Diritto e Procedura Civile
Il Caso.it, Sez. Giurisprudenza, 26115 - pubb. 30/10/2021
Onere delle spese a carico della parte che col suo comportamento antigiuridico abbia provocato la necessità del processo
Cassazione civile, sez. I, 29 Luglio 2021, n. 21823. Pres. Acierno. Est. Parise.
Spese processuali - Soccombenza - Applicazione del principio di causalità - Conseguenze - Ragioni determinanti la soccombenza - Irrilevanza - Decisione fondata sull'esercizio dei poteri d'ufficio da parte del giudice - Ininfluenza
In tema di disciplina delle spese processuali, la soccombenza costituisce un'applicazione del principio di causalità, in virtù del quale non è esente da onere delle spese la parte che, col suo comportamento antigiuridico (in quanto trasgressivo di norme di diritto sostanziale) abbia provocato la necessità del processo; essa prescinde, pertanto, dalle ragioni - di merito o processuali - che l'abbiano determinata e dal fatto che il rigetto della domanda della parte dichiarata soccombente sia dipeso dall'avere il giudice esercitato i suoi poteri officiosi. (massima ufficiale)
Fatto
1. Con sentenza n. 2356/2015 la Corte d'appello di Venezia, rigettando l'appello proposto da X.G., confermava la sentenza n. 616/2014 del Tribunale di Padova, con cui era stato accertato che Y.M. era figlia di X.G.. La citata sentenza della Corte d'appello veniva cassata con rinvio da questa Corte con sentenza n. 14896/2017, in accoglimento del ricorso proposto da X.G., essendosi svolto il procedimento d'appello senza l'intervento del P.M..
2. Con sentenza n. 2756/2018 pubblicata il 10.10.2018 la Corte d'appello di Venezia, pronunciando quale giudice del rinvio all'esito della rituale riassunzione della causa da parte di Y.M., ha rigettato l'appello proposto dal M. ed ha confermato integralmente la sentenza n. 616/2014 del Tribunale di Padova. La Corte d'appello ha ritenuto che: (i) non ricorresse il denunciato vizio di ne bis in idem, in quanto la questione relativa all'accertamento del rapporto di filiazione naturale, qualificata come pregiudiziale di natura tecnica, non era stata affrontata nel merito dal giudice; (ii) l'adozione di Y.M. da parte di L.G. e Gi.Na., avvenuta nel (*) e assoggettata ratione temporis alla disciplina di cui alla L. n. 431 del 1967, fosse da qualificarsi ordinaria e non speciale, sicché non era ostativa alla domanda di accertamento della paternità naturale proposta dalla adottata nei confronti del M.; (iii) nel merito la suddetta domanda fosse fondata, stante il rifiuto del M. di sottoporsi ad indagini ematologiche, valutato ex art. 116 c.c., comma 2, nonché considerato il tenore delle deposizioni testimoniali assunte.
3. Avverso questa sentenza propone ricorso per cassazione X.G., affidato a cinque motivi, nei confronti di Y.M., che resiste con controricorso.
4. Il ricorso è stato fissato per l'adunanza in camera di consiglio ai sensi dell'art. 375 c.p.c., u.c. e art. 380 bis 1 c.p.c.. Le parti hanno depositato memorie illustrative.
Motivi
1. Con il primo motivo il ricorrente denuncia la "Nullità della sentenza o del procedimento, in relazione all'art. 360 c.p.c., nn. 3 e 4, per violazione dell'art. 2909 c.c. e art. 34 c.p.c., per avere i Giudici del rinvio erroneamente ritenuto che la domanda di accertamento incidentale della paternità proposta dalla Sig.ra L. non fosse entrata a far parte dell'oggetto del giudizio e che pertanto il suo rigetto - quale formalizzato nella parte dispositiva della sentenza dell'11.1.2008 del Tribunale di Rovigo - non abbia attinto al merito del contendere, né dispiegato efficacia di giudicato sostanziale". Con articolate argomentazioni il ricorrente deduce che erroneamente la Corte di merito non ha ravvisato sussistente la preclusione derivante dalla statuizione resa inter partes dal Tribunale di Rovigo con la sentenza n. 21/2008, passata in giudicato. In particolare, ad avviso del ricorrente, poiché la L. aveva chiesto, nel giudizio conclusosi con la citata sentenza, accertarsi in via incidentale la paternità del M. e condannarsi lo stesso al risarcimento dei danni e poiché il Tribunale di Rovigo aveva rigettato le domande svolte dall'attrice, il rigetto suddetto, anche qualora ritenuto in contrasto con le argomentazioni esposte nella parte motiva, dichiaratamente riguardava le due domande, avendo così definito nel merito il Tribunale di Rovigo anche la domanda di accertamento incidentale del rapporto di filiazione. Ad avviso del ricorrente, la Corte di merito ha confuso la distinzione tra questione pregiudiziale e causa pregiudiziale e la statuizione di rigetto della domanda incidentale di accertamento del rapporto di filiazione era idonea al giudicato sostanziale.
2. Il motivo è infondato.
2.1. Secondo l'orientamento di questa Corte al quale il Collegio intende dare continuità, il giudicato esterno è assimilabile agli "elementi normativi", sicché la sua interpretazione deve effettuarsi alla stregua dell'esegesi delle norme, non già degli atti e dei negozi giuridici, e la sua portata va definita dal giudice sulla base di quanto stabilito nel dispositivo della sentenza e nella motivazione che la sorregge (Cass. 24162/2017; Cass. 24952/2015).
2.2. Nel caso di specie, non vi è stata, né avrebbe potuto esservi, per quanto appena di seguito si dirà, alcuna statuizione incidentale sullo status che possa ritenersi preclusiva, atteso che il dispositivo (rigetta "le domande") deve interpretarsi congiuntamente alla motivazione, in applicazione dei principi suesposti. In base a quanto afferma lo stesso ricorrente, il Tribunale di Rovigo non ha compiuto nessun accertamento sul rapporto di filiazione, non oggetto di specifica e concreta disamina da parte di quel giudice, che, anzi, ha espressamente affermato in motivazione di non potere esaminare la domanda di accertamento dello status di filiazione, correttamente richiamando l'indirizzo di questa Corte secondo il quale non è consentito l'accertamento in via incidentale di una questione di stato dal nostro ordinamento giuridico, ostandovi nel quadro normativo attuale l'art. 3 c.p.p. e il D.Lgs. 2 luglio 2010, n. 104, art. 8 (Cass. 3934/2012).
3. Con il secondo motivo il ricorrente denuncia la "Nullità della sentenza o del procedimento, in relazione all'art. 360 c.p.c., n. 4, per violazione dell'art. 132 c.p.c., comma 2, n. 4, per mera apparenza della motivazione, in merito all'esclusione dei presupposti di un'adozione speciale legittimante a favore della Sig.ra L., con conseguente immotivato rigetto dell'eccezione di inammissibilità della domanda di accertamento dello status di figlia naturale ex art. 253 c.c., per contrasto con lo status di figlia legittima goduto dall'attrice". Deduce la nullità della sentenza per apparenza della motivazione in ordine alla natura della adozione dell'allora minore ( Mi.) M., ritenuta dal giudice del rinvio non speciale, ossia in quanto tale preclusiva dell'azione di accertamento della paternità nei confronti del M., ma ordinaria, come da procedimento incardinato da L.G. e Gi.Na. in data (*). Rimarca che il giudice del rinvio, pur dichiarando di condividere le conclusioni sul punto del Tribunale di Padova, non ne ha condiviso le ragioni. Ad avviso del ricorrente, pur se dai documenti prodotti emergeva che il procedimento di adozione de quo era originato come adozione ordinaria, i giudici di merito avevano omesso di considerare alcuni elementi essenziali. In particolare la L. risultava registrata nei pubblici registri solo con il cognome dei suoi adottanti e non anche con il cognome della madre naturale ( Mi.Am.), come invece si impone per le ipotesi di adozione ordinaria. Inoltre sia i coniugi L. che l'adottata Y.M. possedevano tutti i requisiti perché l'adozione - pur originariamente nata come ordinaria - venisse convertita in adozione speciale "sfruttando" il regime transitorio di cui alla L. n. 431 del 1967, art. 6 (commi 1 e 2), non avendo i primi prole legittima o legittimata, nonché trovandosi la seconda in stato di abbandono materiale e morale, essendo all'epoca dell'adozione ancora minorenne ((*)) e rimasta tale fino allo scadere del periodo transitorio previsto dalla legge. Dunque ad avviso del ricorrente, in forza del concorso di diversi indici, era dato desumere che la L., all'epoca dell'adozione, avesse potuto beneficiare della adozione legittimante in costanza di periodo transitorio. Invece, la Corte veneziana, con scarto logico, ha sostenuto che la L. non avrebbe goduto dei requisiti soggettivi previsti per l'adozione speciale, così argomentando il convincimento espresso con una motivazione apparente e tautologica, incapace di sorreggere qualsivoglia determinazione, tale da concretare pertanto il vizio di inesistenza "sostanziale" suscettibile di controllo in sede di legittimità.
4. Con il terzo motivo denuncia "In subordine, rispetto al motivo che precede, falsa applicazione degli artt. 314/3, 314/4, 314/26, 314/28 e 299 c.c. pro tempore vigenti, in relazione all'art. 360 c.p.c., n. 3, per avere i Giudici del rinvio escluso che la Sig.ra L. fosse nelle condizioni per un'adozione speciale legittimante, quando invece dette condizioni erano tutte univocamente e dichiaratamente presenti". Il ricorrente censura la sentenza impugnata nella parte in cui si afferma che "comunque nei suoi confronti (della L.) non poteva trovare applicazione l'istituto della adozione speciale in quanto non si trovava nella condizione soggettiva per essa prevista", denunziando la falsa applicazione degli artt. 314/3, 314/4, 314/26, 314/28 e 299 c.c. pro tempore vigenti. Ribadisce che pacificamente l'età della L., all'epoca dei fatti, non costituiva un limite all'applicazione della norma e che la stessa era rimasta minore per tutta la durata del periodo transitorio, sì da consentire anche la trasformazione di un'adozione in tesi principiata come ordinaria in adozione speciale legittimante. Ad avviso del ricorrente, l'unica norma di interesse - al fine di individuare i requisiti soggettivi dell'adottando - è l'art. 314/4 c.c., che prevedeva la necessità che il minore si trovasse privo di assistenza materiale e morale da parte dei genitori o dei parenti tenuti a provvedervi, ed anche detta circostanza era pacifica, perché la stessa L. aveva sempre dichiarato di essere stata riconosciuta "dalla sola madre naturale Sig.ra Mi.Am., casalinga di diciannove anni, la quale, versando in notevoli difficoltà economiche, ha collocato la propria figlia presso l'orfanotrofio "(*)" di (*). La Sig.ra Y.M. ha trascorso presso tale istituto l'infanzia e la prima adolescenza, fino a che, in data (*), è stata adottata dai coniugi G. e La.Gi.". Deduce, pertanto, che i Giudici della fase di rinvio sono incorsi in un palese fraintendimento della norma citata.
5. Con il quarto motivo denuncia "In ogni caso: violazione dell'art. 6 c.c., comma 3, nonché dell'art. 299,314/26 e 314/28 c.c., all'epoca vigenti, ed altresì della L. n. 431 del 1967, art. 6 in relazione all'art. 360 c.p.c., n. 3, nella parte in cui la sentenza ha ipotizzato un presunto mutamento del nome che, tuttavia, per principio generale del codice e dell'ordinamento dello stato civile non può che aversi se non per decreto del Presidente della Repubblica (ovvero, oggi, prefettizio), così escludendo la valenza fortissimamente probante - circa la natura speciale dell'adozione - dell'assunzione in via esclusiva del cognome della famiglia adottante, da parte della L.". Censura la motivazione della sentenza impugnata nella parte in cui si afferma, con riguardo al fatto che la L. è registrata nei pubblici registri con il solo cognome della famiglia adottante, che detta circostanza non sarebbe "di per sé significativa, potendo essa spiegarsi con la volontà di non far apparire la L. come figlia di una "ragazza-madre"" (p. 13 sentenza impugnata). Ad avviso del ricorrente, la motivazione è abnorme sotto il profilo processuale e sostanziale, poiché ammette "quale ipotesi possibile che una persona fisica possa mutare le registrazioni anagrafiche che la riguardano senza dover affrontare il percorso amministrativo specificamente a ciò dedicato, contemplato nell'art. 6 c.c., comma 3, che deve concludersi con un decreto del Presidente della Repubblica (all'epoca dei fatti; oggi invece con decreto prefettizio)". Rimarca che secondo la disciplina di cui all'art. 299 c.c., comma 1, pro tempore vigente, in sede di registrazione nei pubblici registri, in ipotesi di adozione ordinaria, era prescritto di aggiungere il cognome della famiglia adottante a quello della madre naturale ( Mi.Am.), che pure aveva riconosciuto la Sig.ra L.. Solo la disciplina di cui agli artt. 314/26 e 314/28 c.c., in tema di adozione speciale, consente la registrazione con il solo cognome della famiglia adottante (i coniugi G. e La.Gi.).
6. I motivi secondo, terzo e quarto possono esaminarsi congiuntamente per la loro evidente connessione.
6.1. Occorre premettere che, trattandosi di questioni di diritto, è indifferente se e come il giudice del merito abbia motivato in proposito, essendo comunque consentita in sede di legittimità l'integrazione o correzione della motivazione in diritto della sentenza impugnata ai sensi dell'art. 384 c.p.c., comma 2 (tra le tante Cass. 4863/2020).
6.2. Ciò posto, l'impianto argomentativo delle censure espresse con i motivi secondo e terzo si fonda sull'assunto secondo cui sia da ritenersi speciale legittimante, e non ordinaria, l'adozione dell'odierna controricorrente da parte di L.G. e Gi.Na., come da procedimento incardinato in data (*), ossia in quanto tale preclusiva dell'accertamento giudiziale di paternità, e ciò per essere applicabile al caso di specie la normativa transitoria dettata dalla L. n. 431 del 1967, art. 6. Detta norma, nel testo vigente ratione temporis, prevede, al comma 1, che "Per i primi cinque anni dalla data di entrata in vigore della presente legge l'adozione speciale può essere dichiarata, anche indipendentemente dai limiti di età previsti per gli adottanti e per gli adottandi dalla legge, nei confronti dei minori che a tale data siano in affidamento o affiliati ai sensi degli artt. 404 c.c. e ss., nonché nei confronti di chi a tale data è già adottato ai sensi degli artt. 291 c.c. e ss. ".
Secondo il tenore letterale del citato comma, quindi, la deroga ai limiti di età dell'adottando (otto anni) era prevista per i minori che, alla data di entrata in vigore della legge (7-7-1967), fossero in affidamento o affiliati ai sensi degli artt. 404 c.c. e ss. oppure fossero stati già adottati ex art. 291 c.c. e ss. (cfr. in questi termini la sentenza della Corte Cost. n. 158/1971, che individua la categoria dei soggetti "in coloro che siano adottati e dei minori che siano in affidamento o siano affiliati alla data di entrata in vigore della legge"- p.2 della motivazione in diritto). L'intendimento del legislatore è stato quello di permettere che della adozione speciale potessero beneficiare i minori già adottati, i quali, a causa dei limiti esistenti nella disciplina precedente, non poterono a suo tempo conseguire il pieno inserimento nella famiglia dell'adottante, giustificandosi in base a tale ratio l'individuazione delle categorie di minori previste dall'art. 6. In altri termini, con la norma transitoria è stata consentita, in via eccezionale e per la durata di cinque anni, una circoscritta efficacia "retroattiva" della nuova disciplina dell'adozione speciale, nel senso che se ne è estesa l'applicazione a rapporti adottivi già in essere, prescindendo dal limite di età degli otto anni del minore adottando, fermo restando il discrimine temporale segnato, inequivocabilmente, dalla data di entrata in vigore della legge.
6.3. Così chiarito l'ambito soggettivo di applicazione della disciplina transitoria, il caso di specie non rientra tra quelli previsti dal citato art. 6, comma 1 poiché alla data del 7-7-1967 (entrata in vigore della L. n. 431 del 1967) la L. non era stata ancora adottata e non risulta dalla sentenza impugnata che la minore, a quella data, fosse in affidamento oppure affiliata ex art. 404 c.c. vigente ratione temporis, neppure, invero, deducendo alcunché a tale ultimo riguardo il ricorrente, che, anzi, rimarca la collocazione in orfanotrofio della minore a quell'epoca.
In base a quanto accertato dalla Corte di merito e in ogni caso incontroverso tra le parti, il procedimento di adozione è stato incardinato nel maggio del 1969 e l'atto di adozione ordinaria è stato trascritto nei registri dello Stato civile di (*).
Il ricorrente dà atto che il procedimento di adozione "era originato come adozione ordinaria" (cfr. pag.20 ricorso) e, nel rimarcare l'ininfluenza del requisito dell'età della minore, in allora superiore al limite degli otto anni, e la concomitante sussistenza del requisito del suo stato di abbandono morale e materiale, perché collocata in orfanotrofio, prospetta un'interpretazione dell'art. 6 in contrasto con il tenore testuale, per quanto si è detto e peraltro in conformità alla lettura data alla norma dal Giudice delle leggi (C. Cost. n. 158/1971 citata).
Risulta, quindi, privo di fondamento giuridico l'impianto argomentativo espresso con i motivi secondo e terzo, poiché la disciplina applicabile all'adozione di cui trattasi è quella della L. n. 431 del 1967 "a regime", non quella transitoria, ed era perciò preclusa, in allora, l'adozione speciale della L. perché aveva età superiore agli otto anni quando ebbe inizio, nel 1969, il procedimento di adozione che la riguardava. Di conseguenza, non è conducente il riferimento a indici asseritamente sintomatici dell'adozione speciale (in ordine al cognome registrato nei pubblici registri - quarto motivo), che, all'evidenza, non possono assumere alcuna rilevanza nel senso invocato in ricorso perché in spregio al dettato normativo ratione temporis vigente in tema di adozione speciale.
Conclusivamente, deve ritenersi corretta in diritto l'affermazione della sentenza impugnata secondo cui la L. non si trovava nella condizione soggettiva prevista dalla norma transitoria, dovendosi integrare e correggere, ai sensi dell'art. 384 c.p.c., u.c., la motivazione nei termini indicati, per essere conforme al diritto il dispositivo della sentenza impugnata, sicché i tre motivi in disamina devono essere rigettati.
7. Con il quinto motivo il ricorrente denuncia "In estremo subordine: Nullità della sentenza o del procedimento, in relazione all'art. 360 c.p.c., n. 4, per violazione degli artt. 91 e 92 c.p.c. per avere i Giudici del rinvio disatteso il principio di causalità consacrato in dette norme e cosi condannato il Sig. M. al pagamento delle spese del primo giudizio d'appello e di quello di Cassazione, pur conclusosi con una sanzione di nullità per violazione dell'art. 70 c.p.c., n. 3, e art. 158 c.p.c., per mancata comunicazione della procedura in corso al P.M., riconducibile ad un errore dell'Ufficio". Assume che la Corte d'appello, condannando il M. al pagamento delle spese del primo giudizio d'appello e di quello di Cassazione, abbia violato il principio di causalità. La radicale nullità della sentenza d'appello veneziana, sancita da questa Corte con la pronuncia n. 14896 del 29.5.2017 per omesso contraddittorio con il P.M., avrebbe dovuto essere rilevata d'ufficio e non può essere imputata al ricorrente, al quale le spese di lite non potevano essere addebitate in via esclusiva, ma al più compensate tra le parti.
8. Il motivo è infondato.
8.1. Secondo l'orientamento di questa Corte a cui il Collegio intende dare continuità, in tema di spese processuali, la facoltà di disporne la compensazione tra le parti rientra nel potere discrezionale del giudice di merito, il quale non è tenuto a dare ragione con una espressa motivazione del mancato uso di tale sua facoltà, con la conseguenza che la pronuncia di condanna alle spese, anche se adottata senza prendere in esame l'eventualità di una compensazione, non può essere censurata in cassazione, neppure sotto il profilo della mancanza di motivazione (Cass. 11329/2019). Inoltre la soccombenza costituisce un'applicazione del principio di causalità, per il quale non è esente da onere delle spese la parte che, col suo comportamento antigiuridico (per la trasgressione delle norme di diritto sostanziale) abbia provocato la necessità del processo, prescindendo dalle ragioni - di merito o processuali - che l'abbiano determinata (Cass. 19456/2008).
8.2. Alla stregua di detti principi, non ricorrono i vizi denunciati, atteso che la statuizione di mancata compensazione delle spese di lite non necessita di motivazione e non può essere censurata in cassazione, nei termini precisati, e neppure risulta violato per le ragioni indicate dal ricorrente il principio di causalità, dal momento che è stato il M., con il suo comportamento antigiuridico, a provocare la necessità del processo.
9. Le spese del presente giudizio possono essere, invece, interamente compensate tra le parti, considerato che la motivazione della sentenza impugnata ha necessitato di integrazione e correzione sulle questioni di diritto oggetto di censura, in ordine alle quali non vi sono precedenti specifici di questa Corte.
10. Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, deve darsi atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso per cassazione, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis ove dovuto (Cass. S.U. n. 5314/2020).
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso e compensa interamente tra le parti le spese del giudizio di cassazione.
Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso per cassazione, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis ove dovuto.
In caso di diffusione del presente provvedimento omettere le generalità e gli altri dati identificativi, a norma del D.Lgs. n. 196 del 2003, art. 52 in quanto imposto dalla legge.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Sezione Prima civile, il 19 aprile 2021.
Depositato in Cancelleria il 29 luglio 2021.