Diritto e Procedura Civile


Il Caso.it, Sez. Giurisprudenza, 10419 - pubb. 15/05/2014

Giurisdizione domestica delle Camere: ancora salvi i regolamenti parlamentari. Se lesi i diritti fondamentali, però, accesso al conflitto di attribuzioni

Corte Costituzionale, 09 Maggio 2014, n. 120. Est. Amato.


Giurisdizione domestica – Controversie concernenti il rapporto di impiego dei dipendenti delle Camere parlamentari – Disciplina contenuta nel Regolamento del Senato della Repubblica – Attribuzione al Senato stesso (e, in particolare, al Consiglio di Presidenza) dell'autodichia sui propri dipendenti – Inammissibilità della questione – Sussiste.

Regolamenti parlamentari – Natura giuridica – Sindacabilità – Conflitto di Attribuzione – Sussiste.



E’ inammissibile, in riferimento agli artt. 3, 24, 102, secondo comma, 111, primo, secondo e settimo comma, e 113, primo comma, della Costituzione, la questione di legittimità costituzionale dell’art. 12 del regolamento del Senato della Repubblica, approvato il 17 febbraio 1971, e successive modifiche, nella parte in cui attribuisce al Senato il potere di giudicare in via esclusiva e definitiva i ricorsi avverso gli atti e i provvedimenti adottati dall’amministrazione di quel ramo del Parlamento nei confronti dei propri dipendenti. I regolamenti parlamentari non rientrano espressamente tra le fonti-atto indicate nell’art. 134, primo alinea, Cost. − vale a dire tra le «leggi» e «gli atti aventi forza di legge» − che possono costituire oggetto del sindacato di legittimità rimesso a questa Corte. Nel sistema delle fonti delineato dalla stessa Costituzione, il regolamento parlamentare è espressamente previsto dall’art. 64 come fonte dotata di una sfera di competenza riservata e distinta rispetto a quella della legge ordinaria e nella quale, pertanto, neppure questa è abilitata ad intervenire. L’art. 134 Cost., indicando come sindacabili la legge e gli atti che, in quanto ad essa equiparati, possono regolare ciò che rientra nella competenza della stessa legge, non consente di includere tra gli stessi i regolamenti parlamentari. Risiede dunque in ciò, e non in motivazioni storiche o in risalenti tradizioni interpretative, la ragion d’essere attuale e di diritto positivo dell’insindacabilità degli stessi regolamenti in sede di giudizio di legittimità costituzionale. (Redazione IL CASO.it) (riproduzione riservata)

L’insindacabilità dei regolamenti parlamentari non esclude un controllo giurisdizionale sugli stessi. Infatti, anche norme non sindacabili potrebbero essere fonti di atti lesivi di diritti costituzionalmente inviolabili e, d’altra parte, deve ritenersi sempre soggetto a verifica il fondamento costituzionale di un potere decisorio che limiti quello conferito dalla Costituzione ad altre autorità. L’indipendenza delle Camere non può infatti compromettere diritti fondamentali, né pregiudicare l’attuazione di principi inderogabili. In particolare, davanti a ciò che esuli dalla capacità classificatoria del regolamento parlamentare e non sia per intero sussumibile sotto la disciplina di questo (perché coinvolga beni personali di altri membri delle Camere o beni che comunque appartengano a terzi), deve prevalere la “grande regola” dello Stato di diritto ed il conseguente regime giurisdizionale al quale sono normalmente sottoposti, nel nostro sistema costituzionale, tutti i beni giuridici e tutti i diritti (artt. 24, 112 e 113 della Costituzione). Il rispetto dei diritti fondamentali, tra i quali il diritto di accesso alla giustizia (art. 24 Cost.), così come l’attuazione di principi inderogabili (art. 108 Cost.), sono assicurati dalla funzione di garanzia assegnata alla Corte costituzionale. La sede naturale in cui trovano soluzione le questioni relative alla delimitazione degli ambiti di competenza riservati è quella del conflitto fra i poteri dello Stato: «Il confine tra i due distinti valori (autonomia delle Camere, da un lato, e legalità-giurisdizione, dall’altro) è posto sotto la tutela di questa Corte, che può essere investita, in sede di conflitto di attribuzione, dal potere che si ritenga leso o menomato dall’attività dell’altro». In tale sede la Corte può ristabilire il confine – ove questo sia violato − tra i poteri legittimamente esercitati dalle Camere nella loro sfera di competenza e quelli che competono ad altri, così assicurando il rispetto dei limiti delle prerogative e del principio di legalità, che è alla base dello Stato di diritto. (Redazione IL CASO.it) (riproduzione riservata)


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