Diritto Bancario e Finanziario
Il Caso.it, Sez. Giurisprudenza, 1251 - pubb. 09/06/2008
Capitalizzazione equitativa, CMS e prescrizione
Tribunale Benevento, 18 Febbraio 2008. Est. Cusani.
Conto corrente bancario – Nullità di clausole relative al computo degli interessi – Ricostruzione dei saldi – Applicazione della capitalizzazione cd. equitativa semestrale o annuale – Esclusione.
Conto corrente bancario – Commissione di massimo scoperto calcolata come percentuale sul saldo debitore – Natura interesse anatocistico – Nullità.
Conto corrente bancario – Nullità di clausole di addebito di interessi – Azione di restituzione – Prescrizione decennale – Decorrenza dalla chiusura del conto.
Nella ricostruzione dei saldi del conto corrente in conseguenza della nullità di clausole di determinazione degli interessi non è consentita alcuna forma di anatocismo, nemmeno quello cd. equitativo semestrale o annuale. (Franco Benassi) (riproduzione riservata)
Ha sostanzialmente la stessa natura giuridica degli interessi bancari – ed pertanto illegittima la sua applicazione trimestrale - la commissione di massimo scoperto calcolata come percentuale sul massimo saldo debitore accumulato per trimestre o frazione di trimestre. (Franco Benassi) (riproduzione riservata)
L’azione di restituzione degli interessi non dovuti, in quanto addebitati nell’ambito del rapporto di conto corrente sulla base di clausole nulle, si prescrive nel termine di dieci anni, termine che decorre dalla chiusura del conto. (Franco Benassi) (riproduzione riservata)
Segnalazione dell'Avv. Francesco Luongo
SENTENZA CIVILE N. 252/2008
omissis
SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
Con citazione notificato in data 10/1/2004 la B. s.a.s. di S.G. & C. esponeva che giusto atto per notaio S. del 26/1/2003 rep. N. 31163 aveva incorporato per fusione la G. s.a.s. di S.G. & C., subentrando in tutti i rapporti attivi e passivi, ivi comprese azioni e ragioni verso terzi.
Deduceva che entrambe le società avevano in passato intrattenuto con la Banca S., poi divenuta Banca P., sede di Benevento filiale di Piazza *, rapporti di conto corrente con apertura di credito, e precisamente, per la G. s.a.s., il rapporto di c/c contraddistinto dal n. 19622.00, acceso nell’anno 1995 e successivamente divenuto c/c n. 4076, e per la B. s.a.s. il rapporto di c/c n. 16692.00, acceso nell’anno 1992, in seguito divenuto c/c n. 3049.
Allegava che successivamente la Banca P. s.c.r.l. a seguito di fusioni era divenuta Banco s.c.r.l. e che questa, sebbene richiesta con raccomandate del 12/11/2003 e dell’11/12/2003 di trasmettere ex art. 119 T.U.B. la documentazione contabile inerente ai suddetti rapporti bancari e di restituire le somme indebitamente sottratte a titolo di interessi anatocistici trimestrali in violazione dell’art. 1283 c.c., non provvedeva nel senso richiesto.
Aggiungeva che su detto conto, sui quali erano stati concessi degli affidamenti, la banca aveva calcolato e addebitato commissioni di massimo scoperto ed interessi in misura non dovuta in violazione dell’art. 1283 c.c., sulla base di clausole da dichiararsi nulle in virtù della recente giurisprudenza della Corte di Cassazione in tema di anatocismo bancario nonché di aver calcolato sempre in suo favore giorni di valuta non corrispondenti a quelli di reale svolgimento delle operazioni a debito o a credito oltre ad addebitare oneri e commissioni non previste da alcuna valida pattuizione.
Non essendo stato possibile ottenere bonariamente in restituzione dalla banca quanto indebitamente percepito, la società attrice chiedeva al giudice di condannare la banca convenuta alla restituzione delle somme indebitamente percepite per le causali suindicate, quantificate equitativamente in euro 25.000,00 o nella diversa somma ritenuta di giustizia a seguito di istruttoria, oltre interessi legali e con vittoria di spese di lite da distrarsi in favore del procuratore anticipatario.
Instaurato regolarmente il contraddittorio, la banca convenuta eccepiva genericamente la nullità dell’atto di citazione per indeterminatezza dei motivi, e nel merito deduceva la legittimità delle pattuizioni e la correttezza della contabilizzazione dei conto correnti; solo oltre il termine assegnato ex art. 180 c.p.c. eccepiva la prescrizione decennale dell’azione di ripetizione dell’indebito con decorso dal giorno di addebito delle singole poste passive, per cui chiedeva il rigetto della domanda attorea, con vittoria di spese, diritti ed onorari di giudizio.
Indi, ordinata alla banca l’esibizione della documentazione contabile relativa ai due rapporti bancari, espletata c.t.u. contabile, precisate le conclusioni, disposta una nuova c.t.u. con nuovi quesiti e criteri di esecuzione, la causa veniva riservata in decisione.
MOTIVI DELLA DECISIONE
La domanda è fondata e va pertanto accolta.
Preliminarmente va rigettata l’eccezione di nullità della domanda per indeterminatezza e genericità della causa petendi, in quanto chiaramente illustrata in fatto ed in diritto dall’attrice e perfettamente intesa dalla convenuta.
Riguardo al merito, risulta, che i due rapporti bancari dedotti in giudizio sono stati di fatto regolati da pattuizioni nulle per carenza di forma scritta e di determinatezza nonché per contrarietà a norme inderogabili di legge o anche da condizioni non previste da contratto.
Addirittura per il rapporto di c/c n. 19622, poi divenuto n. 4076, non risulta prodotto alcun contratto scritto, mentre per il rapporto di c/c n. 16692, poi divenuto n. 3049, risulta regolato da clausole nulle, e tra queste segnatamente quella anatocistica.
Infatti, riguardo all’illegittimità del c.d. anatocismo bancario, va rilevato che la clausola contrattuale che prevede in favore della banca la capitalizzazione trimestrale degli interessi passivi, come da più recente ma ormai consolidato orientamento della prevalente giurisprudenza di legittimità ( cfr. Cass. 16/3/1999 n.2374 e 30/3/1999 n. 1096 ), è da considerare illegittima in quanto contrasta con la norma imperativa inderogabile di cui all’art. 1283 c.c., la cui inosservanza è sanzionata da nullità assoluta ai sensi dell’art. 1418 comma 1 c.c.
Sul punto si è pronunciata la Corte di Cassazione a Sezioni Unite Civili con sentenza n.21095 del 7 ottobre- 4 novembre 2004, la quale ha confermato il surrichiamato orientamento giurisprudenziale.
La premessa da cui parte detta decisione è che gli “usi contrari” suscettibili di derogare al precetto dell’art. 1283 c.c. non sono gli usi negoziali di cui all’art. 1340 c.c. ma gli usi normativi di cui agli artt. 1 e 8 delle disposizioni preliminari al codice civile, consistenti nella ripetizione generale, uniforme, costante e pubblica di un determinato comportamento accompagnato dalla convinzione che si tratta di comportamento giuridicamente obbligatorio, in quanto conforme ad una norma che già esiste o che si ritiene debba far parte dell’ordinamento giuridico.
Orbene è fatto notorio e di comune esperienza che i clienti delle banche si sono nel tempo adeguati all’inserimento della clausola anatocistica non in quanto ritenuta conforme a norme di diritto già esistenti o di auspicabile introduzione nell’ordinamento giuridico, ma in quanto comprese nei moduli predisposti dalle banche in conformità con le direttive dell’associazione di categoria, di fatto mai negoziate individualmente e la cui accettazione è indefettibile presupposto per accedere ai servizi bancari. Quindi una clausola subita come pratica negoziale costante e non clausola accettata come adesione spontanea ad un precetto giuridico ( c.d. opinio iuris ac necessitatis ).
Né vale evidenziare che precedentemente al formarsi dell’orientamento giurisprudenziale della primavera del 1999, la stessa giurisprudenza della Cassazione ( cfr. sent. nn. 6631/81; 4920/87; 12675/98 ), in quanto pronunciatasi in un primo tempo nel senso della natura normativa dell’anatocismo bancario, abbia contribuito al formarsi di un uso normativo in tal senso. Infatti da una parte appare quanto mai arduo sostenere che poche decisioni in tale senso del giudice di legittimità siano state idonee a fondare negli utenti dei servizi bancari la “opinio iuris” del meccanismo di capitalizzazione trimestrale degli interessi; dall’altra parte si ignora che l’inserimento costante della clausola anatocistica nei contratti bancari non avrebbe potuto mai conferire normatività ad una prassi negoziale “contra legem”, in quanto in ogni caso violativa della norma imperativa di cui all’art. 1283 c.c.
Più precisamente le clausole preventive di capitalizzazione degli interessi sono nulle in quanto l’art. 1283 c.c. ammette l’anatocismo solo per gli interessi dovuti almeno per sei mesi purchè: 1) siano richiesti con domanda giudiziale; o in alternativa 2) siano l’effetto di convenzione posteriore alla loro scadenza.
La norma fa salva l’ipotesi di usi (normativi) contrari, ma come evidenziato dalla consolidata giurisprudenza di legittimità e di merito, in materia bancaria l’anatocismo è stato introdotto da usi negoziali, i quali non possono derogare i limiti e le condizioni posti dall’art. 1283 c.c., considerata norma imperativa avente la sua ratio nell’esigenza di proibire pratiche negoziali tendenzialmente usurarie.
La produzione degli interessi sugli interessi è divenuta legittima in materia bancaria con la delibera CICR 9/2/2000, per cui le clausole anatocistiche preventive contenute nei contratti di conto corrente (art. 2) e nei mutui (art.3) stipulati dal 22/4/2000 in poi, data di entrata in vigore di detta legge, sono valide ed efficaci purchè: a) siano espressamente indicati la periodicità di capitalizzazione degli interessi ed il tasso di interesse applicato, anche sotto forma di TAE - tasso annuo effettivo che tenga conto dell’anatocismo b) nel singolo conto corrente sia stabilita la stessa periodicità del conteggio degli interessi creditori e debitori; c) siano specificamente approvate per iscritto dal cliente, segnalando che sulla specificità dell’approvazione vale quanto elaborato dalla giurisprudenza per le clausole vessatorie di cui all’art. 1341 comma 2 c.c.
Le clausole di capitalizzazione degli interessi contenute nei contratti bancari stipulati prima del 22/4/2000, qualunque sia la periodicità, sono invece sempre nulle per violazione di norma imperativa ( art. 1418 comma 1 c.c. ).
Va ricordato che le disposizioni transitorie di cui all’art. 7 della delibera CICR 9/2/2000 non possono trovare alcuna applicazione, in quanto in seguito alla sentenza 425/2000 della Corte Costituzionale è venuto meno l’art. 25 comma 3 del D.Lgs. 342/1999 che era il fondamento legittimante l’art. 7 , per cui esso, quale atto di normazione secondaria attuativo di una norma non più esistente perché dichiarata incostituzionale, ha perso ogni validità ed efficacia.
Nella ricostruzione dei rapporti bancari non è quindi consentita alcuna forma di anatocismo, nemmeno quello c.d. equitativo semestrale o annuale.
Infatti, da una parte il riferimento ai sei mesi contenuto all’art. 1283 c.c. non è altro che l’indicazione del periodo minimo di maturazione degli interessi necessario affinché detti interessi producano altri interessi, ma pur sempre sulla base di una convenzione anatocistica posteriore alla maturazione degli stessi e quindi mai preventiva; dall’altra il riferimento all’anno ( “… in ragione di anno…”) contenuto nell’art. 1284 c.c. altro non indica che il lasso temporale da considerare al fine del computo degli interessi nella misura percentuale del saggio legale, non derogando in alcun modo alle condizioni e ai limiti posti dalla norma sull’anatocismo, che immediatamente la precede.
A favore di un anatocismo equitativo semestrale o annuale non vale nemmeno il richiamo all’applicazione analogica dell’art. 1831 c.c. ( “La chiusura del conto con la liquidazione del saldo è fatta alle scadenze stabilite dal contratto o dagli usi e, in mancanza, al termine di ogni semestre, computabile alla data del contratto” ), in quanto non solo detto articolo non è incluso dall’art. 1857 c.c. tra le norme del conto corrente ordinario applicabili alle operazioni bancarie in conto corrente, ma assolutamente diversa è la natura giuridica e la funzione del conto corrente ordinario rispetto a quello bancario, per cui non vi è alcun spazio per il ricorso all’analogia ( cfr. Trib. Roma 12/1/2007; Trib. Brindisi 4/12/2006; Trib. Pescara 6/5/2005; Trib. Benevento 6/8/2007; App. Torino del 21/1/2002 n.64, pronunciata in sede di rinvio nella controversia in cui era stata resa Cass. 3096/1999 )
Riguardo invece alla commisione di massimo scoperto, si evince che la banca ha di fatto calcolato la commissione di massimo scoperto nella percentuale indicata sul massimo saldo debitore accumulato per trimestre o frazione di trimestre.
Ne deriva che la C.M.S., nel caso in esame, ha sostanzialmente la stessa natura giuridica degli interessi bancari, in quanto risulta essere il corrispettivo ulteriore pagato alla banca per la disponibilità di un bene fruttifero quale è il denaro utilizzato nell’apertura di credito.E dagli interessi bancari la C.M.S., come calcolata dalla banca nel caso in esame, differisce solo per il metodo di calcolo, che non è quello della misura aritmetica in base alla quantità e al tempo di utilizzazione delle somme prese a credito, ma è quello della misura percentuale sulla somma massima utilizzata nel periodo di riferimento ( trimestre ) e per tutti i giorni del periodo di riferimento.
Quindi anche con riferimento alla C.M.S. risulta illegittima la capitalizzazione trimestrale, come già detto per gli interessi.
Corretta risulta essere quindi la ricostruzione del rapporto bancario operata dal c.t.u. dr. M.C. nella sua relazione depositata in cancelleria in data 27/7/2007, che si condivide e qui si richiama totalmente ad integrazione della presente motivazione.
In particolare appare corretta l’esclusione di qualsiasi capitalizzazione, anche quella annuale e dall’altra la decurtazione di somme contabilizzate e riscosse come commissione di massimo scoperto e a qualsiasi altro titolo non contrattualmente previsto, nei limiti e per il periodo di tempo in cui mancava il contratto.
Riguardo all’eccezione di prescrizione, essa è infondata innanzi tutto perché proposta tardivamente oltre il termine assegnato all’udienza del 7/4/2004 dal giudice ex art. 180 c.p.c., appunto per la proposizione di eccezioni processuali e di merito non rilevabili di ufficio.
In secondo luogo perchè l’azione di ripetizione delle somme ritenute illegittimamente percepite è soggetta alla prescrizione ordinaria decennale di cui all’art. 2946 c.c.
La prescrizione quinquennale degli interessi di cui all’art. 2948 n.4 c.c., che a volte richiamano le banche nelle loro difese, attiene infatti al pagamento degli interessi “dovuti” e non percepiti e non alla restituzione di quelli già percepiti e “non dovuti”.
Incertezze sono sorte per il passato per quanto riguarda il termine di decorrenza del periodo prescrizionale decennale, in quanto la giurisprudenza di merito ha inizialmente seguito la tesi delle banche, facendo decorrere il dies a quo dalla data di ciascun addebito sul conto corrente bancario.
Si è sostenuto, infatti, che se una prestazione è indebita è tale dall’inizio, cioè dal momento della sua annotazione a carico del cliente, indipendentemente dal fatto che la nullità del titolo sulla base del quale essa è stata eseguita, venga accertata e dichiarata successivamente. E’ da quel momento che il cliente ha la giuridica possibilità di esercitare l’azione di ripetizione dell’indebito annotato a suo carico e quindi da quel momento decorre il termine prescrizionale, giusto il disposto di cui all’art. 2935 c.c., che fa riferimento appunto al “giorno in cui il diritto può essere fatto valere”.
Questa tesi sarebbe peraltro in linea con il tempo di dieci anni in relazione al quale la banca ha l’obbligo di conservare la documentazione relativa alle operazioni eseguite, tempo che prima dell’introduzione dell’art. 119 tub era invece stabilito in cinque anni dalla legge 1992/154.
Invero la Suprema Corte sul problema si è pronunciata da molti anni, atteso che Cass. 2262 del 1984 già espressamente statuiva che “il momento iniziale del termine prescrizionale decennale per il reclamo delle somme indebitamente trattenute dalla banca a titolo di interessi decorre dalla chiusura definitiva del rapporto”.
Peraltro detta sentenza si ricollega a precedenti pronunce della stessa Corte, le quali danno atto che il conto corrente bancario è soggetto alla prevalente disciplina del mandato, per cui come nel mandato che preveda più prestazioni del mandatario, anche il conto corrente bancario è un contratto unitario che, pur articolato in una pluralità di atti esecutivi, dà luogo ad un unico rapporto giuridico, per cui i vari prelievi ed accreditamenti non possono dar luogo a singoli rapporti - costitutivi od estintivi – ma determinano solo variazioni quantitative dell’unico originario rapporto.
Questo indirizzo è stato confermato in pieno dalla Suprema Corte in recenti sentenze, proprio relative a cause di anatocismo bancario, le quali hanno precisato che solo con il conto finale si stabiliscono definitivamente i crediti ed i debiti delle parti tra di loro per cui solo dalla chiusura finale del conto decorre il termine decennale di prescrizione per il reclamo da parte del correntista delle somme indebitamente trattenute dalla banca per interessi calcolati dalla banca senza valida pattuizione (Cfr. Cass. n. 10127 del 14/5/2005 ).
Ne deriva che risultano trattenute indebitamente dai c/c per cui è causa, che sono stati chiusi con saldo zero rispettivamente alla data del 16/12/1998 il c/c n. 4076 e alla data del 29/3/2000 il c/c n. 3049, somme pari ad euro 5.462,62 per il primo rapporto e ad euro 15.665,27 per il secondo rapporto, per un importo complessivo di euro 21.127,89
Le somme suindicate vanno dunque restituite ex art. 2033 c.c. all’attrice con i soli interessi legali dal 10/1/2004 – data della domanda giudiziale, trattandosi di debito di valuta per il quale non è ravvisabile mala fede da parte della banca.
Le spese seguono la soccombenza.
P.Q.M.
Il Tribunale, definitivamente pronunciando sulle domande di cui in narrativa, ogni altra istanza, eccezione, deduzione disattesa, così provvede:
1) accoglie la domanda e per l’effetto condanna la convenuta alla restituzione in favore dell’attrice della somma di euro 21.127,89 oltre interessi legali dal 10/1/2004 fino al soddisfo
2) condanna la convenuta al pagamento in favore dell’attrice delle spese processuali, che si liquidano in euro 200,00 per spese, euro 2470,00 per diritti ed euro 6.875,00 per onorari, oltre spese di c.t.u., rimborso spese forfettario, IVA e CPA come per legge con distrazione in favore dell’avv. F.L. difensore antistatario ex art. 93 c.p.c.
Così deciso, scritto e trasmesso in cancelleria in data 18/2/2008
Il giudice
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