Diritto Civile


Il Caso.it, Sez. Giurisprudenza, 22450 - pubb. 04/10/2019

Possesso in buona fede acquisito in forza di contratto successivamente dichiarato nullo

Cassazione civile, sez. III, 19 Luglio 2019, n. 19502. Pres. Adelaide Amendola. Est. Anna Moscarini.


Acquisizione di un bene in virtù di un contratto poi dichiarato nullo - Buona fede al momento dell'acquisto del possesso - Successiva azione di nullità - Obbligo di restituzione dei frutti - Decorrenza



Il possesso di un bene, che sia stato acquisito in forza di un contratto poi dichiarato nullo, resta soggetto ai principi generali fissati dagli artt. 1147 e 1148 c.c., con la conseguenza che, ove sussista la buona fede (da presumersi) alla data del suddetto acquisto, la medesima buona fede non viene esclusa dalla mera proposizione della domanda rivolta a far valere quella nullità, ed il possessore è tenuto alla restituzione dei frutti solo a partire dalla data della domanda di rilascio. (massima ufficiale)


 


Svolgimento del processo

L.F.F. propose opposizione ad un decreto ingiuntivo, emesso dal Tribunale di Milano con il quale gli era stato ingiunto il pagamento, in favore di A.B., della somma di Euro 128.780,00. Riferì che la T., resasi aggiudicataria di un immobile sito in (*) oggetto di pignoramento in danno di esso opponente, avendo versato la somma di Euro 128.780,00 ed avendo ottenuto il decreto di trasferimento del bene, si era poi vista dichiarare nulla l'assegnazione a seguito di ricorso in opposizione agli atti esecutivi promosso dallo stesso L.F., aveva restituito le chiavi dell'immobile ed agito per ottenere la restituzione del prezzo versato.

Il L.F., nel giudizio di opposizione, rappresentò che la stessa T., in quanto creditrice procedente" aveva promosso l'esecuzione forzata immobiliare, di guisa che il credito che essa vantava nei confronti della procedura a titolo di restituzione delle somme si era venuto a confondere con il contrapposto credito che ella vantava a titolo di creditore procedente, da cui, ad avviso dell'opponente, l'estinzione del credito per confusione. In ogni caso il L.F., sul presupposto che la T. aveva usufruito dell'immobile per cinque anni e mezzo (dal 2 ottobre 2006 al 19 aprile 2012) chiese il riconoscimento di una indennità per l'occupazione sine titulo del bene. Costituitosi il contraddittorio con la T., il Tribunale di Milano, con sentenza n. 13595 del 18/11/2014, rigettò l'opposizione, confermando l'esecutività del decreto e rigettò la domanda riconvenzionale del L.F., condannando il medesimo alle spese del grado.

La Corte d'Appello di Milano, adita dal L.F., con sentenza n. 4757 del 23/12/2016, ha parzialmente accolto l'appello ritenendo che, in base all'art. 2921 c.c., comma 1, (che regola l'evizione subita dall'aggiudicatario del bene in una procedura esecutiva, applicabile anche nell'ipotesi in cui il trasferimento coattivo venga meno a seguito di dichiarazione giudiziale di nullità della vendita, in accoglimento dell'opposizione agli atti esecutivi) A.B. non aveva subito l'estinzione del proprio credito per confusione ma poteva ripetere la somma dai creditori che, per effetto del piano di riparto, si erano visti assegnare tale importo. Ad avviso della Corte d'Appello, la pronuncia di nullità dell'atto di assegnazione aveva travolto anche gli atti successivi dipendenti, dei quali rappresentava il presupposto necessario, quali il decreto di trasferimento del 2/10/2006 e l'ordinanza del 21/1/2008 che aveva dichiarato esecutivo il progetto di riparto; successivamente il giudice dell'esecuzione, in considerazione dell'avvenuta cancellazione del pignoramento in data 13/12/201 dichiarato l'improcedibilità del processo esecutivo, con la conseguente esclusione dell'effetto estintivo del credito della T.. Sulla base di questi argomenti la sentenza d'appello ha riformato quella di primo grado, ha accolto l'opposizione a decreto ingiuntivo con revoca del decreto stesso.

La Corte di merito ha, invece, respinto il motivo di appello sul capo di sentenza che aveva rigettato la domanda di indennità per l'occupazione del bene, ritenendo che la T., in quanto possessore di buona fede, non fosse tenuta a corrispondere i frutti dell'immobile, peraltro inesistenti essendo stato l'immobile occupato da un terzo in forza di comodato gratuito. Il Giudice, in ragione della reciproca soccombenza delle parti, ha compensato integralmente le spese del doppio grado del giudizio.

Avverso la sentenza L.F.F. propone ricorso per cassazione affidato a sette motivi. A.B. resiste con controricorso e propone altresì un motivo di ricorso incidentale condizionato.

 

Motivi della decisione

Si procede, in primo luogo, ad enunciare il contenuto del primo, secondo, quinto e settimo motivo ed alla loro trattazione congiunta per ragioni di connessione.

1. Con il primo motivo - art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4. Nullità della sentenza per aver omesso la motivazione su un punto della controversia, avendo semplicemente condiviso le statuizioni del primo grado - il ricorrente censura la sentenza per avere la medesima semplicemente condiviso le osservazioni del primo giudice in ordine all'assenza dei presupposti per il riconoscimento, in favore del L.F., di una indennità di occupazione sine titulo, stante la qualifica della T. quale possessore di buona fede ed il conseguente diritto della medesima a non corrispondere i frutti dell'immobile.

2. Con il secondo motivo - violazione dell'art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4. Nullità della sentenza per omesso esame di un motivo di appello, in relazione all'art. 112 c.p.c. - assume che la Corte di merito abbia omesso di pronunciarsi sul motivo con il quale il L.F. aveva contestato lo stato soggettivo di buona fede della T. in ragione del rischio- annullamento pendente sull'ordinanza di assegnazione, a seguito di opposizione agli atti esecutivi. La pendenza del procedimento, ad avviso del ricorrente, avrebbe dovuto condurre la Corte d'Appello ad escludere lo stato di buona fede della T. e, dunque, a riformare il capo di sentenza che aveva rigettato la domanda di indennizzo per occupazione sine titulo.

3. Con il quinto motivo - Art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5. Omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio oggetto di discussione tra le parti censura la sentenza per aver ritenuto che l'opposizione del L.F. all'occupazione della T. avesse coinciso con la notifica dell'atto in opposizione a decreto ingiuntivo, quando invece l'assegnazione era stata annullata dalla cassazione accogliendo l'opposizione agli atti esecutivi proposta dal L.F.. Ad avviso del ricorrente, ove la Corte d'Appello avesse tenuto tale circostanza nel debito conto, avrebbe dovuto ritenere che l'opposizione all'immissione nel possesso dell'immobile della T. era nelle cose e non anche argomentare circa la mancanza di una richiesta di restituzione per escludere l'indennità di occupazione.

4. Con il settimo motivo - art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3; falsa applicazione dell'art. 2043 c.c. - il ricorrente afferma che la Corte di merito avrebbe dovuto riconoscere il danno in re ipsa essendo la condanna della T., conseguente alla possibilità di annullamento del provvedimento di assegnazione dell'immobile, di per sè antigiuridica.

1-4. I motivi, tutti volti a censurare il capo di sentenza che ha escluso il diritto del L.F. ad un'indennità di occupazione sine titulo dell'immobile, sono infondati.

Il primo motivo, relativo ad una pretesa omessa motivazione, è palesemente infondato. Il giudice di merito ha argomentato, in modo articolato, le ragioni della sua scelta decisoria, ritenendo che, dovendosi escludere la ricorrenza del dolo da parte della T., che aveva restituito l'immobile contestualmente alla caducazione del decreto di trasferimento, la T. stessa non era tenuta neppure all'indennità per occupazione senza titolo, mancandone i presupposti, dovendo la stessa essere concessa solo a seguito della richiesta di restituzione, restituzione che, nella specie, era intervenuta spontaneamente, prima di ogni possibile richiesta.

Il secondo, quinto e settimo motivo del ricorso - volti a censurare la sentenza per non aver ritenuto che la mera proposizione dell'opposizione agli atti esecutivi valesse ad escludere la buona fede della T. o che comunque la stessa azione dovesse essere interpretata dal giudice quale equivalente ad una richiesta di restituzione del bene - pure sono del tutto infondati.

La Corte di merito ha dato atto, con motivazione non censurabile e comunque non adeguatamente censurata, che la consapevolezza in capo alla T. del rischio annullamento pendente sull'ordinanza di assegnazione, non faceva venire meno nè il suo titolo nè lo stato soggettivo di buona fede, essendo l'acquisto della disponibilità del bene avvenuto per effetto di un provvedimento reso nell'ambito della procedura esecutiva promossa sul bene stesso. Solo successivamente alla sentenza di questa Corte, che aveva annullato l'ordinanza di assegnazione, il possesso della T. è diventato senza titolo di guisa che, solo in caso di mancata spontanea riconsegna del bene (come per inverso avvenuto), il L.F. avrebbe potuto chiedere, insieme al rilascio, anche il pagamento dei frutti.

La giurisprudenza di questa Corte è consolidata nel senso di ritenere che il possesso di un bene, che sia stato acquisito in forza di un contratto poi dichiarato nullo, resta soggetto ai principi generali fissati dagli artt. 1147 e 1148 c.c. con la conseguenza che, ove sussista la buona fede (da presumersi) alla data del suddetto acquisto, la medesima buona fede non viene esclusa dalla mera proposizione della domanda rivolta a far valere quella nullità, ed il possessore è tenuto alla restituzione dei frutti solo a partire dalla data della domanda di rilascio (Cass., 3, n. 3315 del 4/6/1985; Cass., 2, n. 3097 del 21/4/1988).

La tesi del danno in re ipsa, infine, derivante dalla pretesa antigiuridicità del comportamento della T., è destituita di ogni fondamento perchè si pone in evidente contrasto con i principi consolidati in materia di danno da occupazione senza titolo di un immobile danno che, contrariamente all'assunto del ricorrente, non è in re ipsa ma va provato, sia in ordine all'an sia in ordine al quantum. Si procede ora a trattare degli ulteriori motivi di ricorso, due dei quali - il terzo ed il quarto - aggrediscono una seconda ratio decidendi dell'impugnata sentenza.

5. Con il terzo motivo - art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4 Nullità della sentenza per omessa motivazione - il ricorrente denuncia la nullità della sentenza per non aver motivato in ordine ai potenziali frutti goduti dalla T. nel periodo successivo all'aprile 2007, quando l'immobile fu rilasciato dal terzo che lo aveva occupato a titolo di comodato gratuito.

Il ricorrente assume che, essendo l'occupazione dell'immobile da parte del terzo pacifica fino al 23 aprile 2007 e mai oggetto di impugnazione, la Corte di merito avrebbe dovuto pronunciarsi sul periodo successivo a tale data e per almeno cinque anni fino al 19 aprile 2012, sicchè essendosi limitata a pronunciare fino al 2007, la motivazione sarebbe meramente apparente.

6. Con il quarto motivo - violazione, sotto il profilo dell'art. 112 c.p.c., dell'art. 360 c.p.c., n. 4 - ribadisce la stessa censura, declinandola sotto il profilo della violazione dell'art. 112 c.p.c. 5-6 I due motivi possono essere trattati congiuntamente perchè sostanzialmente sovrapponibili e sono privi di decisività.

La motivazione dell'impugnata sentenza;u1 punto relativo al possesso di buona fede della T. non si limita ad indicare la presenza di un terzo che abbia reso indisponibile l'immobile fino all'aprile del 2007 ma fa riferimento al mancato assolvimento, da parte del L.F., all'onere della prova dei presupposti per ottenere il risarcimento del danno conseguente ad occupazione sine titulo del bene.

Questa ratio decidendi, che prescinde da qualunque riferimento temporale, non è impugnata dal ricorrente sicchè le censure non colgono nel segno.

7. Con il sesto motivo di ricorso - Nullità della sentenza per omesso esame di un capo della domanda in relazione all'art. 112 c.p.c. censura la sentenza per non aver pronunciato sulla domanda riconvenzionale subordinata volta ad ottenere il pagamento di un'indennità ai sensi dell'art. 2041 c.c., nella misura di Euro 99.000,00 oltre interessi.

Il motivo è infondato. I giudici del merito, nel rigettare la domanda volta ad ottenere l'indennità per l'occupazione sine titulo, si sono pronunciati su tutto il petitum, argomentando sulla mancata prova dei danni subìti dal L.F.. Non c'è, peraltro" omessa pronuncia in ordine al rigetto della domanda ex art. 2041 c.c., essendoci un rigetto implicito, valendo le argomentazioni del giudice di merito ad escludere che la detenzione della T. potesse considerarsi senza giusta causa. In ogni caso la domanda sarebbe stata infondata per mancanza della residualità dell'azione, stante le tutele offerte dall'art. 1148 c.c. e dall'istituto dell'occupazione senza titolo.

8. Il ricorso principale va, dunque, rigettato, mentre è assorbito l'incidentale condizionato. Le spese del giudizio di cassazione seguono la soccombenza e sono liquidate come da dispositivo.

 

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso principale, assorbito l'incidentale condizionato e condanna il ricorrente principale a pagare in favore della resistente le spese del giudizio di cassazione liquidate in Euro 5.600 (oltre Euro 200 per esborsi), oltre accessori di legge e spese generali al 15%. Si dà atto ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente principale, dell'ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

Così deciso in Roma, nella Camera di Consiglio della Sezione Terza Civile, il 31 gennaio 2019.

Depositato in Cancelleria il 19 luglio 2019.