Deontologia
Il Caso.it, Sez. Giurisprudenza, 23146 - pubb. 04/02/2020
Rispetto dei termini nelle transazioni commerciali
Corte Giustizia UE, 28 Gennaio 2020. C-122/18 - Pres. Lenaerts. Est. Picarra.
Inadempimento di uno Stato – Direttiva 2011/7/UE – Lotta contro i ritardi di pagamento nelle transazioni commerciali – Transazioni commerciali in cui il debitore è una pubblica amministrazione – Obbligo degli Stati membri di assicurare che il termine di pagamento delle pubbliche amministrazioni non ecceda 30 o 60 giorni – Obbligo di risultato
Non assicurando che le sue pubbliche amministrazioni rispettino effettivamente i termini di pagamento stabiliti all’articolo 4, paragrafi 3 e 4, della direttiva 2011/7/UE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 16 febbraio 2011, relativa alla lotta contro i ritardi di pagamento nelle transazioni commerciali, la Repubblica italiana è venuta meno agli obblighi ad essa incombenti in forza di tali disposizioni. (Redazione IL CASO.it) (riproduzione riservata)
SENTENZA DELLA CORTE (Grande Sezione)
28 gennaio 2020
Nella causa C‑122/18,
avente ad oggetto il ricorso per inadempimento, ai sensi dell’articolo 258 TFUE, proposto il 14 febbraio 2018,
Commissione europea, rappresentata da G. Gattinara e C. Zadra, in qualità di agenti,
ricorrente,
contro
Repubblica italiana, rappresentata da G. Palmieri, in qualità di agente, assistita da S. Fiorentino e F. De Luca, avvocati dello Stato,
convenuta,
LA CORTE (Grande Sezione),
composta da K. Lenaerts, presidente, R. Silva de Lapuerta, vicepresidente, J.‑C. Bonichot, A. Arabadjiev, A. Prechal, M. Safjan e S. Rodin, presidenti di sezione, L. Bay Larsen, T. von Danwitz, C. Toader, F. Biltgen, K. Jürimäe e N. Piçarra (relatore), giudici,
avvocato generale: G. Hogan
cancelliere: A. Calot Escobar
vista la fase scritta del procedimento,
vista la decisione, adottata dopo aver sentito l’avvocato generale, di giudicare la causa senza conclusioni,
ha pronunciato la seguente
Sentenza
1 Con il suo ricorso, la Commissione europea chiede alla Corte di dichiarare che la Repubblica italiana, avendo omesso e omettendo tuttora di assicurare che le sue pubbliche amministrazioni evitino di oltrepassare i termini di 30 o 60 giorni di calendario per il pagamento dei loro debiti commerciali, è venuta meno agli obblighi che le incombono in forza della direttiva 2011/7/UE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 16 febbraio 2011, relativa alla lotta contro i ritardi di pagamento nelle transazioni commerciali (GU 2011, L 48, pag. 1), e, in particolare, a quelli di cui all’articolo 4 di tale direttiva.
Contesto normativo
Diritto dell’Unione
2 I considerando 3, 9, 12, 14, 23 e 25 della direttiva 2011/7 enunciano quanto segue:
«(3) Nelle transazioni commerciali tra operatori economici o tra operatori economici e amministrazioni pubbliche molti pagamenti sono effettuati più tardi rispetto a quanto concordato nel contratto o stabilito nelle condizioni generali che regolano gli scambi. Sebbene le merci siano fornite e i servizi prestati, molte delle relative fatture sono pagate ben oltre il termine stabilito. Tali ritardi di pagamento influiscono negativamente sulla liquidità e complicano la gestione finanziaria delle imprese. Essi compromettono anche la loro competitività e redditività quando il creditore deve ricorrere ad un finanziamento esterno a causa di ritardi nei pagamenti. (...)
(...)
(9) La presente direttiva dovrebbe disciplinare tutte le transazioni commerciali a prescindere dal fatto che siano effettuate tra imprese pubbliche o private ovvero tra imprese e amministrazioni pubbliche, dato che alle amministrazioni pubbliche fa capo un volume considerevole di pagamenti alle imprese. Essa pertanto dovrebbe disciplinare anche tutte le transazioni commerciali tra gli appaltatori principali e i loro fornitori e subappaltatori.
(...)
(12) I ritardi di pagamento costituiscono una violazione contrattuale resa finanziariamente attraente per i debitori nella maggior parte degli Stati membri dai bassi livelli dei tassi degli interessi di mora applicati o dalla loro assenza e/o dalla lentezza delle procedure di recupero. È necessario un passaggio deciso verso una cultura dei pagamenti rapidi, in cui, tra l’altro, l’esclusione del diritto di applicare interessi di mora sia sempre considerata una clausola o prassi contrattuale gravemente iniqua, per invertire tale tendenza e per disincentivare i ritardi di pagamento. Tale passaggio dovrebbe inoltre includere l’introduzione di disposizioni specifiche sui periodi di pagamento e sul risarcimento dei creditori per le spese sostenute e prevedere, tra l’altro, che l’esclusione del diritto al risarcimento dei costi di recupero sia presunta essere gravemente iniqua.
(...)
(14) Per motivi di coerenza della legislazione dell’Unione, ai fini della presente direttiva si dovrebbe applicare la definizione di “amministrazioni aggiudicatrici” di cui alla direttiva 2004/17/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 31 marzo 2004, che coordina le procedure di appalto degli enti erogatori di acqua e di energia, degli enti che forniscono servizi di trasporto e servizi postali [(GU 2004, L 134, pag. 1)], e alla direttiva 2004/18/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 31 marzo 2004, relativa al coordinamento delle procedure di aggiudicazione degli appalti pubblici di lavori, di forniture e di servizi [(GU 2004, L 134, pag. 114)].
(...)
(23) Di regola, le pubbliche amministrazioni godono di flussi di entrate più certi, prevedibili e continui rispetto alle imprese. Molte pubbliche amministrazioni possono inoltre ottenere finanziamenti a condizioni più interessanti rispetto alle imprese. Allo stesso tempo, per raggiungere i loro obiettivi, le pubbliche amministrazioni dipendono meno delle imprese dall’instaurazione di relazioni commerciali stabili. Lunghi periodi di pagamento e ritardi di pagamento da parte delle pubbliche amministrazioni per merci e servizi determinano costi ingiustificati per le imprese. Di conseguenza per le transazioni commerciali relative alla fornitura di merci o servizi da parte di imprese alle pubbliche amministrazioni è opportuno introdurre norme specifiche che prevedano, in particolare, periodi di pagamento di norma non superiori a trenta giorni di calendario, se non diversamente concordato espressamente nel contratto e purché ciò sia obiettivamente giustificato alla luce della particolare natura o delle caratteristiche del contratto, e in ogni caso non superiori a sessanta giorni di calendario.
(...)
(25) Per quanto riguarda i ritardi di pagamento, particolarmente preoccupante è la situazione dei servizi sanitari in gran parte degli Stati membri. I sistemi di assistenza sanitaria, come parte fondamentale dell’infrastruttura sociale europea, sono spesso costretti a conciliare le esigenze individuali con le disponibilità finanziarie (...). Gli Stati membri dovrebbero quindi poter concedere agli enti pubblici che forniscono assistenza sanitaria una certa flessibilità nell’onorare i loro impegni. A tal fine, gli Stati membri dovrebbero essere autorizzati, a determinate condizioni, a prorogare il periodo legale di pagamento fino ad un massimo di sessanta giorni di calendario. Gli Stati membri, tuttavia, dovrebbero adoperarsi affinché i pagamenti nel settore dell’assistenza sanitaria siano effettuati in accordo con i periodi legali di pagamento».
3 L’articolo 1, paragrafi 1 e 2, della direttiva 2011/7 così dispone:
«1. Lo scopo della presente direttiva è di lottare contro i ritardi di pagamento nelle transazioni commerciali, al fine di garantire il corretto funzionamento del mercato interno, favorendo in tal modo la competitività delle imprese e in particolare delle [piccole e medie imprese (PMI)].
2. La presente direttiva si applica ad ogni pagamento effettuato a titolo di corrispettivo in una transazione commerciale».
4 L’articolo 2 della medesima direttiva stabilisce quanto segue:
«Ai fini della presente direttiva si applicano le seguenti definizioni:
(...)
2) “pubblica amministrazione”: qualsiasi amministrazione aggiudicatrice quale definita all’articolo 2, paragrafo 1, lettera a), della direttiva [2004/17] e all’articolo 1, paragrafo 9, della direttiva [2004/18], indipendentemente dall’oggetto o dal valore dell’appalto;
(...)
4) “ritardo di pagamento”: pagamento non effettuato durante il periodo di pagamento contrattuale o legale e in relazione al quale le condizioni di cui all’articolo 3, paragrafo 1, o all’articolo 4, paragrafo 1, sono soddisfatte;
(...)
(...)».
5 L’articolo 3, paragrafi 1 e 3, della direttiva 2011/7 prevede quanto segue:
«1. Gli Stati membri assicurano che nelle transazioni commerciali tra imprese il creditore abbia diritto agli interessi di mora senza che sia necessario un sollecito, qualora siano soddisfatte le seguenti condizioni:
a) il creditore ha adempiuto agli obblighi contrattuali e di legge; e
b) il creditore non ha ricevuto nei termini l’importo dovuto e il ritardo è imputabile al debitore.
(...)
3. Qualora siano soddisfatte le condizioni di cui al paragrafo 1, gli Stati membri assicurano che:
a) il creditore abbia diritto agli interessi di mora a decorrere dal giorno successivo alla data di scadenza o alla fine del periodo di pagamento stabiliti nel contratto;
b) se la data di scadenza o il periodo di pagamento non sono stabiliti nel contratto, il creditore abbia diritto agli interessi di mora alla scadenza di uno dei termini seguenti:
i) trenta giorni di calendario dal ricevimento da parte del debitore della fattura o di una richiesta equivalente di pagamento;
ii) se non vi è certezza sulla data di ricevimento della fattura o della richiesta equivalente di pagamento, trenta giorni di calendario dalla data di ricevimento delle merci o di prestazione dei servizi;
iii) se la data in cui il debitore riceve la fattura o la richiesta equivalente di pagamento è anteriore a quella del ricevimento delle merci o della prestazione dei servizi, trenta giorni di calendario dalla data di ricevimento delle merci o di prestazione dei servizi;
iv) se la legge o il contratto prevedono una procedura di accettazione o di verifica diretta ad accertare la conformità delle merci o dei servizi al contratto e se il debitore riceve la fattura o la richiesta equivalente di pagamento anteriormente o alla stessa data dell’accettazione o della verifica, trenta giorni di calendario da tale data».
6 L’articolo 4 della direttiva 2011/7, intitolato «Transazioni fra imprese e pubbliche amministrazioni», ai paragrafi 1, 3, 4 e 6 così dispone:
«1. Gli Stati membri assicurano che, nelle transazioni commerciali in cui il debitore è la pubblica amministrazione, alla scadenza del periodo di cui al paragrafo 3, 4 o 6 il creditore abbia diritto agli interessi legali di mora senza che sia necessario un sollecito, qualora siano soddisfatte le seguenti condizioni:
a) il creditore ha adempiuto agli obblighi contrattuali e di legge; e
b) il creditore non ha ricevuto nei termini l’importo dovuto e il ritardo è imputabile al debitore.
(...)
3. Gli Stati membri assicurano che nelle transazioni commerciali in cui il debitore è una pubblica amministrazione:
a) il periodo di pagamento non superi uno dei termini seguenti:
i) trenta giorni di calendario dal ricevimento da parte del debitore della fattura o di una richiesta equivalente di pagamento;
ii) se non vi è certezza sulla data di ricevimento della fattura o della richiesta equivalente di pagamento, trenta giorni di calendario dalla data di ricevimento delle merci o di prestazione dei servizi;
iii) se la data in cui il debitore riceve la fattura o la richiesta equivalente di pagamento è anteriore a quella del ricevimento delle merci o della prestazione dei servizi, trenta giorni di calendario dalla data di ricevimento delle merci o di prestazione dei servizi;
iv) se la legge o il contratto prevedono una procedura di accettazione o di verifica diretta ad accertare la conformità delle merci o dei servizi al contratto e se il debitore riceve la fattura o la richiesta equivalente di pagamento anteriormente o alla stessa data dell’accettazione o della verifica, trenta giorni di calendario da quella data.
b) la data di ricevimento della fattura non sia soggetta a un accordo contrattuale tra debitore e creditore.
4. Gli Stati membri possono prorogare i termini di cui al paragrafo 3, lettera a), fino ad un massimo di sessanta giorni di calendario per:
a) qualsiasi amministrazione pubblica che svolga attività economiche di natura industriale o commerciale offrendo merci o servizi sul mercato e che sia soggetta, come impresa pubblica, ai requisiti di trasparenza di cui alla direttiva 2006/111/CE della Commissione, del 16 novembre 2006, relativa alla trasparenza delle relazioni finanziarie tra gli Stati membri e le loro imprese pubbliche e alla trasparenza finanziaria all’interno di talune imprese [(GU 2006, L 318, pag. 17)];
b) enti pubblici che forniscono assistenza sanitaria e che siano stati debitamente riconosciuti a tal fine.
(…)
6. Gli Stati membri assicurano che il periodo di pagamento stabilito nel contratto non superi il termine di cui al paragrafo 3, se non diversamente concordato espressamente nel contratto e purché ciò sia oggettivamente giustificato dalla natura particolare del contratto o da talune sue caratteristiche, e non superi comunque sessanta giorni di calendario».
Diritto italiano
7 La direttiva 2011/7 è stata recepita nell’ordinamento giuridico italiano dal decreto legislativo 9 novembre 2012, n. 192 – Modifiche al decreto legislativo 9 ottobre 2002, n. 231, per l’integrale recepimento della direttiva 2011/7/UE relativa alla lotta contro i ritardi di pagamento nelle transazioni commerciali, a norma dell’articolo 10, comma 1, della legge 11 novembre 2011, n. 180 (GURI n. 267, del 15 novembre 2012). Il decreto legislativo 9 ottobre 2002, n. 231, a sua volta, aveva recepito nell’ordinamento giuridico italiano la direttiva 2000/35/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 29 giugno 2000, relativa alla lotta contro i ritardi di pagamento nelle transazioni commerciali (GU 2000, L 200, pag. 35).
8 Tra i provvedimenti adottati dalla Repubblica italiana per garantire la puntualità dei pagamenti delle pubbliche amministrazioni rientrano il decreto legge 8 aprile 2013, n. 35 – Disposizioni urgenti per il pagamento dei debiti scaduti della pubblica amministrazione, per il riequilibrio finanziario degli enti territoriali, nonché in materia di versamento di tributi degli enti locali (GURI n. 82, dell’8 aprile 2013), convertito in legge, con modificazioni, dalla legge 6 giugno 2013, n. 64 (GURI n. 132, del 7 giugno 2013), nonché il decreto legge 24 aprile 2014, n. 66 – Misure urgenti per la competitività e la giustizia sociale (GURI n. 95, del 24 aprile 2014), convertito in legge, con modificazioni dalla legge 23 giugno 2014, n. 89 (GURI n. 143, del 23 giugno 2014). Tali decreti legge prevedono in particolare lo stanziamento di risorse finanziarie aggiuntive per il pagamento dei crediti certi, liquidi ed esigibili delle imprese nei confronti delle pubbliche amministrazioni.
9 Per migliorare la situazione delle imprese titolari di crediti nei confronti delle pubbliche amministrazioni, sono state adottate misure di natura fiscale, tra cui l’articolo 12, comma 7 bis, del decreto legge 23 dicembre 2013, n. 145 – Interventi urgenti di avvio del piano «Destinazione Italia», per il contenimento delle tariffe elettriche e del gas, per la riduzione dei premi RC-auto, per l’internazionalizzazione, lo sviluppo e la digitalizzazione delle imprese, nonché misure per la realizzazione di opere pubbliche ed EXPO 2015, convertito in legge, con modificazioni, dalla legge 21 febbraio 2014, n. 9 (GURI n. 43, del 21 febbraio 2014). In forza di tale disposizione, le imprese possono operare una compensazione tra i propri debiti tributari e i crediti certi, liquidi ed esigibili vantati nei confronti delle pubbliche amministrazioni.
Procedimento precontenzioso
10 A seguito di una serie di denunce presentate da operatori economici e associazioni di operatori economici italiani, la Commissione ha inviato alla Repubblica italiana, il 19 giugno 2014, una lettera di messa in mora, contestandole l’inadempimento degli obblighi ad essa incombenti, segnatamente, ai sensi dell’articolo 4 della direttiva 2011/7.
11 Con lettera del 18 agosto 2014, tale Stato membro ha risposto alla suddetta lettera di messa in mora, comunicando alla Commissione le misure specifiche adottate per lottare contro i ritardi di pagamento nelle transazioni commerciali tra soggetti pubblici e privati. Tali misure consistevano nel recepimento anticipato della direttiva 2011/7, in azioni dirette all’eliminazione dello stock di debiti scaduti delle pubbliche amministrazioni, nonché nella creazione di un nuovo sistema normativo e amministrativo volto a incoraggiare il rispetto dei termini di pagamento previsti da tale direttiva e ad evitare l’aumento delle scorte dei debiti scaduti e non pagati delle pubbliche amministrazioni. Nella stessa lettera, la Repubblica italiana ha precisato che, nonostante l’adozione di dette misure, l’esistenza di ritardi di pagamento non poteva essere esclusa.
12 Il 12 novembre 2014 la Commissione ha chiesto alla Repubblica italiana di inviarle relazioni bimestrali relative alla durata effettiva dei tempi di pagamento delle pubbliche amministrazioni. La Repubblica italiana ha ottemperato a tale richiesta trasmettendo alla Commissione sette relazioni bimestrali tra il 1° dicembre 2014 e il 6 agosto 2016.
13 Con lettera del 21 settembre 2016, la Commissione ha sottolineato che le relazioni bimestrali inviate fino a tale data prendevano in considerazione non tutte le fatture emesse nei confronti delle pubbliche amministrazioni italiane, ma unicamente quelle effettivamente liquidate da tali amministrazioni nei periodi di riferimento. Di conseguenza, tale istituzione ha chiesto alla Repubblica italiana di fornirle dati aggiornati riguardanti la totalità delle fatture.
14 In risposta alla lettera del 21 settembre 2016, detto Stato membro ha trasmesso alla Commissione, il 5 dicembre 2016, dati ottenuti facendo ricorso alla piattaforma per il monitoraggio dei crediti commerciali, dai quali risultava che il termine medio di pagamento per il primo semestre del 2016 era di 50 giorni.
15 Il 16 febbraio 2017 la Commissione, ritenendo che la situazione risultante dall’insieme delle relazioni presentate dalla Repubblica italiana non fosse conforme all’articolo 4 della direttiva 2011/7, ha emesso un parere motivato ai sensi dell’articolo 258 TFUE e ha invitato tale Stato membro a conformarvisi entro il termine di due mesi.
16 Nella sua risposta del 19 aprile 2017 al parere motivato, la Repubblica italiana ha indicato che i tempi medi di pagamento delle pubbliche amministrazioni erano di 51 giorni per l’intero anno 2016, ossia 44 giorni per le amministrazioni statali, 67 giorni per il servizio sanitario nazionale, 36 giorni per le regioni e le province autonome, 43 giorni per gli enti pubblici locali, 30 giorni per gli enti pubblici nazionali e 38 giorni per le altre pubbliche amministrazioni.
17 Ritenendo che la Repubblica italiana non avesse ancora posto rimedio alle violazioni dell’articolo 4, paragrafi 3 e 4, della direttiva 2011/7, la Commissione ha proposto il ricorso in esame.
18 La Repubblica italiana, in applicazione dell’articolo 16, terzo comma, dello Statuto della Corte di giustizia dell’Unione europea, ha chiesto alla Corte di riunirsi in Grande Sezione.
Sul ricorso
Argomenti delle parti
19 La Commissione fa valere che i dati comunicati dalla Repubblica italiana stessa dimostrano che le pubbliche amministrazioni italiane hanno superato i termini di pagamento di 30 o 60 giorni stabiliti dall’articolo 4, paragrafi 3 e 4, della direttiva 2011/7. Un superamento siffatto, la cui esistenza non sarebbe espressamente contestata da tale Stato membro, riguarderebbe l’insieme delle pubbliche amministrazioni e si estenderebbe su un periodo di diversi anni.
20 A tale riguardo, la Commissione sottolinea che i dati che dimostrano l’effettività dell’asserito inadempimento sono stati registrati e aggiornati in modo continuativo nel periodo compreso tra i mesi di settembre 2014 e dicembre 2016.
21 Inoltre, la Commissione rileva che taluni studi realizzati da altri enti e associazioni contraddicono le conclusioni delle relazioni bimestrali presentate dalla Repubblica italiana, secondo le quali vi sarebbe una diminuzione progressiva dei tempi medi di pagamento. Infatti, tali studi evidenzierebbero l’esistenza di tempi medi di pagamento che vanno da 99 giorni (studio realizzato dalla Confartigianato, associazione che rappresenta taluni artigiani e PMI) a 145 giorni (studio realizzato dall’Assobiomedica, associazione che rappresenta le imprese che forniscono dispositivi medici alle strutture sanitarie italiane), o addirittura a 156 giorni (studio realizzato dall’ANCE, associazione di imprese del settore edile). In casi limite, il tempo di pagamento sarebbe pari a 687 giorni (studio realizzato dal quotidiano Il Sole 24 Ore).
22 Secondo la Commissione, un siffatto superamento continuato e sistematico, da parte delle pubbliche amministrazioni italiane, dei termini di pagamento previsti dall’articolo 4, paragrafi 3 e 4, della direttiva 2011/7 costituisce di per sé una violazione di quest’ultima, imputabile alla Repubblica italiana. Infatti, dopo l’entrata in vigore di tale direttiva, gli Stati membri, in forza del suo articolo 4, paragrafi 3 e 4, sarebbero tenuti non solo a prevedere, nella loro normativa di recepimento di detta direttiva e nei contratti relativi a transazioni commerciali in cui il debitore è una delle loro pubbliche amministrazioni, termini massimi di pagamento conformi a tali disposizioni, ma anche ad assicurare il rispetto effettivo di questi termini da parte delle suddette pubbliche amministrazioni.
23 In tale contesto, la Commissione rileva, in primo luogo, che la nozione di «periodo di pagamento» ai sensi dell’articolo 4, paragrafo 3, lettera a), della direttiva 2011/7, si riferisce al periodo entro il quale le autorità pubbliche sono tenute al pagamento effettivo dei loro debiti commerciali, periodo che decorre dal verificarsi di circostanze fattuali concrete, quali il ricevimento della fattura, il ricevimento delle merci o la prestazione dei servizi. La Commissione aggiunge che, per definire la nozione di «ritardo di pagamento», l’articolo 2, punto 4, di tale direttiva rinvia ad un elemento concreto, ossia il «pagamento non effettuato» durante il periodo contrattuale o legale. Una siffatta interpretazione della nozione di «periodo di pagamento» sarebbe, del resto, la sola che consentirebbe di perseguire efficacemente l’obiettivo della direttiva 2011/7, che consiste nella lotta effettiva ai ritardi di pagamento nel mercato interno.
24 In secondo luogo, la Commissione ritiene che, dal momento che la violazione dell’articolo 4, paragrafi 3 e 4, della direttiva 2011/7 da parte delle pubbliche amministrazioni è idonea a far sorgere la responsabilità dello Stato membro interessato, la questione se tali amministrazioni esercitino prerogative dei pubblici poteri o se operino iure privatorum è irrilevante in tale contesto. Del resto, la nozione di «amministrazione aggiudicatrice», alla quale l’articolo 2, punto 2, di tale direttiva rinvia per definire la nozione di «pubblica amministrazione», sarebbe indipendente dall’esistenza di prerogative dei pubblici poteri.
25 In terzo luogo, la Commissione fa valere che l’interpretazione che essa propone dell’articolo 4, paragrafi 3 e 4, della direttiva 2011/7 non è messa in discussione dalla sentenza del 16 febbraio 2017, IOS Finance EFC (C‑555/14, EU:C:2017:121), invocata dalla Repubblica italiana nella sua risposta al parere motivato.
26 Per quanto riguarda i dati da essa forniti alla Commissione, la Repubblica italiana sostiene, in primo luogo, che tali dati, relativi agli anni dal 2015 al 2017 e aggiornati nel marzo 2018, mostrano un miglioramento continuo e sistematico dei tempi medi di pagamento da parte delle pubbliche amministrazioni. Tale miglioramento si sarebbe tradotto in una riduzione del numero medio di giorni di ritardo nel corso del periodo corrispondente agli anni dal 2015 al 2017 (da 23 giorni a 8 giorni). Se tale tendenza dovesse essere confermata, sarebbe ipotizzabile prevedere, per quanto riguarda le fatture emesse nel corso del 2018, un rispetto dei termini di pagamento stabiliti all’articolo 4, paragrafi 3 e 4, della direttiva 2011/7.
27 In secondo luogo, la Repubblica italiana fa valere che le modalità di analisi adottate dalla Commissione con riferimento ai dati forniti nelle sue relazioni bimestrali non sono appropriate.
28 A tal riguardo, essa sottolinea, da un lato, che la scelta da parte della Commissione di ricorrere all’indicatore corrispondente al «tempo medio di pagamento» piuttosto che all’indicatore relativo al «tempo medio di ritardo» incide sull’affidabilità dell’analisi effettuata dalla medesima. Infatti, dal momento che tale primo indicatore prende come punto di riferimento, per analizzare la portata dei ritardi di pagamento delle pubbliche amministrazioni, il termine «standard» di 30 giorni, la Commissione avrebbe ignorato il fatto che il termine di pagamento di 60 giorni, previsto all’articolo 4, paragrafo 4, della direttiva 2011/7, si applica non solo alle transazioni effettuate dagli enti pubblici che forniscono assistenza sanitaria, ma anche a quelle effettuate da qualsiasi pubblica amministrazione che eserciti attività economiche a carattere industriale e commerciale e che sia soggetta alla direttiva 2006/111. Dall’altro, la Commissione avrebbe effettuato un confronto fallace dei dati dal punto di vista temporale, non prendendo in considerazione la dinamica di effettuazione dei pagamenti. L’analisi di tale istituzione si cristallizzerebbe quindi al momento dell’invio dell’ultima relazione bimestrale, senza prendere in considerazione i pagamenti successivamente intervenuti.
29 In terzo luogo, la Repubblica italiana contesta i risultati degli studi menzionati al punto 21 della presente sentenza, i quali, a causa della loro inattendibilità e del carattere parziale dei dati raccolti, sarebbero privi di pertinenza.
30 Per quanto riguarda la portata dell’articolo 4, paragrafi 3 e 4, della direttiva 2011/7, la Repubblica italiana fa valere, in primo luogo, che da un’interpretazione letterale e sistematica di tali disposizioni risulta che, se tale direttiva impone agli Stati membri di garantire, nella loro normativa di recepimento di detta direttiva e nei contratti relativi a transazioni commerciali in cui il debitore è una delle loro pubbliche amministrazioni, termini massimi di pagamento conformi a dette disposizioni nonché di prevedere il diritto dei creditori, in caso di mancato rispetto di tali termini, a interessi di mora e al risarcimento dei costi di recupero, le medesime disposizioni non impongono, invece, agli Stati membri di garantire l’effettiva osservanza, in qualsiasi circostanza, dei suddetti termini da parte delle loro pubbliche amministrazioni. La direttiva 2011/7 mirerebbe ad uniformare non i tempi entro i quali le pubbliche amministrazioni devono effettivamente procedere al pagamento degli importi dovuti a titolo di corrispettivo delle loro transazioni commerciali, ma unicamente i tempi entro i quali essi devono adempiere alle loro obbligazioni senza incorrere nelle penalità automatiche di mora.
31 Invero, oltre al fatto che l’articolo 4, paragrafo 6, della direttiva 2011/7 si limiterebbe ad imporre il rispetto del termine di pagamento «stabilito nel contratto», dall’articolo 4, paragrafi 3 e 4, di tale direttiva non risulterebbe che le pubbliche amministrazioni siano tenute a pagare i propri debiti nel termine da esso previsto. Quanto all’espressione «periodo di pagamento», essa non si riferirebbe, nelle pertinenti disposizioni di detta direttiva, al termine entro il quale le pubbliche amministrazioni devono effettivamente pagare tali debiti.
32 In secondo luogo, la Repubblica italiana fa valere che l’articolo 4, paragrafo 3, della direttiva 2011/7 si limita a fissare il momento di decorrenza dei termini di pagamento nell’ambito delle transazioni commerciali. Così, il riferimento, in tale disposizione, alle circostanze fattuali rappresentate dal ricevimento della fattura, dal ricevimento delle merci, dalla prestazione dei servizi, o ancora dall’accettazione o dalla verifica delle merci, non implicherebbe che uno Stato membro sia tenuto ad assicurare in concreto il rispetto di detti termini.
33 In terzo luogo, la mancanza di scadenza precisa entro cui l’obbligo imposto all’articolo 4, paragrafi 3 e 4, della direttiva 2011/7 deve essere eseguito metterebbe in evidenza il fatto che, per quanto riguarda il rispetto dei termini di pagamento, tale direttiva assoggetta lo Stato membro interessato non a obblighi di risultato ma, tutt’al più, ad obblighi di mezzi, la cui violazione può essere accertata solo se la situazione di tale Stato membro si discosta notevolmente da quella prevista da detta direttiva. Orbene, nella presente causa, i dati forniti alla Commissione dimostrerebbero, da un lato, una diminuzione considerevole e costante dei ritardi di pagamento dei debiti commerciali delle pubbliche amministrazioni e, dall’altro, per quanto più specificamente riguarda le pubbliche amministrazioni che operano nel servizio sanitario nazionale, un ritardo modesto, che supera solo di pochi giorni il termine di pagamento previsto all’articolo 4, paragrafo 4, della medesima direttiva.
34 In quarto luogo, la Repubblica italiana afferma che essa non può essere ritenuta responsabile del superamento dei termini di pagamento da parte delle pubbliche amministrazioni. A suo avviso, qualora un organo di uno Stato membro agisca su un piano di parità con un operatore privato, tale organo risponde unicamente dinanzi ai giudici nazionali di un’eventuale violazione del diritto dell’Unione, allo stesso titolo di un operatore privato. In tali circostanze, al fine di garantire il rispetto del diritto dell’Unione, gli Stati membri potrebbero intervenire solamente in modo indiretto, recependo correttamente le disposizioni che tali pubbliche amministrazioni devono rispettare e fissando sanzioni in caso di mancato rispetto di tali disposizioni. Orbene, prevedendo periodi di pagamento non superiori a quelli previsti dalla direttiva 2011/7 nonché il versamento di interessi di mora e il risarcimento per i costi di recupero sostenuti, la Repubblica italiana avrebbe rispettato gli obblighi imposti da detta direttiva.
35 In ogni caso, anche supponendo che la direttiva 2011/7 le imponga di assicurare il rispetto effettivo, da parte delle pubbliche amministrazioni, dei termini di pagamento nell’ambito delle loro transazioni commerciali, la Repubblica italiana sostiene che essa sarebbe responsabile unicamente delle violazioni gravi, continuate e sistematiche di detta direttiva, tali da dimostrare la violazione del principio di leale cooperazione previsto all’articolo 4, paragrafo 3, TUE.
36 Per quanto riguarda, infine, la sentenza del 16 febbraio 2017, IOS Finance EFC (C‑555/14, EU:C:2017:121), la Repubblica italiana fa valere che, in tale sentenza, la Corte ha avallato un meccanismo normativo che consente un ritardo programmato nel pagamento dei debiti delle pubbliche amministrazioni in favore dei creditori che non hanno rinunciato agli interessi di mora e al risarcimento dei costi di recupero. Orbene, se si dovesse ammettere, come sostiene la Commissione, che i ritardi effettivi di pagamento delle pubbliche amministrazioni costituiscono una violazione della direttiva 2011/7 imputabile allo Stato membro interessato, la Corte non avrebbe potuto fare a meno di constatare la non conformità al diritto dell’Unione di un meccanismo normativo di tale natura, in quanto quest’ultimo autorizzava un ritardo programmato nel pagamento dei debiti commerciali delle pubbliche amministrazioni. Da ciò la Repubblica italiana conclude, da un lato, che il diritto effettivamente garantito ai creditori dalla direttiva 2011/7 riguarda solo gli interessi di mora da essa imposti e, dall’altro, che l’obiettivo di tale direttiva, che consiste nella lotta contro i ritardi di pagamento, «è solo indirettamente (...) perseguito».
Giudizio della Corte
37 Con il suo ricorso, la Commissione chiede alla Corte di dichiarare che la Repubblica italiana, non avendo assicurato che le sue pubbliche amministrazioni rispettino i termini di 30 o 60 giorni di calendario applicabili ai pagamenti che esse devono effettuare a titolo di corrispettivo delle loro transazioni commerciali con le imprese, è venuta meno agli obblighi ad essa incombenti in forza dell’articolo 4, paragrafi 3 e 4, della direttiva 2011/7.
38 Ai sensi dell’articolo 4, paragrafo 3, lettera a), di tale direttiva, gli Stati membri assicurano che nelle transazioni commerciali in cui il debitore è una pubblica amministrazione il periodo di pagamento non superi i 30 giorni di calendario a decorrere dalle circostanze di fatto ivi elencate. Quanto all’articolo 4, paragrafo 4, della suddetta direttiva, esso accorda agli Stati membri la possibilità di prorogare tale termine fino ad un massimo di 60 giorni di calendario per le amministrazioni e gli enti pubblici ivi contemplati.
39 Per quanto riguarda, in primo luogo, l’interpretazione di tali disposizioni, occorre ricordare che, secondo giurisprudenza costante, per interpretare una disposizione del diritto dell’Unione, si deve tener conto non soltanto della lettera della stessa, ma anche del suo contesto e degli scopi perseguiti dalla normativa di cui essa fa parte (v., in tal senso, sentenza del 7 novembre 2019, UNESA e a., da C‑105/18 a C‑113/18, EU:C:2019:935, punto 31 e giurisprudenza ivi citata).
40 Sotto un primo profilo, quanto al testo dell’articolo 4, paragrafo 3, della direttiva 2011/7, dallo stesso, in particolare dalla parte di frase «[g]li Stati membri assicurano che nelle transazioni commerciali in cui il debitore è una pubblica amministrazione (...) il periodo di pagamento non superi uno dei termini seguenti», risulta che l’obbligo imposto agli Stati membri da tale disposizione riguarda il rispetto effettivo, da parte delle loro pubbliche amministrazioni, dei termini di pagamento da essa previsti.
41 Va osservato, in proposito, che detta disposizione è redatta in termini altrettanto imperativi di quelli utilizzati all’articolo 4, paragrafo 1, di tale direttiva, relativo al versamento di interessi legali di mora. Ne consegue che le menzionate disposizioni impongono agli Stati membri obblighi non alternativi, bensì complementari.
42 Sotto un secondo profilo, tale interpretazione letterale è corroborata dal contesto in cui si inserisce l’articolo 4, paragrafi 3 e 4, della direttiva 2011/7.
43 Si deve in tal senso rilevare che il testo dell’articolo 3 di tale direttiva, relativo alle transazioni fra imprese, differisce nettamente da quello dell’articolo 4 della stessa, relativo alle transazioni fra imprese e pubbliche amministrazioni. È pur vero che entrambi gli articoli prevedono che gli Stati membri assicurino che il creditore abbia diritto al pagamento di interessi in caso di mora. Tuttavia, per quanto riguarda il rispetto dei termini di pagamento, mentre l’articolo 4, paragrafo 3, di detta direttiva enuncia un obbligo preciso, ricordato al punto 40 della presente sentenza, l’articolo 3, paragrafo 3, della medesima direttiva si limita a prevedere il diritto del creditore a interessi in caso di superamento di detti termini.
44 Tale analisi è confermata dal confronto tra la direttiva 2011/7 e la direttiva 2000/35, che l’ha preceduta. Infatti, mentre la prima enuncia espressamente, all’articolo 4, relativo alle transazioni tra imprese e pubbliche amministrazioni, che gli Stati membri assicurano che il periodo di pagamento non superi i 30 giorni o, in taluni casi, un massimo di 60 giorni, la seconda non conteneva alcuna disposizione di tale natura e si limitava a fissare, al suo articolo 3, un obbligo relativo al pagamento di interessi di mora, ora previsto dall’articolo 3 della direttiva 2011/7, senza distinguere la situazione in cui il debitore è una pubblica amministrazione.
45 Sotto un terzo profilo, l’interpretazione letterale e contestuale dell’articolo 4, paragrafi 3 e 4, della direttiva 2011/7 è avvalorata dagli obiettivi perseguiti da tale direttiva. Infatti, ai sensi del suo articolo 1, paragrafo 1, detta direttiva ha lo scopo di lottare contro i ritardi di pagamento nelle transazioni commerciali, al fine di garantire il corretto funzionamento del mercato interno, favorendo in tal modo la competitività delle imprese e in particolare delle PMI.
46 A tal riguardo, da una lettura congiunta dei considerando 3, 9 e 23 della direttiva 2011/7 risulta che le pubbliche amministrazioni, alle quali fa capo un volume considerevole di pagamenti alle imprese, godono di flussi di entrate più certi, prevedibili e continui rispetto alle imprese, possono ottenere finanziamenti a condizioni più interessanti rispetto a queste ultime e, per raggiungere i loro obiettivi, dipendono meno delle imprese dall’instaurazione di relazioni commerciali stabili. Orbene, per quanto riguarda dette imprese, i ritardi di pagamento da parte di tali amministrazioni determinano costi ingiustificati per queste ultime, aggravando i loro problemi di liquidità e rendendo più complessa la loro gestione finanziaria. Tali ritardi di pagamento compromettono anche la loro competitività e redditività quando tali imprese debbano ricorrere ad un finanziamento esterno a causa di detti ritardi nei pagamenti.
47 Tali considerazioni, relative all’elevato volume di transazioni commerciali in cui le pubbliche amministrazioni sono debitrici di imprese, nonché ai costi e alle difficoltà generate per queste ultime da ritardi di pagamento da parte di tali amministrazioni, evidenziano che il legislatore dell’Unione ha inteso imporre agli Stati membri obblighi rafforzati per quanto riguarda le transazioni tra imprese e pubbliche amministrazioni e implicano che l’articolo 4, paragrafi 3 e 4, della direttiva 2011/7 sia interpretato nel senso che esso impone agli Stati membri di assicurare che dette amministrazioni effettuino, nel rispetto dei termini previsti da tali disposizioni, i pagamenti a titolo di corrispettivo delle transazioni commerciali con le imprese.
48 Da quanto detto risulta che non può essere condivisa l’interpretazione della Repubblica italiana secondo la quale l’articolo 4, paragrafi 3 e 4, della direttiva 2011/7 impone agli Stati membri unicamente l’obbligo di garantire che i termini legali e contrattuali di pagamento applicabili alle transazioni commerciali che coinvolgono pubbliche amministrazioni siano conformi a tali disposizioni e di prevedere, in caso di mancato rispetto di tali termini, il diritto, per un creditore che ha adempiuto agli obblighi contrattuali e di legge, alla corresponsione di interessi, ma non l’obbligo di assicurare il rispetto effettivo di tali termini da parte delle suddette pubbliche amministrazioni.
49 Una siffatta conclusione non è in alcun modo smentita dalla sentenza del 16 febbraio 2017, IOS Finance EFC (C‑555/14, EU:C:2017:121), richiamata dalla Repubblica italiana.
50 Infatti, occorre anzitutto ricordare che tale sentenza, che riguarda un «meccanismo [nazionale] di finanziamento straordinario per il pagamento dei fornitori», di durata limitata, destinato a far fronte ai ritardi di pagamento accumulati dalle pubbliche amministrazioni a causa della crisi economica, verte sull’interpretazione non dell’articolo 4, paragrafi 3 e 4, della direttiva 2011/7, bensì, in sostanza, dell’articolo 7, paragrafi 2 e 3, di quest’ultima, relativo alle clausole contrattuali e alle prassi inique in materia di interessi di mora.
51 Inoltre, affermando, ai punti 31 e 36 di detta sentenza, che, per essere conforme alla direttiva 2011/7, la rinuncia, da parte del creditore di una pubblica amministrazione, agli interessi di mora e al risarcimento per i costi di recupero deve non solo essere stata effettuata liberamente, ma anche avere come corrispettivo il pagamento «immediato» dell’importo principale del credito, la Corte ha sottolineato, come rilevato dalla Commissione, l’importanza preponderante che gli Stati membri devono attribuire, nel contesto di tale direttiva, al pagamento effettivo e rapido di tali importi.
52 Contrariamente a quanto sostenuto dalla Repubblica italiana, da tale sentenza non si può dedurre che la Corte avrebbe avallato un ritardo programmato nel pagamento dei debiti commerciali delle pubbliche amministrazioni in favore dei creditori che non abbiano rinunciato agli interessi di mora e al risarcimento per i costi di recupero.
53 Alla luce delle considerazioni che precedono, si deve constatare che l’articolo 4, paragrafi 3 e 4, della direttiva 2011/7 deve essere interpretato nel senso che impone agli Stati membri di assicurare il rispetto effettivo, da parte delle loro pubbliche amministrazioni, dei termini di pagamento da esso previsti.
54 In secondo luogo, occorre determinare, alla luce dell’argomentazione della Repubblica italiana menzionata al punto 34 della presente sentenza, se il superamento, da parte delle pubbliche amministrazioni, di tali termini di pagamento possa costituire un inadempimento degli obblighi incombenti agli Stati membri interessati ai sensi dell’articolo 258 TFUE.
55 A tale riguardo, occorre ricordare che l’inadempimento di uno Stato membro può, in linea di principio, essere dichiarato ai sensi dell’articolo 258 TFUE indipendentemente dall’organo di tale Stato la cui azione o inerzia abbia dato luogo all’inadempimento, anche se si tratti di un’istituzione costituzionalmente indipendente [sentenze del 5 maggio 1970, Commissione/Belgio, 77/69, EU:C:1970:34, punto 15, del 12 marzo 2009, Commissione/Portogallo, C‑458/07, non pubblicata, EU:C:2009:147, punto 20 e del 4 ottobre 2018, Commissione/Francia (Anticipo d’imposta), C‑416/17, EU:C:2018:811, punto 107].
56 Nella fattispecie, la Repubblica italiana non contesta il fatto che gli inadempimenti affermati dalla Commissione riguardino le sue pubbliche amministrazioni, ai sensi dell’articolo 2, punto 2, della direttiva 2011/7. Tale disposizione rinvia, ai fini della definizione della nozione di «pubblica amministrazione», a quella fornita alla nozione di «amministrazione aggiudicatrice», in particolare, dall’articolo 1, paragrafo 9, della direttiva 2004/18, rinvio, questo, che risponde a motivi di coerenza della legislazione dell’Unione, come indicato dal considerando 14 della direttiva 2011/7.
57 Occorre rilevare che l’argomento della Repubblica italiana secondo cui le pubbliche amministrazioni non possono far sorgere la responsabilità dello Stato membro cui appartengono quando agiscono nell’ambito di una transazione commerciale, al di fuori delle loro prerogative dei pubblici poteri, finirebbe, se accolto, con il privare di effetto utile la direttiva 2011/7, in particolare il suo articolo 4, paragrafi 3 e 4, che fa gravare proprio sugli Stati membri l’obbligo di assicurare l’effettivo rispetto dei termini di pagamento da esso previsti nelle transazioni commerciali in cui il debitore è una pubblica amministrazione.
58 Per quanto riguarda, in terzo luogo, l’effettiva sussistenza dell’inadempimento dedotto dalla Commissione alla luce dell’articolo 4, paragrafi 3 e 4, della direttiva 2011/7, occorre ricordare che, secondo giurisprudenza costante, l’esistenza di un inadempimento deve essere valutata in relazione alla situazione dello Stato membro quale si presentava alla scadenza del termine stabilito nel parere motivato (sentenza del 18 ottobre 2018, Commissione/Regno Unito, C‑669/16, EU:C:2018:844, punto 40 e giurisprudenza ivi citata), ossia, nel caso di specie, il 16 aprile 2017.
59 A tal riguardo, dall’ultima relazione bimestrale presentata dalla Repubblica italiana alla Commissione, redatta il 5 dicembre 2016, emerge che il termine medio di pagamento delle pubbliche amministrazioni per il primo semestre del 2016 era pari a 50 giorni (47 giorni considerando la media ponderata dei dati), dati che sono stati calcolati a partire dalle transazioni realizzate da più di 22 000 pubbliche amministrazioni e riguardanti circa 13 milioni di fatture ricevute dalle stesse.
60 Inoltre, nella risposta al parere motivato e nei suoi allegati, la Repubblica italiana ha indicato che, per tutto il 2016, i tempi medi di pagamento erano ammontati a 41 giorni per le pubbliche amministrazioni non rientranti nel sistema sanitario nazionale e a 67 giorni per quelle appartenenti al medesimo, dati, questi, redatti sulla base delle fatture ricevute da tutte le pubbliche amministrazioni con riferimento allo stesso anno (oltre 27 milioni).
61 Quanto all’argomento della Repubblica italiana secondo cui occorre valutare l’inadempimento sulla base del tempo medio di ritardo anziché del tempo medio di pagamento, è sufficiente constatare che, in ogni caso, dalla risposta al parere motivato e dai suoi allegati menzionati al punto precedente risulta che i tempi medi di ritardo erano, nel 2016, di 10 giorni per le pubbliche amministrazioni non rientranti nel sistema sanitario nazionale e di 8 giorni per quelle appartenenti al medesimo.
62 Tali dati, congiuntamente a quelli forniti dalla Repubblica italiana dopo l’avvio del procedimento precontenzioso, su un periodo di tempo ininterrotto, dimostrano che il tempo medio entro il quale le pubbliche amministrazioni italiane, nel loro complesso, hanno effettuato i pagamenti a titolo di corrispettivo delle loro transazioni commerciali ha superato i termini di pagamento previsti dall’articolo 4, paragrafi 3 e 4, della direttiva 2011/7.
63 A tal riguardo, occorre sottolineare che la Repubblica italiana non contesta il fatto che le sue pubbliche amministrazioni, nel loro complesso, abbiano superato, in media, tali termini, né sostiene che un’analisi di tali dati sulla base di altre modalità avrebbe permesso di accertare il rispetto di detti termini. Essa sottolinea tuttavia, da un lato, che una serie di misure adottate dal 2013 hanno contribuito a una riduzione progressiva di tali ritardi di pagamento e, dall’altro, che un inadempimento può essere constatato soltanto in presenza di una violazione grave, continuata e sistematica degli obblighi imposti dall’articolo 4 della direttiva 2011/7, il che non si è verificato nel caso di specie.
64 Tuttavia, considerazioni siffatte non sono idonee a escludere l’esistenza, alla scadenza del termine stabilito nel parere motivato, di un inadempimento da parte di tale Stato membro degli obblighi ad esso incombenti in forza dell’articolo 4, paragrafi 3 e 4, della direttiva 2011/7 (v., per analogia, sentenza del 4 marzo 2010, Commissione/Italia, C‑297/08, EU:C:2010:115, punti 77 e 78). Inoltre, dalla giurisprudenza della Corte emerge che il ricorso per inadempimento ha carattere oggettivo e che, di conseguenza, occorre considerare sussistente l’inadempimento degli obblighi incombenti agli Stati membri in forza del diritto dell’Unione indipendentemente dalla portata o dalla frequenza delle situazioni censurate (v., in tal senso, sentenza del 30 gennaio 2003, Commissione/Danimarca, C‑226/01, EU:C:2003:60, punto 32 e giurisprudenza ivi citata).
65 Di conseguenza, la circostanza, quand’anche accertata, che la situazione relativa ai ritardi di pagamento delle pubbliche amministrazioni nelle transazioni commerciali contemplate dalla direttiva 2011/7 sia in via di miglioramento non può ostare a che la Corte dichiari che la Repubblica italiana è venuta meno agli obblighi ad essa incombenti in forza del diritto dell’Unione [v., per analogia, sentenza del 24 ottobre 2019, Commissione/Francia (Superamento dei valori limite per il biossido di azoto), C‑636/18, EU:C:2019:900, punto 49].
66 Alla luce dell’insieme delle considerazioni che precedono, si deve dichiarare che, non assicurando che le sue pubbliche amministrazioni rispettino effettivamente i termini di pagamento stabiliti all’articolo 4, paragrafi 3 e 4, della direttiva 2011/7, la Repubblica italiana è venuta meno agli obblighi ad essa incombenti in forza di tali disposizioni.
Sulle spese
67 Ai sensi dell’articolo 138, paragrafo 1, del regolamento di procedura della Corte, la parte soccombente è condannata alle spese se ne è stata fatta domanda. La Repubblica italiana, rimasta soccombente, dev’essere condannata alle spese, conformemente alla domanda della Commissione.
Per questi motivi, la Corte (Grande Sezione) dichiara e statuisce:
1) Non assicurando che le sue pubbliche amministrazioni rispettino effettivamente i termini di pagamento stabiliti all’articolo 4, paragrafi 3 e 4, della direttiva 2011/7/UE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 16 febbraio 2011, relativa alla lotta contro i ritardi di pagamento nelle transazioni commerciali, la Repubblica italiana è venuta meno agli obblighi ad essa incombenti in forza di tali disposizioni.
2) La Repubblica italiana è condannata alle spese.
Così deciso e pronunciato a Lussemburgo il 28 gennaio 2020.