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Il Caso.it, Sez. Articoli e Saggi - Data pubblicazione 13/12/2024 Scarica PDF

L’art. 33 CCII e l’irragionevole vuoto di tutela per gli imprenditori individuali cancellati

Marina Rita Carbone, Avvocato - Studio MD ADVANCE


Sommario: 1. Introduzione; 2. La versatilità degli accordi di composizione della crisi; 3. Il concordato minore e i nuovi limiti soggettivi introdotti dall’art. 2 e 33 CCII; 4. L’imprenditore individuale e collettivo: gemelli diversi; 5. Profili sistematici e dubbi di costituzionalità; 6. Il Correttivo Ter: un’occasione mancata.

   

1. Introduzione

È noto che, prima della L. 3/2012, tutti gli strumenti di risoluzione della crisi di cui alla Legge Fallimentare si rivolgevano ai soli imprenditori commerciali “sopra soglia”.

Restava esclusa da qualsiasi procedura concorsuale una larghissima platea di soggetti: consumatori, professionisti, lavoratori autonomi, piccole ditte individuali. Questa categoria di debitori, in assenza di strumenti concorsuali che consentissero lo stralcio del debito, si trovavano spesso in una situazione di indebitamento irrimediabile, vita natural durante[1].

La gravità del vuoto di tutela emerse con forza fra il 2007 e il 2008, periodo nel quale la crescita preoccupante di famiglie e piccole attività gravemente indebitate, accese un faro sulla necessità di fornire a tutti di beneficiare di quella stessa seconda chance garantita alle imprese fallibili, evitando l’insorgenza di situazioni di povertà irrecuperabili.

In risposta a questo grido sociale nasce la L. 3/2012, finalizzata a fornire a tutti i debitori non rientranti nella definizione di cui all’art. 1 L.F. strumenti concorsuali di ampio respiro che fossero equiparabili a quelli “maggiori” e, come questi ultimi, consentissero di accedere all’esdebitazione.

 

2. La versatilità degli accordi di composizione della crisi

Fra gli strumenti di risoluzione della crisi introdotti dalla L. 3/2012, il più “versatile” era senza dubbio l’accordo di composizione della crisi.

Vi potevano accedere sostanzialmente tutte le categorie di debitori: consumatori non meritevoli, piccoli imprenditori, professionisti, financo interi nuclei familiari. Unico limite: il compimento di atti in frode ai creditori che fossero sottaciuti e diretti a falsare il voto informato dei creditori.

L’art. 8 L. 3/2012, inoltre, prevedeva che la proposta di accordo di ristrutturazione dei debiti potesse prevedere la soddisfazione dei creditori “attraverso qualsiasi forma”, e quindi assumere natura sia liquidatoria che in continuità (o un mix fra le due).

Assolutamente apprezzabile anche la decisione del legislatore di far assumere natura di silenzio-assenso alla mancata espressione del voto da parte dei creditori. Una scelta, questa, evidentemente orientata a tutelare il debitore minore da condotte inerti dei propri creditori e consentirgli, così, una più agevole fuoriuscita dalla situazione di crisi.

Si trattava, in poche parole, di uno strumento di risoluzione della crisi ben strutturato e molto flessibile, dotato di numerosi vantaggi, per tutte le parti coinvolte:

· Il debitore poteva beneficiare di una esdebitazione subordinata solo alla corretta esecuzione dell’accordo omologato, nei tempi e nelle modalità previste all’interno della proposta formulata;

· I creditori, dal canto loro, potevano beneficiare di percentuali di soddisfo maggiori rispetto a quelle che sarebbero state altrimenti ricavabili dall’ipotesi liquidatoria, senza necessità di anticipare i costi per le attività di recupero forzoso del credito anche su esposizioni debitorie molto risalenti nel tempo.

 

3. Il concordato minore e i nuovi limiti soggettivi introdotti dall’art. 2 e 33 CCII.

Con l’entrata in vigore del CCII, il concordato minore ha preso il posto dell’accordo di composizione della crisi. Tuttavia, questo strumento si è dimostrato nella sua applicazione paradossalmente più limitato rispetto al predecessore, soprattutto a causa dell’introduzione di limiti soggettivi di accesso alla procedura particolarmente stringenti.

Questo soprattutto a causa dell’art. 33 comma 4 CCII, che prevede l’inammissibilità del concordato minore proposto dagli imprenditori cancellati dal registro delle imprese, a prescindere dalla natura individuale o collettiva di questi ultimi. Detta previsione, non presente nella L. 3/2012, fa sì che resti oggi irragionevolmente esclusa dal concordato minore una larghissima fetta di piccole ditte individuali, che in questo strumento avrebbero potuto trovare la migliore soluzione al proprio indebitamento, anche dopo anni dalla sua origine, con beneficio anche per i creditori che sino a quel momento magari non hanno trovato alcun soddisfo, anche parziale.

L’introduzione di detta ipotesi di inammissibilità ingenera una stortura nel panorama normativo contraria alle logiche di aiuto sociale sulle quali tutto l’impianto della L. 3/2012 si fondava originariamente, e discriminatoria sotto il profilo sostanziale, in quanto fonda le proprie argomentazioni su aspetti eminentemente giuridici, senza valorizzare le profonde differenze esistenti tra le imprese collettive e le imprese individuali dal punto di vista della responsabilità patrimoniale.

Non bisogna infatti dimenticare che, nella pratica, l’imprenditore individuale, restando illimitatamente responsabile dei propri debiti, decide di cancellare la propria ditta dal Registro delle Imprese soprattutto per ridurre i costi di iscrizione alla CCIAA o di tenuta della contabilità obbligatoria. Oppure, la situazione di sovraindebitamento emerge in un momento successivo alla cancellazione dal registro delle imprese, a causa della perdita improvvisa dei redditi coi quali l’ex imprenditore faceva fronte al debito[2].

Anche la dottrina più autorevole sul tema, cui la scrivente ritiene di allinearsi, conferma l’illogicità dell’art. 33 comma 4, quando si parla di imprenditori individuali. Fra tutti, L. Nannipieri, Consigliere della Corte d’Appello di Firenze, più volte porta sottolinea l’illogicità dell’art. 33 CCII, rappresentando che: “Per l’imprenditore individuale cancellato dal registro delle imprese, una volta esclusa la qualifica di consumatore, l’art. 33, comma 4, del CCII sembra precludere, irragionevolmente, anche l’accesso al concordato minore, “condannandolo” alla liquidazione controllata [3].

E proprio una “condanna” appare agli occhi degli operatori del diritto questa ipotesi di inammissibilità, non trovando giustificazione in specifiche necessità di tutela dei creditori.

La natura meramente “punitiva” della norma appare ancor più evidente alla luce della mancata previsione di limiti temporali alla sua efficacia: sarebbe stato opportuno, infatti, quantomeno escludere da detta norma quegli imprenditori individuali per i quali la cancellazione era avvenuta anteriormente all’entrata in vigore del CCII, e che ingenuamente avevano cessato la propria ditta, anche anni prima, per evitare di maturare altro debito nelle more della ricerca di un nuovo lavoro o in assenza momentanea di un sostegno finanziario da parte dei propri familiari.

La norma, come detto, appare anche ingiustamente discriminatoria: solo all’imprenditore individuale cancellato sarà precluso il ricorso al concordato minore, mentre potranno serenamente accedervi in qualsiasi momento tutti gli altri soggetti sui quali gravano debiti di natura commerciale, come il professionista (anche ove sia cancellato dall’albo di riferimento) o il socio fideiussore (sia la società garantita cessata o meno).

Emblematico, al riguardo, è il parallelismo condotto sempre da L. Nannipieri fra l’imprenditore individuale cancellato e l’ircocervo, animale fantastico nato dall’immaginario del cantautore Enzo Jannacci: al secondo, infatti, viene impedito l’accesso allo zoo comunale, mentre al primo viene precluso l’accesso al concordato minore anche nella sua forma liquidatoria, senza alcun motivo apparente ma solo “perché no” [4].

Neppure è possibile, per l’imprenditore individuale cancellato, accedere alla procedura di ristrutturazione dei debiti del consumatore, restando questa limitata ai soli “debiti contratti nella qualità di consumatore” [5] come viene precisato dal combinato disposto dell’art. 2 CCII e dell’art. 67 CCII.

Questa precisazione, pur motivata dalla necessità di limitare forme di abuso della procedura da parte del debitore, e di privilegiare soluzioni che prevedano una fase di voto da parte del creditore, non fa altro che irrigidire ulteriormente l’impianto normativo, in controtendenza, sostiene Nannipieri, “sia rispetto a precedenti scelte compiute dal legislatore italiano proprio in tema di sovraindebitamento (orientate all’accesso alle procedure secondo un criterio non di assolutezza ma di “prevalenza”), sia rispetto alle indicazioni provenienti dalla legislazione e giurisprudenza unionale (secondo le quali la qualifica di protezione del consumatore ben può essere mantenuta anche in presenza di una “contaminazione” commerciale, purché “limitata e non prevalente”)”[6].

Una definitiva cesura, dunque, che silenzia, ex abrupto, quella – pur esigua - parte di giurisprudenza che aveva ritenuto rientrante nella definizione di consumatore quantomeno il debitore promiscuo la cui debito aveva natura prevalentemente, ma non esclusivamente, in consumeristica. Ne è un esempio Trib. La Spezia, 05 luglio 2024: nel provvedimento in esame, il Tribunale, facendo applicazione del suesposto principio di prevalenza, riteneva ammissibile un piano del consumatore presentato da un soggetto a debitoria promiscua, costituita in parte minore ma non irrilevante da debiti erariali contratti nell’esercizio di una precedente impresa individuale cancellata dal registro delle imprese nel 2015[7].


4. L’imprenditore individuale e collettivo: gemelli diversi.

Abbiamo avuto modo di vedere come il combinato disposto dell’art. 33 e dell’art. 2 CCII abbia portato l’imprenditore individuale cancellato ad essere sostanzialmente equiparato alle imprese collettive, per le quali pure, intervenuta la cancellazione dal Registro delle Imprese, può essere dichiarata solo la liquidazione giudiziale.

Possiamo ben affermare, tuttavia, che l’unico punto di contatto tra l’imprenditore individuale e l’imprenditore collettivo sia proprio la possibilità di cancellarsi dal Registro delle Imprese. Vi sono, infatti, profonde differenze sostanziali fra le due tipologie di imprenditori, che non paiono esser state prese in considerazione dal legislatore: basti pensare che se alla cancellazione delle società consegue il venir meno della personalità giuridica, e dunque l’impossibilità di rispondere del debiti contratti (che si trasferisce sui soggetti suoi “eredi” nel caso di società di persone o viene limitata a quanto distribuito in sede di liquidazione, per le società di capitali) lo stesso non può dirsi per l’imprenditore individuale, il quale, rispondendo dei debiti sociali con il suo intero patrimonio, non beneficia di alcunché ma, anzi, vede la sua esposizione debitoria crescere inevitabilmente con il maturare di sanzioni, interessi legali e interessi di mora, fino a quando non intervenga il saldo della stessa.

Inoltre, mentre per l’imprenditore collettivo resta quantomeno percorribile – seppur in extremis - la proposta di concordato ex art. 240 CCII, lo stesso non può dirsi per l’imprenditore individuale cessato, per il quale la liquidazione controllata è una strada a senso unico (vedasi, a tal riguardo, la pronuncia resa dal Tribunale di Milano, il 23 luglio 2024[8], nella quale è stato escluso che, in assenza di specifica previsione, possa essere consentita l’estensione dell’istituto del concordato nella liquidazione giudiziale alla “sorella” liquidazione controllata).

Anche l’idea che l’imprenditore individuale cancellato possa trovare idonea soluzione alla propria situazione di sovraindebitamento nella liquidazione controllata, non appare condivisibile, perché la liquidazione controllata è addirittura uno strumento più limitato della liquidazione giudiziale. Questa interpretazione restrittiva dell’art. 33 comma 4 CCII, fata propria ad esempio dal Tribunale di Bari e di Torino[9], appare confliggere con la ratio stessa del CCII, ossia con il prediligere, ovunque sia possibile, soluzioni concorsuali diverse dalla pura e semplice liquidazione giudiziale o controllata, viste sempre come ultima spiaggia nei casi in cui una diversa soluzione non sia economicamente percorribile.

L’impossibilità di rendere equiparabili il concordato minore e la liquidazione controllata, quali strumenti di risoluzione della crisi, emerge con ancor più forza ove li si ponga a confronto.

Vediamo, infatti, che all’interno del concordato minore la proposta può assumere qualsiasi forma consentendo al debitore, pur nel rispetto del principio del miglior soddisfacimento dei creditori, di:

· conservare la proprietà dei beni funzionali alla prosecuzione dell’attività d’impresa e dell’abitazione principale, offrendo ai creditori una somma in denaro – anche tramite finanza esterna – almeno equivalente al rispettivo valore di realizzo nella liquidazione controllata;

· proseguire l’attività d’impresa, in via diretta o indiretta;

· mantenere il rimborso, alla scadenza convenuta, delle rate a scadere sull’abitazione principale;

· ottenere l’esdebitazione alla data di omologa, pur subordinatamente alla corretta esecuzione del concordato;

· beneficiare dell’esdebitazione anche in assenza di meritevolezza, come avviene all’interno delle procedure concorsuali maggiori, la cui apertura è legata esclusivamente all’assenza di atti in frode che possano viziare il voto dei creditori.

Al contrario, la liquidazione controllata si presenta come uno strumento chiuso, esclusivamente orientato alla dismissione degli assets e al riparto del ricavato. Essa costituisce “il fallimento dei non fallibili”, e comporta per il debitore:

· lo spossessamento pieno e la liquidazione del suo intero patrimonio, eccettuate alcune voci di creditori impignorabili o inferiori alla soglia minima di mantenimento. Non vi sono possibilità espresse, infatti, all’interno della liquidazione controllata, di salvaguardare l’abitazione principale, al contrario di quanto previsto per il concordato minore, con impatto rilevante anche sul nucleo familiare del debitore;

· l’incertezza dell’esdebitazione, che può essere richiesta decorsi tre anni dall’apertura della procedura ed è subordinata al rispetto di criteri di meritevolezza (ossia il non aver determinato la situazione di sovraindebitamento con colpa grave, malafede o frode)[10].

La liquidazione controllata risulta svantaggiosa anche per i creditori, soprattutto se chirografari ab origine o privilegiati incapienti. Mentre, infatti, in quest’ultima le risorse attive vengono destinate ai creditori nel rigoroso rispetto della absolute priority rule, nel concordato minore è possibile fare applicazione della relative priority rule (per il surplus concordatario) e della libera destinazione della finanza esterna apportata, ad esempio, dai familiari del debitore, garantendo il soddisfo anche di quei creditori che dalla liquidazione controllata non avrebbero tratto alcun beneficio.

Di conseguenza, precludere a priori e senza reali motivazioni all’imprenditore individuale cancellato il ricorso al concordato minore per ristrutturare i propri debiti porta ad una ingiustificata contrazione non solo dei diritti del debitore, ma anche di tutti quei creditori che nella liquidazione controllata restano integralmente incapienti.

Un caso tipico è quello dell'imprenditore individuale che, cessata l'attività, dispone di sole risorse esterne per avanzare una proposta concordataria vantaggiosa (tipicamente messe a disposizione dai familiari, coniugi, figli, genitori). L'attuale normativa paradossalmente gli impedisce di perseguire questa soluzione, imponendo la liquidazione controllata o l’esdebitazione dell’incapiente, nonostante il concordato minore rappresenti una alternativa ben più soddisfacente per i creditori.

 

5. Profili sistematici e dubbi di costituzionalità

La questione dell’ammissibilità o meno del concordato minore presentato da un imprenditore individuale cancellato ha generato un acceso dibattito giurisprudenziale che riflette la complessità della questione, la sua rilevanza per il tessuto imprenditoriale nazionale, e la necessità di un intervento legislativo chiarificatore che ripristini i meccanismi di tutela del debitore individuale presenti nella vecchia L. 3/2012.

Abbiamo già visto come alcuni giudici di merito sostengano che l'esclusione degli imprenditori cessati dal concordato minore sia compensata dal possibile ricorso alla liquidazione controllata. Il Tribunale di Bari, fra questi, nel citato provvedimento del 15.02.2024, afferma che il CCII abbia inteso estendere al concordato minore il principio per il quale “il combinato disposto degli artt. 2495, c.c., e 10 L.F. impedisca al liquidatore della società cancellata dal registro delle imprese, di cui, entro l’anno dalla cancellazione, sia domandato il fallimento, di richiedere, stante la finalità non solo liquidatoria ma volta alla risoluzione della crisi d’impresa di quella procedura, il concordato preventivo”. “Recepita e condivisa la tesi dell’ampia portata precettiva del quarto comma dell’art.33 CCII, con applicabilità anche all’imprenditore individuale cancellato dal registro delle imprese”, prosegue il Tribunale, “non è ravvisabile contrasto irrisolvibile con la previsione dell’art.65 CCII, posto che in favore dei debitori individuati dal primo comma non sono di per sé applicabili tutte le procedure di composizione della crisi, supponenti ora la qualità di consumatore ed ora quella di imprenditore e risultando in ogni caso conseguibile il beneficio dell’esdebitazione con la residuale liquidazione controllata”.

Altra parte della giurisprudenza, cui la scrivente ritiene di allinearsi, suggerisce che l’ipotesi di inammissibilità di cui all'art. 33 sia applicabile solo alle imprese collettive e non a quelle individuali, proprio in ragione delle differenze sostanziali che le caratterizzano. In un’ottica di favor debitoris, questa interpretazione sistematica colma l’evidente vuoto di tutela creato dal legislatore senza, al contempo, venire meno alla ratio dell’art. 33 CCII.

Il Tribunale di Ancona, rappresentante uno dei principali esponenti di detto secondo orientamento favorevole, basa il proprio ragionamento giuridico sull’assunto che l’avvenuta cancellazione dell’imprenditore individuale dal registro delle imprese non risulti ostativa all’apertura della procedura di concordato minore nonostante il disposto di cui all’art. 33 comma 4 CCII, in quanto la norma deve intendersi riferita al solo imprenditore collettivo “la cui cancellazione dal registro delle imprese determina la definitiva estinzione ex art. 2495 c.c.”[11] È infatti per il solo imprenditore collettivo che l’avvenuta cancellazione dal Registro delle Imprese porta alla perdita della personalità giuridica, e alla definitiva estinzione della società; “l’imprenditore individuale che ponga fine alla propria attività, al contrario, sopravvive alla cessazione della ditta e, qualora versi in stato di sovraindebitamento per debiti di impresa, non può accedere al piano di ristrutturazione dei debiti di cui all’art. 67 CCII”; di conseguenza, come ben esplicato dal Tribunale di Ancora nelle pronunce richiamate in nota, “negare all’imprenditore individuale cessato anche l’accesso alla procedura negoziale di concordato minore (pur se di tipo liquidatorio) determinerebbe una ingiustificata limitazione degli strumenti disponibili per la sua esdebitazione (costringendolo, di fatto, alla liquidazione controllata) ed una illogica e contraddittoria esclusione dall’accesso a strumenti di natura negoziale, in aperto contrasto con la ratio ispiratrice della legge”[12].

Oltre a dare continuità all’accordo di composizione della crisi, l’interpretazione sistematica dell’art. 33 CCII risulta essere anche la più coerente con l’art. 271 CCII, che, “in caso di domanda di liquidazione controllata presentata dai creditori, consente al debitore di chiedere l’accesso ‘ad una procedura di cui al capo II del titolo IV del CCII’ (piano di ristrutturazione dei debiti del consumatore o concordato minore) con effetti sospensivi sulla domanda di liquidazione controllata. Tale facoltà non può che essere riconosciuta anche all’imprenditore individuale cessato per i debiti d’impresa di cui è rimasto onerato e l’unico strumento a ciò utile è il concordato minore ex artt. 74 e ss. CCII”[13].

È certamente meritevole di considerazione la circostanza che, nelle più recenti sentenze di merito, lo stesso Tribunale di Bari si sia allineato a questa seconda linea interpretativa, ritenendo ammissibile una proposta di concordato minore presentata da un imprenditore agricolo cessato con cancellazione dal Registro delle Imprese, per una debitoria maturata nell’esercizio d’impresa. Questo, valorizzando la circostanza che l’imprenditore individuale, anche a seguito della cessazione dell’attività, comunque sopravvive alla stessa, portando con sé la relativa debitoria[14].

Pur in presenza delle descritte correnti interpretative, il panorama giurisprudenziale rimane profondamente frammentato e diviso nell’applicazione della norma.

Il vuoto di tutela che residua nei confronti degli imprenditori individuali cancellati dovrebbe quindi trovare soluzione in una riforma legislativa che valorizzi, come correttamente ricostruito dal Tribunale di Ancona, le differenze tra imprenditore collettivo e individuale e ripristini la possibilità, per l’imprenditore individuale, di ricorrere al concordato minore. Così facendo, i soggetti “non fallibili” potranno accedere alla medesima tipologia di strumenti di risoluzione del debito presente nella vigenza della L. 3/2012, e beneficiare di quel tanto agognato “fresh start” la cui drammatica assenza, dopo la crisi del 2008, aveva finito per creare una vera e propria allerta nazionale.

L'esclusione ingiustificata, nell’odierno quadro normativo, dei piccoli imprenditori cessati dal concordato minore solleva, peraltro, questioni di costituzionalità di non poco conto, in particolare riguardo al principio di uguaglianza sancito dall'art. 3 della Costituzione, oltre che ai principi di cui alla Direttiva (UE) 2019/1023 sulla ristrutturazione e sull’insolvenza (c.d. Direttiva Insolvency)[15].

Ciò soprattutto ove si consideri che sia gli imprenditori individuali attivi che quelli cessati possono trovarsi in situazioni di sovraindebitamento simili, e che essi rispondono dei propri debiti con l’intero patrimonio in qualunque momento, a nulla rilevando, per i loro creditori, che l’attività per la quale hanno contratto detti debiti sia ancora in esercizio.

 

6. Il Correttivo Ter: un’occasione mancata

Alla luce dell’analisi sin qui svolta, appare evidente come il Correttivo Ter abbia rappresentato per il legislatore un’occasione mancata di ripianare le ingiustificate differenze oggi presenti, nella normativa della risoluzione della crisi, fra imprenditori individuali cancellati e non.

Considerato l’ampio dibattito giurisprudenziale sorto sul tema, il terzo correttivo al CCII rappresentava la sede migliore per affrontare la problematica e trovarvi soluzione: tuttavia, questa occasione sembra essere stata, almeno in parte, sprecata, lasciando ancora una volta irrisolte le annose questioni di equità ed efficacia nella gestione del sovraindebitamento e permanendo immutata la significativa disparità di trattamento nei confronti degli imprenditori individuali cancellati.

Sembra quasi che, nell’alveo delle modifiche apportate al CCII, il piccolo imprenditore cancellato sia stato “dimenticato”: se da un lato, infatti, abbiamo assistito alla riforma in melius di tanti strumenti (prima fra tutti, la composizione negoziata della crisi, all’interno della quale è ora possibile stralciare anche il debito fiscale), dall’altro lato si è verificata una contrazione delle tutele rispetto, addirittura, alla L. 3/2012.

Le modifiche effettuate sull’art. 33 CCII hanno riguardato, infatti, profili di minor conto che avevano comunque già trovato soluzione all’interno della giurisprudenza, e in via pressoché definitiva: è stato introdotto, in particolare, il comma 1 bis, nel quale si stabilisce che il debitore persona fisica, dopo la cancellazione dell'impresa individuale, può chiedere l'apertura della liquidazione controllata anche oltre il termine di un anno. Questa modifica, sebbene positiva, non risolve il problema fondamentale legato all'esclusione dal concordato minore dell’imprenditore individuale cancellato. 

Considerato il delicato momento storico, la caratteristica presenza sul territorio di un elevato numero di piccole imprese individuali, e la sempre maggiore insorgenza di situazioni di crisi a più livelli, questa lacuna normativa rischia di avere conseguenze significative a lungo termine. Tra le conseguenze principali della contrazione di tutela per il piccolo imprenditore, non può non farsi riferimento a quelle stesse problematiche sociali che portarono, nel 2012, all’introduzione della legge sulla composizione della crisi da sovraindebitamento. È noto, infatti, che la pandemia da COVID-19 e il conflitto armato fra Russia e Ucraina hanno rappresentato, per l’economia nazionale, uno spartiacque per moltissimi imprenditori, a seguito del quale le condizioni economiche si sono duramente inasprite[16].

È auspicabile che le future revisioni del CCII affrontino questa problematica, garantendo a tutti i debitori, indipendentemente dal loro status attuale, l'accesso a strumenti di risoluzione della crisi diversi dalla liquidazione controllata equi ed efficaci, ripristinando in particolare la possibilità, per i piccoli imprenditori cessati, di accedere al concordato minore, eventualmente apportando allo strumento delle specifiche salvaguardie che prevengano situazioni di abuso dello stesso.

Solo così si potrà realizzare pienamente l'obiettivo di offrire una seconda opportunità a chi, nonostante gli sforzi profusi, si è trovato a vivere in una situazione di grave sovraindebitamento, promuovendo al contempo una cultura imprenditoriale resiliente e dinamica, realmente orientata al principio della “seconda chance”.



[1] Proliferano, negli anni successivi alla crisi, i suicidi riconducibili alla crisi economica. La gravità della situazione viene riportata non solo dalla cronaca del tempo, ma anche dai principali studi statistici di settore. Vedasi, in particolare, il Rapporto EURES, Il suicidio in Italia al tempo della crisi: caratteristiche, evoluzione e tendenze, aprile 2012: “Il dato certamente più interessante in relazione al movente del suicidio, proprio per le sue implicazioni di carattere sociale, si conferma anche in questa prospettiva quello relativo al fattore economico: considerando infatti i suicidi attribuiti a tale movente si rileva nel biennio della crisi un forte incremento di tale fenomeno, con circa 200 casi l’anno (198 nel 2009 e 187 nel 2010), a fronte dei 150 del 2008 e di valori compresi tra 83 e 123 casi nel periodo 2001-2007. Sotto questo aspetto il 2010 registra un incremento del 24,7% sul 2008, che sale tuttavia al 60% per gli anni precedenti, raggiungendo un +125,3% rispetto al valore minimo di 83 casi del 2001. Anche in termini relativi i suicidi per motivi economici raggiungono nel biennio 2009-2010 i valori più elevati, pari, rispettivamente, al 10,3% e al 9,6% del totale dei suicidi con moventi noti (tra gli uomini tale movente raggiunge un’incidenza del 12,8% nel 2009 e del 12,2% nel 2010)”). Vedasi, ancora, sul tema, Silvia Ghirini, Monica Vichi, Caratteristiche e andamento temporale della mortalità per suicidio in Italia: uno studio descrittivo sugli ultimi 30 anni, Boll Epidemiol Naz 2020: “In corrispondenza della crisi economico-finanziaria del 2008 è stato documentato un aumento dei suicidi in molti Paesi; in Italia, tale aumento ha riguardato quasi esclusivamente gli uomini in età lavorativa e si è protratto negli anni seguenti la crisi almeno fino al 2016 (ultimo anno per il quale il dato è riportato) (4, 5)”.

[2] Cfr. L. Nannipieri, Correttivo ter e accesso alle procedure di sovraindebitamento: la toppa è peggio del buco? in Dirittodellacrisi.it, 2024: “In sostanza l’imprenditore individuale, anche sotto soglie, se intende cessare l’attività, deve necessariamente estinguere i propri debiti, in ipotesi tramite concordato minore liquidatorio prima della cancellazione dal registro delle imprese; dopo non potrà in alcun caso inserire i debiti commerciali, anche se marginali, in un piano di ristrutturazione del consumatore ex art. 67 CCII né potrà più accedere al concordato minore. Può tuttavia accadere che la situazione di sovraindebitamento maturi incolpevolmente solo dopo la cancellazione dal registro delle imprese: il soggetto, ad esempio, confidava ragionevolmente di poter far fronte ai debiti commerciali pregressi anche attraverso il nuovo congruo stipendio da lavoratore dipendente, ma poi è stato licenziato per malattia o riduzione del personale. Vi è poi la massa dei “vecchi” ex imprenditori che all’epoca della risalente cancellazione neppure potevano avanzare domande di concordato minore. Sono tutti “condannati” alla liquidazione controllata?”.

[3] Cfr. L. Nannipieri, Consumatore e sovraindebitamento misto, in Dirittodellacrisi.it, 2024.

[4] Cfr. L. Nannipieri, Il piccolo imprenditore individuale cancellato, l’ircocervo e l’art. 33, comma 4, CCII, in Dirittodellacrisi.it, 2024: “L’ex piccolo imprenditore individuale cancellato dal registro delle imprese ma con debiti derivanti anche dalla pregressa attività è una figura relativamente frequente nella realtà, ma nel sistema normativo delineato dal CCII rischia di assumere i connotati di un animale ibrido e fantastico, che non si sa bene dove collocare, un po’ come il mitico ircocervo.  […] “Vengo anch’io! No, tu no! Ma perché? Perché no.”: nella canzone di Enzo Jannacci al povero escluso non era fornita alcuna giustificazione: è così, punto e basta.  È un po’ quello che capita all’ex piccolo imprenditore cancellato: una volta qualificato come non consumatore, non riesco personalmente a trovare un valido motivo per lasciarlo da solo, unico sovraindebitato a non poter richiedere altro che la liquidazione controllata. Ad altri soggetti che, esattamente come lui,  sono “consumatori nel presente”, ma con debiti passati non consumeristici la strada del concordato minore liquidatorio non è sbarrata dall’art. 33, comma 4: l’ex libero professionista (che, in quanto tale, non è mai stato iscritto al registro delle imprese), il socio fideiussore per debiti sociali di una società di persone cancellata e non più soggetta a liquidazione giudiziale (pure mai iscritto, ma con debiti non consumeristici), l’ex imprenditore individuale irregolare (che non si era mai iscritto nel registro anche se era tenuto a farlo): questi soggetti  possono andare “tutti assieme” (non allo “zoo comunale”, come nella canzone di Jannacci, ma) al concordato minore liquidatorio; invece lui, il povero ircocervo, no. Perché?”

[5] La definizione di “consumatore” del riformato art. 2 comma 1 lett. e) CCII comporta che non possono accedere alla procedura di concordato minore tutti quei soggetti che “agiscono per scopi estranei all’attività imprenditoriale, commerciale, artigiana o professionale eventualmente svolta, anche se muniti della qualifica di socio di una delle società di cui ai capi III, IV e VI del titolo V del libro quinto del codice civile” in coerenza alla definizione di consumatore resa dal D.lgs. 6 settembre 2005, n. 206.

[6] Cfr. L. Nannipieri, Correttivo ter e accesso alle procedure di sovraindebitamento: la toppa è peggio del buco? in Dirittodellacrisi.it, 2024.

[7] Cfr. Trib. La Spezia, 05 luglio 2024, Est. Gaggioli, in IlCaso.it: “La situazione di sovraindebitamento di [omissis] è concentrata prevalentemente nei confronti dell’Agenzia delle Entrate Riscossione (totali Euro 64.086,96) e deriva in parte inferiore (Euro 23.407,09) da debiti erariali contratti nell’esercizio impresa individuale con oggetto attività di importazione ed esportazione di prodotti etcnici cancellata dal registro delle imprese in data 23.01.2015, nonché per la parte prevalente residua da sanzioni amministrazione pecuniarie per infrazioni al Codice della Strada commesse da soggetti terzi nell’ambito della Provincia di La Spezia”.

[8] Cfr. Trib. Milano, 23 luglio 2024, Est. Rossetti, pubblicata su IlCaso.it: “la disciplina in materia di liquidazione controllata è lacunosa e mancando una disposizione generale che preveda l’applicazione delle norme sulla liquidazione giudiziale in quanto compatibile (a differenza di quanto previsto per il concordato minore, ex art. 74, co. 4, CCII), gli sforzi degli interpreti sono tesi a delineare l’ambito di una possibile interpretazione analogica di questa o quella disposizione prevista per la liquidazione giudiziale al fine di colmare le lacune che di volta in volta vengono in rilievo nel contesto della liquidazione controllata; […] se quindi, dal punto di vista degli interessi, non dovrebbero individuarsi soverchi ostacoli nel ritenere l’opportunità di un concordato nella liquidazione giudiziale, deve valutarsi se, sulla base del diritto positivo, sia possibile trapiantare un intero istituto che ha quale suo imprescindibile presupposto applicativo una sentenza di liquidazione giudiziale, nel contesto della liquidazione controllata; ritiene questo giudice che un tale procedimento analogico, non possa essere perseguito in quanto gli strumenti di regolazione della crisi costituiscono un numero chiuso e non è consentito, attraverso operazioni di innesto, crearne di nuovi; […] deve ritenersi che la pretesa lacuna normativa ravvisata nell’assenza di una disciplina del concordato nella liquidazione controllata sia da ascrivere, invece, ad una precisa volontà del legislatore che non ha inteso concedere questo strumento ai soggetti che si trovino in condizione di sovraindebitamento ciò che rende inammissibile la domanda proposta”.

[9] Vedasi, in questo senso, Trib. Bari, 15 febbraio 2024, Est. Cesaroni, in Dirittodellacrisi.it, App. Torino, 12 marzo 2024, Pres. Cortese, Est. Croci, in IlCaso.it.

[10] Art. 282 CCII – Condizioni e procedimento di esdebitazione

“2. L’esdebitazione opera se ricorrono se ricorrono le condizioni di cui all’articolo 280, se il debitore non è stato condannato, con sentenza passata in giudicato, per uno dei reati previsti dall’articolo 344 e se non ha determinato la situazione con colpa grave, malafede o frode.”

[11] Cfr. Trib. Ancona, 10 gennaio 2023, Est. Filippello, in IlCaso.it.

[12] Cfr. sempre Trib. Ancona, 10 gennaio 2023, Est. Filippello, in IlCaso.it.

[13] Cfr. ancora Trib. Ancona, 10 gennaio 2023, Est. Filippello, in IlCaso.it; Trib. Ancona, 14 novembre 2023, Est. Filippello, in IlCaso.it. In senso conforme, vedasi anche Trib. Mantova, 22 febbraio 2024, Est. Gibelli, IlCaso.it, nel quale si afferma che “deve condividersi l’orientamento secondo cui la cancellazione della ditta individuale dal Registro delle Imprese non è ostativa all’apertura di procedura di concordato minore liquidatorio ex art. 74 c. 2 CCII, nonostante il disposto dell’art. 33 c. 4 CCII, da intendersi riferito al solo imprenditore collettivo, la cui cancellazione determina la definitiva estinzione ex art. 2945 c.c.

[14] Cfr. Trib. Bari, 05 Novembre 2024. Est. Marseglia, in IlCaso.it: “Nel caso in esame, emerge che la debitoria è caratterizzata, per la quasi totalità, da quella riveniente dall’attività imprenditoriale svolta dal debitore, in particolare dalla sottoscrizione di un contratto di mutuo agrari, ipotecario per l’acquisto di fondi rustici utili all’esercizio dell’attività agricola, ormai cessata con cancellazione dal Registro delle Imprese avvenuta in data 23.07.2019. Sul punto, giova precisare le recenti pronunce di merito si sono espresse favorevolmente sulla possibilità per l’imprenditore individuale cessato di accedere alla procedura in oggetto. Invero, tali pronunce hanno sottolineato la diversità di modalità e di effetti tra l’iscrizione nel Registro delle Imprese della cessazione dell’impresa collettiva e la cancellazione dal medesimo Registro dell’imprenditore individuale, il quale ultimo: “qualora ponga fine alla propria attività, sopravvive alla cessazione della stessa. Tale circostanza non risulta ostativa all’apertura della procedura di concordato minore” (cfr. trib. Bologna, 21 febbraio 2023; Tribunale di Mantova, 22 febbraio 2024; Trib. Ancona 11 gennaio 2023)”.

[15] E d’altronde è già nei considerando che la Direttiva Insolvency afferma che l’obiettivo da perseguirsi, a livello unionale, è quello di “eliminare gli ostacoli all'esercizio delle libertà fondamentali, quali la libera circolazione dei capitali e la libertà di stabilimento, che derivano dalle differenze tra le legislazioni e procedure nazionali in materia di ristrutturazione preventiva, insolvenza, esdebitazione e interdizioni” (cfr. considerando 1 Direttiva (UE) 2019/1023). La Direttiva “mira a rimuovere tali ostacoli garantendo alle imprese e agli imprenditori sani che sono in difficoltà finanziarie la possibilità di accedere a quadri nazionali efficaci in materia di ristrutturazione preventiva che consentano loro di continuare a operare, agli imprenditori onesti insolventi o sovraindebitati di poter beneficiare di una seconda opportunità mediante l'esdebitazione dopo un ragionevole periodo di tempo, e a conseguire una maggiore efficacia delle procedure di ristrutturazione, insolvenza ed esdebitazione, in particolare attraverso una riduzione della loro durata” (cfr. considerando 1 Direttiva (UE) 2019/1023). E’ fondamentale, dunque, per il legislatore europeo, che il debitore possa accedere a strumenti che li ammettano al beneficio dell’esdebitazione dai debiti contratti nel corso delle attività che siano efficaci e consentano di “massimizzare il valore totale per i creditori, rispetto a quanto avrebbero ricevuto in caso di liquidazione degli attivi della società o nel caso del migliore scenario alternativo possibile in mancanza di un piano, così come per i proprietari e per l'economia nel suo complesso” (cfr. considerando 2 Direttiva (UE) 2019/1023). Rappresentando la liquidazione controllata o giudiziale “l’ultima spiaggia”, essa non può quindi essere considerata quale valida alternativa al concordato minore.

[16] Nel comunicato del 03 aprile 2020, in osservatoriosuicidi.unilink.it, l’Osservatorio Suicidi per Motivazioni Economiche, istituito all’interno di Link LAB, il Laboratorio di Ricerca sociale della Link Campus University, parla di allerta massima per gli effetti del Coronavirus. Si legge: “L’Osservatorio “Suicidi per motivazioni economiche” della Link Campus University – Osservatorio permanente sul fenomeno delle morti legate alla crisi e alle difficoltà economiche avviato nel 2012 – pubblica oggi i dati aggiornati lanciando un severo allarme per il dramma che si sta consumando nel nostro Paese. ‘Quella che osserviamo – dichiara Nicola Ferrigni, professore associato di Sociologia generale e direttore dell’Osservatorio “Suicidi per motivazioni economiche” – è una tragedia nella tragedia in cui alle già tante vittime del Coronavirus occorre sommare i tanti, troppi suicidi legati agli effetti economici dell’emergenza sanitaria. I dati – prosegue il sociologo Ferrigni – sono impietosi: dall’inizio dell’anno sono già 42 i suicidi, di cui 25 quelli registrati durante le settimane del lockdown forzato; 16 nel solo mese di aprile. Questa “impennata” risulta ancor più preoccupante se confrontiamo il dato 2020 con quello rilevato appena un anno fa: nei mesi di marzo-aprile 2019, il numero delle vittime si attestava infatti a 14, e il fenomeno dei suicidi registrava la prima vera battuta d’arresto dopo anni di costante crescita. […] Le vittime, secondo gli ultimi dati dell’Osservatorio, sono perlopiù imprenditori: 14, sul totale dei 25 casi registrati nel periodo del blocco. Un numero importante che sottolinea, ancora una volta, e oggi con maggiore forza, la necessità di intervenire con misure e interventi a sostegno del tessuto imprenditoriale.”


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