Tributario


Il Caso.it, Sez. Articoli e Saggi - Data pubblicazione 14/12/2024 Scarica PDF

Inadempimento dell’obbligo di versamento dei tributi: le responsabilità dell’organo gestorio nell’aggravio del dissesto

Gianfranco Benvenuto e Giulia Greco, Avvocati


Abstract

La sentenza in commento offre lo spunto per tratteggiare i passaggi significativi di uno dei temi più ricorrenti nelle azioni sociali di responsabilità promosse dalle curatele nei confronti degli amministratori: il danno al patrimonio sociale derivante dal mancato pagamento degli oneri fiscali a seguito del verificarsi di una causa di scioglimento (art. 2484, n. 4, c.c.).

 

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Tribunale di Milano, 3 giugno 2024, Est. Simonetti.

La sentenza in commento prende le mosse dall’addebito rivolto dalla curatela agli amministratori di una società fallita concernente l’occultamento delle perdite e la prosecuzione dell’attività sociale in violazione dell’art 2485 c.c. cui ha fatto seguito l’aggravamento del dissesto nella misura delle sanzioni comminate per il mancato pagamento delle imposte nel periodo in cui la società avrebbe dovuto essere in liquidazione.

Il Tribunale ha sentenziato che incombe sulla curatela che contesta l’aggravamento del dissesto, di cui l’omesso pagamento di debiti fiscali e previdenziali costituisce parte del danno, l’onere di provare che ove la società poi fallita fosse stata messa tempestivamente in liquidazione sarebbe stata in grado di onorare il debito tributario e previdenziale impedendo l’irrogazione delle sanzioni da parte dell’Agenzia delle Entrate.

 

Riferimenti normativi: artt. 2476 c.c., 2482 bis c.c., 2482 ter c.c. e 2486 c.c..

 

Precedenti contrari: Tribunale di Milano, 8 marzo 2024, in https://www.giurisprudenzadelleimprese.it/.

 

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La pronuncia in oggetto ha ritenuto carente nell’azione della curatela la prova controfattuale secondo cui la tempestiva apertura della liquidazione avrebbe evitato il danno.

Dalla pronuncia non emerge invece se la scarsa liquidità della società sia stata destinata dagli amministratori ad altri capitoli di spesa con sovvertimento dell’ordine dei privilegi a danno del debito tributario, ma soprattutto le ragioni che abbiano portato il Tribunale a investire il fallimento attore dell’onere di provare la possibilità di adempire al debito tributario e non invece, come suggerito dalle regole della responsabilità contrattuale, onerare l’amministratore della prova dell’impossibilità di saldare il debito tributario: la ragione di tale percorso motivazionale potrebbe risiedere nella scelta dell’attore di promuovere un’azione extracontrattuale anziché (come pareva possibile) far valere un danno da inadempimento contrattuale.

Guardando anche oltre il merito del provvedimento in commento, la sentenza de qua ha inteso richiamare ad un maggior rigore le curatele che propongano domande di condanna nei confronti di amministratori che hanno gestito società in stato di crisi di liquidità sul presupposto che anche la liquidazione volontaria, o più correttamente una gestione conservativa, non comporta necessariamente un arresto immediato dell’attività e un freno a nuovo debito tributario.

La pronuncia peraltro sembra porsi in termini contrastanti rispetto ad altra (ma ciò potrebbe dipendere anche dalla diversa impostazione della lite cui conseguono diversi oneri probatori) della medesima sezione del Tribunale di Milano, pubblicata qualche mese prima; in quel caso, il collegio aveva ritenuto imputabile all’amministratore il danno derivante da sanzioni, interessi e aggi irrogati a seguito del verificarsi della causa di scioglimento per il solo fatto che l’attività fosse proseguita in chiave non conservativa[1].

A prescindere dal merito delle singole decisioni non può certamente negarsi che le sezioni specializzate in materia di impresa abbiano sempre mostrato sensibilità rispetto alla necessità di arginare la permanenza sul mercato di imprese in evidente stato di decozione e in grado di operare solo in un regime di evasione che determina un chiaro vantaggio competitivo a danno di imprese concorrenti solventi, affermando che gli amministratori sono tenuti in via prioritaria al pagamento alle scadenze previste dei debiti verso l’Erario e gli Enti previdenziali rispetto a tutti gli altri capitoli di spesa[2].

Rientra infatti tra gli obblighi di diligente gestione e di conservazione del patrimonio sociale la gestione delle risorse finanziare in modo da provvedere agli obblighi fiscali, evitando l’aggravio delle relative sanzioni e interessi di mora, obbligo che sussiste sia quando la società è in bonis, in quanto in tal caso il pregiudizio subito dalla stessa dipende proprio e soltanto dalla negligenza dell’amministratore nell’adempiere ai doveri sopra indicati, sia quando la società, perduto il capitale, prosegue illegittimamente l’attività senza fini non conservativi[3].

Costituisce pertanto un grave inadempimento degli amministratori la sistematica omissione di tale versamento anche ove il fine fosse quello di provvedere al pagamento delle retribuzioni dei lavoratori e dei debiti verso i fornitori, trattandosi di una prassi illegittima in violazione di un dovere primario di corretta gestione della società[4].

Obbligo a cui non può esimersi neanche l’amministratore subentrante che ha il dovere di accertare, se del caso anche tramite istanza all’Agenzia delle Entrate e ad Equitalia, la posizione fiscale e debitoria dell’ente e, se necessario, ripristinare la piena regolarità anche fiscale della gestione pregressa al fine di rimediare alle omissioni del precedente amministratore in punto di assolvimento degli obblighi tributari della società gestita.

In difetto, risponderà anch’egli, per un titolo autonomo ma convergente con quello dell’ex amministratore e quindi in via tendenzialmente solidale con l’amministratore direttamente responsabile cui sia subentrato, nella causazione del medesimo danno arrecato al patrimonio sociale a meno che non dimostri di non avervi provveduto per ragionevoli scelte gestorie alternative o di avervi provveduto almeno in parte ottenendo la riduzione delle sanzioni o accedendo ai benefici di questo o quel provvedimento di ‘rottamazione’ per alcune almeno delle annate fiscali per le quali si siano omessi i dovuti versamenti tributari[5].

Non giova invece all’amministratore che non abbia presentato le prescritte dichiarazioni fiscali, esponendo la società a debiti per imposte evase, contributi, sanzioni e interessi, controdedurre di essersi affidato per tale adempimento ad un consulente esterno, non essendo l’amministratore esonerato dall’obbligo di vigilare e controllare ed essendo comunque un proprio obbligo il pagamento tempestivo dei tributi liquidati[6].

Ove si accerti la violazione, il danno al patrimonio sociale addebitabile all’amministratore riguarda solo il maggior esborso per sanzioni, interessi e spese[7] che può costituire oggetto di domanda autonoma ovvero, ricorrendone i presupposti, “parte del più ampio sbilancio patrimoniale complessivamente derivante dall’esercizio non conservativo ed illegittimo dell’attività d’impresa[8].

L’inadempimento ai suddetti obblighi di pagamento sottrae l’organo gestorio a responsabilità per mala gestio verso la società e i creditori sociali solo qualora l’amministratore riesca a dimostrare l’impossibilità di adempiere per carenza assoluta di liquidità ex art. 1218 c.c. a meno che non si tratti di un’illegittima prosecuzione dell’attività d’impresa[9]

Andrà parimenti esente da responsabilità, l’amministratore che dimostri che l’omissione tributaria sia stata frutto di una scelta discrezionale di utilizzare la liquidità sociale (in ipotesi, temporaneamente insufficiente) a scopi più urgenti quali la sopravvivenza stessa dell’impresa[10] per poi ricorrere a richieste di rateazione e ammissione ai possibili benefici per attutire le conseguenze del ritardo[11].

Il Tribunale di Milano con sentenza del 2017[12] ebbe infatti modo di chiarire che, se da un lato è vero che non può considerarsi legittimo il finanziamento improprio dell’impresa a seguito dell’omesso pagamento dei tributi così provocando un accumulo di sanzioni e interessi ad ulteriore danno del patrimonio sociale, dall’altro lato deve escludersi la configurabilità di specifica negligenza nella condotta gestoria dei convenuti ove l’amministratore provveda alla rateizzazione del tributo, in quanto trattasi di scelta di per sé consentita dall’ordinamento tributario, venendo meno l’antigiuridicità della condotta, la quale tuttavia riaffiora, se pur con nuova veste, ove la rateizzazione non dovesse essere rispettata: in tal caso il pregiudizio al patrimonio sociale deriva, non già dall’originario mancato versamento dei tributi ex ante, ma dalla mancata osservanza della rateizzazione ex post.

L’argomento è stato ripreso anche di recente dal Tribunale di Napoli[13] che indica tra le possibili prove di diligente adempimento al dovere dell’amministratore ad adempiere al debito tributario la richiesta di rateizzazione del debito stesso.

Il ricorso alla rateazione deve ridursi tuttavia ad una misura temporanea in quanto “l’imprenditore in stato di tensione finanziaria, o in crisi, non può ignorare la natura privilegiata del credito, e proseguire l’attività sociale a spese dell’erario. È poi irrilevante la fiducia di potere pagare in seguito o sanare l’illecito, in quanto l’eventuale sanatoria costituirebbe solo una causa di elisione del danno da illecito già consumato[14].

È infatti proprio la sistematicità e la consapevolezza dell’omesso versamento del tributo come scelta gestionale che mantiene in vita soggetti economici portati ad autofinanziarsi con l’evasione ad essere oggetto di censura, anche in sede penale, ove è stato stabilito che il reato di bancarotta impropria si configuri solo ove si assista ad una sistematicità “dell’omissione (…) frutto di una consapevole scelta gestionale finalizzata ad utilizzare l’inadempimento delle obbligazioni tributarie e contributive quale anomalo strumento di autofinanziamento nella previsione che l’aumento del debito, collegato alla irrogazione delle sanzioni per l’inadempimento, determinerà un aggravio dell’esposizione debitoria e quindi il dissesto[15]

La sussistenza di una crisi aziendale, spesso eccepita dagli amministratori e dai sindaci nelle azioni sociali di responsabilità, non costituisce pertanto un causa di forza maggiore che sgrava l’amministratore delle relative responsabilità derivanti dal mancato pagamento dei tributi, rilevato che può aversi forza maggiore in presenza di un elemento oggettivo relativo a circostanze estranee all’operatore e di un elemento soggettivo costituito dall’obbligo dell’interessato di premunirsi rispetto alle conseguenze dell’evento anormale adottando misure appropriate senza incorrere in sacrifici eccessivi[16].

Contrariamente a quanto sembrerebbe emergere dalla sentenza in oggetto, grava in ogni caso sugli amministratori che deducano una situazione di crisi di liquidità la prova di essersi adoperati per porvi rimedio, convocando l’assemblea per deliberare l’aumento del capitale sociale o, altrimenti, per porre la liquidazione della società[17].

Secondo infatti l’insegnamento notoriamente condiviso dalla giurisprudenza sviluppatasi in materia è sufficiente per la società attrice allegare l’inadempimento dell’amministratore all’obbligo gestorio di provvedere (anche predisponendo un assetto amministrativo idoneo a programmare e rispettare le scadenze fiscali) al pagamento degli importi dovuti allo Stato e alle diverse amministrazioni pubbliche, ponendosi invece a carico dell’amministratore convenuto – per esimersi da tale responsabilità – la prova dell’impossibilità di adempiere o quantomeno di un scelta discrezionale di utilizzazione della liquidità sociale a scopi più urgenti per poi ricorrere a richieste di rateazione e ammissione ai possibili benefici per attutire le conseguenze del ritardo[18].

A parere invece della pronuncia in commento “sarebbe stato onere dell’Attore dimostrare che, se gli amministratori avessero posto in liquidazione la Società (…) essa sarebbe stata in grado di onorare i propri oneri fiscali, così impedendo l’irrogazione delle sanzioni[19], decisione peraltro in apparente contrasto con quanto statuito in altra, sempre della medesima sezione del Tribunale di Milano, ove è statuito che “il danno alla società è dovuto al fatto che l’amministratore ha proseguito illegittimamente l’attività economica della società così determinando il verificarsi dei presupposti per l’insorgere dei debiti fiscali poi non onorati[20].

 

Osservazioni conclusive

A conclusione della presente disamina deve rilevarsi come la sentenza in commento desti certamente qualche perplessità riguardo all’onere probatorio posto a carico della curatela che non trova corrispondenza nei dettami della responsabilità contrattuale.

Più condivisibile è invece l’esclusionedell’illeceità della condotta di omesso pagamento dei tributi ove l’amministratore chiamato a rispondervi provi che, a fronte di una crisi di liquidità, la prosecuzione dell’attività sia stata fronteggiata in un’ottica conservativa, adottando tutti i rimedi previsti dalla legge per il superamento della stessa, come del resto indicato dall’art. 2086 c.c., al fine di arginare l’aumento del debito e gestire gli effetti degli inadempimenti.



[1] Tribunale di Milano, 8 marzo 2024, in https://www.giurisprudenzadelleimprese.it/

[2] Tribunale di Milano, 12 luglio 2017, in https://www.giurisprudenzadelleimprese.it/

[3] Tribunale di Milano, cit. nota 2.

[4] Tribunale di Milano, 8 ottobre 2020, in https://onelegale.wolterskluwer.it/.

[5] Tribunale di Milano, 16 aprile 2021, in ilcaso.it.

[6] Tribunale di Palermo, 26 maggio 2023, in https://www.giurisprudenzadelleimprese.it/

[7] Tribunale di Milano, 14 febbraio 2020, in https://www.giurisprudenzadelleimprese.it/

[8] Tribunale di Milano, 8 marzo 2024, in https://www.giurisprudenzadelleimprese.it/.

[9] Tribunale di Milano, 13 marzo 2020; Tribunale di Catanzaro, 23 febbraio 2023; Tribunale di Roma, 26 gennaio 2023; Tribunale di Venezia, 4 maggio 2023; tutte pubblicate in https://www.giurisprudenzadelleimprese.it/.

[10] Tribunale di Milano, 20 gennaio 2023, inedita

[11] Tribunale di Milano, 4 maggio 2020, in https://www.giurisprudenzadelleimprese.it/.

[12] Tribunale di Milano, cit. nota 2.

[13] Tribunale di Napoli, 6 ottobre 2023 in https://onelegale.wolterskluwer.it/

[14] Tribunale di Venezia, 5 gennaio 2023, in https://www.giurisprudenzadelleimprese.it/.

[15] Cass. n. 22978/2024. Occorre tuttavia rilevare come il D. Lgs 87/2024 è intervenuto sulla causa di non punibilità prevista per i reati tributari dall’art 13 D lgs 74/2000 introducendo un’espressa mitigazione della responsabilità per i reati di omesso versamento di ritenute o di IVA nel caso di c.d. “crisi di liquidità” per cause non imputabili indicate nella “inesigibilità dei crediti per accertata insolvenza o sovraindebitamento di terzi o al mancato pagamento di crediti certi ed esigibili da parte di amministrazioni pubbliche e della non esperibilità di azioni idonee al superamento della crisi”.

[16] Cass. n. 39548/2021

[17] Cass. n. 5105/2014

[18] Tribunale di Milano, cit. nota 11

[19] Tribunale di Milano, 5 aprile 2024, inedita

[20] Tribunale di Milano, 8 marzo 2024, in https://www.giurisprudenzadelleimprese.it/


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