Diritto Bancario e Finanziario
Il Caso.it, Sez. Giurisprudenza, 19801 - pubb. 30/05/2018
Contratto bancario amorfo, nullità c.d. unilaterale e rilevabilità d’ufficio dal giudice
Tribunale Massa, 21 Dicembre 2017. Est. Provenzano.
Omessa produzione del contratto di conto corrente - Domanda generica ed indeterminata - Nullità - Insussistenza
Contratto bancario amorfo - Nullità c.d. unilaterale - Rilevabilità d’ufficio dal Giudice - Sussistenza
Accertamento negativo del credito - Produzione estratti conto - Sufficienza
Ammissibilità CTU - Natura percipiente - Produzione dei soli estratti conto - Sufficienza
Prova dell’affidamento con i soli estratti conto - Sufficienza
Anatocismo - Rilevabile d’ufficio - Imprescrittibilità - Sussistenza
Usura - Produzione decreti ministeriali - Non necessaria
Mancata contestazione degli estratti conto - Irrilevante ai fini delle eccepite nullità
Addebito delle competenze su c/c - Obbligazione naturale - Insussistenza
Art. 1931 c.c. - Inapplicabilità
Anatocismo - Capitalizzazione - Pattuizione scritta - Necessità
Natura solutoria o ripristinatoria delle rimesse - Onere della prova a carico della banca - Necessità
Applicabilità del “saldo 0” - Inammissibilità
L’omessa produzione in giudizio del contratto di conto corrente e di quello, ad esso collegato, di apertura di credito in favore della stessa correntista, non rende la domanda generica ed indeterminata e non comporta quindi la nullità dell’atto.
La nullità del cd. contratto bancario amorfo - come in generale le nullità previste dalle norme di trasparenza del T.U.B. - è nullità c.d. unilaterale», che può essere fatta valere solo dal cliente, ovvero anche d’ufficio dal giudice, purché ciò avvenga nell’interesse di quest’ultimo (art. 127, comma 2, TUB).
Ai fini dell’assolvimento dell’onere probatorio inerente alla domanda di accertamento del rapporto obbligatorio dedotto in giudizio, in relazione all’esatto saldo del conto corrente, e dell’azione di ripetizione dell’indebito, l’onere assertivo e probatorio deve ritenersi attinente ai fatti costitutivi della propria pretesa creditoria, ovvero all'esecuzione della prestazione sulla base delle annotazioni contabili risultanti dagli estratti conto.
Perché il Giudice possa disporre una consulenza tecnico contabile è necessario e sufficiente, da un lato, che la parte deduca il fatto che pone a fondamento del suo diritto, dall'altro, che il giudice ritenga che l'accertamento demandato al C.T.U. - purchè, per quanto chiarito, nell’ambito dei fatti allegati - richieda specifiche cognizioni tecniche (cfr., ex plurimis, Cass. n. 4792/2013). La materia contabile costituisce, all’evidenza, tradizionale campo di elezione della consulenza cd. percipiente, tenuto anche conto della peculiare disciplina vigente in tale ambito, ai sensi dell’art. 198 c.p.c.
Anche qualora la documentazione non sia irrilevante, bensì soltanto insufficiente ben può legittimare il ricorso alla C.T.U., essendosi in tale contesto ribadito, in conformità alla consolidata giurisprudenza della medesima Corte regolatrice (“cfr. Cass. n. 15219/2007; Cass. 5091/2016), che è consentito derogare finanche al limite costituito dal divieto di compiere indagini esplorative (cfr. Cass. n. 5091/2016, 3191/2006).
Ai fini dell’ammissibilità della CTU deve ritenersi sufficiente - che il correntista fornisca prova della sussistenza del rapporto bancario, producendo in giudizio anche solo gli estratti conto (riportanti le condizioni contrattuali applicate dalla banca), non necessariamente anche il contratto scritto (in virtù del disposto di cui all’art. 127, comma 2 T.U.B.)
La stipulazione del contratto di apertura di credito può evincersi anche per facta concludentia, vale a dire risultare dal contegno tenuto dalla banca nella gestione del conto (cfr. Cass. n. 2752/1995, Id. n. 3842/1996).
La mancata produzione dei DM ai fini della verifica dell’usura, non ne impedisce la verifica a mezzo CTU; essi rappresentano non atti amministrativi bensì atti di normazione secondaria, integrativa del precetto legislativo, non potendosi escludere, in quest’ipotesi, che essi, in quanto tali, siano assoggettati al principio iura novit curia, con conseguente non necessità della loro produzione in giudizio ai fini dell’applicazione della disciplina di legge antiusura (cfr. Trib. Mantova, 29.05.2012, Id. 13.10.2015, Trib. Busto Arsizio 20.05.2017, Trib. Napoli, 17.06.2014, Trib. Latina 28.08.2013, Trib. Nola 09.01.2014). Tali decreti ministeriali, pertanto, contengono un indefettibile elemento costitutivo della norma incriminatrice, vale a dire la determinazione del tasso medio degli interessi per ciascuna classe di operazioni in base alla quale viene stabilito il tasso soglia relativo a quella stessa categoria di rapporti contrattuali.
Costituisce jus receptum che l'approvazione tacita degli anzidetti estratti conto conseguente alla mancata contestazione degli stessi, entro sei mesi, attiene esclusivamente ad eventuali errori di scritturazione o conteggio ovvero per omissioni o duplicazioni, non precludendo mai al correntista, neppure dopo il decorso del suindicato termine, il diritto di far valere l'invalidità o l'inefficacia dei titoli dai quali derivano gli accrediti e gli addebiti (cfr. Cass. n. 10186/2001, Id. n. 10129/2001). La mancata contestazione degli estratti conto, dunque, non esclude l'ammissibilità di censure concernenti la validità e l'efficacia dei titoli medesimi, proponibili nell’ordinario termine di prescrizione decennale decorrente dalla chiusura definitiva del rapporto di conto corrente; infatti, la mancata contestazione da parte del correntista degli estratti conto "rende inoppugnabili gli addebiti sotto il profilo meramente contabile ma non sotto quello della validità e dell'efficacia dei rapporti obbligatori da cui derivano le partite inserite" (Cass. 870/2006, conf., Id. n. 5067/2010, n. 10376/2006, n. 18626/2003, Cass. SS.UU. n. 10129/2001, Id. n. 6548/2001, Cass. n. 18186/2001, n. 1250/1999, n. 4846/2998 n. 4735/1986, n. 1112/1984).
Non vale ad escludere il diritto alla restituzione ed a cristallizzare il trasferimento patrimoniale privo di causa, l’ipotetico convincimento del correntista di aver adempiuto ad una obbligazione naturale, in ipotesi desumibile dalla tacita approvazione gli estratti conto periodici. E' di tutta evidenza, poi, l'assenza della causa propria dell'obbligazione naturale ex art. 2034 c.c., vale a dire l'adempimento di un dovere morale o sociale.
L'inapplicabilità dell'art. 1831 c.c. (inerente al conto corrente ordinario) al conto corrente bancario (cfr. Cass. n. 6187/2005) comporta innanzitutto che, in assenza di specifica pattuizione contrattuale, non possano ritenersi operanti date intermedie di chiusura del conto corrente bancario (né secondo gli usi, né con cadenza semestrale, né in corrispondenza dell'invio degli estratti conto, aventi solo il limitato effetto ricognitivo delle operazioni di addebito/accredito annotate).
Il saldo attivo o passivo ("salva l'osservanza del termine di preavviso eventualmente pattuito", secondo l’art. 1852 c.c.), assume valenza di obbligazione “scaduta” unicamente a seguito di richiesta stragiudiziale o domanda giudiziale, sicché solo da quel momento il saldo per la partita in interessi maturati è idoneo a generare ulteriori interessi ai sensi dell'art. 1283 c.c. ed in conformità delle relative prescrizioni.
È legittima la capitalizzazione degli interessi alla sola condizione che la periodicità della capitalizzazione sia reciproca e che risulti da espressa pattuizione scritta (cfr., in particolare, art. 2 Delibera C.I.C.R. citata); pattuizione che, inoltre, deve essere specificamente approvata per iscritto (art. 6 della stessa Delibera C.I.C.R.). Le clausole anatocistiche contenute nei contratti di conto corrente implicanti la capitalizzazione trimestrale degli interessi passivi sono affette da nullità - rilevabile anche d’ufficio ex art. 1421 c.c. - qualora siano inserite in contratti stipulati anteriormente alla data di entrata in vigore della suddetta Delibera C.I.C.R. (30.06.2000).
La previsione negoziale della chiusura non è quindi condizione sufficiente ad impedire il vaglio di legittimità sulla capitalizzazione che ne deriva. Va inoltre osservato, in proposito, che l'art. 1857 c.c. non prevede, tra le norme applicabili alle operazioni bancarie in conto corrente - di corrispondenza o bancario e non ordinario - gli artt. 1823, 1825 e 1831 c.c., ma fa riferimento ai soli artt. 1826, 1829 e 1832 c.c. (cfr. Cass. n. 870/2006, Id. n. 6187/2005). L'espressa previsione normativa delle norme del conto corrente ordinario applicabili al conto corrente bancario e la mancata inclusione tra queste dell'art. 1831 c.c., escludono in radice la possibilità che quest'ultima disposizione possa essere analogicamente od estensivamente applicata al conto corrente bancario.
La distinzione tra versamenti di natura solutoria e versamenti di natura ripristinatoria della provvista Trattandosi di contratto di durata inerente ad un unico rapporto giuridico, le singole operazioni di addebito re di accredito costituiscono esclusivamente atti di esecuzione frazionata della medesima obbligazione, dovendo, conseguentemente, essere considerate nel loro complesso. (cfr. Cass. SS.UU.n.24418/2018 cit., conf. Id. n. 10127/2005, n. 2262/1984).
È solo con la chiusura del conto che si stabiliscono definitivamente i crediti e debiti delle parti tra loro e che può quindi essere individuato un effettivo dies a quo di decorrenza del termine prescrizionale. In caso di mancata specifica menzione delle rimesse solutorie da parte della banca, il Giudice non può supplire all’omesso assolvimento da parte della banca di siffatto onere di specifica allegazione, il Giudice non può supplire all'omesso assolvimento di tale onere, individuando d'ufficio i versamenti solutori (cfr. Cass., Ord. n. 20933 del 07.09.2017, conf. Id. n. 4518/2014).
E’ imprescrittibile, ai sensi dell’art. 1422 c.c., l’azione promossa dal cliente verso la banca per far valere la nullità della clausola che prevede l’anatocismo.
Alla prova dell’affidamento non si assolve solamente attraverso la produzione in giudizio del relativo contratto scritto, ma anche per il tramite di prove indirette (quali estratti conto scalari, bonifici, report di Centrale Rischi) che implichino inequivocamente riconoscimento da parte della banca dell’avvenuta concessione del fido (cfr. Cass. n. 2915/1992, Id. n. 3842/1996).
Nel caso in cui il correntista agisca per la ripetizione delle somme illegittimamente addebitate in conto corrente, anche in ragione della nullità di determinate clausole contrattuali, qualora quest’ultima non abbia prodotto l’intera sequenza degli estratti conto, il saldo da cui partire per l’analisi contabile deve essere quello a debito risultante dal primo estratto conto disponibile, non già il saldo zero. (Giampaolo Morini) (riproduzione riservata)
Segnalazione dell'Avv. Giampaolo Morini
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