Crisi d'Impresa e Insolvenza
Il Caso.it, Sez. Giurisprudenza, 20465 - pubb. 13/09/2018
Cessione Banca Pop. Vicenza / Intesa Sanpaolo ex D.L. 99/2017 e criteri di determinazione del perimetro della cessione del contenzioso
Tribunale Padova, 01 Giugno 2018. Est. Maria Antonia Maiolino.
Cessione di azienda bancaria – Cessione da Banca Popolare di Vicenza a Intesa Sanpaolo S.p.A. ex D.L. 99/2017 – Determinazione del contenzioso incluso nella cessione e di quello escluso – Criterio
Cessione di azienda bancaria – Cessione da Banca Popolare di Vicenza a Intesa Sanpaolo S.p.A. ex D.L. 99/2017 – Determinazione del perimetro della cessione – Prevalenza del criterio temporale su quello dell’oggetto del rapporto – Rapporti a sofferenza
Dalla lettura combinata delle clausole del contratto 26 giugno 2017, di cessione di azienda bancaria da Banca Popolare di Vicenza a Intesa Sanpaolo S.p.A., e del decreto legge 25 giugno 2017 n. 99, si desume, da un lato, la cessione del contenzioso pendente alla data della stipula e, dall’altro lato, l’estraneità della cessionaria al contenzioso sorto successivamente, anche se ancorato a fatti antecedenti; detta ricostruzione appare del resto coerente con l’intenzione di limitare il trasferimento ai soli contenziosi già pendenti, per i quali il costo è determinabile già al momento del contratto, escludendo le liti successive, a tale data imprevedibili. (Redazione IL CASO.it) (riproduzione riservata)
In ordine al contratto 26 giugno 2017, di cessione di azienda bancaria da Banca Popolare di Vicenza a Intesa Sanpaolo S.p.A., interpretato alla luce del decreto legge 25 giugno 2017 n. 99 è possibile affermare che, allo scopo di determinare il perimetro della cessione, la previsione attinente alla cessione delle controversie (che distingue le liti anteriori e quelle posteriori alla cessione) appare un criterio atto a prevalere rispetto a quello dell’oggetto dei rapporti che si trasferiscono; la previsione sulle liti è, infatti, ancorata ad un criterio meramente temporale e non ad un criterio che faccia leva sul contenuto della lite medesima, cosicché nessuna previsione contrattuale consente di affermare che ad Intesa si trasferiscano non tutte le liti pendenti, ma solo quelle che non abbiano ad oggetto rapporti a sofferenza.
Tanto più che detto criterio “contenutistico” non potrebbe concretamente operare prima della conclusione della lite medesima, giacché solo con la decisione definitiva si chiarirebbe se la lite riguardi un credito restitutorio del correntista ovvero un rapporto “a sofferenza”, effettivamente confermato come tale dalla decisione; in proposito, va , inoltre, detto che se si volesse integrare la regola sul trasferimento delle liti pendenti con un criterio che tenga conto dell’oggetto della lite, i confini della cessione rimarrebbero incerti fino alla conclusione del contenzioso: situazione evidentemente incompatibile con la necessità di cristallizzazione di attivo e passivo tipico di una cessione, tanto più di azienda bancaria.
Ne deriva che, in presenza di un “contenzioso civile” pendente al momento dell’accesso alla procedura concorsuale, lo stesso e pertanto il rapporto sottostante vanno ricompresi nella cessione ad Intesa, anche se il contenzioso attiene a rapporti qualificabile a sofferenza.
[Nel caso di specie, il tribunale ha inoltre rilevato l’operatività del cliente all’interno del fido e la mancanza di prova della segnalazione in centrale rischi hanno consentito di escludere che il rapporto fosse qualificabile a sofferenza]. (Redazione IL CASO.it) (riproduzione riservata)
n. 8109/2013 RG
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Tribunale di Padova, in composizione monocratica, nella persona del Giudice Maria Antonia Maiolino, nella causa civile n. 8109/2013 RG
omissis
motivi della decisione
Questioni preliminari: in particolare la c.d. legittimazione passiva
La questione della c.d. legittimazione passiva, che in realtà assurge più a questione di merito che preliminare di rito, atteso che si tratta di individuare il soggetto contro cui gli attori potrebbero far valere l’eventuale credito che vantano in giudizio, è sorta nella battute finali della vicenda processuale: a seguito dell’accesso di Banca Popolare di Vicenza alla procedura concorsuale della liquidazione coatta amministrativa (d’ora in avanti “Procedura”) la causa è stata dichiarata interrotta; invocando il contenuto del contratto di cessione di azienda bancaria 26 giugno 2017 intervenuto tra i commissari liquidatori ed Intesa San Paolo – d’ora in avanti per brevità “Intesa” - (contratto n. 13928 di rep e n. 7352 di racc.: doc. n. 1 Banca Intesa) gli attori hanno riassunto la causa nei confronti della Procedura, di Intesa e di Società per la Gestione di attività S.G.A. s.p.a., riferendo le proprie difficoltà nell’individuare l’esatto contraddittore alla luce della non chiara previsione contrattuale.
Ebbene, l'art. 3.1.2 del contratto di cessione - rubricato "Perimetro dell'insieme aggregato", alla lettera B) prevede le "Passività Incluse"; al punto vii) si indicano come inclusi nell'aggregato ceduto "i contenziosi civili (e relativi effetti negativi, anche per oneri e spese legali) relativi a giudizi già pendenti alla data di esecuzione, diversi da controversie con azionisti delle banche in LCA e con obbligazionisti convertibili e/o subordinati che abbiano aderito, non abbiano aderito ovvero siano stati esclusi dalle offerte di transazione presentate dalle Banche in LCA e da "incentivi welfare": si tratta cioè del contenzioso pregresso.
Dalla lettura della successiva lettera C) emerge che sono escluse dalla cessione “le controversie relative ad atti o fatti occorsi prima della cessione, sorte successivamente ad essa, e le relative passività”.
Anche l’art. 3 del D.L. 99/17 (contenente le disposizioni urgenti per la liquidazione coatta amministrativa di Banca Popolare di Vicenza) fa riferimento per la questione della “cessione di attività e passività” della convenuta Banca Popolare di Vicenza S.p.A. ad Intesa Sanpaolo S.p.A. alla sottoscrizione del citato contratto di cessione d'azienda.
Ritiene il Tribunale che dalla lettura combinata della fonte normativa e della fonte contrattuale debba desumersi la cessione ad Intesa del contenzioso pendente alla data di cessione (escluse le ipotesi specificamente menzionate) e l’estraneità di Intesa dal contenzioso sorto successivamente alla cessione, anche se ancorato a fatti antecedenti alla stessa: la ricostruzione presenta del resto una sua coerenza laddove vuole limitare la cessione ai soli contenziosi già pendenti, per i quali è ricostruibile un costo già al momento della cessione, escludendo le successive liti, imprevedibili (anche nelle loro conseguenze economiche) al momento della cessione.
Da quanto esposto discende l’affermazione oggi della c.d. legittimazione passiva in Intesa e non nella Procedura.
Intesa si è costituita nel procedimento riassunto affermando che la lite non la riguarderebbe, atteso che il contratto di cessione escludeva i rapporti a sofferenza, quale doveva intendersi quello intestato ad A. s.r.l.
La difesa non convince per due autonome ragioni.
In primo luogo perché nel contenuto contrattuale relativo al perimetro della cessione, la previsione attinente alla cessione delle controversie (distinguendo tra le liti anteriori e quelle posteriori alla cessione) appare un criterio atto a prevalere rispetto al criterio dei rapporti che si trasferiscono o meno al cessionario: nel senso che la previsione sulle liti è ancorata ad un criterio meramente temporale e non ad un criterio che faccia leva sul contenuto della lite medesima, cosicché nessuna previsione contrattuale consente di affermare che ad Intesa si trasferiscano non tutte le liti pendenti, ma solo quelle che non abbiano ad oggetto rapporti a sofferenza.
Tanto più che detto criterio “contenutistico” non potrebbe concretamente operare prima della conclusione della lite medesima, giacché solo con la decisione definitiva si chiarirebbe se la lite riguardi un credito restitutorio del correntista ovvero un rapporto “a sofferenza”, effettivamente confermato come tale dalla decisione. In sostanza se volesse integrarsi la regola sul trasferimento delle liti pendenti con un criterio che tenga conto dell’oggetto della lite stessa, i confini della cessione rimarrebbero incerti fino alla conclusione del contenzioso: situazione evidentemente incompatibile con la necessità di cristallizzazione di attivo e passivo tipico di una cessione, tanto più di azienda bancaria.
Cosicché, in presenza di un “contenzioso civile” pendente al momento dell’accesso alla procedura concorsuale, lo stesso e pertanto il rapporto sottostante vanno ricompresi nella cessione ad Intesa, anche se il contenzioso attenga a rapporti a sofferenza.
Sotto un secondo profilo va osservato che, quand’anche si seguisse la difesa esposta, non vi è in realtà alcuna prova che il rapporto in esame fosse a sofferenza: Banca Popolare di Vicenza costituendosi in giudizio ha affermato che il conto era sì in saldo negativo ma che la società stava “operando sul conto corrente all’interno del fido concessole fino ad € 300.000 e proprio perché non ha oltrepassato tale fido la Banca ad oggi non lo ha revocato” (pag. 10 comparsa di costituzione e risposta), negando altresì vi fosse la prova della segnalazione alla centrale dei rischi bancari (pag. 8) (la questione è menzionata anche nell’ordinanza 10.12.2015).
Cosicché non vi è prova che il rapporto in esame sia da considerare a sofferenza e quindi escluso dal novero dei rapporti ceduti ad Intesa, qualora non volesse seguirsi l’interpretazione contrattuale proposta al punto che precede.
Deve pertanto concludersi nel senso che la lite in esame è stata trasferita ad Intesa.
Conseguentemente perde di rilievo ai fini della decisione la questione della improcedibilità della domanda di condanna restitutoria nei confronti della procedura concorsuale, nel momento in cui si accerti che la corretta controparte processuale non è la Liquidazione Coatta Amministrativa di Banca Popolare di Vicenza. Detta questione non avrebbe peraltro impedito in ogni caso la decisione sulla lite, atteso che sin dalla citata ordinanza 10.12.2015 si dava atto che, risultando ancora aperto il conto, doveva ritenersi ammissibile la sola domanda di determinazione corretta del saldo e non la domanda di condanna: accertamento che – esclusa la pronuncia condannatoria - non sarebbe divenuta improcedibile per effetto dell’apertura della procedura concorsuale, quanto meno dovendosi riconoscere un interesse degli attori a vedere esattamente determinato il proprio debito.
Questioni di merito
Ciò premesso in ordine alla legittimazione attiva, vanno analiticamente esaminate le doglianze mosse dalla correntista e dai garanti.
La nullità del contratto bancario carente della sottoscrizione da parte della banca contraente
Il fatto che il contratto di conto corrente n. 237/373558 concluso tra le parti non porti la firma della banca contraente non determina la nullità del contratto stesso per violazione della norma in ordine alla forma scritta ad substantiam dei contratti medesimi. Il Tribunale condivide invero l’orientamento per cui “Anche quindi a voler ritenere che non risulti una copia firmata del contratto da parte della banca, l'intento di questa di avvalersi del contratto risulterebbe comunque, oltre che dal deposito del documento in giudizio, dalle manifestazioni di volontà da questa esternate ai ricorrenti nel corso del rapporto di conto corrente da cui si evidenziava la volontà di avvalersi del contratto (bastano a tal fine le comunicazione degli estratti conto) con conseguenze perfezionamento dello stesso” (Cass. n. 4564/2012 in motivazione): detto orientamento risulta ormai confermato dalla Suprema Corte a Sezioni Unite con la decisione n. 898/2018.
Altre censure relative alle condizioni economiche dei rapporti bancari
Le doglianze relative alla non pattuizione degli interessi ultralegali è stata dedotta dagli attori in maniera generica: sono stati prodotti in causa i documenti contrattuali relativi ai rapporti in essere ma non è stato specificato quali tassi non sarebbero stati pattuiti; altrettanto genericamente è stata dedotta la mancata comunicazione delle condizioni peggiorative: non è neppure chiaro se degli interventi peggiorativi unilaterali vi siano stati, perché gli attori non hanno fatto alcun esempio sulla base degli estratti conto disponibili.
Anche la censura relativa alla capitalizzazione degli interessi, sul presupposto della legittimità della previsione di pari periodicità nella capitalizzazione trattandosi di un conto del 2004, successivo quindi alla modifica dell’art. 120 tub, è sollevata in modo ipotetico, chiedendo gli attori di “procedere alla verifica della pari temporaneità” (pag. 4): ma una causa non è funzionale a verificare una ipotesi di violazione, ma funzionale a verificare se la violazione chiaramente denunciata dalla parte sia stata effettivamente posta in essere. In sostanza, deve esservi una concreta denuncia perché sorga l’interesse ad agire della parte: nel caso di specie il contratto di conto corrente stabilisce la pari periodicità trimestrale per gli interessi (sia attivi che passivi: doc. n. 5 attoreo), quindi non emerge alcuna violazione normativa.
Infine, la censura sui giorni valuta non è adeguatamente esplicitata: il contratto sub doc. n. 5 stabilisce le singole valute, quindi non è chiaro perché la stessa risulti non legittimamente concordata.
Risulta invece fondata la doglianza imperniata sulla illegittimità della commissione di massimo scoperto: la stessa è riportata in contratto nella misura dell’1,1750% sia per intra fido che fuori fido (citato doc. n. 5).
Ebbene, la stessa appare indeterminata e quindi nulla: infatti non è indicata né la periodicità di addebito (ogni quanti giorni o mesi viene addebitata) né su che montante venga calcolata (la punta massima di scopertura? l’intera somma utilizzata? la somma “affidata”?) e dette informazioni non sono in altro modo ricostruibili, cosicché la pattuizione non è determinata né determinabile.
Conseguentemente si è dato incarico al ctu di ricostruire il saldo corretto alla data della citazione (8.8.2013) previa espunzione dalla ricostruzione di tutti gli addebiti connessi alla commissione di massimo scoperto addebitata negli anni.
La censura di usura pattizia.
Non appare fondata la doglianza avente ad oggetto la c.d. usura pattizia.
Il ctu ha ricostruito che il superamento della soglia antiusura andrebbe riconosciuto sin dal momento della conclusione del contratto qualora il rapporto contrattuale concluso tra correntista e banca andasse inquadrato nella categoria degli affidamenti superiori ad € 5.000.
In via di fatto al riguardo deve rilevarsi che il contratto di conto corrente ed il documento contrattuale avente ad oggetto la linea di credito fino all’importo indicato (doc. 5 e 4 attorei) riportano entrambi la data del 31.5.2004: deve pertanto ritenersi che siano contestuali e che pertanto il rapporto sia nato ab origine con affidamento, a prescindere dall’orario in cui ciascun contratto è stato sottoscritto giacché l’aver concluso i due contratti nello stesso giorno porta a ritenere che si tratti di una operazione unitaria.
Sennonché ritiene il Tribunale che, se si discuta della legittimità del tasso di interesse passivo del conto corrente, lo stesso andrà valutato alla luce della soglia prevista per la categoria di operazioni con affidamenti fino ad € 5.000: e la soglia non è superata; se invece si discute della legittimità del tasso debitorio pattuito per la linea di affidamento, lo stesso va comparato con la soglia prevista per la categoria di operazioni con affidamenti superiori ad € 5.000. ovvero, non risulta operazione corretta la comparazione del tasso debitorio del conto corrente con la soglia prevista per la categoria di operazioni con affidamento superiore ad € 5.000, giacché quel tasso viene addebitato proprio in assenza di affidamento, che infatti è stato oggetto di una specifica autonoma pattuizione.
Ai fini della verifica della legittimità del tasso passivo relativo all’affidamento, va osservato che il documento contrattuale depositato (doc. n. 4 citato) non riporta il tasso pattuito, ma fa riferimento ad altro documento contrattuale che parte attrice non ha però depositato: ebbene, se è la correntista che contesta l’addebito di interessi usurari ab origine, è la correntista che ha l’onere di dimostrare che sono stati pattuiti interessi superiori alla soglia antiusura ed evidentemente detta prova non può prescindere dalla produzione documentale del relativo contratto.
Nel caso di specie quindi non vi è prova della pattuizione di interessi superiori alla soglia antiusura né con riferimento al contratto di conto corrente né con riferimento alla linea di credito pattuita. Quanto ai possibili rilievi officiosi, deve osservarsi che gli estratti conto depositati in causa attestano che sin dall’inizio del rapporto è stato addebitato alla correntista un tasso debitorio inferiore al 6% ed il TEG ricostruito resta comunque inferiore alla soglia (tabella pag. 18 perizia), cosicché non vi è agli atti la prova dell’addebito (a prescindere dalla circostanza specifica della pattuizione) di un tasso usurario.
La censura di usura c.d. sopravvenuta
Risulta invece fondata la doglianza di addebito alla correntista di interessi debitori superiori alla soglia antiusura nel corso del rapporto: il ctu ha verificato che nel secondo trimestre 2004, terzo trimestre 2007, terzo e quarto trimestre 2012, primo, secondo e terzo trimestre 2013 sono stati addebitati alla correntista interessi superiori al tasso soglia antiusura; il ctu ha altresì ricostruito che il superamento si è verificato per effetto della modifica in pejus delle condizioni contrattuali applicate al rapporto.
È pertanto necessario verificare se ed in che limiti detta circostanza assuma rilievo ai fini della decisione.
Il d.l. n. 394/2000 ha chiarito all’art. 1 che le sanzioni penali e civili di cui agli articoli 644 c.p. e 1815/II c.c. trovano applicazione solo con riguardo alle pattuizioni che si configurino come usurarie sin dall’origine. Ne consegue che non può configurarsi alcun tasso usurario se il tasso pattuito non superi al momento dell’accordo il tasso soglia, ma detto superamento si verifichi nel corso dell’esecuzione del rapporto.
La norma è stata confermata nella sua legittimità (salvo che per un limitato aspetto, irrilevante ai fini della presente decisione) dalla Corte Costituzionale con la sentenza n. 29 del 25.2.2002.
Va peraltro sottolineato come la menzionata pronuncia n. 29/2002 si limiti ad escludere, facendo salva la previsione dell’art. 1 del d.l. n. 394/2000, che possa configurarsi un tasso usurario in caso di superamento del tasso soglia da parte di un tasso convenzionale che rispettava detti limiti al momento della sua pattuizione: ciò peraltro non significa affatto che la Corte Costituzionale abbia definitivamente affermato che il debitore debba necessariamente corrispondere il tasso di interesse pattuito anche se questo nel corso del rapporto abbia superato il tasso soglia. Anzi la Corte, nell’escludere l’applicabilità alla fattispecie esaminata delle sanzioni connesse all’usurarietà degli interessi, ha espressamente affermato che “restano, invece, evidentemente estranei all’ambito di applicazione della norma impugnata (ovvero del d.l. n. 394/2000) gli ulteriori istituti e strumenti di tutela del mutuatario, secondo la generale disciplina codicistica dei rapporti contrattuali”. Sintetizzando, il Giudice delle Leggi si è limitato a confermare la legittimità della disposizione di legge che esclude che nell’ipotesi di c.d. usurarietà sopravvenuta siano applicabili le specifiche sanzioni previste per l’ipotesi di usura: ovvero le sanzioni di tipo penalistico previste dall’art. 644 c.p. e quelle civilistiche previste dall’art. 1815/II c.c., che stabilisce che “se sono convenuti interessi usurari, la clausola è nulla e non sono dovuti interessi”.
Rimane pertanto da vedere se vi siano e quali eventualmente siano “gli ulteriori istituti e strumenti di tutela del mutuatario”, cui va evidentemente parificata la posizione del correntista che debba versare interessi per le somme ricevute dalla banca, che si veda contrattualmente vincolato a versare interessi corrispettivi, che nel corso del rapporto vengono a superare il tasso soglia.
La Corte Costituzionale doveva essere in realtà ben consapevole del dibattito dottrinale e giurisprudenziale che da qualche anno si occupava dell’argomento esposto. Vale in questa sede per brevità richiamare l’approfondita pronuncia della Corte di Cassazione n. 14899 del 17.11.2000, che opera, anche con richiami ai precedenti giurisprudenziali, una articolata ricostruzione delle problematiche di diritto sottese alla questione.
La sentenza menzionata, nel richiamare le precedenti decisioni n. 5286/2000 e n. 1126/2000, ricorda: “con la prima (in tema di interessi moratori per scoperto di conto corrente, ma con argomenti di carattere generale) è stato affermato che la pattuizione di interessi a tasso divenuto usuraio a seguito della legge 108/96 è nulla anche se compiuta in epoca antecedente all'entrata in vigore di detta legge. Giova ripercorrere, sia pure sinteticamente, l'"iter" logico - giuridico di tale decisione. Premesso che una pattuizione di interessi intervenuta prima dell'entrata in vigore della legge 108/96 non può stante il principio dell'art. 25, 2^ comma, Cost., essere ritenuta penalmente rilevante sol perché detti interessi risultino superiori alla soglia fissata, questa Corte ha osservato che, pur dovendosi ritenere in via di principio che il giudizio di validità vada condotto alla stregua della normativa in vigore al momento della conclusione del contratto, tuttavia, verificandosi un concorso tra autoregolamentazione pattizia ed eteroregolamentazione normativa, diviene insostenibile la tesi che subordina l'applicabilità dell'art. 1419, 2^ comma, C.C. all'anteriorità della legge rispetto al contratto, perché l'inserimento ex art. 1339 cc. del nuovo tasso incontra l'unico limite che si tratti di prestazioni non ancora eseguite, in tutto od in parte. Va ora precisato, con riferimento allo specifico tema del contratto di mutuo, che merita di essere condiviso l'orientamento dottrinario secondo cui l'ampia dizione degli artt. 1339 e 1419, 2° comma, cod.civ. consente non solo la sostituzione automatica di clausole con altre volute dall'ordinamento, ma anche la semplice eliminazione di clausole nulle senza alcuna sostituzione, dovendosi tener conto del maggior spessore della eteroregolamentazione nell'ambito della contrapposizione tra autonomia contrattuale ed imperatività della norma. La citata sentenza n. 5286/2000 ha precisato, altresì, che: a) la tesi ha trovato l'autorevole avallo della Corte Costituzionale nella sentenza n. 204 del 1997, che ha dichiarato non fondata la questione di legittimità costituzionale dell'art. 1938 c.c. proprio sulla base della considerazione che, pur avendo carattere innovativo la legge n. 154/92 e non applicandosi retroattivamente, tuttavia ciò non implica che la disciplina precedente acquisiti caratteri ultrattivo; b) l'obbligazione degli interessi non si esaurisce in una sola prestazione, concretandosi in una serie di prestazioni successive; c) ai fini della qualificazione usuraria degli interessi, il momento rilevante è la dazione e non la stipula del contratto, come si evince anche dall'art. 644 ter cod. pen. (introdotto dall'art. 11 l. 108/96); d) in tal senso è la giurisprudenza penale di questa Corte, secondo cui la ricezione degli interessi non costituisce "post factum" non punibile, ma fa parte a pieno titolo del fatto lesivo penalmente rilevante; e) anche a non voler aderire alla configurabilità della nullità parziale sopravvenuta, comunque non si può continuare a dare effetto alla pattuizione di interessi eventualmente divenuti usurari, a fronte di un principio introdotto nell'ordinamento con valore generale ed assoluto e di un rapporto non ancora esaurito. Quest'ultimo profilo, in particolare, è stato oggetto di esame da parte della sentenza n. 1126/2000, secondo cui "si può ben ritenere che la sopravvenuta legge 108/96, di per sé evidentemente non retroattiva e dunque insuscettibile d'operare rispetto agli anteriori contratti di mutuo, sia di immediata applicazione nei correlativi rapporti, limitatamente alla regolamentazione di effetti ancora in corso", quindi, per l'appunto, la corresponsione degli interessi”.
La giurisprudenza che negli anni successivi ha affrontato la medesima problematica ha confermato l’impostazione delineata dalle pronunce menzionate nei limiti in cui si conclude per l’inesigibilità degli interessi che siano venuti a superare il tasso soglia, pur avendo modificato le argomentazioni giuridiche a sostegno della decisione (anche alla luce dell’interpretazione fornita dal d.l. n. 394/2000 e dei chiarimenti forniti in materia dalla menzionata Corte Costituzionale n. 29/2002); va detto sin d’ora che questo giudice condivide integralmente detta elaborazione giurisprudenziale, pur dovendo disattendere la tesi della sopravvenuta nullità della previsione concernente il tasso interesse divenuto usurario, giacché, esclusa la retroattività della legge n. 108/1996, deve conseguentemente escludersi detta forma di patologia che per sua natura sanziona la genesi della previsione negoziale, con preferenza, pertanto, per quell’orientamento che ha invocato in proposito l’istituto dell’inefficacia (parziale) della clausola contrattuale relativa alla previsione degli interessi.
Vale al riguardo ricordare l’iter argomentativo esposto da Cass. n. 8442 del 13.6.2002: “l’art. 1284 c.c. stabilisce che il saggio degli interessi del 5% può essere determinato annualmente in misura diversa secondo apposito decreto ministeriale. La legge 7 marzo 1996, n. 108, contenente disposizioni in materia di usura, stabilisce il limite entro il quale, nelle operazioni di credito, gli interessi sono sempre usurari (art. 2 u.c.). Il combinato disposto di queste due norme ha segnato una inversione di tendenza della nozione monolitica del rapporto contrattuale, il quale deve sottostare alle sopravvenute regole imperative (…). Infatti, la clausola contenuta in un contratto di conto corrente stipulato anteriormente all’entrata in vigore della nuova disciplina sull’usura e con la quale sono stati pattuiti interessi diventati superiori a quelli della soglia dell’usura, è priva di effetto quanto alla misura degli interessi anteriormente convenuta ed essi possono essere rinegoziati (…). Ne deriva che, quando si sia verificata una fattispecie del genere di quella indicata, i punti da sciogliere sono i seguenti: individuare il tasso applicabile in luogo di quello non più utilizzabile; individuare il momento al quale riferire la valutazione circa il carattere usurario degli interessi” (in motivazione; sull’inefficacia ex nunc della previsione contrattuale di interessi tali da raggiungere la soglia dell’usura si leggano anche Cass. n. 4092 del 25.2.2005,Cass. n. 2140 del 31.1.2006, Cass. n. 6550 del 14.3.2013).
Evidentemente nel caso di specie, esclusa la configurabilità di un’ipotesi di tasso propriamente usurario, rimane da sciogliere il solo nodo relativo all’individuazione del tasso di interesse esigibile da parte della banca che ha concesso la linea di credito.
Va per completezza aggiunto come l’unica condizione richiesta per consentire al debitore di vedere operare la modifica del tasso convenzionale che sia venuto a superare la soglia antiusura è che la questione dell’illegittimità della pretesa creditoria sia sollevata in giudizio dalla parte interessata (Cass. n. 4092 e n. 4093 del 25.2.2005 nonché Cass. n. 2140 del 31.1.2006): presupposto evidentemente sussistente nel caso di specie ove l’iniziativa di parte attrice vede tra le doglianze esposte proprio la pretesa della banca di un interesse superiore al tasso soglia.
Preme altresì chiarire come ad avviso del Tribunale non sia direttamente applicabile alla presente fattispecie concreta l’insegnamento venuto da Cass. SSUU n. 24675/2017, che, decidendo un caso di mutuo, ha affermato che “allorché il tasso degli interessi concordato tra mutuante e mutuatario superi, nel corso dello svolgimento del rapporto, la soglia dell’usura, come determinata in base alle disposizioni della legge n. 108 del 1996, non si verifica la nullità o l’inefficacia della clausola contrattuale di determinazione del tasso degli interessi stipulata anteriormente all’entrata in vigore della predetta legge o della clausola stipulata successivamente per un tasso non eccedente tale soglia quale risultante al momento della stipula, né la pretesa del mutuante, di riscuotere gli interessi secondo il tasso validamente concordato, può essere qualificata, per il solo fatto del sopraggiunto superamento di detta soglia, contraria al dovere di buona fede nell’esecuzione del contratto”.
Nel caso di specie infatti si discute di un contratto di conto corrente e non di mutuo, caratterizzato da una periodica unilaterale modifica dei tassi debitori, come rilevato dal ctu. La modifica unilaterale delle previsioni contrattuali è disciplinata dall’art. 118 tub, che stabilisce sostanzialmente che, comunicata al cliente la modifica dalla banca, la stessa si abbia per approvata in caso di mancato recesso dal contratto: in sostanza ricorre una nuova pattuizione contrattuale.
Ebbene, ritiene il Tribunale che, se proprio quella modifica unilaterale determina il superamento della soglia, possa configurarsi un illecito contestuale alla pattuizione: non certo alla pattuizione originaria, ma contestuale alla nuova pattuizione relativa ai soli interessi debitori.
Ma, se è vera la premessa, ritiene il Tribunale che, quando il superamento della soglia antiusura si verifichi per effetto dell’aumento dei tassi addebitati al cliente quale conseguenza dell’esercizio da parte della banca dello jus variandi in senso peggiorativo alla correntista, la “sanzione civilistica” da applicare sia quella dell’eliminazione degli addebiti che configurino “costo del credito” limitatamente ai trimestri convolti dal fenomeno “usurario”: infatti – si ribadisce - ogni qualvolta il superamento della soglia si verifichi per effetto dell’aumento del tasso debitorio applicato dalla banca, si configura una nuova pattuizione che giustifica l’applicazione, seppure limitata ai soli trimestri coinvolti, dell’art. 1815/II c.c.
Conclusioni
La perizia risulta condotta nel rispetto del quesito assegnato, è coerente nelle conclusioni rispetto alle premesse formulate ed ha sollevato nei consulenti di parte obiezioni di natura meramente giuridica (da demandare quindi alla decisione del Tribunale) ma non tecnica: il contenuto dell’elaborato, scevro da vizi logici o giuridici, può darsi in questa sede richiamato per brevità di esposizione.
In particolare osserva il Tribunale che anche per il periodo anteriore ad agosto 2009 va valorizzata tra gli addebiti rilevanti ai fini della ricostruzione del “costo del denaro” la commissione di massimo scoperto, in linea con quell’orientamento giurisprudenziale (Cass. pen. 28743/2010) che attribuisce rilievo allo scopo a tutti gli oneri addebitati dall’istituto di credito quali corrispettivo per il prestito di denaro a prescindere dalla denominazione utilizzata.
L’art. 1 della l. 108/1996 infatti stabilisce con chiarezza che “per la determinazione del tasso di interesse usurario si tiene conto delle commissioni, remunerazioni a qualsiasi titolo e delle spese, escluse quelle per imposte e tasse, collegate alla erogazione del credito” e la disposizione della Banca d’Italia che prima del 2008 stabiliva non tenersi conto allo scopo delle cms non è certamente previsione idonea a superare il dettato di legge.
Cosicché, se deve darsi atto della disomogeneità tra i parametri sulla cui base sono stati periodicamente rilevati i tassi e le voci oggi computate per la verifica del superamento del tasso soglia, sul punto non ci si può che attenere al chiaro disposto normativo, come più volte interpretato dalla giurisprudenza.
Sulla base delle premesse esposte le conclusioni “numeriche” sono quelle esposte dal perito nella tabella a pag. 26 dell’elaborato: deve oggi accertarsi che alla data dell’8.8.2013 il saldo del conto corrente n. 237/373558 ammonta ad € 177.421,89 a debito della correntista ed a favore della banca.
Con riferimento alle spese di lite, la parziale soccombenza dell’istituto bancario, sia sotto un profilo “quantitativo” che con riferimento alle doglianze formulate giustificano la condanna alla rifusione delle spese di lite nella percentuale di metà degli oneri, liquidati come in dispositivo: l’ulteriore quota di metà va compensata integralmente tra le parti; le spese di ctu vanno invece poste a carico di parte convenuta Intesa. Con riferimento alle altre parti nei cui confronti il processo è stato riassunto, la complessità dell’interpretazione della vicenda successoria che ha coinvolto Banca Popolare di Vicenza e del resto la soccombenza della Procedura sulla difesa principale giustificano la compensazione integrale delle spese processuali.
Dall’art. 282 c.p.c. discende la provvisoria esecutività della presente decisione.
PQM
Il Tribunale di Padova, I sezione civile, in composizione monocratica, definitivamente pronunciando nella causa in epigrafe indicata (r.g. n. 8109/2013), disattesa ogni diversa istanza, domanda ed eccezione, così provvede:
- Accerta che alla data dell’8.8.2013 il saldo corretto del conto corrente n. 237/373558, trasferito ad Intesa, ammonta ad € 177.421,89 a debito della correntista ed a favore della banca;
- Condanna Banca Intesa San Paolo s.p.a. alla rifusione delle spese di lite nella misura di metà, liquidata nella misura ridotta in € 6.000, oltre anticipazioni per € 330, 15% sul compenso, iva e cpa come per legge; compensa tra le parti la residua quota di un mezzo;
- Pone le spese di ctu in via definitiva a carico di Banca Intesa San Paolo s.p.a.
Padova, 01/06/2018
Il Giudice
Maria Antonia Maiolino