Diritto Fallimentare
Il Caso.it, Sez. Giurisprudenza, 1625 - pubb. 11/03/2009
Fallimento e prova dei crediti della banca
Tribunale Pescara, 18 Aprile 2008. Pres., est. Filocamo.
Fallimento – Domanda di ammissione al passivo – Prova del credito – Contratti – Forma scritta ad substantiam e ad probationem – Data certa anteriore al fallimento – Necessità.
Fallimento – Domanda di ammissione al passivo – Prova del credito – Rapporti bancari – Estratti conto - Data certa anteriore al fallimento – Necessità.
Fallimento – Domanda di ammissione al passivo – Rapporti bancari di durata – Prova dei relativi crediti – Prova dello svolgimento del conto – Necessità.
Ai fini dell’ammissione del credito al passivo, non sono opponibili al fallimento, e non devono pertanto essere ammessi, i crediti fondati su scritture private relative a negozi per i quali la legge prevede la forma scritta ad substantiam o ad probationem che non siano munite di data certa anteriore alla dichiarazione di fallimento, a meno che la prova dell’anteriorità non venga aliunde acquisita (fattispecie relativa a contratti bancari). (Franco Benassi) (riproduzione riservata)
Poiché per i contratti relativi alle operazioni ed ai servizi bancari la legge prescrive, a pena di nullità, la forma scritta ad substantiam, non può essere ammesso al passivo il credito della banca fondato su rapporti i cui contratti non siano muniti di data certa anteriore al fallimento, essendo peraltro a tal fine insufficiente la produzione degli estratti conto in quanto formati dalla stessa banca, che non ha fornito la prova della comunicazione di essi al cliente e che siano privi di data certa. (Franco Benassi) (riproduzione riservata)
In sede fallimentare, la prova dello svolgimento dei rapporti bancari di durata e dell’entità dei relativi crediti a favore della banca non può rinvenirsi soltanto negli estratti conto o nelle risultanze contabili interne alla banca, dovendo essere invece fornita la piena prova del credito mediante la documentazione relativa allo svolgimento del conto. (Franco Benassi) (riproduzione riservata)
omissis
SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
La s.p.a. Banca C., con ricorso depositato in data 21/12/2007, ha impugnato lo stato passivo del fallimento s.r.l. F.G.L., reso esecutivo con provvedimento del giudice delegato del 16/11/2007 comunicatole il 23/11/2007, proponendo opposizione contro l’esclusione del proprio credito di € 16.872,72, rappresentante il saldo debitore del c/c n. 614497. Dopo avere precisato che il credito era stato escluso dal passivo “in difetto di data certa del documento e di documentazione idonea a dare data certa al contratto stesso”, contestava la fondatezza di tale motivazione, affermando che i documenti prodotti (“copia contratto di conto corrente; saldaconto ex art. 50 d.lgs. 385/93; estratti conto; tabella riepilogativa calcolo interessi”) erano idonei -considerato che gli estratti conto non erano stati contestati dalla correntista e tenuto conto dell’art. 1832 c.c.- a provare non solo la sussistenza ed entità del credito, ma anche la data certa anteriore al fallimento del contratto, accertabile, ai sensi dell’art. 2704 c.c., con qualsiasi prova. Chiedeva, pertanto, che in riforma dello stato passivo opposto, venisse ammesso al passivo del fallimento il credito originariamente richiesto.
Nominato il giudice relatore, fissata l’udienza di comparizione e notificati ricorso e decreto al curatore del fallimento convenuto ed alla società fallita, il fallimento si costituiva in giudizio depositando memoria, con la quale contrastava le argomentazioni giuridiche della ricorrente e chiedeva il rigetto della opposizione. All’udienza camerale del 18/4/2008, in mancanza di richieste istruttorie, le parti costituite si riportavano alle rispettive richieste ed il Tribunale di riservava di decidere.
MOTIVI DELLA DECISIONE
L’opposizione (la cui tempestività non è contestata) non merita accoglimento, in quanto i documenti prodotti a sostegno della stessa non sono sufficienti a fornire la prova del credito.
Da un lato occorre, infatti, rilevare che le scritture private contenenti le condizioni contrattuali del conto corrente n. 614407 [e si tralascia in questa sede di esaminare la questione -rimasta estranea al contraddittorio tra le parti- se tali scritture, in quanto sottoscritte soltanto dalla società poi fallita, siano idonee a provare il perfezionamento di un contratto in data anteriore alla dichiarazione di fallimento o se tale perfezionamento possa ritenersi conseguenza solo del deposito delle scritture in parola nel procedimento di accertamento del passivo e quindi vada temporalmente collocato in epoca successiva al fallimento], costituenti la fonte giuridica del credito di cui si chiede l’ammissione al passivo, sono prive di data certa ai sensi dell’art. 2704 c.c. e per tale ragione sono già state ritenute e vanno anche in questa sede ritenute non opponibili al fallimento.
E’ necessario prendere le mosse dalla constatazione che l’accertamento del passivo fallimentare ed i giudizi in cui esso può articolarsi sono finalizzati non solo alla individuazione dei creditori del fallito, ma anche (e soprattutto) alla selezione di quelli legittimati a concorrere alla distribuzione dell’attivo ricavato dalla liquidazione del patrimonio del comune debitore, nonché alla determinazione delle modalità di tale concorso, che deve conformarsi alle varie cause di prelazione che assistano i singoli crediti. Sicché l’accertamento in questione mira a risolvere conflitti (potenziali o effettivi) non solo e non tanto tra il singolo creditore ed il debitore fallito (e invero il primo deve necessariamente sottoporre a verifica anche i crediti che siano stati già stati consacrati in titoli esecutivi efficaci nei confronti del fallito), quanto tra il singolo creditore e gli altri creditori che aspirano alla soddisfazione concorsuale dei propri crediti, i cui interessi sono, nei giudizi di impugnazione dello stato passivo, impersonalmente (quale “massa”) rappresentati dal curatore, ma rilevano a tal punto da legittimare ogni singolo creditore (oltre che a partecipare al contraddittorio incrociato che caratterizza il procedimento di accertamento svolgentesi davanti al giudice delegato) ad impugnare i provvedimenti ammissivi di crediti altrui e ad intervenire nei giudizi di opposizione allo stato passivo da altri promossi.
L’oggetto dell’accertamento del passivo, allora, non può essere limitato alla verifica della sussistenza dei crediti nei confronti del fallito, ma deve estendersi anche alla verifica della natura concorsuale dei crediti e cioè della loro anteriorità rispetto alla dichiarazione di fallimento e della loro opponibilità alla massa dei creditori, quindi a soggetti terzi rispetto ai rapporti giuridici da cui i crediti derivano. La terzietà degli interessi coinvolti implica -oltre alla non operatività dei meccanismi di semplificazione probatoria che l’ordinamento appresta facendo leva sul comportamento (processuale o extraprocessuale) tenuto dai soggetti titolari degli interessi in conflitto, su cui si tornerà più avanti- l’applicabilità, anche in relazione all’accertamento della sussistenza del credito, della disciplina prevista dall’art. 2704 c.c. in materia di certezza e computabilità riguardo ai terzi della data delle scritture private pur provenienti dal fallito. Ne consegue che siffatti documenti, mediante i quali il singolo creditore intenda dimostrare la sussistenza e l’entità del credito e la sua anteriorità rispetto all’apertura della procedura concorsuale (anteriorità necessaria, come si è visto, perché il credito possa essere ammesso a concorrere nella distribuzione dell’attivo), qualunque ne sia l’efficacia nei confronti del fallito, non sono utilizzabili nei confronti del fallimento (cioè nei confronti degli altri creditori) se privi di data certa anteriore a quella di dichiarazione di fallimento.
Si tratta di principi che da tempo hanno trovato affermazione da parte della giurisprudenza di legittimità e che meritano conferma anche alla luce dell’attuale disciplina normativa. Basti ricordare Cass., SS.UU., 28/8/1990 n. 8879, secondo cui “la norma che sancisce un’opponibilità ai creditori degli atti compiuti del fallito solo se compiuti prima della dichiarazione di fallimento postula che detti creditori, che sono terzi rispetto ai suddetti atti, vantino una situazione di tutela in base ad un’altra norma, qual è quella dell’art. 52, che dispone che il fallimento apre il concorso dei creditori nel patrimonio del fallito, di guisa che quest’ultima deve essere letta come se dicesse apre il concorso dei creditori anteriori. Fra questi creditori e quelli posteriori al fallimento si crea un conflitto giuridico, il quale emerge in sede di formazione della massa passiva, di opposizione ex art. 98 e di impugnazione ex art. 100 … La norma che sempre dovrà essere tenuta presente per stabilire detta anteriorità, non può che essere quella più rigorosa, vale a dire quella dell’art. 2704, comma 1°, c.c. che tutela la posizione dei controinteressati, e cioè dei creditori anteriori, in conflitto con quelli posteriori”. Inoltre, in sede di formazione dello stato passivo, il curatore agisce in qualità di terzo sia rispetto ai creditori del fallito che richiedono l’insinuazione al passivo sia rispetto allo stesso fallito; sicché, in applicazione dell’art. 2704 c.c., è necessaria la certezza della data nelle scritture allegate come prova della pretesa fatta valere nei confronti del fallimento (si vedano, ad esempio, Cass. 26/6/1996 n. 5920; Cass. 2/4/1996 n. 3050; Cass, 26/5/1997 n. 4646; Cass., 8/11/2006 n. 23793; Cass., 20/7/2000 n. 9539; 22/11/2007 n. 24320).
La Cassazione ha, così, ripetutamente affermato la non opponibilità alla massa dei creditori concorrenti degli atti e delle scritture (ivi compresi i contratti ed i titoli di credito) la cui data anteriore alla dichiarazione del fallimento “non risulti in modo certo, secondo le regole poste dall’art. 2704 c.c., per la cui osservanza - quando non sussista uno dei fatti dalla norma stessa indicati specificamente come idonei a conferire siffatta certezza alla data della scrittura privata non autenticata (registrazione, morte o sopravvenuta impossibilità fisica di uno dei sottoscrittori, riproduzione in un atto pubblico) e debba, invece, apprezzarsi, da parte del giudice, il ricorso ad altri fatti dai quali sia desumibile in modo egualmente certo l’anteriorità della formazione del documento all’evento suddetto- è necessario che tali ultimi fatti abbiano carattere di obbiettività e soprattutto che non possano farsi risalire al soggetto stesso che li invoca e siano sottratti alla sua portata” (così Cass., 27/1/1993 n. 1016; si veda anche, tra tante, Cass, 26/5/1997 n. 4646).
Ovviamente, ove si tratti soltanto di accertare la anteriorità di un fatto documentato senza data certa, la inutilizzabilità della prova documentale non impedisce al creditore di provare altrimenti la suddetta anteriorità. Ma quando il documento privo di data certa sia finalizzato a provare un contratto, occorre tenere conto della disciplina normativa del contratto medesimo ed in particolare della sua sottoposizione o meno a requisiti formali: se si tratta di contratto formale, infatti, la carenza di data certa del documento che lo contiene importa inopponibilità al fallimento del contratto medesimo (si veda, in tal senso, Cass., 9/7/2004 n. 12684: “l’art. 2704 c.c. richiede che la prova dell’anteriorità del contratto venga fornita nel caso in cui lo stesso abbia assunto la forma della scrittura privata, tramite l’autenticazione della sottoscrizione, salva la sussistenza di altre ipotesi in relazione alle quali sia possibile determinare comunque con certezza la data dell'atto -registrazione, morte di una delle parti etc.- ma, al tempo stesso, implicitamente consente che detta prova possa essere fornita con qualsiasi altro mezzo, e quindi anche tramite testimoni, nel caso in cui il contratto sia stato stipulato con forma orale nelle ipotesi in cui ciò è consentito dalla legge”), nel senso che la inopponibilità della scrittura si traduce nella mancata prova (che deve essere necessariamente scritta) del contratto.
Inoltre, quando la data certa viene in considerazione in relazione ad un atto inteso non come semplice fatto storico, ma come contratto, essa non può che riguardare i suoi contenuti specifici, sicché non varrebbe a conferire data certa la semplice prova che un atto qualsivoglia, e di qualsivoglia incerto contenuto, sia stato stipulato in epoca anteriore al fatto certo, essendo invece necessario dimostrare che fu concluso quell'atto, con quegli specifici contenuti dai quali si pretende di dedurre effetti negoziali.
Può quindi dirsi che la qualità di terzo del curatore fallimentare (la quale sussiste sia per la sua natura di organo pubblico sia perché egli agisce nell’interesse della massa dei creditori e, quindi, di soggetti terzi rispetto ai negozi posti in essere dal fallito) rende, ai fini dell’ammissione al passivo, non opponibili al fallimento i crediti fondati su scritture private prive di data certa anteriore al fallimento, a meno che la prova dell’anteriorità del relativo negozio non venga acquisita aliunde, ma solo per quei crediti per i quali la prova scritta non sia richiesta ad substantiam o ad probationem (in relazione ai quali può rilevare soltanto la prova di fatti tali -per provenienza, obbiettività e specificità- da consentire di stabilire in modo certo l’anteriorità della formazione del documento, a norma dell’art. 2704 citato e da rendere, quindi, opponibili le scritture private a contenuto contrattuale).
Tra i contratti per i quali la legge prescrive la forma scritta ad substantiam rientrano, dal 9/7/1992 (data di efficacia dell’art. 3 comma 1 L. 154/1992) anche quelli relativi alle operazioni e ai servizi bancari. E’ quanto disponeva la norma appena citata (“i contratti relativi alle operazioni e ai servizi devono essere redatti per iscritto”) e quanto dispone (per i contratti stipulati a decorrere dall’1/1/1994) con ancora maggiore chiarezza l’art. 117 commi 1 e 3 D.L.vo 385/1993, che commina espressamente la sanzione di nullità ai contratti non stipulati per iscritto.
L’opponente ha basato la propria pretesa su un contratto rientrante nella categoria da ultimo ricordata, ma si è limitata a produrre copie di scritture private sottoscritte dalla s.r.l. F.G.L. in sé prive di data certa, senza che vi sia alcun ulteriore elemento (necessariamente documentale) suscettibile di conferire, con il carattere di obbiettività di cui si è in precedenza detto, certezza -ex art. 2704 c.c.- alla data apparente delle scritture medesime. A tal fine, invero, sono privi di rilievo gli estratti conto -dei quali peraltro la opponente non ha dimostrato l’effettiva comunicazione alla correntista in bonis-, in quanto trattasi di documenti formati dalla stessa creditrice che qui agisce e, a loro volta, non muniti di data certa.
Tali considerazioni sarebbero sufficienti per escludere la possibilità di ammettere al passivo fallimentare il credito, che trova fonte giuridica nel contratto trasfuso in scritture private non opponibili al fallimento e quindi inidonee (in questa sede ed agli effetti della verificazione del passivo fallimentare) a dimostrare il rispetto della forma prescritta dal legislatore per la valida stipulazione del contratto medesimo. Dall’eventuale svolgimento di fatto del rapporto di conto corrente di corrispondenza (circostanza che non vale a conferire data certa alle scritture contrattuali) potrebbero derivare, in mancanza di un contratto all’origine del rapporto stesso opponibile in questa sede, diritti di credito in favore della banca, ma non a titolo contrattuale (l’unico dedotto in questa sede a sostegno della domanda).
Ma vi è un’ulteriore ragione che osta all’accoglimento dell’opposizione e che va evidenziata perché anche su di essa si sono appuntate le difese del fallimento convenuto. Infatti, affermati principi giurisprudenziali escludono che, in sede fallimentare, la prova dello svolgimento di rapporti bancari di durata e dell’entità dei crediti derivatine a favore della banca possa rinvenirsi soltanto in estratti conto ovvero nelle sole risultanze contabili interne della banca. Va, in proposito, rilevato come -in sede di accertamento del passivo fallimentare- la valenza probatoria degli estratti conto e dei documenti contabili formati dallo stesso creditore sia influenzata dalla circostanza che il giudizio non si svolge tra le parti del rapporto contrattuale dal quale il credito deriverebbe, ma tra una di esse ed il fallimento (cioè la massa dei creditori) dell’altra. L’onere probatorio che, a norma dell’art. 2697 c.c., chi si afferma creditore deve assolvere non è, quindi, in alcun modo attenuato e deve essere soddisfatto in modo rigoroso, senza possibilità di utilizzare meccanismi di presunzione o di semplificazione probatoria previsti nell’ambito dei rapporti tra banche e clienti. Ciò involge, in particolare, la valenza probatoria che può essere riconosciuta -nei giudizi di accertamento del passivo fallimentare- agli estratti conto, al fine della dimostrazione dello svolgimento di un rapporto in conto corrente e la sussistenza e l’entità del credito corrispondente al saldo del conto. Può farsi, sul punto, riferimento all’autorevolezza della Cassazione che, con la sentenza 9/5/2001 n. 6465 (successivamente ribadita dalla sentenza 26/1/2006 n. 1543 e già altre volte condivisa da questo Tribunale), ha avuto occasione di svolgere chiare ed esaustive puntualizzazioni, precisando che, mentre nei rapporti inter partes -il correntista e la banca- può porsi come punto fermo che gli estratti conto indicati nell’art. 1832 c.c., e ora anche dall’art. 119 del D.Lgs. 385/1993 quando non siano stati tempestivamente contestati o impugnati sono assistiti da una presunzione di veridicità circa le risultanze del conto, “eguale valore probatorio non può, invece, riconoscersi agli estratti conto non contestati, ai sensi dell’art. 1832 c.c. e dell’art. 119 della legge bancaria, nei rapporti tra la banca e la curatela fallimentare del correntista. E ciò in conseguenza della estraneità della curatela al rapporto tra la banca e il correntista medesimo e, ancora, dell’estraneità della stessa proprio a quel particolare regime (forma scritta della trasmissione dell’estratto conto, specificità e tempestività delle contestazioni, approvazione tacita, decadenza dall’impugnazione) che la norma dell’art. 1832 ha configurato allo scopo di rendere il conto periodicamente certo e definito tra le parti. In definitiva, non è giuridicamente possibile opporre alla curatela, nel fallimento del correntista, gli effetti che dall’approvazione anche tacita del conto e dalla decadenza dalle impugnazioni derivano ex art. 1832 c.c. tra le parti del contratto”. Sicché, non è giuridicamente possibile neanche assegnare a detti estratti conto il valore probatorio circa la veridicità e l’esistenza del credito che dalla mancata contestazione o impugnazione deriva allorché il rapporto si svolge inter partes. Pertanto -conclude la Corte- l’istituto di credito, il quale prospetti una sua ragione di credito verso il fallito e ne chieda l’ammissione allo stato passivo, ha l’onere di dare la prova piena del suo credito, assolvendo al relativo onere secondo il disposto della norma generale dell’art. 2697 c.c., attraverso la documentazione relativa allo svolgimento del conto, se di rapporti obbligatori regolati in conto corrente si sia trattato, senza poter pretendere di far valere nei confronti del curatore, con valore di per sé esaustivamente probatorio, gli estratti conto anche non contestati dal fallito e la conseguente approvazione tacita degli stessi. Valore probatorio che nemmeno può essere attribuito, nel senso di cui all’art. 2710 c.c., alle scritture contabili: né a quelle del fallito contro la massa dei suoi creditori (e per essi al curatore) né a quelle della banca contro il curatore e gli altri creditori”.
Deve dunque constatarsi che gli estratti conto prodotti dalla opponente (e valenza probatoria ancora minore hanno gli estratti di saldaconto certificati conformi ai sensi dell’art. 50 T.U.B., cui tale norma conferisce efficacia limitata al procedimento monitorio) non sono idonei a soddisfare l’onere probatorio sulla stessa gravante con riferimento al credito corrispondente al saldo del rapporto intercorso con la società fallita.
Conclusivamente, la opposizione deve essere integralmente rigettata.
Il regolamento delle spese del giudizio segue la soccombenza e pertanto la opponente deve essere condannata a rimborsare quelle sostenute dal fallimento convenuto, liquidate come in dispositivo sulla scorta della nota specifica rimessa agli atti.
P.Q.M.
Il Tribunale di Pescara, definitivamente pronunciando sull’impugnazione dello stato passivo introdotta con ricorso della s.p.a. Banca C. nei confronti del fallimento s.r.l. F.G.L., così provvede:
· rigetta la opposizione;
· condanna la opponente a rimborsare al fallimento convenuto le spese del presente giudizio, che liquida in complessivi € 1.687,00, di cui € 727,00 per diritti, € 940,00 per onorario ed € 20,00 per spese, oltre spese generali come da T.F. ed IVA e CAP come per legge.
Così deciso in Pescara nella camera di consiglio del 18/4/2008.
Il Presidente estensore
Dr. Francesco FilocamoTesto Integrale