORIO. IN OGNI CASO, MOTIVAZIONE ERRONEA;
UNDICESIMO MOTIVO: SULLA RITENUTA IRRILEVANZA DEL MOMEN- TO EFFETTIVO DI SOTTOSCRIZIONE DEL CONTRATTO. MOTIVAZIONE ERRONEA.
DODICESIMO MOTIVO: SULL'IRRILEVANZA DELLA CLAUSOLA DI RI- SERVATEZZA. MOTIVAZIONE ERRONEA.
TREDICESIMO MOTIVO: SULLA RILEVANZA DELLE DICHIARAZIONI RE- SE DALLA MARCHESA A. IN SEDE PENALE. MOTIVAZIONE ER- RONEA.
QUATTORDICESIMO MOTIVO. SULL'ADESIONE DEL TRIBUNALE A UNA RISALENTISSIMA TESI DOTTRINALE CHE NON AMMETTEREBBE L'IMPUGNABILITÀ PER DOLO DELLE TRANSAZIONI.
QUINDICESIMO MOTIVO: SUL CONCORSO DI FONDAZIONE NELL'INADEMPIMENTO DEL S.".
In realtà, la motivazione di questa Corte sui predetti mezzi d'impugnativa potrebbe e dovrebbe esaurirsi in poche righe.
ll fulcro intorno a cui ruota tutta la compendiosa iniziativa giudiziaria degli odierni appellanti può condensarsi nell'assioma che se la loro dante causa marchesa A. avesse saputo, senza essere ingannata da un silenzio doloso, che a S. era stata riconosciuta in sede transattiva una somma maggiore di quella offerta a lei, le sue (cioè della A.) richieste per addivenire alla transazione del 20.6.2007 sarebbero state ben altre. Per altro verso, il richiamo agli artt. 1440, 1337 e 2043 c.c. stava a significare che i doveri d'informazione che gravano reciprocamente sulle parti nella fase delle trattative dovevano e devono intendersi estesi al contenuto di autonomi contratti stipulati o stipulandi con altri soggetti terzi.
L'interprete che, senza lasciarsi sviare da sovrabbondanti impianti argomentativi, si attenga ai nodi tematici così evocati, non può fare a meno di constatare che questo singolare assunto, già minato da un'insuperabile ed insuperata debolezza originaria, non solo sta nel concreto fuori dallo spazio applicativo degli artt. ora citati, ma in più rappresenta null'altro che un'aspirazione, svincolata, anche sui piano della mera allegazione, da un titolo giuridicamente rilevante.
Una domanda edificata su una causa petendi di tali fattezze, forzando alcuni degli strutturali istituti del diritto delle obbligazioni, nel tentativo di farvi rientrare costrutti di inspiegabile complessità, è destinata all'insuccesso.
Queste semplici considerazioni travolgono tutti i motivi d'appello, che si risolvono in una dispersiva ed atomistica esegesi parola per parola del provvedimento impugnato, nella quale più che critica- re i punti chiave della ratio decidendi e demolire i passaggi realmente decisori della sentenza (e dunque le sue basi fondanti), che formarono invece oggetto di una valutazione complessiva, si denunciano quali errori i vari casi di mancata adesione del giudice monocratico alle tesi difensive di parte appellante, riproposte negli stessi termini esaminati e motivatamente disattesi dal Tribunale, trascurando che ciò non corrisponde alla loro conferma.;
Per cominciare, il discorso vale per il quinto, sesto e settimo motivo, dove si lamenta innanzitutto una disattenzione del Tribunale ai documenti in atti, dai quali dovrebbe emergere, facendo uso di ermeneutiche particolarmente sofferte, un raggiro dai contorni tutt'altro che chiari, ordito dalla Fondazione e da S. ai danni della A. e che si vuole dimostrato dalla struttura della transazione tra gli stessi conclusa 1'8.6.2007.
Conviene allora partire dalla premessa che alla marchesa A. non poteva certo sfuggire l'ordine di grandezza del patrimonio familiare relitto da A., comunque noto a tutti ex lege, almeno nei termini stimati e pubblicati quando la Fondazione fu autorizzata ad accettare l'eredità di A. con provvedimento ministeriale del 10.5.94.
Ma (a parte il fatto che, malgrado la diversa opinione degli appellanti, l'indagine del tribunale sulla ricorrenza del dolo fu particolarmente approfondita), il raggiro, quando c'è, richiede una semplice illustrazione (di dimensioni inversamente proporzionali alla sua evidenza) dei tangibili fenomeni che ne costituiscano l'essenza.
Ed in questo caso, come ora accennato, a monte nemmeno è giuridicamente configurabile un raggiro consistente nel silenzio di un partner (pre)contrattuale su quel che lui -o qualcun altro- negozia con un autonomo soggetto terzo, in vista della stipula di un diverso ed autonomo contratto, per l'ovvia ragione che lo schieramento soggettivo immaginato dagli artt. 1337 e 1440 c.c. è quello delle parti che stanno trattando (o dei contraenti) nello stesso contratto, e la tutela codicistica, anche riguardo agli obblighi d'informativa, è inerente sempre a questo schema. Con il corollario che non informare la propria controparte dei termini di un separato accordo in fieri o concluso con un terzo non assume rilievo eziologico apprezzabile nel dolo incidente, né condotta illecita valutabile ex artt. 1337 e 2043 citt. e che il dovere informativo è associato all'onere d'informarsi "con uno sforzo mediamente ragionevole" (Cass. 2479/2007, citata da S.) Nel descritto contesto nemmeno è ben chiaro quale sia il senso ed il rilievo della lagnanza sulla pretesa equiparazione del primo giudice tra dolo determinante ed incidente, né quale sia l'errore (quand'anche inessenziale) in cui sarebbe incorsa la A. per effetto del silenzio decettivo (nessun apporto decisorio potendosi trarre dalle opinioni dottrinali al riguardo).
Quanto al primo punto, il Tribunale si soffermò diverse pagine ad illustrare la diversità delle due ipotesi ed argomentando che l'ambizione al pari trattamento non produceva effetto alcuno, inquadrabile com'era nella veste di motivo non elevato a condizione ed estraneo alla sfera volitiva della A., in quanto concernente il contenuto di un diverso contratto concluso tra terzi.
Quanto al secondo punto, quello sull'esistenza di altri contratti stipulati tra altri soggetti a condizioni diverse certo non è l'errore rilevante ai sensi degli artt. citati, per le suesposte ragioni, la suddetta diversità essendo del tutto fisiologica in una situazione in cui tutti gli eredi A. avevano condiviso la determinazione di procedere a trattative separate, per giungere finalmente, dopo alcuni lustri di sanguinose e costose battaglie giudiziarie, ad una composizione bonaria della contesa con la Fondazione, il cui comprensibile interesse era quello di limitare le uscite verso chiunque, S. compreso.
D'altro canto, la raffigurazione di un dolo omissivo richiede la verificata violazione di un dovere giuridico di attivarsi, che in questo caso non è stato neppure definito, a tanto non potendo supplire la pretesa violazione di un adombrato principio di parità di trattamento (per di più "quantomeno tendenziale": pag. 35 appello) che non si spiega quale supporto normativo possegga ai fini in esame, né come possa applicarsi al caso di diversi contratti stipulati tra privati nel rispetto dei canoni e degli ampi limiti dell'autonomia negoziale e concretamente al caso in cui i vari eredi (o successibili), ciascuno valutando le proprie personali convenienze, concludano separate transazioni (rammentandosi sempre che qui si sta parlando di un trattamento non elargito né imposto da un terzo, ma determinato sulla conforme volontà della parte che ora se ne duole).
Di tal genere di difficoltà pare essersi resa conto la stessa parte appellante, quando tenta di ricostruire il dolo incidente, insistendo sull'assunto d'essere stata tenuta all'oscuro del precedente accordo tra Fondazione e S., e sottolineando che quest'ultimo avrebbe fruito di un trattamento "incommensurabilmente" prefe- renziale, pur nella sua la titolarità, di "posizioni soggettive omogenee" a quelle della defunta signora A. (omogeneità che non conferisce certo lo sperato vigore giuridico né una qualche legittimazione al perorato principio di parità di trattamento, che peraltro nemmeno si comprende a quali categorie soggettive suscettibili di comparazione debba intendersi rivolto).
Hanno allora gioco facile gli appellati a replicare che il principio, se tale è, dovrebbe essere bidirezionale e comportare la possibilità anche di rivisitazioni in pejus, nel raffronto con transazioni meno munifiche, come quelle firmate dai coeredi.
Sicché non si può far a meno di convenire sul fatto che la transazione, data la sua rammentata libertà di contenuto in funzione della pacificazione tendenzialmente di qualsiasi lite, insorta o temuta -connotato che portò il primo giudice a ritenerla incompatibile con la nozione del dolo incidente- era lo strumento coralmente prescelto dai litiganti (ma separatamente da costoro gestito), che ben poteva sfociare -anzi era proprio in re ipso destinato a sfociare- in risultati non necessariamente uguali per ciascuno.
Per meglio dire, le transazioni furono precedute da complesse trattative, tra le parti, assistite dai loro avvocati, della durata di sette-otto mesi, le quali, data la loro funzione tipica, davano a chiunque il segnale che il risultato finale avrebbe potuto risentire dei più svariati fattori, non ultimi i rapporti di forza e l'abilità degli interessati, magari spinta fino a sfiorare la spregiudicatezza (non comprendendosi altrimenti il senso del trattare). Senza dire, a chiusura del discorso, che, anche a voler ammettere la fondatezza dell'assunto di parte appellante circa una sua più cospicua richiesta monetaria, se debitamente informata secondo la sua prospettazione, non è affatto detto che la sua controparte avrebbe prestato il proprio assenso.
Una volta acclarata la giuridica inconfigurabilità della responsabilità contrattuale, precontrattuale ed extracontrattuale nei termini auspicati dagli appellanti, perde d'interesse ogni indagine, anche istruttoria, sui residui motivi di gravame.;
L'ottavo motivo, infatti, si basa sulla reiterata doglianza in punto ampiezza del giudicato, già affrontata col primo motivo, al quale si rimanda.;
ll nono motivo reca la doglianza relativa allo "specifico e pervasivo onere di diligenza" che il Tribunale avrebbe posto a carico della sola A., senza considerare che i controinteressati S. e Fondazione mai avrebbero risposto alle eventuali richieste informative e che, secondo la più autorevole dottrina, la valutazione del raggiro -che è idoneo per aver concretamente indotto in errore la controparte e che in questo caso consisteva neringannevole apparenza di un trattamento omogeneo tra tutti i titolari delle quote ereditarie"- andava fatta a prescindere dal contegno del deceptus. La sorte di questo motivo è anch'essa determinata da quanto or ora cennato sul principio di parità di trattamento. Ad abundantiam la Corte osserva che l'onere d'informarsi costituisce la soglia minima di attenzione che i contraenti devono rispettare; che la dottrina non ha valore nomofilat- fico; che la valutazione del raggiro -soprattutto se di natura omissiva- va fatta ex ante, a meno di non ritenerlo sempre viziante per il sol fatto di sussistere, senza possibilità di distinzione alcuna sulla sua gravità e sulla sua intrinseca insidiosità (la Fondazione richiama Cass. 1585/17: "in tema di dolo quale causa di annullamento del contratto, sia nella ipotesi di dolo commissivo che in quella di dolo omissivo, gli artifici o i raggiri, la reticenza o il silenzio devono essere valutati in relazione alle particolari circostanze di fatto ed alle qualità e condizioni soggettive dell'altra parte, onde stabilire se erano idonei a sorprendere una persona di normale diligenza");
Il decimo motivo è la ripetizione del quarto, onde al proposito nulla v'è da aggiungere.
L'undicesimo motivo si risolve nel dichiarato richiamo al settimo, ed altrettanto fa la Corte, osservando inoltre che lo stesso si basa su un travisamento dell'appellata decisione, la quale non reputò irrilevante il momento della sottoscrizione della transazione, ma puntualizzò che a quel momento le parti avevano avuto modo di sviscerare la materia dedotta in contratto grazie ad otto mesi di trattative e che il testo era stato analogamente frutto di una ragionata rielaborazione su varie bozze scambiate inter partes, irrilevante essendo, nella causalità della stipula della transazione ormai ampiamente conosciuta e divisata dalle parti, la dichiarazione attribuita all'avv. X. di cui al cap. 18 dell'attrice, successiva alla ridetta sottoscrizione. Parte appellante ripete che, se informata, si sarebbe determinata a chiedere di più, ma anche tale questione è stata trattata nelle pagine che precedono.;
Il dodicesimo motivo si dilunga sull'irrilevanza che rivestirebbe, secondo l'erronea opinione del Tribunale, la clausola di riservatezza apposta all'accordo quadro Fondazione-S., che sarebbe invece "il suggello evidente di una segretezza osservata e voluta" (pag. 49 appello), con l'unico scopo di nascondere alla A. l'accordo quadro medesimo.
Alle superiori considerazioni riguardo all'inconfigurabilità del preteso illecito la Corte aggiunge solo che si tratta di doglianza generica, assiomatica ed inidonea a confutare l'articolata motivazione del Tribunale, tutt'altro che orientata a "sminuire tale fatto", avendo il primo giudice persuasivamente rilevato che "la clausola di riservatezza che si rinviene nell'accordo sottoscritto dagli Enti esponenti con il signor S. risulta essere stata apposta a mano -verosimilmente- solo al momento della sottoscrizione dell'accordo in data 8 giugno 2007 e, ovviamente, era destinata a far valere i suoi effetti solo per il futuro: pertanto, nessun vincolo di tale natura sussisteva durante la fase delle trattative. Il preteso "patto del silenzio" fra la Fondazione A. ed il signor S. non avrebbe comunque impedito ai legali di A. A. di chiedere agli altri legali (di tutte le parti) coinvolte le informazioni ritenute necessarie per la prosecuzione delle trattative. inoltre, (...) allorquando le Parti si incontrarono, in data 19/6/2007, presso lo studio del Notaio L. Quaggia per sottoscrivere l'atto di Transazione, il negoziato durato all'incirca 8 mesi, (...), si era ormai da tempo concluso con il reperimento dell'accordo tra i Legali che rappresentavano le parti e pertanto con l'adesione dei rispettivi rappresentati, cosicché in tale sede non potrà compiersi alcun raggiro dal momento che l'espressione volitiva di adesione all'accordo si era già manifestata con il preventivo scambio delle bozze e l'intesa dichiarata sul testo finale che era circolato tra le Parti" (pag. 24 sentenza).
IL tredicesimo motivo è (vanamente) volto a screditare il valore confessorio attribuito dal Tribunale alle dichiarazioni contenute nella memoria depositata dalla marchesa A. nel procedimento penale a suo carico per il reato di calunnia promosso dall'avv.
X.. A tal fine adduce argomenti quali: l'avere lei in quella memoria confermato "in nuce" i fatti costitutivi della domanda per cui è processo, reiteratamente sollevando il tema della decettivitò;
respinto gli addebiti penalistici con esplicitazione delle relative "ragioni tecniche"; evidenziato che in questa sede la condotta dell'avv. X. veniva in rilievo non in proprio, ma quale procuratore della Fondazione; sostenuto che nella citazione mai aveva affermato che fosse stato l'avv. X. ad indurla a firmare la penalizzante transazione.
Osserva la Corte come le superiori deduzioni, costituite da affermazioni della stessa parte, si segnalino per la loro totale irrilevanza e lascino perciò intatta la forza delle parole che per ragioni di chiarezza conviene testualmente trascrivere (come del resto ha fatto parte appellante):
con ie anzidette "dichiarazioni di chiaro contenuto confessori° (atteso che la memoria è sottoscritta dalla stessa signora A.), la Signora A. riconosce che:
-"alle trattative hanno partecipato, ovviamente in nome e per conto della parte rappresentata, l'Avv. A. e l'Avv. D. per A. A., l'Avv. X. per la Fondazione A." (pag• 3);
-alla transazione si addivenne "dopo numerosi incontri e colloqui" (pag• 3);
-"l'accordo ha posto fine ad un contenzioso giudiziario in essere da oltre diciassette anni, avente per oggetto l'eredità di A. A., il cui valore è stato successivamente stimato in oltre seicentocinquantamilioni di euro" (pag. 3); e -"i fatti riportati nell'atto di citazione, asseritamente calunniosi, sono stati riferiti alla sottoscritta da terzi" (pagg. 2 e 7).
Dunque, la signora A. riconosce che alla sottoscrizione dell'accordo transattivo impugnato in questa sede si è giunti dopo lunghe trattative condotte dai rispettivi avvocati, che il valore del patrimonio è stato determinato successivamente e, soprattutto, che le frasi attribuite all'Avv. X. nel presente giudizio e che avrebbero viziato la volontà della signora Germi sarebbero state ri- ferite a quest'ultima da "terzi" (verosimilmente dai suoi legali - cfr. pag. 7 della memoria). Fermo che, come dimostrato, tali frasi non hanno alcuna valenza decettiva, esse non sarebbero state pro- nunciate in presenza della signora A. ma a lei riferite da altri:
saremmo, quindi, in presenza di una fattispecie di decettività mediata in cui la volontà della parte sarebbe stata viziata in virtù di quanto riportato dai suoi legali circa lo svolgimento delle trattative.
Del resto, sempre nella memoria in esame, la signora A. dichiara che "giammai (...) l'Avv. X., con il proprio comportamento, ha indotto A. A. a sottoscrivere un atto che, altrimenti, non avrebbe stipulato" (pag. 6 della memoria in esame).
Tali dichiarazioni sottoscritte dalla parte attrice consentono di meglio interpretare i fatti come ricostruiti in citazione, confermando la tesi di questo giudice sulla possibilità della marchesa A. di conoscere usando l'ordinaria diligenza -se avesse voluto o ritenutole condizioni cui /e altre parti stavano per transigere (Cass.24.7.1976 n. 2961).
In ogni caso, il fatto che l'allora legale della Fondazione A., l'Avv. Renato X., abbia in ipotesi assicurato che "tutti gli al- tri eredi erano stati trattati nella stessa maniera", non costituisce raggiro dal momento che una tale affermazione, quand'anche pronunciata, oltre ad essere corrispondente al vero (almeno sotto il profilo formale rispetto alle persone fisiche degli eredi), non potrebbe comunque integrare quel complesso di comportamenti, adeguatamente preordinati, con malizia o astuzia, a realizzare l'inganno perseguito: complesso di comportamenti che, come so- pra è stato osservato, i giudici di legittimità ritengono necessario per poter affermare la sussistenza di un'ipotesi di dolo. Invero, la sopra riferita affermazione, al pari di quella, sempre attribuita ( all'Avv. X., secondo cui "Tutto è a posto" non integrerebbero comunque un insieme di artifizi o raggiri idonei ad indurre in errore la marchesa A., nel contesto in cui si svolsero le trattive portate - avanti da- mesi da seri professionisti, con la possibilità di conoscere le altre - posizioni - e di condizionare, persino, la propria transazione a quella degli altri.
Non senza aggiungere che, se anche la signora A. A. si fosse determinata a concludere l'accordo transattivo con la Fondazione A. anche perché rassicurata dal fatto che gli altri "eredi" avevano ottenuto trattamenti simili (come in effetti si è verificato), tale circostanza, non solo non inciderebbe sui termini e sulla causa del contratto, ma non costituirebbe neppure un motivo ri- levante nella conclusione della transazione".
Il quattordicesimo motivo è dedicato "all'adesione del Tribunale a una risalentissima tesi dottrinale che non ammetterebbe l'impugnabilità per dolo della transazione".
La questione è assolutamente irrilevante, avendo il Tribunale provveduto a motivare il rigetto a seguito di cognizione piena del merito (ovviamente idonea a giustificare ex se l'esiziale verdetto), senza arrestarsi al tema dell'impugnabilità della transazione, a far scrutinare la quale parte appellante non detiene quindi interesse alcuno.
Suscita qualche perplessità l'esordio del quindicesimo motivo, che evoca un "concorso di Fondazione nell'inadempimento del S.", concorso che, preso alla lettera, potrebbe dirsi già da solo dirompente sul piano sistematico, alla cui stregua non appare spiegabile come possa un terzo extraneus concorrere nell'inadempimento contrattuale di una parte. Viene poi chiarito che si tratterebbe del concorso di una condotta antigiuridica extracontrattuale (sostanzialmente basata sulla conoscenza dei fatti) attribuita alla Fondazione, con l'asserito inadempimento di S..
Il risultato tuttavia non cambia, poiché, non essendo l'inadempimento, né la responsabilità precontrattuale configurabili per le ragioni ormai sin troppo note e chiosate, a fortiori nemmeno lo è un illecito aquiliano, aggravato oltretutto -per chi si dice danneggiato- dal carico probatorio della colpa del preteso danneggiante.
Col sedicesimo motivo parte appellante si duole dell'abnormità - rispetto alle vigenti tariffe- della liquidazione delle spese legali di primo grado (135 mila € a favore della Fondazione e 120 mila a favore di S.), in relazione al valore della causa, pari ad euro 30.685.431,70, che a suo dire legittimerebbe un compenso medio di euro 123.883,20, se fosse stata svolta attività istruttoria -cosa che non è, come per di più evidenziato dallo stesso giudice.
Il motivo condivide la sorte dei precedenti, poiché la liquidazione rimane all'interno della forbice tra il valore medio e quella massimo, ricordandosi al proposito che (Cass. 15749/17) "la determinazione degli onorari di avvocato e degli onorari e diritti di procuratore costituisce esercizio di un potere discrezionale del giudice che, qualora sia contenuto tra il minimo ed il massimo della tariffa, non richiede una specifica motivazione e non può formare oggetto di sindacato in sede di legittimità (Cass., Sez. 1, n. 20289 del 09/10/2015; Sez. 6-1, n. 18167 del 16/09/2015; Sez. 3,n. 4025 de! 06/04/1995)".
Detto ciò, la scelta del primo giudice è compatibile con la defatigante complessità della controversia, avendo il Tribunale dichiaratamente considerato sì la mancanza di attività istruttorie (cui corrisponde già l'importo di euro 129.580, già maggiorato del 30% ex art. 4.2 DM 55/14)), ma al tempo stesso l'avvenuto deposito delle memorie ex art. 183 cpc (il cui compenso va ad aggiungersi a quello tabellare, con la conseguenza che quanto alla fine riconosciuto in sentenza si colloca al di sotto del massimo liquidabile).
Anche nel presente grado le spese seguono la soccombenza e si liquidano in dispositivo (con distrazione verso gli avv. S. e R,, dichiaratisi antistatari), applicando gli stessi parametri appena menzionati e già tenuto conto inoltre della fase cautelare ex art. 351 cpc (euro 117.815 per fase di studio, 35.344,50 per aumento 20% a favore di S. e della Fondazione, nonché 684,30 + 241,30 + 320,90 per spese vive a favore del solo S., per un totale di euro 154.406 a favore di quest'ultimo ed euro 153.159,50 a favore della Fondazione, oltre spese generali ed accessori di legge).
Nulla per le spese relativamente alle parti contumaci.
in chiusura gli appellanti dichiarano di riproporre "ex art. 346 (cpc) la domanda di danno", che ovviamente nemmeno può essere presa in considerazione, stante l'accertata carenza di un qualsivoglia diritto risarcitorio.
Le ragioni del rigetto del gravame rendono evidente la totale irrilevanza, ai fini del decidere, come poc'anzi segnalato, delle prove richieste dagli appellanti.
In definitiva, in base a quanto finora esposto, mancando una valida critica dei motivi addotti a fondamento della decisione, agli stessi nella loro completezza pare doveroso rinviare (sulla pacifica ammissibilità nel giudizio d'appello della relatio al provvedimento impugnato v. ad es. Cass. 13202/12, 11199/12 e 3367/11).
PQM
la Corte, definitivamente pronunciando nella contumacia di X. Renato, di A. Antonio e della Compagnia di Assicurazioni Chartis Europe SA, oggi AIG Europe Limited, disattesa ed assorbita ogni diversa istanza ed eccezione, rigetta l'appello come sopra proposto da M. S., B. ed E. avverso la sentenza n. 7661/16 del 17/20 giugno 2016, emessa dal tribunale di Milano, che pertanto conferma; condanna gli appellanti al pagamento delle spese del grado, liquidate complessivamente in euro 154.406 a favore di S. M. ed euro 153.159,50 a favore della Fondazione, oltre spese generali ed accessori di legge. Con distrazione verso gli avv. S. e Raf- faelli.
Dichiara la sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte degli appellanti, dell'ulteriore importo a titolo di contributo unificato di cui all'art. 13 comma 1-quater DPR 115/2002, così come modificato dall'art. 1 comma 17 L 24/12/2012 n. 228.