Diritto Bancario e Finanziario
Il Caso.it, Sez. Giurisprudenza, 21273 - pubb. 22/02/2019
Non può dirsi, in mancanza di altri elementi, che il riferimento a un Euribor falsato determini l’usura
Tribunale Genova, 22 Gennaio 2019. Est. Patrizia Cazzato.
Usura – Determinazione – Euribor – Definizione
“Euribor” è il tasso di interesse medio applicato tra istituti di credito europei c.d. primari per operazioni interbancarie di prestito a breve termine (in Euro); tale tasso viene rilevato giornalmente dalla European Banking Federation (EBF) in base alle segnalazioni quotidianamente effettuate all’agenzia Reuters da oltre cinquanta banche individuate tra quelle che presentano il maggiore volume di affari in Euro.
Dal momento che tale tasso afferisce a prestiti privi di rischio o risk free (in quanto le principali banche europee, che ricevono il prestito, si presumono solvibili), il tasso di interesse parametrato all’Euribor, pattuito in contratti quali mutui a tasso variabile, definisce la rischiosità e il costo dell’operazione a seconda di quanto è ampia la differenza (lo spread) rispetto all’Euribor stesso.
Dunque, poiché i tassi di interesse si compongono tanto del suddetto indice, quanto del citato spread, e posto che è appunto quest’ultimo a definire il costo dell’erogazione del mutuo, non può dirsi, in mancanza di altri elementi, che proprio il riferimento a un Euribor falsato avrebbe determinato l’asserita e non provata usura. (Redazione IL CASO.it) (riproduzione riservata)
Il Giudice dott. Patrizia Cazzato, a scioglimento della riserva assunta all’udienza del 16/01/2019, ha pronunciato la seguente
ORDINANZA
ex art. 702-ter, comma V, c.p.c.
Con ricorso ex art. 702 bis c.p.c., * ha dedotto di aver stipulato con *, in data 20.10.2004, un mutuo fondiario che prevedeva l’erogazione della somma di € 150.000,00 da restituire in 360 rate mensili, un tasso di interessi corrispettivi del 3,09% per le prime quattro rate e, per quelle successive, un tasso parametrato all’Euribor 6 mesi (2,189%) cui sommare lo spread dell’1,75%, un tasso di interessi moratori del 4,59% e un tasso effettivo globale del 4,214%.
Detto mutuo, cui in seguito subentrava * per incorporazione dell’originario mutuante, veniva estinto anticipatamente il 10.2.2011 con pagamento di € 45.645,02 a titolo di interessi.
L’attrice, quindi, ha chiesto accertarsi l’usurarietà degli interessi applicati e, in subordine, l’indeterminatezza delle relative clausole contrattuali, in ogni caso con la conseguente condanna dell’istituto bancario alla restituzione di quanto ad essa indebitamente versato. * si è costituita in giudizio in luogo di *, in primo luogo eccependo la nullità dell’avversario ricorso e, nel merito, contestando sotto molteplici profili le operazioni compiute da parte attrice per sostenere l’usurarietà degli interessi applicati. Ha chiesto, quindi, il rigetto delle attoree pretese, rilevando altresì la genericità della domanda svolta gradatamente da controparte e rilevando, in subordine, che laddove venisse accertata l’usurarietà degli interessi moratori, rimarrebbero comunque dovuti i corrispettivi. In corso di causa è stata disposta ed espletata C.T.U. contabile. Tanto premesso, va in primo luogo presa in considerazione l’eccezione pregiudiziale di nullità del ricorso svolta dalla resistente. Tale eccezione è infondata. * lamenta una menomazione delle proprie possibilità di difesa in giudizio in conseguenza della genericità della domanda svolta nei suoi confronti, sostenendo che la ricorrente avrebbe dovuto precisare i termini effettivi del superamento della soglia di usurarietà da parte dei tassi pattuiti e specificare gli importi oggetto della domanda di restituzione, non essendo sufficiente il richiamo per relationem alla perizia econometrica allegata (doc. 5 attoreo). Invero, dall’esame complessivo del ricorso e delle difese compiutamente svolte dall’ente di credito convenuto, si desume chiaramente che il petitum ha ad oggetto la ripetizione di somme che sarebbero state indebitamente pagate a titolo di interessi asseritamente usurari, in applicazione di tassi e in relazione a un contratto di mutuo che sono stati entrambi individuati con precisione. Tanto è sufficiente per individuare il thema decidendum e per escludere che petitum e causa petendi siano inesistenti o assolutamente incerti (uniche ipotesi atte ad integrare una violazione dell’art. 163, c. 3, nn. 3 e 4, c.c.)……. L’eccezione de qua va pertanto respinta. Passando al merito della controversia, occorre innanzitutto osservare che i tassi di interesse singolarmente considerati non superano la soglia di usurarietà indicata dalla stessa ricorrente nella percentuale del 5,76%: infatti, il tasso degli interessi corrispettivi, laddove fisso, è pari a 3,09% (amplius nel prosieguo per quanto riguarda invece il tasso variabile, applicabile a partire dalla quarta rata), il tasso effettivo globale è pari a 4,214% e il tasso di mora è pari al 4,59%. La *, invero, giunge alla conclusione dell’usurarietà degli interessi contrattuali in forza di alcune operazioni di calcolo scorrette. In primo luogo, l’attrice suggerisce di addizionare gli interessi corrispettivi e moratori. Già in sede di ricorso viene precisato che gli addendi di questa operazione sono proprio le somme monetarie dovute a titolo di interessi, non i rispettivi tassi. Tale precisazione, tuttavia, non rende legittima l’operazione effettuata, dato che non è coerente confrontare con il TEGM una somma monetaria, trattandosi di grandezze evidentemente disomogenee: può essere rapportato al tasso-soglia solo un altro tasso, che sia parimenti espresso in misura percentuale. In ogni caso, è comunque errato procedere alla sommatoria tra interessi corrispettivi e moratori (nonché tra i rispettivi tassi) poiché essi, per la struttura stessa del contratto di mutuo, non possono mai essere applicati congiuntamente in relazione ad un medesimo periodo temporale. Infatti, gli interessi corrispettivi, che costituiscono la remunerazione della messa a disposizione di una data somma di denaro da parte del mutuante, si applicano soltanto sul capitale a scadere (art. 1282 c.c.), mentre gli interessi di mora, che costituiscono invece il rimborso del danno patito dal mutuante medesimo in conseguenza del ritardo nella restituzione del capitale, si applicano soltanto sul debito scaduto (art. 1224 c.c.). Il tasso di mora sostituisce così in toto il tasso corrispettivo nel momento in cui matura in capo al mutuatario l’obbligazione restitutoria: il tasso di mora si applica solo dopo il suddetto momento e il tasso nominale si applica solo prima. Gli stessi non possono mai sovrapporsi e rappresentano due costi del prestito monetario nettamente distinti, aventi diverso oggetto, diversa causa e diverso periodo applicativo. Come tali, detti costi non possono sic et simpliciter essere sommati tra di loro, al fine di raffrontare con il TEGM il risultato di tale indebita somma. Piuttosto, gli stessi vanno confrontati con il parametro di usurarietà separatamente gli uni dagli altri. La domanda attorea di accertamento dell’usurarietà degli interessi applicati al contratto di mutuo da essa stipulato con * va dunque rigettata, laddove fondata sul criterio di calcolo da essa stessa denominato “metodo della sommatoria”. In secondo luogo, la * argomenta le……. proprie pretese sostenendo l’usurarietà del tasso di mora. Come già esposto, questo è pari a 4,59% (ossia: TAN del 3,09% + 1,5% contrattualmente pattuito) e come tale, dunque, inferiore al TEGM del 5,76%. Non è corretto il calcolo che sembra suggerire la ricorrente (pag. 2 del ricorso), la quale somma alla suddetta misura percentuale anche i costi dell’erogazione (pari a 1,124%), pari alla differenza tra TAEG e TAN (ad ogni modo, il valore così ottenuto risulta pari a 5,714%, che è parimenti inferiore al tasso soglia). Non è corretto nemmeno calcolare il tasso degli interessi di mora in rapporto al c.d. TIR, ossia al tasso interno di rendimento, il quale, sulla base di una proiezione futura di ipotetici ritardi nel pagamento delle varie rate del mutuo, presume quale possa essere il conseguente rendimento del prestito per il soggetto mutuante. Tale metodo, infatti, è stato definitivamente superato dalla giurisprudenza di legittimità, la quale, nel confermare che anche gli interessi moratori convenzionali possono essere usurari (purchè singolarmente considerati), ha imposto il raffronto tra il tasso di mora pattuito e il tasso-soglia, desunto dall’art. 2 L. 108/1996 per tipologie di operazioni contrattuali (Cass. ord. n. 27442 del 30.10.2018).
Risultano, pertanto, superati i calcoli effettuati dal C.T.U. in corso di causa, in epoca antecedente all’affermarsi del menzionato orientamento.
Tale indirizzo, parimenti, destituisce di fondamento la tesi della resistente, secondo cui l’usurarietà degli interessi di mora può inferirsi solo confrontando i relativi tassi con il TEGM maggiorato del 2,1%, secondo la nota della Banca d’Italia del 3.7.2013. Concludendo sul punto, il metodo corretto per rilevare l’usurarietà degli interessi moratori è, lo si ribadisce, confrontare il relativo tasso con il TEGM scevro di maggiorazioni o incrementi: nel caso di specie, il primo è pari a 4,59% e quindi non è usurario, in quanto inferiore al TEGM, sia che si consideri quello rilevato per i mutui fondiari a tasso fisso (5,76%), sia, e a fortiori, che si consideri quello rilevato per i mutui fondiari a tasso variabile (8,145%). Anche la domanda attorea di accertamento dell’usurarietà dei tassi moratori ex se considerati va pertanto rigettata, in quanto infondata. In terzo luogo, la * sostiene l’usurarietà del tasso effettivo di estinzione anticipata (c.d. T.E.E.A.), ossia di quel tasso che trova applicazione in caso di recesso dal contratto di mutuo in data anteriore rispetto alla sua scadenza originariamente pattuita dalle parti. In tale evenienza, il mutuatario restituisce in un’unica soluzione il capitale residuo e un’ulteriore quota percentuale sullo stesso calcolata sulla scorta appunto del menzionato T.E.E.A. Tale versamento, ulteriore rispetto alla restituzione del capitale, ha la funzione di indennizzare il mutuante per la perdita del rendimento (in termini di interessi corrispettivi non più dovuti) del rapporto anticipatamente cessato. Si tratta, in buona sostanza, di una penale di cui il mutuatario deve farsi carico laddove decida unilateralmente di sciogliersi anzitempo dal vincolo negoziale. È evidente, dunque, che tale onere non costituisce un costo del prestito di denaro, ma un elemento accidentale del mutuo, di applicazione meramente eventuale. Come tale, non rientra nel calcolo del TAEG che, per definizione, sintetizza il costo dell’erogazione pecuniaria. È altrettanto evidente che la penale dovuta in caso di estinzione anticipata del mutuo, sebbene sostituisca, subentrandovi, gli interessi corrispettivi non più dovuti dalla data del recesso, ha una natura ben diversa da quella degli interessi stessi: per tale motivo, la stessa non è passibile di usurarietà. Riprendendo uno degli argomenti svolti dalla già citata pronuncia della Suprema Corte (Cass. n. 27442/2018), “interessi corrispettivi e interessi convenzionali moratori (sebbene suscettibili di applicazioni temporalmente e funzionalmente differenti) sono ambedue soggetti al divieto di interessi usurari, perché ambedue costituiscono la remunerazione di un capitale di cui il creditore non ha goduto: nel primo caso volontariamente, nel secondo caso involontariamente”. Viceversa, la penale di estinzione anticipata, non condividendo la medesima natura degli interessi, di qualunque tipologia essi siano, non costituisce la remunerazione di un capitale dato a prestito, ma piuttosto la compensazione di un’utilità attesa e non conseguita (quella rappresentata dalla suddetta remunerazione). Pertando, non è soggetta al divieto di usurarietà. Anche questo profilo della domanda attorea va dunque rigettato, in quanto infondato. In quarto ed ultimo luogo, la * ha contestato, per la prima volta in sede di note autorizzate 25.6.2018, la nullità del tasso di interesse corrispettivo da applicarsi successivamente al pagamento della quarta rata, in quanto parametrato a un indice Euribor falsato e decretato come illegittimo dalla decisione della Commissione Europea AT39914, in materia di condotte anticoncorrenziali tenute da alcuni istituti bancari della c.d. Eurozona. Conseguenza di tale riferimento sarebbe, secondo la tesi della ricorrente, la nullità della clausola contrattuale in cui è stato pattuito il tasso variabile degli interessi corrispettivi e, quindi, la gratuità del mutuo in parte qua. In via pregiudiziale, va presa in considerazione l’eccezione di tardività di tale rilievo, sollevata da parte resistente. Tale eccezione non merita condivisione, poiché la nullità rilevata dalla * è oggetto di un’eccezione in senso lato, come tale sempre proponibile nel corso del giudizio e non soggetta alle preclusioni processuali disciplinate dal codice di procedura (S.U. n. 24262/2014), peraltro laddove applicabili per analogia al rito sommario di cognizione ex art. 702 bis istaurato nella presente sede. Nel merito, la domanda attorea va rigettata, in quanto sfornita di prova. Come già sottolineato nell’ordinanza 23/7/2018, spettava alla ricorrente allegare e dimostrare la concreta incidenza sul singolo contratto dell’applicazione del tasso Euribor richiamato, nonché l’adesione di * all’intesa anticoncorrenziale vietata dalla normativa europea, e in particolare dall’art. 101 TUE, recepita nel diritto nazionale dalla L. n. 287/1990 (c.d. cartello interbancario). Tale prova non è stata offerta. In particolare, non è stato specificato se effettivamente nell’indicato periodo 2005-2008 il tasso variabile pattuito abbia superato il tasso-soglia, né è stato precisato in quali periodi e in quale misura sarebbe avvenuto tale superamento. Nemmeno sono state indicate le ragioni per cui l’eventuale superamento sarebbe disceso proprio dalla correlazione del tasso variabile in concreto applicato con il parametro Euribor contestato, piuttosto che, al contrario, dallo spread dell’1,75% dedotto nel contratto.
Si rammenta che “Euribor” è il tasso di interesse medio applicato tra istituti di credito europei c.d. primari per operazioni interbancarie di prestito a breve termine (in Euro). Tale tasso viene rilevato giornalmente dalla European Banking Federation (EBF) in base alle segnalazioni quotidianamente effettuate all’agenzia Reuters da oltre cinquanta banche individuate tra quelle che presentano il maggiore volume di affari in Euro (per l’Italia contribuisce anche *). Dal momento che tale tasso afferisce a prestiti privi di rischio o risk free (in quanto le principali banche europee, che ricevono il prestito, si presumono solvibili), il tasso di interesse parametrato all’Euribor, pattuito in contratti quali – come nella specie – mutui a tasso variabile, definisce la rischiosità e il costo dell’operazione a seconda di quanto è ampia la differenza (lo spread) rispetto all’Euribor stesso. Dunque, poiché i tassi di interesse si compongono tanto del suddetto indice, quanto del citato spread, e posto che è appunto quest’ultimo a definire il costo dell’erogazione del mutuo, non può dirsi, in mancanza di altri elementi, che proprio il riferimento a un Euribor falsato avrebbe determinato l’asserita e non provata usura. Tanto più che la ricorrente non ha nemmeno provato che l’Euribor assunto come parametro era effettivamente quello censurato dalla Commissione Europea: se anche è vero che * faceva parte del panel deputato alla rilevazione di tale indice, non è però automaticamente vero che detto ente di credito abbia falsato i valori riferiti all’agenzia Reuters, in quanto partecipe dell’intesa illecita, né che si sia avvalsa degli indebiti benefici ritraibili dall’Euribor falsato. Anche sotto quest’ultimo profilo, le pretese attoree vanno dunque disattese. Lo stesso dicasi per la domanda svolta dalla ricorrente in via subordinata. La tesi dell’indeterminatezza delle clausole di pattuizione degli interessi del mutuo è, infatti, del tutto priva di fondamento, se solo si considera che la stessa * ha agito nel presente giudizio esponendo con precisione le condizioni contrattuali, ivi inclusi i tassi degli interessi applicabili.
Le spese di lite, la cui liquidazione rimane affidata al dispositivo in base allo scaglione di riferimento per il valore della causa (indeterminabile di bassa complessità, con riduzione ai minimi tariffari per quanto riguarda la fase istruttoria e decisoria, stante la scelta del rito e le attività processuali conseguentemente svolte ed applicazione dei medi tariffari per le altre fasi), seguono la soccombenza e vanno pertanto poste a carico di *, in uno con le spese di C.T.U. già liquidate in corso di causa. La mancata partecipazione di * alla procedura di mediazione obbligatoria (doc. 5 attoreo) può ritenersi giustificata dalla ritenuta e asserita impossibilità di addivenire ad un accordo con la controparte, stante le elevate pretese economiche e il tenore non equivoco del contratto di mutuo per cui è lite.
Pertanto, non va applicata la sanzione di cui all’art. 8, comma 4 bis, D.Lgs. 28/2010.
PQM
Il Tribunale, definitivamente pronunciando in persona del Giudice Dott.ssa Patrizia Cazzato, così provvede: 1. rigetta tutte le domande esperite da *; 2. dichiara tenuta e condanna *. a rifondere in favore di .*. le spese di lite, liquidate in € 5.355,00 per compenso, oltre 15% sull’onorario per spese generali, IVA e CPA, come per legge; 3. pone le spese di C.T.U., definitivamente e per intero, già liquidate in corso di causa, a carico di * Si comunichi.
Genova, 22 gennaio 2019
Il Giudice dott. Patrizia Cazzato.
Minuta redatta dal Magistrato Ordinario in Tirocinio Dott.ssa Aglaia Gandolfo