Deontologia


Il Caso.it, Sez. Giurisprudenza, 25652 - pubb. 13/07/2021

Decadenza dall'impiego di un magistrato rimasto assente dall'ufficio per un periodo superiore a quindici giorni senza giustificato motivo

Cassazione Sez. Un. Civili, 07 Giugno 2021, n. 15762. Pres. Cassano. Est. Rubino.


Magistrato - Decreto del Ministro della giustizia di decadenza dall'impiego - Natura disciplinare - Esclusione - Conseguenze - Ricorso per cassazione - Inammissibilità



Il decreto del Ministro della Giustizia emesso ex art. 127 del d. P.R. n. 3 del 1957, con il quale si decreta la decadenza dall'impiego di un magistrato per essere rimasto assente dall'ufficio per un periodo superiore a quindici giorni senza giustificato motivo, non ha natura disciplinare e, dunque, non può essere impugnato dinanzi alle Sezioni Unite della Corte di cassazione, quale giudice dell'impugnazione dei provvedimenti disciplinari nei confronti dei magistrati, bensì dinanzi alla giurisdizione amministrativa. (massima ufficiale)


 


Fatto

1. La Dott.ssa B.C. impugna - difendendosi personalmente - il D.M. Giustizia in data 30 settembre 2020 con il quale è stata disposta la sua decadenza dall'impiego per essere rimasta assente ingiustificatamente dall'ufficio per oltre 15 giorni, nonchè il provvedimento presupposto, ovvero la Delib. del CSM di decadenza previo accertamento dei presupposti che determinano la cessazione del rapporto di impiego e il provvedimento di sospensione facoltativa dal servizio che aveva preceduto la declaratoria di decadenza. Propone ricorso per cassazione articolato in tredici motivi. Ha altresì depositato, successivamente alla notifica del ricorso introduttivo, un atto denominato memoria di costituzione in giudizio.

2. - Il Consiglio Superiore della Magistratura resiste con controricorso.

3. - Il Procuratore generale ha depositato conclusioni scritte con le quali chiede che la Corte rigetti il ricorso in quanto inammissibile.

4. - Questi i fatti, per quanto qui di interesse.

Il Procuratore della Repubblica di Siracusa segnalava al CSM che la Dott.ssa B. era rimasta ingiustificatamente assente dal servizio dal (*), senza aver comunicato alcunchè a giustificazione della propria assenza. In data (*) la Dott.ssa B. era raggiunta da una ordinanza di sospensione cautelare facoltativa dalle funzioni e dallo stipendio adottata dalla Sezione disciplinare del Csm e veniva collocata fuori dal ruolo organico della magistratura, con corresponsione di un assegno alimentare. Quindi, con Delib. 24 settembre 2020, il CSM ne dichiarava la decadenza prevista dal combinato disposto del R.D. 30 gennaio 1941, n. 12, art. 276, u.c. e del D.P.R. 10 gennaio 1957, n. 3, art. 127, lett. c), dal primo giorno di assenza ingiustificata. In data 30 settembre 2020 il Ministro della Giustizia ne dichiarava la decadenza dall'impiego.

 

Motivi

5. - Il ricorso è manifestamente inammissibile e ciò esime dall'esame ed anche dall'analitica esposizione dei motivi di ricorso.

6. - Esso è proposto dalla parte personalmente, la Dott.ssa B.C., già magistrato ordinario, sulla base della prospettazione infondata - che si tratti della impugnazione di un provvedimento disciplinare, e nell'erronea ottica che sia tuttora ammissibile proporre personalmente il ricorso avverso il provvedimento disciplinare.

7. - Al contrario, non soltanto il provvedimento impugnato non è qualificabile come provvedimento disciplinare, come meglio si puntualizzerà oltre, ma, anche se lo fosse, la difesa personale della parte non sarebbe in ogni caso ammissibile.

8. Nel giudizio di impugnazione dinanzi alle Sezioni unite dei provvedimenti disciplinari irrogati ai magistrati ordinari, regolato dal codice di procedura penale per tutta la fase introduttiva, della proposizione del ricorso, per effetto del richiamo di cui al D.Lgs. n. 109 del 2006, art. 24, si riteneva che il ricorso alle Sezioni unite potesse essere presentato, ai sensi dell'art. 571 c.p.p., dall'incolpato personalmente o dal difensore nominato prima dell'emanazione del provvedimento impugnato e avente comunque i requisiti per l'esercizio professionale dinanzi alla Cassazione, fermo restando che, ove entrambi avessero presentato ricorso, il giudizio rimaneva unitario, operando la concentrazione delle impugnazioni in un unico processo e dovendosi dunque considerare il complesso dei motivi da essi proposti, con la precisazione che la discussione era però riservata al solo professionista abilitato.

9. Il contesto normativo di riferimento è però cambiato a seguito della sopravvenuta modifica dell'art. 613 c.p.p., operata dalla L. 23 giugno 2017, n. 103, art. 1, comma 63, con la decorrenza di cui del già indicato art. 1, al comma 95 (ovvero dal 3 agosto 2017), che ha eliminato la possibilità per la parte di presentare ricorso personalmente dinanzi alla Corte di cassazione.

9. - Come già precisato da queste Sezioni Unite (Cass. S.U. n. 22427 del 2018; Cass. S.U. pen. 8914 del 2017), tale modifica riguarda non solo la disciplina generale del codice di rito, ma anche le previsioni speciali contenute nel medesimo codice ovvero in altre leggi e quindi si applica anche alle impugnazioni dei provvedimenti disciplinari emessi nei confronti dei magistrati ordinari, regolati, in relazione alla fase introduttiva, dalle norme del codice di procedura penale, senza che ciò, peraltro, possa dar luogo a profili di violazione di norme costituzionali (in particolare art. 24 Cost., art. 111 Cost., comma 7) e convenzionali. Il diritto all'autodifesa stabilito dalla CEDU, secondo quanto affermato dalla Corte di Strasburgo, lascia, infatti, agli Stati contraenti la scelta dei mezzi idonei a consentire al loro sistema giudiziario di garantire siffatto diritto, in modo che si concili con i requisiti di un equo processo (Corte EDU, Sez. 3, 27/04/2006, Sannino c. Italia, p. 48; v. anche Corte EDU, Sez. 5, 21/09/1993, Kremzow c. Austria; Corte EDU, 24/05/1991, p. 52 Quaranta c. Svizzera, p. 29).

10. - A ciò si aggiunga, come ulteriore profilo di inammissibilità del ricorso, che la ricorrente non impugna in effetti un provvedimento disciplinare, adottato dalla apposita Sezione disciplinare del CSM, ma un provvedimento amministrativo, in particolare un decreto del Ministero della Giustizia, con il quale si è decretata la decadenza

dall'impiego della Dott.ssa B., per essere rimasta ingiustificatamente assente dall'ufficio per un periodo superiore a quindici giorni (D.P.R. n. 3 del 1957, ex art. 127), e la presupposta Delib. CSM 24 settembre 2020, con la quale si era verificata la sussistenza dei presupposti di legge per la decadenza. Per consolidata giurisprudenza, la pronuncia di decadenza non ha natura disciplinare. Pertanto da un lato non va adottata con le garanzie proprie dei procedimenti disciplinari (C.d.S. n. 1088 del 2003), dall'altro non può essere impugnata dinanzi alle Sezioni Unite della Corte di cassazione (che sono il giudice dell'impugnazione dei provvedimenti disciplinari adottati dal CSM nei confronti dei magistrati), ma dinanzi alla giurisdizione amministrativa.

11. - Infine, il ricorso non indica chiaramente se si indirizzi solo avverso i provvedimenti amministrativi indicati o se, accomunandoli nell'effetto pregiudizievole complessivo di averne determinato la decadenza dall'impiego, la ricorrente intenda contestare anche la precedente misura cautelare facoltativa di sospensione dalle funzioni e dallo stipendio adottata dal CSM con ordinanza n. 112 del 2019. Rispetto a questo provvedimento, disciplinare, adottato in data 4.11.2019, il ricorso sarebbe in ogni caso tardivo, perchè notificato ampiamente oltre i dieci giorni dal suo deposito.

12. - Il ricorso è pertanto inammissibile.

13. - Le spese seguono la soccombenza e si liquidano come al dispositivo in favore del Ministero controricorrente. Il Consiglio Superiore della Magistratura, costituito con il medesimo controricorso, è il giudice che ha emesso il provvedimento impugnato in questa sede e pertanto non è parte.

14. - Il ricorso per cassazione è stato proposto in tempo posteriore al 30 gennaio 2013, e la ricorrente risulta soccombente, pertanto è gravata dall'obbligo di versare un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso principale, a norma del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, commi 1 bis e 1 quater.

 

P.Q.M.

La Corte dichiara inammissibile il ricorso. Liquida in favore del Ministero della Giustizia l'importo di Euro 3.000,00 oltre spese prenotate a debito.

Dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento da parte della ricorrente di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso principale.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Corte di Cassazione, il 9 febbraio 2021.

Depositato in Cancelleria il 7 giugno 2021.