Condominio e Locazioni
Il Caso.it, Sez. Giurisprudenza, 21794 - pubb. 04/06/2019
Concessione in godimento, dietro corrispettivo, del lastrico solare od altra superficie comune in favore di un terzo e modalità di approvazione del contratto
Cassazione civile, sez. II, 29 Marzo 2019, n. 8943. Est. Scarpa.
Comunione e condominio - Concessione in godimento, dietro corrispettivo, del lastrico solare od altra superficie comune in favore di un terzo - Finalità di installazione di infrastrutture ed impianti che trasformino l’area, con riserva della proprietà dei manufatti al detentore della stessa - Qualificazione del contratto - Modalità di approvazione - Questione di massima di particolare importanza
La seconda sezione civile ha rimesso gli atti al Primo Presidente per l’eventuale assegnazione alle Sezioni Unite ai fini della risoluzione della questione di massima di particolare importanza concernente la corretta qualificazione giuridica del contratto con il quale un condomino conceda in godimento ad un terzo, dietro il pagamento di un corrispettivo, il lastrico solare, o altra idonea superficie comune, allo scopo precipuo di consentirgli l’installazione di infrastrutture ed impianti (nella specie, occorrenti per l’esercizio del servizio di telefonia mobile) che comportino la trasformazione dell’area, riservando comunque al detentore del lastrico di acquisire e mantenere la proprietà dei manufatti nel corso del rapporto come al termine dello stesso, dovendosi accertare se sia necessario o meno il consenso di tutti i partecipanti, ai sensi dell’art. 1108, comma 3, c.c., per l’approvazione del detto contratto. (massima ufficiale)
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE SECONDA CIVILE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. D’ASCOLA Pasquale - Presidente -
Dott. SCARPA Antonio - rel. Consigliere -
Dott. CASADONTE Annamaria - Consigliere -
Dott. FORTUNATO Giuseppe - Consigliere -
Dott. BESSO MARCHEIS Chiara - Consigliere -
ha pronunciato la seguente:
ORDINANZA INTERLOCUTORIA
Svolgimento del processo - Motivi della decisione
I. Ma. s.r.l. ha proposto ricorso, articolato in tre motivi e notificato il 26 settembre 2014, avverso la sentenza n. 611/2014 della Corte d'Appello di Genova, depositata il 7 maggio 2014.
Contro la stessa sentenza anche la H3G s.p.a. (ora WIND TRE s.p.a.) ha proposto distinto ricorso, articolato in quattro motivi e notificato il 30 settembre 2014.
La Ma. s.r.l. ha resistito altresì con controricorso al ricorso della H3G s.p.a.
Rimangono intimati, senza svolgere attività difensive, il Condominio (*), B.D., Mu.Al. e C.V..
Il ricorso della Ma. s.r.l., notificato per primo, assume caratteri ed effetti d'impugnazione principale, mentre il ricorso della H3G s.p.a., si converte, riunito a quello della Ma. s.r.l., in ricorso incidentale.
II. Il giudizio fu intrapreso con citazione del 12 novembre 2008 dal Condominio (*), nonchè da B.D., Mu.Al. e C.V., i quali domandarono la rimozione dal tetto del fabbricato condominiale dell'impianto di antenne per la telefonia mobile di proprietà della H3G s.p.a., impianto collegato tramite cavi, attraversanti le parti comuni dell'edificio, ad una cantina di proprietà della Ma. s.r.l., ove erano installati altri impianti posti al servizio delle antenne. La convenuta Ma. s.r.l. dedusse di aver concesso l'uso di una porzione del tetto per l'installazione dell'impianto alla società Blu - alla quale era poi subentrata la H3G s.p.a. - prima della costituzione del condominio con contratto di locazione avente data certa del 3 dicembre 2001, contratto opponibile a tutti gli acquirenti delle singole unità immobiliari del fabbricato, i quali erano subentrati nel condominio in data successiva a quella di registrazione del contratto di locazione. La locazione era comunque nota ai condomini perchè questi avevano dichiarato nel regolamento di condominio, di natura contrattuale, di conoscere l'esistenza della servitù derivante dall'installazione dell'impianto di telefonia sul tetto condominiale. L'altra convenuta H3G parimenti allegò di essere nel godimento del bene in forza del contratto di locazione stipulato con la Ma. s.r.l. Il Tribunale di Chiavari con sentenza del 18 marzo 2010 respinse le domande degli attori. La Corte d'Appello di Genova, con sentenza del 7 maggio 2014, accolse il gravame avanzato dal Condominio (*), nonchè da B.D., Mu.Al. e C.V., accertando l'inesistenza del diritto delle parti appellate al mantenimento delle opere e dei manufatti per cui è causa, e perciò condannando le stesse a rimuovere gli impianti ed i cavi posti sul tetto del fabbricato e nel locale cantina di proprietà Ma. s.r.l.
III. I ricorsi venivano dapprima fissati in camera di consiglio, ai sensi dell'art. 375 c.p.c., comma 2, e art. 380 bis 1 c.p.c., per l'adunanza del 7 novembre 2018, all'esito della quale, con ordinanza interlocutoria del 20 novembre 2018, il collegio, ritenuta la particolare rilevanza della questione di diritto sulla quale la Corte deve pronunciare, ha rimesso la causa alla pubblica udienza.
Ma. s.r.l. e H3G s.p.a. (ora WIND TRE s.p.a.) hanno presentato memorie ai sensi dell'art. 378 c.p.c. IVA primo motivo del ricorso della Ma. s.r.l. deduce la violazione e/o falsa applicazione dell'art. 1105 c.c.. Vi si assume che il contratto di locazione tra Ma. s.r.l. e la Blu s.p.a. (cui è poi subentrata la cessionaria di ramo d'azienda H3G s.p.a.), avente ad oggetto dieci metri quadrati e lo spazio di copertura necessario per l'istallazione delle antenne e dei relativi supporti per la telefonia mobile, venne stipulato quando gli unici due condomini del fabbricato di (*), erano la medesima locatrice Ma. s.r.l. ed altra società denominata Sac s.r.l. E' ben possibile, secondo la ricorrente, che un singolo condomino stipuli una locazione inerente alle parti condominiali dell'edificio: la Ma. non riscontrò al riguardo alcun dissenso dell'altra condomina Sac alla locazione, locazione che venne poi pure ratificata dai successivi condomini allorchè approvarono all'unanimità il regolamento di condominio.
Il secondo motivo del ricorso della Ma. s.r.l. denuncia la violazione e/o falsa applicazione degli artt. 1102 e 1559 c.c. (recte: 1599), dovendosi intendere comunque legittimo l'uso della cosa comune che la società ricorrente intendeva fare cedendo ad un terzo la detenzione del tetto comune.
Il terzo motivo del ricorso della Ma. s.r.l. censura la violazione e/o falsa applicazione degli artt. 1372 e 1599 c.c., assumendo che il contratto di locazione tra la ricorrente e la H3G s.p.a. del 3 dicembre 2001 doveva intendersi ancora efficace, non essendosi estinto per nessuna causa.
Il primo motivo del ricorso della H3G s.p.a. deduce la violazione e falsa applicazione degli artt. 1103 e 1105 c.c., con riferimento al diritto della condomina Ma. s.r.l. a stipulare un contratto di locazione avente ad oggetto una porzione del bene comune.
Il secondo motivo del ricorso della H3G s.p.a. censura la violazione e falsa applicazione dell'art. 1106 c.c., con riferimento alla clausola del regolamento di condominio che ha riconosciuto l'esistenza del diritto a mantenere l'impianto sul tetto comune del fabbricato.
Il terzo motivo del ricorso della H3G s.p.a. denuncia la violazione e falsa applicazione dell'art. 1102 c.c., con riferimento all'utilizzo della cosa comune, mancando qualsiasi modifica della destinazione funzionale del tetto o compressione delle facoltà di godimento degli altri condomini.
Il quarto motivo del ricorso della H3G s.p.a. deduce la violazione e falsa applicazione degli artt. 1126 e 2056 c.c. con riferimento all'art. 115 c.p.c. in relazione alla domanda di risarcimento dei danni per effetto della rimozione delle apparecchiature.
V. Sia le censure contenute nel ricorso della Ma. s.r.l., sia i primi tre motivi di ricorso della H3G s.p.a. attengono, dunque, al parametro della violazione e falsa applicazione di norme di legge, ex art. 360 c.c., comma 1, n. 3, sicchè non è in discussione l'individuazione degli elementi di fatto costitutivi della vicenda negoziale.
La questione di diritto da decidere, implicata dalle doglianze in esame, impone di pervenire alla qualificazione del contratto del 3 dicembre 2001 intercorso fra la Ma. s.r.l. e la Blu s.p.a. cui è subentrata la H3G s.p.a.-, contratto con il quale la prima società concedeva alla seconda una superficie compresa fra le parti comuni dell'edificio condominiale di (*), per consentire alla Blu s.p.a. la installazione di infrastrutture necessarie per l'esercizio del servizio pubblico di telefonia mobile (apparecchiature elettroniche situate in un locale esistente o da realizzare sul tetto, antenne montate su sostegni con un finto camino in vetroresina, cavi, ecc.).
Le parti e la stessa sentenza impugnata discutono della possibile qualificazione di tale convenzione come locazione o come contratto costitutivo di servitù.
La Corte d'Appello di Genova ha accertato che il Condominio (*), ebbe a costituirsi il 2 agosto 2001, allorchè la Ma. s.r.l. e la Sac acquistarono separatamente, con lo stesso atto, la prima gli appartamenti nn. 1, 2 4, 5 e 6, e la seconda l'appartamento n. 3, da Cu.Ad. ed R.A., originarie uniche proprietarie dell'intero edificio. Ne consegue che, allorchè la Ma. s.r.l. stipulò il contratto del 3 dicembre 2001 con la Blu s.p.a. - cui è subentrata la H3G s.p.a.-, il condominio era già esistente ed il tetto era perciò rientrante tra le parti comuni ex art. 1117 c.c..
VI. Questa Corte ha affermato che, nell'ambito di un condominio edilizio, l'uso indiretto di una parte comune mediante locazione può essere disposto con deliberazione a maggioranza, sempre che non sia possibile l'uso diretto dello stesso bene per tutti i partecipanti alla comunione, proporzionalmente alla loro quota, promiscuamente ovvero con sistema di frazionamento degli spazi o di turni temporali, costituendo, dunque, l'indivisibilità del godimento o l'impossibilità dell'uso diretto il presupposto per l'insorgenza del potere assembleare circa l'uso indiretto (Cass. Sez. 2, 27/10/2011, n. 22435; Cass. Sez. 2, 22/03/2001, n. 4131; Cass. Sez. 2, 21/10/1998, n. 10446).
Quando la maggioranza dei condomini deliberi di locare la cosa comune ad un terzo, non si pone proprio questione di violazione dell'art. 1102 c.c., in quanto tale norma tutela l'uso diretto di ciascun condomino sulla medesima e non quello indiretto (arg. da Cass. Sez. 2, 22/03/2001, n. 4131).
D'altro canto, si è anche sostenuto in giurisprudenza che il singolo condomino, analogamente a quanto avviene in tema di comunione ordinaria, nell'esercizio del diritto di concorrere all'amministrazione della cosa comune, ex art. 1105 c.c., possa concedere in locazione la stessa senza necessità di espresso assenso degli altri condomini, trattandosi di un atto di ordinaria amministrazione che si presume fino a prova contraria compiuto nell'interesse di tutti e che trova disciplina nelle disposizioni in tema di gestione d'affari non rappresentativa (Cass. Sez. 3, 23/04/1996, n. 3831; Cass. Sez. 3, 27/01/2005, n. 1662; Cass. Sez. U, 04/07/2012, n. 11135). Per riconoscere, peraltro, al singolo condomino il potere di concedere in locazione una parte condominiale, anche senza l'espresso assenso degli altri partecipanti, occorre che lo stesso agisca quale utile gestore o mandatario tacito nell'interesse degli altri condomini o, quanto meno della maggioranza di essi, mentre è necessaria l'espressa adesione di tutti i condomini quando la locazione non sia diretta alla tutela degli interessi collettivi ma miri a soddisfare un proprio esclusivo interesse, che può essere anche in contrasto con quello degli altri.
VII. Sulla base dei fatti accertati nelle fasi di merito ed esposti nei ricorsi per cassazione, come nello stesso provvedimento impugnato, appare tuttavia necessario ulteriormente soffermarsi in ordine alla corretta qualificazione giuridica del contratto del 3 dicembre 2001.
La questione di massima che si pone, dunque, è quella della esatta qualificazione del contratto col quale un condominio conceda in godimento ad un terzo, dietro il pagamento di un corrispettivo, il lastrico solare, o altra idonea superficie comune, allo scopo precipuo di consentirgli l'installazione di infrastrutture ed impianti (nella specie, necessari per l'esercizio del servizio di telefonia mobile), che comportino la trasformazione dell'area, garantendo comunque al detentore del lastrico di acquisire e conservare la proprietà dei manufatti sia nel corso del rapporto sia alla cessazione di esso.
VIII. Il primo problema che si prospetta è, allora, correlato alla natura immobiliare o mobiliare degli impianti ripetitori per la telefonia mobile di proprietà della H3G s.p.a..
Per l'art. 812 c.c., sono beni immobili "tutto ciò che naturalmente o artificialmente è incorporato al suolo", essendo "mobili tutti gli altri beni". Alla stregua dell'art. 812 c.c., ed a differenza dell'art. 417 c.c. del 1865 (ove la distinzione tra beni immobili e mobili per natura era fondata sul criterio della concreta mobilità della cosa), la "immobilizzazione" del bene, come si osserva in dottrina, suppone che lo stesso sia suscettibile di una utilizzazione stabile e duratura nel luogo in cui si trova, costituendo oggetto di un diritto realizzabile sulla base di una relazione funzionale con tale luogo, indipendentemente dal sistema di unione o incorporazione al suolo concretamente utilizzato.
Il D.P.R. 6 giugno 2001, n. 380, art. 3, comma 1, lett. e, (Testo unico delle disposizioni legislative e regolamentari in materia edilizia), ricomprende fra gli "interventi di nuova costruzione": "e.3) la realizzazione di infrastrutture e di impianti, anche per pubblici servizi, che comporti la trasformazione in via permanente di suolo inedificato; e.4) l'installazione di torri e tralicci per impianti radio-ricetrasmittenti e di ripetitori per i servizi di telecomunicazione".
Così, ancora, il D.Lgs. 1 agosto 2003, n. 259, art. 86, comma 3, pure come modificato dal D.L. 12 settembre 2014, art. 6, comma 5 quinquies, convertito in L. 11 novembre 2014, n. 164, dispone che "Le infrastrutture di reti pubbliche di comunicazione, di cui agli artt. 87 e 88, e le opere di in fra strutturazione per la realizzazione delle reti di comunicazione elettronica ad alta velocità in fibra ottica in grado di fornire servizi di accesso a banda ultralarga, effettuate anche all'interno degli edifici sono assimilate ad ogni effetto alle opere di urbanizzazione primaria di cui al D.P.R. 6 giugno 2001, n. 380, art. 16, comma 7, pur restando di proprietà dei rispettivi operatori, e ad esse si applica la normativa vigente in materia". A tale comma è stato quindi aggiunto dal D.Lgs. 15 febbraio 2016, n. 33, a decorrere dal 1 luglio 2016, il seguente periodo: "Gli elementi di reti di comunicazione elettronica ad alta velocità e le altre infrastrutture di reti pubbliche di comunicazione, di cui agli artt. 87 e 88, nonchè le opere di infrastrutturazione per la realizzazione delle reti di comunicazione elettronica ad alta velocità in fibra ottica in grado di fornire servizi di accesso a banda ultralarga, effettuate anche all'interno di edifici, da chiunque posseduti, non costituiscono unità immobiliari ai sensi dell'art. 2 del D.M. delle finanze 2 gennaio 1998, n. 28, e non rilevano ai fini della determinazione della rendita catastale".
La giurisprudenza amministrativa ribadisce la necessità di munirsi di permesso di costruire anche da parte dei soggetti autorizzati alla realizzazione di infrastrutture dei servizi di comunicazione elettronica ai sensi del Codice delle comunicazioni elettroniche (Consiglio di Stato sez. III, 11/05/2017, n. 2200; Consiglio di Stato sez. III, 19/05/2014, n. 2521).
Cass., sez. 5, 25/11/2015, n. 24026, nel giudicare sulla legittimità di avvisi di accertamento ai fini ICI, ha invece valutato corretta la classificazione catastale nella categoria "D" di un ripetitore di telefonia mobile, sulla base della circolare dell'Agenzia del Territorio n. 4/2006 (contenente uno specifico riferimento ai "ripetitori e impianti similari"), in quanto struttura stabilmente infissa al suolo.
IX. Il contratto con cui il proprietario di un fondo conceda ad un terzo, dietro pagamento di un corrispettivo, il diritto di installare e mantenere infrastrutture e impianti sul proprio fondo, riservando al concessionario la proprietà dei manufatti, potrebbe essere qualificato come locazione, che regoli però in via derogatoria il regime delle addizioni (art. 1593 c.c.).
Caratteri essenziali del contratto di locazione, ai sensi dell'art. 1571 c.c., sono la concessione temporanea del godimento di una cosa determinata, da cui sia possibile trarre una utilità, ed il corrispondente obbligo di pagare il prezzo per il vantaggio che se ne riceve per l'uso convenuto. In base a tale definizione, perchè sia riscontrabile la minima unità effettuale della locazione, secondo la giurisprudenza di questa Corte, non è necessario trasmettere al conduttore il godimento di tutte le utilità che la cosa può produrre. Si resta, perciò, nell'ambito del contratto tipico di cui all'art. 1571 c.c. pur quando chi dispone di un bene determinato si limiti a concedere ad altri il godimento di una particolare utilità del bene medesimo, senza il trasferimento al conduttore dell'esclusiva sua detenzione. A questa conclusione si perviene in base alle norme di cui agli artt. 1575 e 1587 c.c., in virtù delle quali l'obbligo sinallagmatico di consegna del locatore risulta strumentale ad assicurare le utilità della cosa secondo la destinazione pattuita. Se è vero che nel diritto personale di godimento assicurato con la locazione si ha una cessione dell'esercizio delle facoltà d'uso, che normalmente ha natura assorbente e non lascia margini di godimento residuo al locatore, ciò non esclude che, in virtù di convenzione, il diritto del conduttore ed il corrispondente obbligo del locatore restino circoscritti all'uso limitato previsto in contratto. Al conduttore possono, quindi, essere concesse solo determinate facoltà di uso della cosa locata, senza che con ciò si travalichino i confini caratterizzanti lo schema causale proprio della locazione (cfr. Cass., sez. 3, 03/12/2002, n. 17156; Cass., sez. 3, 30/07/ 1951, n. 2233).
In realtà, a proposito dei titoli finalizzati a conformare lo ius tollendi spettante al proprietario del suolo con riguardo alla costruzione realizzata al di sopra di esso, e quindi altresì a derogare all'art. 1593 c.c., nel senso di escludere che il bene immobilizzato nel suolo dal conduttore sia ritenuto dal proprietario del fondo, si chiarisce come;
1) certamente, allorchè l'art. 934 c.c. dispone che qualunque costruzione esistente sopra il suolo appartiene al proprietario di questo, salvo che risulti diversamente dalla legge o dal titolo, tale norma ha inteso riferirsi, quanto alle disposizioni contrarie contenute nella legge, in primo luogo alle norme concernenti il diritto di superficie (artt. 952 c.c. e segg.), in secondo luogo alle norme relative alle addizioni dell'enfiteuta (art. 975 c.c., comma 3), dell'usufruttuario (art. 986 c.c., comma 2), del possessore (art. 1150 c.c., comma 5) e del locatore (art. 1593 c.c.), per le quali lo jus tollendi è quasi sempre la regola, se non ne venga nocumento alla cosa e, quanto alle eccezioni contenute nel titolo, alle costituzioni di diritti reali, fra i quali, oltre alla costituzione diretta di un diritto di superficie, è la cosiddetta concessione ad aedificandum, con la quale il proprietario del suolo rinuncia a fare propria la costruzione che sorgerà su di esso. Trattasi di accordi negoziali che, essendo relativi a diritti reali, o importando il trasferimento di proprietà immobiliari, devono risultare per atto scritto ad substantiam, come anche per iscritto deve risultare la rinuncia del proprietario al diritto di accessione, traducendosi sostanzialmente nella costituzione di un diritto di superficie (Cass. Sez. 1, 15/12/1966, n. 2946).
2) Il principio dell'accessione non è affermato dall'art. 934 c.c. con carattere di assolutezza, ma al contrario è limitato alle sole ipotesi in cui non risulti dal titolo o dalla legge che l'opera esistente sopra o sotto il suolo appartiene ad un soggetto diverso dal proprietario di questo. Per quanto riguarda le addizioni effettuate dal conduttore, il proprietario dell'immobile locato ne acquista la proprietà solo se esse non siano separabili senza nocumento della cosa, ovvero egli preferisca ritenerle, pagando al conduttore le dovute indennità secondo il disposto dell'art. 1593 c.c. (Cass. Sez. U, 26/07/1971, n. 2486).
3) La clausola di un contratto di locazione, con la quale il locatore autorizzi il conduttore ad eseguire sul suolo locato miglioramenti ed accessioni a norma degli artt. 1592 e 1593 c.c., al duplice fine di assicurargli il diritto ad essere indennizzato in ogni caso per le opere eseguite e di escludere lo jus tollendi anche riguardo alle addizioni separabili, conferisce al conduttore soltanto diritti di credito, e non anche la proprietà sulle future costruzioni, separata da quella del suolo sottostante (cosiddetta proprietà superficiaria): ne consegue che, in base al principio dell'accessione, il diritto di proprietà su tali costruzioni viene immediatamente acquistato dal proprietario-locatore del suolo anche riguardo alle opere separabili (per essere stato contrattualmente escluso rispetto ad esse lo jus tollendi) (Cass. Sez. 1, 14/11/1973, n. 3028).
4) Allorchè la locazione abbia ad oggetto un'area nuda o inedificata e il contratto contempli la facoltà del conduttore di costruirvi dei manufatti, con o senza l'obbligo di rimuoverli alla cessazione del rapporto, tale patto rientra nell'ambito della disciplina dei miglioramenti e delle addizioni dettata dagli artt. 1592 e 1593 c.c., e non consente di per sè una qualificazione del negozio come contratto misto o comunque diverso dalla locazione (Cass. Sez. 3, 05/03/1986, n. 1418).
5) La deroga al principio dell'accessione ex art. 934 c.c. risultante dal "titolo" può, in sostanza, essere costituita anche da un contratto di locazione che, regolando il regime delle addizioni, stabilisca che esse non passino mai al locatore in proprietà, ponendo a carico del conduttore soltanto l'obbligo della rimessione in pristino alla fine del rapporto (Cass. Sez. 1, 19/11/1974, n. 3721).
6) Pur, quindi, nella consapevolezza che la costruzione da parte del conduttore di nuovi manufatti sul terreno locato non integra una ipotesi di accessione disciplinata ai sensi dell'art. 936 c.c., in quanto trova la sua speciale regolamentazione nell'art. 1593 c.c. (così ancora da ultimo Cass. Sez. 2, 04/10/2018, n. 24365), tale disposizione partirebbe comunque dall'assunto che le addizioni si acquistano in proprietà dal proprietario della cosa locata (Cass. Sez. 1, 21/06/1965, n. 1300), sia egli, o meno, il locatore (conclusione, questa, avversata da parte della dottrina, per la quale l'addizione sarebbe, piuttosto, ex lege di proprietà del conduttore sin dal momento in cui questi la esegue).
Non contraddice tale diffusa interpretazione giurisprudenziale la soluzione prospettata da Cass. Sez. 6 - 2, 04/02/2013, n. 2501: questa pronuncia ammetteva una clausola convenzionale derogatrice all'art. 1593 c.c. volta ad escludere che gli incrementi del bene locato divengano di proprietà del locatore, proprietario della cosa locata, ma nel senso soltanto che "il contratto di locazione vale a impedire l'accessione finchè vige il contratto medesimo", sicchè "il diritto del conduttore sul bene costruito" si connoterebbe come "un diritto non reale che si estingue con il venir meno del contratto e con il riespandersi del principio dell'accessione". Restava, quindi, fuori da tale fattispecie la qualificazione della clausola che invece consenta al conduttore di mantenere la proprietà della costruzione dopo la cessazione della locazione.
In definitiva, dalle sentenze risulterebbe che l'art. 1593 c.c. costituisce una disciplina speciale rispetto agli artt. 934 e 936 c.c., seppur non nel senso di negare l'acquisto immediato della proprietà dell'addizione in capo al proprietario del fondo locato, ma soltanto nel senso di attribuire al conduttore uno ius tollendi delle addizioni separabili senza nocumento, esercitabile alla fine della locazione. E' tuttavia ammissibile che il contratto di locazione regolamenti convenzionalmente il regime delle addizioni, introducendo una più radicale deroga al principio dell'accessione, rispetto a quella già stabilita dall'art. 1593 c.c., in maniera che le costruzioni realizzate dal conduttore nel corso del rapporto non siano mai acquistate in proprietà dal locatore.
X. E' diffuso in dottrina il convincimento che il "titolo" ex art. 934 c.c., da cui eventualmente risulti l'inoperatività del principio "superficies solo cedit", non può consistere in una concessione con effetti meramente obbligatori (la quale, a norma dell'art. 1372 c.c., produce i suoi effetti soltanto nei confronti delle parti e dei loro eredi, e non anche nei confronti dei successori a titolo particolare mortis causa o per atto fra vivi, se non in forza di apposita convenzione stipulata con il nuovo proprietario), ma deve avere necessariamente natura reale, sia per la sua incidenza su beni immobili, sia per le esigenze tipiche della pubblicità immobiliare, in quanto solo la trascrizione dell'atto, che riserva al costruttore la proprietà dell'incorporazione, garantisce l'opponibilità delle convenzione ai terzi, ovvero, in particolare, a coloro che subentrino nel diritto di proprietà o di comproprietà del suolo.
Da ultimo, tale questione è stata affrontato da Cass. Sez. Un., 16/02/2018, n. 3873, la quale ha, tra l'altro, affermato che "costituiscono titoli idonei a impedire l'operare dell'accessione quelli costitutivi di diritti reali, fra i quali si colloca, oltre alla costituzione diretta di un diritto di superficie (artt. 952 c.c. e segg.), la c.d. concessione ad aedificandum, con la quale il proprietario del suolo rinuncia a fare propria la costruzione che sorgerà su di esso. Trattandosi di contratti relativi a diritti reali immobiliari, essi, ai sensi dell'art. 1350 c.c., devono rivestire la forma scritta ad substantiam (Cass., Sez. 1, 23/02/1999, n. 1543; Cass., Sez. 2, 11/11/1997, n. 11120; Cass., Sez. 2, 19/04/1994, n. 3714; Cass., Sez. 2, 27/10/1984, n. 5511); come anche per iscritto deve risultare la rinuncia del proprietario al diritto di accessione, che si traduce sostanzialmente nella costituzione di un diritto di superficie".
XI. Non sarebbe di ostacolo a ravvisare un contratto costitutivo di un diritto di superficie il fatto che la convenzione preveda l'obbligo di colui che abbia posto in essere l'opera di rimuovere la stessa al termine del rapporto. L'art. 953 c.c. dispone che "se la costituzione del diritto è stata fatta per un tempo determinato, allo scadere del termine il diritto di superficie si estingue e il proprietario del suolo diventa proprietario della costruzione"; tuttavia, si afferma che tale norma ha natura dispositiva ed è perciò derogabile dalle parti. La configurabilità di un contratto costitutivo di un diritto di superficie è altresì compatibile con la pattuizione di un corrispettivo consistente non nel pagamento di una somma unica, quanto di un canone periodico (il cosiddetto solarium).
XII. Più arduo appare qualificare il negozio volto a permettere ad un concessionario l'installazione e il mantenimento di infrastrutture ed impianti sul fondo del concedente come contratto costitutivo di servitù prediale, facendo difetto il carattere di predialità supposto dall'art. 1027 c.c., ovvero l'inerenza passiva di un peso su un fondo servente a vantaggio di un contiguo fondo dominante, ciò supponendo necessariamente l'esistenza di due fondi distinti, appartenenti a proprietari diversi. D'altro canto, la qualificazione di un siffatto negozio in termini di servitù non risolverebbe la questione della proprietà dell'impianto realizzato dal concessionario sempre in rapporto al principio dell'accessione. Per il disposto dell'art. 1108 c.c., comma 3, applicabile anche al condominio di edifici in forza del rinvio contenuto nell'art. 1139 c.c. alle norme sulla comunione, l'imposizione di una servitù su una parte condominiale esige comunque il consenso unanime di tutti i condomini (Cass. Sez. 2, 30/03/1993, n. 3865). Nè potrebbe valere a costituire la servitù una clausola del regolamento di condominio che riconosca l'esistenza di una servitù su una parte comune, potendo il regolamento, di portata contrattuale, validamente costituire servitù tra le proprietà dei condomini che vi prestino consenso all'unanimità, ma non riconoscere, con efficacia costitutiva, una servitù in favore di un terzo altrimenti sprovvisto di idoneo titolo.
XIII. Più in generale, per gli atti costitutivi di diritti reali sulle parti condominiali (quale anche il contratto costitutivo di un diritto di superficie) occorre il consenso di tutti i partecipanti, ai sensi dell'art. 1108 c.c., comma 3, applicabile al condominio in virtù del rinvio operato dall'art. 1139 c.c. (Cass. Sez. 2, 24/02/2006, n. 4258; Cass. Sez. 2, 14/06/2013, n. 15024), anche dopo l'entrata in vigore dell'art. 1120 c.c., comma 2, n. 2, introdotto dalla L. n. 220 del 2012, in tema di installazione di impianti per la produzione di energia rinnovabile, ove si prevede una maggioranza agevolata per disporre in assemblea la relativa innovazione, ma non si contempla alcuna deroga all'art. 1108 c.c., comma 3, al fine di concedere a terzi un diritto reale di godimento della superficie comune.
Peraltro, se i condomini intendono costituire un diritto reale (nella specie, di superficie) sul lastrico solare o su altra area condominiale, si ha riguardo ad un negozio di disposizione giuridica, in modo diretto, della cosa comune, ed il consenso di tutti i comunisti è imposto dall'art. 1108 c.c., comma 3. Diversa è la fattispecie delle innovazioni ex art. 1120 c.c., in cui i condomini intendono approvare non un atto dispositivo della cosa comune, quanto opere di trasformazione dirette al miglioramento o all'uso più comodo o al maggior rendimento della stessa, che però incidono sull'essenza del bene, alterandone l'entità materiale o l'originaria funzione e destinazione. Se le innovazioni da approvare rendono la parte comune dell'edificio inservibile all'uso o al godimento anche di un solo condomino, è del pari necessaria l'unanimità dei consensi dei partecipanti (ad esempio, Cass. Sez. 2, 14/06/2006, n. 13752).
Così, Cass. Sez. 6 - 2, 08/10/2018, n. 24767, ha rigettato il ricorso avverso la sentenza di merito che aveva dichiarato nulla la deliberazione assembleare, approvata a maggioranza, finalizzata a consentire l'installazione di un'antenna per la telefonia mobile sul lastrico solare del palazzo, poichè le dimensioni e le caratteristiche dell'impianto compromettevano l'utilizzo della superficie comune.
XIII. In definitiva, la questione che si pone è se è necessario il consenso di tutti i partecipanti, ai sensi dell'art. 1108 c.c., comma 3, per l'approvazione del contratto col quale un condominio conceda in godimento ad un terzo, dietro il pagamento di un corrispettivo, il lastrico solare, o altra idonea superficie comune, allo scopo precipuo di consentirgli l'installazione di infrastrutture ed impianti (nella specie, necessari per l'esercizio del servizio di telefonia mobile), che comportino la trasformazione dell'area, riservando comunque al detentore del lastrico di acquisire e mantenere la proprietà dei manufatti nel corso del rapporto come alla fine dello stesso. Attesa la particolare importanza della questione di massima, il Collegio ritiene opportuno rimettere gli atti al Primo Presidente per l'eventuale assegnazione alle Sezioni Unite.
P.Q.M.
La Corte dispone la trasmissione degli atti al Primo Presidente per l'eventuale assegnazione alle Sezioni Unite.
Così deciso in Roma, nella Camera di Consiglio della Seconda Sezione civile della Corte Suprema di Cassazione, il 13 marzo 2019.
Depositato in Cancelleria il 29 marzo 2019.