Crisi d'Impresa e Insolvenza
Il Caso.it, Sez. Giurisprudenza, 24045 - pubb. 11/01/2020
Stato di impotenza economico - patrimoniale impeditivo della possibilità di adempiere con mezzi normali da parte del debitore
Cassazione Sez. Un. Civili, 11 Febbraio 2003, n. 1997. Pres. Grieco. Est. Marziale.
Stato di impotenza economico - Patrimoniale impeditivo della possibilità di adempiere con mezzi normali da parte del debitore - Relativo accertamento - Giudice ordinario - Devoluzione - Dipendenza di tale stato da rapporti obbligatori riservati alla cognizione di un giudice diverso - Rilevanza ai fini della giurisdizione - Esclusione
La dichiarazione di fallimento trova il suo presupposto, dal punto di vista obbiettivo, nello stato d'insolvenza del debitore, il cui riscontro prescinde da ogni indagine sull'effettiva esistenza dei crediti fatti valere nei confronti del debitore (essendo a tal fine sufficiente l'accertamento di uno stato d'impotenza economico - patrimoniale, idoneo a privare tale soggetto della possibilità di far fronte, con mezzi "normali", ai propri debiti) e può quindi essere legittimamente effettuato dal giudice ordinario anche quando i crediti derivino da rapporti riservati alla cognizione di un giudice diverso. (massima ufficiale)
Massimario Ragionato
Svolgimento del processo
1 - Il 5 agosto 1997 il Tribunale di Roma dichiarava il fallimento della società "C.P.P. Costruzioni Pubbliche e Private S.p.a." (d'ora innanzi Società).
La dichiarazione di fallimento era stata pronunciata su ricorso della BANCA POPOLARE DI NOVARA, Soc. coop. a r.l. (d'ora innanzi Banca) che, quale incorporante dell'Istituto Nazionale di Credito Edilizio S.p.a., vantava nei confronti della Società un credito di oltre cinque miliardi di lire a titolo di capitale e interessi per l'omesso pagamento di ratei di mutui edilizi concessi per la realizzazione di alloggi di tipo economico e popolare in relazione a due convenzioni urbanistiche stipulate il 26 marzo 1988 e il 21 aprile 1989 con il Comune di Manduria, in provincia di Taranto. La Società si opponeva, contestando la sussistenza dello stato di insolvenza e assumendo la nullità della sentenza dichiarativa di fallimento sia perché pronunciata da un collegio del quale aveva fatto parte il giudice delegato e sia perché diverso da quello che aveva provveduto alla designazione di tale giudice. L'impugnazione era respinta dal Tribunale, che dichiarava altresì la manifesta infondatezza dei dubbi sollevati dall'opponente in ordine alla legittimità costituzionale dell'art. 18 1. fall, in relazione a quanto disposto dagli artt. 3, 24 e 25 Cost. 1.1 - Tali motivi di doglianza venivano reiterati dalla Società con l'atto d'appello.
1.2 - In quella fase di giudizio interveniva il signor Giulio P. nella qualità di amministratore unico e di fideiussore della Società, il quale - dopo aver rilevato che l'attività spiegata per assicurare un'abitazione ai lavoratori e alle famiglie meno abbienti si configura come servizio pubblico - osservava:
- che la Società si era limitata a predisporre gli alloggi commissionati dal Comune senza alcuna autonomia gestionale in ordine alle loro caratteristiche costruttive e tipologiche, alla fissazione dei prezzi di vendita e alla scelta degli acquirenti;
- che la difficoltà di collocare gli alloggi sul mercato erano state determinate da errori e negligenze della pubblica amministrazione che, appunto per questo, in considerazione di quanto disposto dall'art. 37, secondo comma, l. 865/71, doveva ritenersi subentrata nei rapporti obbligatori derivanti dai mutui ipotecali stipulati dalla società;
- che doveva quindi escludersi che la situazione di dissesto denunziata dalla Banca fosse riferibile alla Società e che ricorressero quindi i presupposti per dichiararne il fallimento;
- che, in ogni caso, il limitato ruolo da essa assolto in tale vicenda e la natura del rapporto in contestazione inibivano il ricorso al giudice ordinario.
Il P. eccepiva, inoltre, l'incompetenza territoriale del Tribunale di Roma, sul rilievo che l'attività costruttiva era stata localizzata in provincia di Taranto, e prospettava l'illegittimità costituzionale della legge 5 agosto 1978, n. 457, recante norme in materia di edilizia residenziale.
Spiegavano intervento, altresì, i signori Franco F. e Andrea P., fornitori della società fallita, manifestando piena adesione alle deduzioni svolte dal P..
1.3 - La Corte d'appello dichiarava gli interventi inammissibili, in relazione a quanto stabilito dall'art. 344 c.p.c. e rigettava l'appello, senza pronunciarsi sulla questione di giurisdizione. 1.4 - La Società e il P., con distinti ricorsi, chiedono la cassazione di tale sentenza. La curatela del fallimento e la Banca resistono, mentre il F. e il P. non hanno spiegato alcuna attività difensiva.
Motivi della decisione
2 - Deve essere preliminarmente disposta la riunione dei due ricorsi ai sensi dell'art. 335 c.p.c. 3 - Il ricorso del P. si articola in quattro motivi, con i quali il ricorrente, dopo aver censurato la sentenza impugnata per aver dichiarato inammissibile il proprio intervento, ripropone le doglianze già formulate nella precedente fase di giudizio, ivi compresa quella concernente il difetto di giurisdizione del giudice ordinario, la cui esistenza è stata prospettata assumendo che la controversia riguarderebbe un rapporto (quello di finanziamento) "strettamente collegato" alla concessione di servizio pubblico rilasciata di Comune di Manduria per la costruzione degli alloggi e, come tale, rientrerebbe nella giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo, in considerazione di quanto stabilito dall'art. 5, legge 1934/71. Per tale ragione, il ricorso è stato rimesso all'esame di queste Sezioni Unite. Attesa la sua pregiudizialità, occorre tuttavia farsi carico, in questa sede, anzitutto dell'esame della censura, puntualizzata nel terzo motivo di ricorso, con la quale si contesta la conformità al diritto del capo della sentenza impugnata che ha dichiarato l'intervento inammissibile.
3.1 - La Corte territoriale, dopo aver posto in evidenza che il P. era intervenuto "nella qualità di amministratore unico della società fallita e di fideiussore di tre istituti di credito ammessi al passivo, affermando di voler tutelare i propri diritti in relazione ai fatti controversi", ha osservato che, alla stregua di quanto disposto dall'art. 344 c.p.c, il terzo può intervenire in appello solo se legittimato a proporre opposizione di terzo ai sensi dell'art. 404 dello stesso codice e che la ricorrenza di tale situazione doveva essere in quel caso esclusa, non essendo il P. titolare di un diritto incompatibile con la situazione giuridica accertata dalla sentenza impugnatali P. - denunziando falsa applicazione degli artt. 344 e 404 c.p.c. - censura tale statuizione per non aver considerato:
- che, quale fideiussore della Società, era tenuto a far fronte al pagamento dei creditori sociali;
- che la dichiarazione di fallimento aveva reso assai più problematiche, per esso ricorrente, le possibilità di rivalersi con successo sul patrimonio della Società;
- che tale pregiudizio, anche se non attuale, era sufficiente a legittimare il suo intervento in appello essendo a tal fine sufficiente il timore di un pregiudizio, sia pur solo "potenziale". 3.2 - La doglianza, in tali termini prospettata, è palesemente infondata.
Invero, non qualsiasi pregiudizio legittima il terzo alla proposizione dell'opposizione di terzo ordinaria (della quale soltanto si controverte nel presente giudizio), ma solo quello che derivi dalla titolarità di una situazione incompatibile con quella accertata o eventualmente costituita dalla sentenza impugnata (Cass. 22 gennaio 1990, n. 336; 8 marzo 1995, n. 2722; 15 febbraio 1999, n. 1231). Muovendo da queste premesse è stata negata la legittimazione a proporre l'opposizione di terzo da parte:
- del conduttore, rispetto alla sentenza che aveva negato al locatore la sussistenza della qualità di conduttore in relazione ad un diverso rapporto, che era stata addotta dal locatore a fondamento della domanda di rilascio avanzata nei suoi confronti (Cass. 17 giugno 1985, n. n. 3652);
- del conducente di un autoveicolo, nei confronti della sentenza di condanna del proprietario al risarcimento dei danni derivanti da incidente stradale (Cass. 10 maggio 1972, n. 1415);
- del condebitore solidale, in genere, rispetto alle sentenza di condanna pronunciata nei confronti di altro coobbligato (Cass. 15 febbraio 1999, n. 1231). Non vi è dubbio, quindi, che a conclusioni non diverse debba pervenirsi anche nel caso di specie, essendo evidente che la situazione accertata dalla sentenza impugnata (l'insolvenza debitore principale, cioè della Società), come esattamente rilevato dalla sentenza impugnata, non è in alcun modo incompatibile con i "diritti" fatti valere dal ricorrente nel presente giudizio. 4 - L'infondatezza della censura appena esaminata, porta a ritenere assorbita quelli prospettati dal P. con lo stesso ricorso, ivi compresa quella specificata nel primo motivo di ricorso, con il quale, come si è anticipato, la sentenza impugnata è stata censurata per non aver rilevato il difetto di giurisdizione del giudice ordinario (retro, p. 3).
4.1 - Reputa tuttavia non inutile questa Corte precisare, a quest'ultimo riguardo, che il difetto di giurisdizione, sotto il profilo prospettato, sarebbe comunque chiaramente insussistente, essendo pacifico che, in base a quanto stabilito dal citato art. 5, legge 1034/71, la giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo rimane circoscritta alle vertenze riguardanti il rapporto concessorio, senza ricomprendere le controversie relative a rapporti che - come quello di finanziamento attivato dalla società concessionaria con l'Istituto Nazionale di Credito Edilizio, successivamente incorporato dalla Banca - hanno natura privatistica e sono quindi estranei al rapporto di concessione, pur essendo ad esso funzionalmente collegati (Cass., sez. un., 23 luglio 2001, n. 10013; (ord.) 7 febbraio 2002, n. 1764).
Nè, stando agli elementi acquisiti, l'asserito difetto di giurisdizione potrebbe essere riscontrato sotto diversi profili, dal momento che il presente giudizio era già pendente alla data del 30 giugno 1998 e che, pertanto, non possono venire in considerazione, nel caso di specie, gli ampliamenti apportati alla giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo dall'art. 33, d.lgs. 31 marzo 1998, n. 80 e le sue modificazioni (art. 45, comma 18, stesso decreto). Il che dispensa dall'osservare:
- da un lato, che anche in basa a quanto stabilito da tale disposizione, un determinato "servizio" può essere qualificato come "pubblico" solo se l'attività in cui si realizza è diretta a soddisfare in via immediata esigenze della collettività e che, pertanto, esulano dal suo ambito le prestazioni, di carattere strumentale, rese al soggetto preposto al suo esercizio (Cass., sez. un., 30 marzo 2000, n. 71; 30 marzo 200, n. 72; 12 novembre 2001, n. 14032);
- dall'altro, che la dichiarazione di fallimento trova il suo presupposto, dal punto di vista obbiettivo, nello stato d'insolvenza del debitore, il cui riscontro prescinde da ogni indagine sull'effettiva esistenza dei crediti fatti valere nei confronti del debitore (essendo a tal fine sufficiente l'accertamento di uno stato d'impotenza economico-patrimoniale, idoneo a privare tale soggetto della possibilità di far fronte, con mezzi "normali", ai propri debiti) e può quindi essere legittimamente effettuato dal giudice ordinario anche quando i crediti derivino da rapporti riservati alla cognizione di un giudice diverso (Cass., sez. un., 13 marzo 2001, n. 115). 5 - In conclusione, il terzo motivo del ricorso dal P. deve essere quindi rigettato. Gli altri motivi formulati con lo stesso ricorso rimangono assorbiti.
Per ciò che concerne i motivi dedotti con l'altro ricorso, proposto dalla società "C.P.P. Costruzioni pubbliche e Private S.p.a.", gli atti, in ottemperanza a quanto stabilito dall'art. 142 d.att. c.p.c., vanno rimessi al Primo Presidente di questa Corte per l'assegnazione alla sezione semplice competente.
P.Q.M.
La Corte di Cassazione, a sezioni unite, riuniti i ricorsi, rigetta il terzo motivo del ricorso proposto dal P., dichiara assorbiti gli altri motivi formulati con lo stesso ricorso e rimette gli atti al Primo Presidente per l'assegnazione alla sezione semplice competente all'esame dei motivi dedotti con l'altro ricorso.
Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio, il 27 settembre 2002.
Depositato in Cancelleria il 11 febbraio 2003