Crisi d'Impresa e Insolvenza
Il Caso.it, Sez. Giurisprudenza, 14127 - pubb. 05/02/2016
Il credito per TFR sorge alla cessazione del rapporto di lavoro e non al momento dell’accantonamento delle quote annuali da parte del datore
Tribunale Pesaro, 27 Ottobre 2015. Est. Paganelli.
Lavoro subordinato (rapporto di) – Trattamento di Fine Rapporto – Momento di insorgenza – Cessazione del rapporto lavorativo – Valenza dell’accantonamento della quota annuale e dell'anticipazione del trattamento – Distinzione
Concordato preventivo – Divieto di azioni esecutive individuali – Ambito di applicabilità – Creditori anteriori – Credito da TFR per rapporto di lavoro cessato successivamente – Esclusione
Ai sensi dell’art. 2120 c.c., il credito per TFR del lavoratore deve ritenersi sorto alla data del licenziamento ovvero al momento della cessazione del rapporto ed in conseguenza di essa, essendo irrilevante, al fine di ipotizzare una diversa decorrenza, l'accantonamento annuale della quota del trattamento, che costituisce una mera modalità di calcolo dell'unico diritto che matura nel momento anzidetto, ovvero l'anticipazione sul trattamento medesimo, che è corresponsione di somme provvisoriamente quantificate e prive del requisito della certezza, atteso che il diritto all’integrale prestazione matura, per l’appunto, solo alla fine del rapporto lavorativo (cfr. Cass. 2010/3894). (Astorre Mancini) (riproduzione riservata)
La moratoria delle azioni esecutive individuali di cui all’art. 168 l. fall. e l’obbligatorietà dello stesso concordato omologato (art. 184 l. fall.) valgono esclusivamente nei confronti dei creditori concordatari ossia per titolo o causa anteriori alla pubblicazione del ricorso per concordato nel registro delle imprese e non anche per i creditori le cui ragioni si radicano in fattispecie perfezionatesi successivamente, come nel caso di credito relativo alla indennità di Trattamento di Fine Rapporto derivante da rapporto di lavoro cessato dopo l’approvazione del concordato. (Astorre Mancini) (riproduzione riservata)
Segnalazione di Astorre Mancini, Avvocato in Rimini
mancini@studiotmr.it
Quando sorge il credito per Tfr ?
di Astorre Mancini
La decisione in commento aderisce all’orientamento tradizionale che nega la maturazione del credito per Tfr prima della cessazione del rapporto di lavoro.
In effetti prima della riforma del Tfr del 1982 questo era considerato una sorte di indennità di anzianità la cui determinazione aveva come base di calcolo l’ultima retribuzione, per cui si riteneva che detta indennità fosse non solo esigibile ma maturabile solo alla fine del rapporto di lavoro.
A seguito della modifica dell’art. 2120 c.c. riguardante il metodo di determinazione del trattamento - con calcolo anno per anno della retribuzione lorda annua, moltiplicata per un divisore fisso - una prima dottrina ha ritenuto di considerare il Tfr complessivo quale somma di quote annue, che matura anno per anno; secondo tale impostazione, ogni annuo maturerebbe una singola quota del Tfr dovuto, per cui alla cessazione del rapporto sarebbe differita la mera esigibilità, così che il differimento non riguarda il momento costitutivo dell’obbligazione ma solo il momento dell’adempimento di un’obbligazione già esistente; in altri termini, si tratterebbe di una retribuzione maturata ed accantonata la cui condizione di esigibilità si manifesta all’atto della cessazione del rapporto.
La maggioranza degli autori ha osservato, invece, che il criterio di calcolo non è indicativo del momento della maturazione del diritto, potendo essere detto criterio di computo compatibile sia con la impostazione della maturazione anno per anno, sia con quella della maturazione al momento della cessazione del rapporto.
In effetti, la giurisprudenza maggioritaria della Sezione Lavoro della Suprema Corte ha seguito tale seconda impostazione, ritenendo che il Tfr sorga alla fine del rapporto di lavoro; non diversamente dalla vecchia disciplina dell’indennità di anzianità, il credito del lavoratore per Tfr (e il corrispondente obbligo del datore di lavoro) nascerebbe quindi al momento della cessazione del rapporto, che costituisce elemento della fattispecie costitutiva e non solo termine per l’adempimento; il che comporta che prima della maturazione del diritto sussistono meri accantonamenti contabili (Cass. n. 55/1990, conformi Cass. n. 7081/1991, Cass. n. 2714/1993, Cass. n. 11470/1997, Cass. n. 12548/1998); inoltre, la conseguenza di tale impostazione è che in caso di cessione aziendale sussiste sempre la responsabilità del cessionario (Cass. n. 9189/1991, Cass. n. 12548/1998, Cass. n. 22067/2007) e che durante la vigenza del rapporto di lavoro sono ammesse unicamente azioni di accertamento (Cass. n. 18289/2007 e più di recente Cass. n. 11778/2012).
Al contempo, torna sempre più spesso a fare capolino in giurisprudenza l’orientamento secondo cui il credito per Tfr matura anno per anno, per cui viene ritenuta ammessa non solo l’azione di accertamento, ma anche la possibilità di rendere la dichiarazione del terzo ex art. 547 c.p.c. con l'indicazione delle quote accantonate del Tfr “in quanto intrinsecamente dotate di potenzialità satisfattiva futura e corrispondenti ad un diritto certo e liquido di cui la cessazione del rapporto di lavoro determina solo l'esigibilità̀” (così Cass. 1049/1998).
Anche recentemente infatti l’orientamento della maturazione progressiva del credito per Tfr è stato ribadito da numerose pronunce della Suprema Corte che si è mostrata favorevole, in caso di trasferimento di azienda, al c.d. “spacchettamento” del Tfr tra soggetto cedente e soggetto cessionario. Da ultimo anche Cass. sez. lav. 11 maggio 2015 n.9464, richiamando l’orientamento avviato da Cass. 2009/24098 e confermato da successive pronunce, ha osservato che “nel corso del tempo può ormai considerarsi assodato l’indirizzo di legittimità per cui in caso di cessione d'azienda assoggettata al regime generale di cui all'art. 2112 c.c., posto il carattere retributivo e sinallagmatico del Tfr che costituisce istituto di retribuzione differita, il datore di lavoro cedente rimane obbligato nei confronti del lavoratore suo dipendente, il cui rapporto sia proseguito con il datore di lavoro cessionario, per la quota di trattamento di fine rapporto maturata durante il periodo di lavoro svolto fino al trasferimento aziendale, mentre il datore cessionario è obbligato per la stessa quota solo in ragione del vincolo di solidarietà, e resta l'unico obbligato quanto alla quota maturata nel periodo successivo alla cessione (Cass. 22 settembre 2011, n. 19291; Cass. 14 maggio 2013, n. 11479; Cass. 11 settembre 2013, n. 20837)”.
A partire da Cass. 2009/24098 l’orientamento della maturazione progressiva del Tfr è stato quindi portato ad ulteriore sviluppo e generalizzazione con la definitiva affermazione che “il diritto al Tfr matura progressivamente in ragione dell’accantonamento annuale, mentre soltanto l’esigibilità del credito è rinviata al momento della cessazione del rapporto” (Cass. 19291/2011; Cass. 11479/2013; Cass. 20837/2013; Cass. 9464/2015).
Così la Suprema Corte ha preso atto in modo esplicito del revirement attuato da Cass. 24635/2009 per cui è "errata la tesi che nega la maturazione del tfr prima della cessazione del rapporto di lavoro" (Cass. 19291/2011), considerato che "il meccanismo di accantonamento previsto dall'art. 2120 cod. civ. permette di ravvisare diritti soggettivi del lavoratore anche nel corso del rapporto, tutelati sia con l'azione di mero accertamento sia con l'azione di condanna al pagamento delle anticipazioni permesse dallo stesso art. 2120 c.c.".
Peraltro, questa diversa ricostruzione ha trovato eco nella giurisprudenza tributaria della Corte di Cassazione che ha considerato maturato progressivamente, di anno in anno, il diritto al Tfr ritenendo applicabile il regime fiscale via via vigente, e non già quello del momento della cessazione del rapporto, come dovrebbe essere invece se il diritto al Tfr maturasse tutto (e non già fosse solo esigibile) in tale momento (in tal senso, Cass. 26438/2008 e Cass. 11175/2005).
Nella giurisprudenza di merito la tesi della maturazione progressiva del Tfr è stata via via accolta da numerose pronunce; da ultimo, Tribunale di Milano 5 maggio 2015, in questa Rivista, ha ribadito la qualifica del Tfr quale retribuzione differita che matura annualmente e diviene meramente esigibile all’atto della cessazione del rapporto di lavoro.
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