Crisi d'Impresa e Insolvenza
Il Caso.it, Sez. Giurisprudenza, 20390 - pubb. 11/01/2018
Azionabilità in sede arbitrale del credito verso impresa fallita o sottoposta ad amministrazione straordinaria
Cassazione Sez. Un. Civili, 21 Luglio 2015, n. 15200. Est. Travaglino.
Credito verso impresa fallita o sottoposta ad amministrazione straordinaria - Azionabilità in sede arbitrale - Esclusione - Fondamento
Amministrazione straordinaria - Accertamento del passivo - Credito devoluto alla giurisdizione di arbitro straniero - Provvedimento di ammissione al passivo con riserva - Proposizione di regolamento preventivo di giurisdizione - Inammissibilità - Fondamento
Procedimento concorsuale - Regolamento preventivo di giurisdizione proposto in pendenza di opposizione ex art. 98 legge fall. - Inammissibilità – Fondamento
In sede arbitrale non possono essere fatte valere ragioni di credito vantate verso una parte sottoposta a fallimento o ad amministrazione straordinaria, giacché l'effetto attributivo della cognizione agli arbitri, proprio del compromesso o della clausola compromissoria, è comunque paralizzato dal prevalente effetto, prodotto dal fallimento o dall'apertura della procedura di amministrazione straordinaria, dell'avocazione dei giudizi, aventi ad oggetto l'accertamento di un credito compreso nella procedura concorsuale, allo speciale ed inderogabile procedimento di verificazione dello stato passivo. (massima ufficiale)
Qualora, nell'ambito di una procedura di amministrazione straordinaria, sia invocata l'ammissione al passivo, contestata con opposizione ex art. 98 legge fall., di un credito il cui accertamento è già devoluto alla giurisdizione di un arbitro straniero, permane il potere del giudice concorsuale di ammettere il credito con riserva, considerandolo come condizionale rispetto all'esito del processo pendente dinanzi al giudice competente, senza che sussista, in tal caso, una questione di giurisdizione proponibile con lo strumento del regolamento ex art. 41, primo comma, cod. proc. civ. (massima ufficiale)
È inammissibile il regolamento preventivo di giurisdizione proposto, nell'ambito di una procedura concorsuale, in pendenza del giudizio di opposizione avverso il decreto del giudice delegato che abbia ammesso o escluso, in tutto o in parte, la pretesa creditoria ex art. 95, terzo comma, legge fall., non essendo più utilizzabile lo strumento di cui all'art. 41, primo comma, cod. proc. civ., quando il giudice del merito abbia reso una decisione anche soltanto limitata alla giurisdizione o ad altra questione processuale, laddove il suddetto provvedimento del giudice delegato ha natura decisoria, è idoneo, ove non tempestivamente opposto, ad acquisire efficacia di giudicato endoprocedimentale e l'eventuale successiva opposizione instaura un giudizio diverso da quello concluso mediante esso. (massima ufficiale)
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONI UNITE CIVILI
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. ROVELLI Luigi Antonio - Primo Presidente f.f. -
Dott. RORDORF Renato - Presidente di Sez. -
Dott. RAGONESI Vittorio - Consigliere -
Dott. MAZZACANE Vincenzo - Consigliere -
Dott. VIVALDI Roberta - Consigliere -
Dott. NAPOLETANO Giuseppe - Consigliere -
Dott. AMBROSIO Annamaria - Consigliere -
Dott. TRAVAGLINO Giacomo - rel. Consigliere -
Dott. DI IASI Camilla - Consigliere -
ha pronunciato la seguente:
Ordinanza
Svolgimento del processo
1. Il 10 agosto 2000 la Valtur S.p.A. e la N. Egypt For Tourism Investments S.A.E stipularono un primo accordo con il quale la N. concedeva in locazione alla Valtur, per la durata di 6 anni, due strutture alberghiere ubicate nella località turistica egiziana Sharm El Sheikh.
Con un nuovo accordo del 9 settembre 2006, le parti prorogarono di cinque anni la locazione, concordandone la scadenza al 15 settembre 2011.
Con missiva del 15 dicembre 2010, la N. comunicò l'avvenuta risoluzione del contratto alla controparte, lamentando che quest'ultima aveva omesso di reintegrare la garanzia bancaria di cui all'art. 17.2 del contratto di locazione.
Il 17 dicembre 2010, N. propose istanza di procedimento arbitrale presso la camera di commercio internazionale di Parigi nei confronti della Valtur, che, in data 11 marzo 2011, contestò tutte le avverse pretese.
Con lettera dell'8 luglio 2011, la stessa Valtur comunicò alla N. che, a far data dal 1 agosto 2011, avrebbe avuto inizio l'attività di riconsegna del resort, stabilita per il 15 settembre, invitandola a presenziare.
Il 16 agosto 2011 si conclusero le operazioni di chiusura e restituzione delle strutture turistiche, come accertato anche dalla relazione tecnica depositata in sede arbitrale, che escluse l'esistenza di danni arrecati ai beni oggetto di locazione.
Con decreto del 18 ottobre 2011, il Ministero dello Sviluppo Economico dispose l'ammissione della Valtur alla procedura di amministrazione straordinaria, a norma del D.L. 23 dicembre 2003, n. 347, art. 2, comma 2, convertito nella L. 18 febbraio 2004, n. 39.
Con sentenza n. 791 del 2011, il Tribunale di Milano ne dichiarò lo stato di insolvenza; con successivo decreto del 2 dicembre 2011, integrando la sentenza, posticipò l'adunanza per l'esame dello stato passivo al 22 maggio 2012, assegnando ai creditori e ai terzi termine sino a trenta giorni prima di detta udienza.
La N. impugnò quest'ultimo provvedimento (e la relativa controversia è oggetto di un diverso giudizio inter partes pendente davanti al Tribunale di Milano).
Con la domanda d'insinuazione al passivo della procedura d'amministrazione straordinaria innanzi al tribunale di Milano, depositata il 20.2.2012, la N. eccepì la pendenza del procedimento arbitrale innanzi alla Camera di Commercio Internazionale di Parigi avente ad oggetto la determinazione del credito derivante dal mancato tempestivo rilascio del resort di Sharm- El-Sheikh e l'accertamento di altri inadempimenti del contratto: richiamato l'art. 15 del Regolamento CE del Consiglio n. 1346/2000 e la normativa processuale francese a suo dire applicabile per effetto del citato Regolamento, la locatrice, premesso il carattere esclusivo della giurisdizione arbitrale, chiese pertanto l'ammissione al passivo con riserva del credito oggetto di arbitrato, condizionandola all'esito di quel procedimento. La natura di arbitrato estero della procedura sarebbe stato provato, a detta della N., dall'atto adottato dalle parti sulla base della clausola arbitrale di cui all'art. 18.03 del contratto di locazione stipulato a Roma il 10 agosto 2000.
Davanti al giudice italiano della procedura concorsuale, venne così precisata la questione della giurisdizione: "La decisione sull'esistenza e sull'ammontare del credito è dunque riservata, per effetto del combinato disposto dell'art. 15 Reg. n. 1346/2000 e dell'art. L622-22 del codice di commercio francese, alla giurisdizione del collegio arbitrale, avente sede in Francia. Gli organi della procedura sono dunque tenuti a conformarsi alla decisione del collegio (in ordine all'ammontare del credito).
L'ammissione dovrà dunque essere disposta con riserva, nei limiti della domanda che sarà accertata dal collegio arbitrale nel procedimento amministrato dalla camera di commercio internazionale n. 17595/FM. L'art. 15 Reg. n. 1346/2000 costituisce, invero, un caso in cui la legge stabilisce appunto l'ammissione con riserva e, quindi, la recezione, da parte del giudice del fallimento, dell'accertamento del credito operato in altra sede, ai sensi dell'art. 96, comma 3 (ora 2, essendo il comma 2 stato abrogato dal D.Lgs. n. 169 del 2007, art. 6).
Con il ricorso per l'ammissione al passivo venne ancora specificato, con riferimento alla domanda oggetto di arbitrato, che essa era stata precisata nel Full Statement of Claim e che il relativo petitum, in considerazione della maturazione della penale contrattuale almeno fino al 17 febbraio 2012 (sul presupposto che la penale per ritardato rilascio del Resort, in considerazione delle disastrose condizioni al momento del rilascio, dovesse applicarsi per almeno i sei mesi successivi al rilascio stesso, avvenuto il 17 agosto 2011), era stato quantificato in USD 22.717.671,38, di cui USD 2.597.671,38 a titolo di canoni ed indennità non pagate e USD 20.120.000,004 a titolo di penale per violazione dell'obbligo di restituzione del resort nello stato manutentivo contrattualmente dovuto.
La domanda di insinuazione al passivo, per quanto di rilievo nel presente giudizio, venne proposta nei termini che seguono: la N. chiede l'ammissione al passivo di Valtur in amministrazione straordinaria con riserva, di tutti i crediti di N. Egypt far Tourism Investments che saranno accertati dal collegio arbitrale nella procedura di arbitrato internazionale amministrato dalla Corte arbitrale della Camera di Commercio Internazionale di Parigi, numero di ruolo 17595/FM, come da domanda oggetto di tale procedura.
In data 17 aprile 2012, l'odierna ricorrente notificò alla Valtur, in persona dei tre commissari straordinari, un atto contenente la domanda (il già citato Full Statement of Claim) e il provvedimento del collegio arbitrale, indicando tutti i termini del calendario del relativo procedimento. Accertata l'intervenuta notifica del procedimento arbitrale anche alla Valtur in amministrazione straordinaria, con ordinanza 28 maggio 2012 il collegio arbitrale concesse a quest'ultima termine fino al 28 giugno 2012 per depositare le eventuali difese.
Il 26 giugno 2012 venne emanato dal Tribunale di Milano il decreto di formazione ed esecutività dello stato passivo della Valtur, e, come da domanda della N., e nonostante l'opposizione del rappresentante dei commissari straordinari, la società istante fu ammessa al passivo, in via condizionata, ex art. 55, comma 3, L.F. all'esito del giudizio arbitrale internazionale, sia in quanto il petitum era fondato sulla risoluzione contrattuale verificatasi antecedentemente alla dichiarazione di insolvenza - con conseguente applicabilità dell'art. 72, comma 5, L.F. - sia in quanto i commissari non si erano sciolti dalla clausola arbitrale. La difesa della Valtur in sede arbitrale venne depositata il 29 giugno 2012. Venne in tal sede eccepita la sopravvenuta carenza di giurisdizione del collegio arbitrale e la giurisdizione esclusiva del Tribunale fallimentare. Il provvedimento del Giudice delegato, per la parte in cui rigettava la domanda in relazione al mancato riconoscimento della prededuzione e del privilegio, venne opposto, con atto del 4 ottobre 2012, dalla N., con cinque motivi non attinenti alla giurisdizione nè alla materia sottoposta al collegio arbitrale (la determinazione dell'ammontare del credito), ma al grado di preferenza nell'ambito dello stato passivo.
Con memoria del 5 aprile 2013, costituendosi innanzi al Tribunale di Milano nella fase di opposizione (procedimento 66447/2012), la Valtur, in via riconvenzionale, chiese l'accertamento della giurisdizione esclusiva del giudice italiano anche in ordine alla determinazione del credito della N. (credito la cui esistenza veniva peraltro contestata nel merito), proponendo opposizione incidentale con la quale si instava per la revoca e comunque per l'eliminazione dallo stato passivo dell'ammissione con riserva della somma di Euro 15.748.750.
All'udienza del 16 aprile 2013, la N. eccepì l'inammissibilità dell'appello incidentale e, comunque, il difetto di giurisdizione dell'autorità giudiziaria italiana a conoscere del merito della controversia poichè devoluta in arbitrato internazionale All'udienza del 29 ottobre 2013, il Tribunale ordinario di Milano invitò formalmente i commissari straordinari ad accettare la giurisdizione arbitrale, ma, alla successiva udienza del 17 dicembre 2013, questi rifiutarono la proposta, insistendo nella relativa eccezione di carenza di giurisdizione e nella conseguente richiesta di accertamento della giurisdizione esclusiva del Tribunale ordinario di Milano in ordine alla determinazione del credito della N..
Nelle more, con provvedimento del 4 dicembre 2013, il Collegio arbitrale, esaurita la complessa istruttoria, dichiarò la causa matura per la decisione, fissando il termine del 30 gennaio 2014 per il deposito delle ultime note difensive.
2. Con ricorso per regolamento di giurisdizione del 24 febbraio 2014, la N. ha chiesto a questa Corte, relativamente alla determinazione del credito oggetto della ammissione al passivo con riserva nel procedimento di amministrazione straordinaria pendente innanzi al Tribunale ordinario di Milano, di accertare l'esclusiva giurisdizione del collegio arbitrale avente sede a Parigi, come amministrato dalla Camera di Commercio Internazionale di Parigi.
A detta della società ricorrente, il tema proposto dalle parti nel procedimento di opposizione allo stato passivo pendente innanzi al Tribunale ordinario di Milano introduceva una questione di giurisdizione, essendo controverso se l'autorità giudiziaria italiana, in sede di procedimento concorsuale, potesse conoscere e decidere una controversia già oggetto di arbitrato estero attualmente pendente, ovvero limitarsi a recepire il lodo arbitrale in seno al procedimento di determinazione del passivo dell'amministrazione straordinaria.
Deduce in premessa la N. che, a far data dall'ordinanza di cui a Cass. S.U. 25 ottobre 2013, n. 24153, queste sezioni unite hanno affermato, rivedendo il proprio precedente orientamento, che la potestas iudicandi rispetto a un thema decidendum devoluto ad arbitrato estero integra una questione di giurisdizione e non di competenza, rivelandosi dunque ammissibile il ricorso ex art. 41 cod. proc. civ. poichè il procedimento di opposizione avente ad oggetto la domanda di accertamento della giurisdizione esclusiva del Tribunale ordinario di Milano risultava ancora pendente, con udienza di discussione fissata innanzi al Giudice Istruttore in data 11 marzo 2014.
Nell'illustrare ulteriormente il proprio ricorso, osserva ancora la N. che, di fronte al fatto storico dell'esistenza di un procedimento arbitrale estero, l'autorità giudiziaria italiana difetterebbe di giurisdizione per determinare se l'arbitrato fosse pendente al momento della dichiarazione di insolvenza e validamente proseguito, specificando poi di aver immediatamente eccepito (L. n. 218 del 1995, ex art. 4), all'udienza del 16 aprile 2013, la carenza di giurisdizione italiana sul punto, essendo la relativa questione demandata al collegio arbitrale estero e, in sede di controllo della legittimità del lodo, all'autorità giudiziaria francese.
Soltanto il collegio arbitrale (ed, in ultima analisi, in sede di controllo, l'autorità giudiziaria avanti alla quale pende l'arbitrato, cioè l'autorità giudiziaria francese) avrebbe, pertanto, giurisdizione per stabilire l'effetto della sopravvenuta declaratoria di insolvenza che ha investito la convenuta in arbitrato sulla giurisdizione arbitrale. E sarebbe all'uopo sufficiente - sulla base di quanto statuito da queste Sezioni Unite con la citata ordinanza n. 24153 del 2013 - il fatto storico, pacifico, della pendenza dell'arbitrato estero avente ad oggetto l'esistenza e l'ammontare del credito della N. (correttamente ammesso con riserva nel passivo della procedura di insolvenza di Valtur) e la tempestiva eccezione L. n. 218 del 1995, ex art. 4 per impedire che, in conseguenza del fallimento della parte convenuta in arbitrato, si radichi la giurisdizione italiana non solo sul merito della controversia devoluta all'arbitrato estero, ma anche sulla idoneità dell'arbitrato de quo a produrre effetti sulla e nella procedura concorsuale aperta in Italia.
Se, con l'opposizione incidentale contro il provvedimento d'ammissione con riserva, la Valtur sostiene che l'accertamento di un credito ammesso al passivo apparterrebbe alla giurisdizione italiana anche nel caso di pendenza di procedimento giudiziario od arbitrale all'estero perchè la legge fallimentare italiana prevede la competenza (e, dunque, nel rapporto con procedimenti pendenti in altre giurisdizioni, la giurisdizione) esclusiva del Tribunale fallimentare in ordine all'accertamento dell'esistenza di qualunque credito, sia (già) controverso che non, insinuato nel passivo fallimentare, secondo la N. occorrerebbe preliminarmente definire, viceversa, quale sia la legge che governa la questione di giurisdizione in esame, atteso che, nella specie, questa sarebbe (non il R.D. n. 267 del 1942, ma) il Regolamento CE del Consiglio n. 1346/2000 sulle procedure di insolvenza con implicazioni transfrontaliere, il cui ottavo considerando, in punto di "disposizioni in materia di giurisdizione", precisa che lo scopo del Regolamento è appunto sostituire le disposizioni nazionali (in tema di giurisdizione) con "un provvedimento di diritto comunitario vincolante e direttamente applicabile negli Stati membri".
Gli artt. 4 f) e 15 del Regolamento sulle procedure di insolvenza regolerebbero il rapporto tra apertura di un procedimento concorsuale in una giurisdizione dell'Unione Europea e liti pendenti in altra giurisdizione europea, come nel caso di specie, attesa la pendenza dell'arbitrato estero in Francia. Le norme in parola dispongono che la lex fori concursus "determina in particolare ... gli effetti della procedura di insolvenza sulle azioni giudiziarie individuali, salvo che per i procedimenti pendenti" (art. 4 f), mentre il successivo art. 15 specifica che "gli effetti della procedura di insolvenza su un procedimento pendente relativo ad un bene o un diritto del quale il debitore è spossessato sono disciplinati esclusivamente dalla legge dello Stato membro nel quale il procedimento è pendente". Il principio così espresso implicherebbe che il sopravvenire di una procedura concorsuale in un altro Paese dell'Unione non incide in alcun modo sulla giurisdizione del Paese in cui pende la lite, spettando esclusivamente alla legge di tale Paese disciplinare gli effetti che il sopravvenire della procedura concorsuale produce sul giudizio pendente: nel caso di specie, l'incidenza della procedura concorsuale italiana sulla procedura arbitrale che, in ragione della sua sede, sarebbe disciplinata dal diritto francese. La legge francese - specifica ancora la ricorrente - prevede, in proposito, che l'arbitrato, laddove il collegio arbitrale sia già costituito al momento (21 ottobre 2011) della dichiarazione di insolvenza (nella specie, il collegio era costituito dal 10 giugno 2011, data di spedizione del fascicolo dalla Camera di commercio internazionale agli arbitri, costituzione poi confermata dalle parti con la sottoscrizione del mandato ad arbitrare in data 14 settembre 2011, a definitiva e non redimibile esecuzione della clausola compromissoria), prosegua (e, dunque, mantenga la giurisdizione, con conseguente esclusione della giurisdizione del forum concursus) alla sola condizione che il creditore depositi istanza di ammissione al passivo (condizionata all'esito del procedimento di accertamento già pendente). Secondo il codice di commercio francese, le cause pendenti proseguono nonostante la declaratoria di insolvenza e l'apertura del procedimento di verificazione dello stato passivo (che, invero, mal si attaglierebbe alla complessa istruttoria avente ad oggetto l'accertamento di una res litigiosa), ma la domanda di condanna si ridurrebbe e convertirebbe automaticamente in domanda di accertamento: la società ammessa alla procedura concorsuale non verrebbe condannata al pagamento del credito accertato dal giudice o arbitro avente giurisdizione sulla causa pendente (il che comporterebbe una lesione della par condicio), essendo la graduazione dei pagamenti, essa sì, ricompresa nella giurisdizione esclusiva dell'autorità giudiziaria avanti alla quale pende la procedura di insolvenza. La decisione sull'esistenza e sull'ammontare del credito sarebbe dunque riservata, per effetto del combinato disposto dell'art. 15 Reg. n. 1346/2000 e delle disposizioni del codice di commercio francese, alla giurisdizione del collegio arbitrale avente sede in Francia, mentre la giurisdizione italiana, con l'apertura della procedura di insolvenza, sarebbe limitata all'inserimento e alla graduazione del credito nell'ambito della procedura concorsuale - e, quindi, in ordine al saggio di conversione del credito in moneta fallimentare, ma non alla determinazione dell'ammontare del credito controverso.
Il principio ispiratore del Regolamento n. 1346/2000 consisterebbe, difatti, nello stabilire, per le materie in esso contemplate, regole di conflitto uniformi che sostituiscono - nel loro ambito di applicazione - le norme nazionali di diritto internazionale privato (23 considerando), e cioè regole aventi ad oggetto procedure pendenti in diversi Paesi (a prescindere, ovviamente, dalla nazionalità delle parti). Il che postula che la regola di conflitto contenuta nel Regolamento (nella specie, l'art. 15 in ordine al conflitto tra procedimenti di accertamento individuale di un credito già pendente in altro Stato membro prima dell'apertura della procedura concorsuale, e procedimento di accertamento del passivo) si applichi a prescindere dalla nazionalità del creditore e/o del debitore. Allo stesso modo, il già ricordato ottavo considerando, in punto "disposizioni in materia di giurisdizione", dispone che lo scopo del Regolamento è quello di sostituire le disposizioni nazionali con un provvedimento di diritto comunitario vincolante e direttamente applicabile negli Stati membri. In via di mero subordine, sostiene ancora la N., quand'anche fosse applicabile la legge italiana e non quella francese, la conclusione non cambierebbe, in quanto, in applicazione del combinato disposto dell'art. 72, comma 5 e art. 83-bis L.F., come indicato dal provvedimento di ammissione con riserva del giudice delegato, il contratto in cui era contenuta la clausola arbitrale non poteva essere sciolto dagli organi della procedura e/o per effetto del fallimento, essendo esso già stato risolto al momento della dichiarazione d'insolvenza (la domanda di arbitrato era appunto volta all'accertamento della risoluzione per fatto e colpa della Valtur, e delle conseguenti penali dovute per il mancato rilascio ed l'omessa manutenzione), e ciò a prescindere dal fatto che, in concreto, i commissari straordinari non si erano avvalsi di tale facoltà in pendenza del relativo giudizio arbitrale, tra l'altro avente ad oggetto anche una domanda riconvenzionale della Valtur, non rinunciata nè rinunciabile senza l'accordo della N..
Ne conseguirebbe, in definitiva, sotto qualunque, profilo, la giurisdizione esclusiva del collegio arbitrale estero e, in sede di controllo del lodo, dell'autorità giudiziaria francese, con conseguente difetto di giurisdizione dell'autorità giudiziaria italiana in ordine alla determinazione del diritto di credito della N. ammesso con riserva nel procedimento di verifica dello stato passivo della amministrazione straordinaria della Valtur.
3. Il ricorso della N. - secondo la contro ricorrente Valtur - sarebbe manifestamente inammissibile.
La società egiziana, difatti, chiede preliminarmente che queste sezioni unite accertino la giurisdizione arbitrale relativamente alla determinazione del credito oggetto dell'ammissione al passivo con riserva nel procedimento di amministrazione straordinaria pendente innanzi al Tribunale ordinario di Milano, mentre, al folio 17 del ricorso, si sostiene che la "graduazione dei pagamenti" (e dunque ogni legittima causa di prelazione) rientra nella "giurisdizione esclusiva dell'autorità giudiziaria avanti alla quale pende la procedura di insolvenza".
La N. invocherebbe, pertanto, l'affermazione, da un canto, della giurisdizione esclusiva dell'arbitrato estero circa la determinazione del credito, dall'altro, la giurisdizione esclusiva del Tribunale fallimentare italiano quanto alla sua graduazione, pretendendo così di scindere, in maniera artificiale, l'accertamento di uno stesso credito e di uno stesso rapporto che, per principio inderogabile, non potrebbe che essere compiuto in un unico momento e dinanzi allo stesso giudice.
Se la graduazione dei pagamenti deve essere decisa dal Tribunale fallimentare di Milano, a tale organo deve altresì essere rimessa la valutazione della causa del credito - valutazione che non potrebbe, pertanto, essere rimessa ad un Giudice straniero, la cui eventuale decisione non potrebbe a sua volta condizionare quella del giudice delegato alla procedura concorsuale.
Motivi della decisione
4. Il ricorso della società N. deve essere dichiarato inammissibile - in disparte, al momento, la questione dell'applicabilità del Regolamento CE 1346/2000 (di cui si tratterà più innanzi).
L'inammissibilità deve essere dichiarata per molteplici, concorrenti ragioni. La prima è quella per cui, anche in caso di suo accoglimento, la decisione non potrebbe spiegare efficacia nel procedimento di opposizione allo stato passivo pendente inter partes, in quanto il procedimento di amministrazione straordinaria pendente innanzi al Tribunale ordinario di Milano (come indicato anche nel petitum del presente ricorso per regolamento) si è già concluso con la decisione del giudice delegato del Tribunale in data 26 giugno 2012.
Come espressamente previsto dall'art. 41 c.p.c., comma 1, "finchè la causa non sia decisa nel merito in primo grado, ciascuna parte può chiedere alle sezioni unite della corte di cassazione che risolvano le questioni di giurisdizione di cui all'art. 37".
La giurisprudenza di codesta S.C. è ferma nel ritenere che il regolamento preventivo di giurisdizione non sia proponibile, e debba essere dichiarato inammissibile, dopo che il giudice di merito abbia emesso una decisione anche soltanto limitata alla giurisdizione o ad altra questione processuale, fissando in tale momento il termine finale per la proposizione del regolamento. In materia fallimentare, il provvedimento con il quale il giudice delegato ammette o esclude, in tutto o in parte, la pretesa creditoria ex art. 95, comma 3, L. Fall., ha natura decisoria, e, in caso di mancata tempestiva opposizione nelle forme e nei termini ex artt. 98 e 99 L. Fall., è idoneo ad acquisire efficacia definitiva di cosa giudicata endoprocedimentale. L'art. 95 prevede, infatti, al comma 3, che, all'udienza fissata per l'esame dello stato passivo, "il giudice delegato, anche in assenza delle parti, decide su ciascuna domanda, nei limiti delle conclusioni formulate ed avuto riguardo alle eccezioni del curatore, a quelle rilevabili d'ufficio ed a quelle formulate dagli altri interessati".
La fase - successiva ed eventuale - di opposizione, la cui finalità consiste nel rimuovere un provvedimento che, se non opposto, è destinato ad acquistare efficacia di giudicato endofallimentare, rappresenta un giudizio diverso da quello destinato a concludersi con il provvedimento del giudice delegato (Cass. 4 luglio 2012, n. 11146; Cass. n. 4708 del 2011), come confermato dal carattere impugnatorio del giudizio di opposizione al passivo e dall'esclusiva ricorribilità per cassazione, ex art. 99, comma 12, l. fall., del decreto che lo definisce.
Nella specie, in data 26 giugno 2012 il Tribunale di Milano aveva emanato il decreto di formazione ed esecutività dello stato passivo della Valtur, ammettendovi la N. "condizionatamente, ex art. 55, comma 3, L.F., all'esito del giudizio arbitrale internazionale riassunto pendente davanti al Tribunale Arbitrale presso la Corte Arbitrale della Camera di Commercio di Parigi", mentre il ricorso per regolamento di giurisdizione è stato introdotto il 24.2.2014.
Ne consegue che, in seno al procedimento concorsuale, una decisione (anche se non condivisa da Valtur, e per questo dalla stessa opposta, in via incidentale, a seguito dell'opposizione principale proposta da N.) è stata espressamente adottata circa due anni prima della proposizione dell'odierno atto di impugnazione.
La seconda è quella per cui, alla luce della stessa giurisprudenza di questa Corte (Cass. S.U. n. 12371 del 2008; Cass. Sez. 1, 29 gennaio 1999, n. 789), nell'ipotesi - assimilabile a quella di specie - di richiesta di ammissione al passivo di un credito contestata con opposizione ex art. 98 della legge fallimentare, se le questioni relative all'esistenza e liquidità del credito stesso siano devolute alla giurisdizione esclusiva di altro giudice (in quelle ipotesi, contabile o amministrativo), non viene meno il potere del giudice fallimentare di ammettere con riserva il credito stesso considerandolo come condizionale, sciogliendo poi tale riserva all'esito della definizione del giudizio amministrativo.
A tale soluzione, che il collegio condivide e alla quale intende dare continuità, questa Corte è pervenuta alla luce del duplice rilievo per cui, da un canto, va garantita al titolare del credito contestato la possibilità di partecipare al riparto mediante accantonamento in attesa della decisione del giudice competente (decisione che potrebbe intervenire quando la procedura fallimentare è già chiusa, o comunque quando il riparto dell'attivo sia già in tutto o in parte avvenuto); dall'altro, trova comunque applicazione il principio generale per cui, in caso di controversia sul credito sottratta alla cognizione del giudice fallimentare (perchè quest'ultimo è carente di giurisdizione, o perchè sussiste una competenza inderogabile di altro giudice), gli organi del fallimento devono considerare il credito assimilabile ai crediti condizionati, con facoltà di ammetterlo con riserva, da sciogliersi dopo la definizione del processo dinanzi al giudice giurisdizionalmente competente, in relazione all'esito di tale giudizio.
Ne consegue che la questione posta dalla ricorrente non rientra, strido sensu, tra quelle "di giurisdizione" proponibili con lo strumento del regolamento ex art. 41 c.p.c..
Se la controricorrente Valtur, pur non negando che, nel contratto stipulato tra le parti, fosse stata inserita una clausola compromissoria per arbitrato davanti alla Camera di Commercio Internazionale di Parigi, ha poi sostenuto che, in seguito alla sua ammissione alla procedura di amministrazione straordinaria e alla sua dichiarazione d'insolvenza, il procedimento arbitrale instaurato dalla N. si sarebbe interrotto e, comunque, avrebbe dovuto considerarsi definitivamente improcedibile (e ciò perchè, contrariamente a quanto si legge nel provvedimento del Giudice Delegato, i Commissari Straordinari avevano espressamente e chiaramente manifestato la volontà di non considerarsi vincolati alla clausola compromissoria, dichiarando di sciogliersi da essa e di revocare la nomina di arbitro, e conseguentemente chiesto che il procedimento arbitrale venisse definitivamente interrotto e dichiarato improcedibile), tale conclusione, al di là della sua condivisibilità, non impinge direttamente e immediatamente in una quaestio iurisdictionis, ma attiene più propriamente al merito della causa, al merito, cioè, dei rapporti tra procedura di ammissione del credito con riserva e procedimento arbitrale.
La questione sottoposta dalla N. all'esame di codesta S.C., pertanto, non riguarda, in senso tecnico, una questione di giurisdizione, ma afferisce agli effetti della dichiarazione di insolvenza sulla procedura arbitrale pendente all'atto di tale dichiarazione, questione che rientra ipso facto nella cognizione dello stesso giudice adito dalla N. in sede di opposizione al decreto che ha reso esecutivo lo stato passivo.
La terza, infine, è quella per cui il procedimento arbitrale instaurato dalla N. non sarebbe proseguibile ex art. 83-bis Legge Fall.. Tale norma, infatti, prevede che, allorquando alla data della dichiarazione di fallimento sia pendente un procedimento arbitrale, tale procedimento può essere proseguito solo se il contratto sia ancora efficace (e il curatore decida di non sciogliersi dallo stesso a norma degli artt. 72 e ss. L. fall.). Ma se, come nel caso di specie, alla data della dichiarazione di fallimento il contratto non è più in vigore tra le parti - la riconsegna del resort da Valtur a N. si era già definitivamente realizzata, e, soprattutto, la stessa N. sostiene ancor oggi l'ormai avvenuta risoluzione del contratto -, non vi sarebbe alcuna ragione perchè le azioni che dallo stesso traggono origine debbano sottrarsi alla regola generale di cui all'art. 43, comma 3 e art. 52 L. fall.. In tali ipotesi, il procedimento arbitrale deve essere dichiarato interrotto (e risulta comunque improseguibile e improcedibile) e le pretese creditorie possono e debbono essere fatte valere solo ed esclusivamente nella sede concorsuale di accertamento del passivo.
Anche sotto tale ultimo profilo, quella proposta dalla N. nel presente ricorso per regolamento non integrerebbe, pertanto, gli estremi della questione di giurisdizione.
5. La rilevata inammissibilità del proposto regolamento esime la Corte dall'esame della questione nel merito, non senza rammentare, peraltro, che, per consolidata giurisprudenza di legittimità, in sede arbitrale non possono essere fatte valere ragioni di credito vantate verso una parte sottoposta a fallimento o ad amministrazione straordinaria, giacchè l'effetto attributivo della cognizione agli arbitri, proprio del compromesso o della clausola compromissoria, è in ogni caso paralizzato dal prevalente effetto, prodotto dal fallimento o dall'apertura della procedura in amministrazione straordinaria, dell'avocazione dei giudizi aventi ad oggetto l'accertamento di un credito sottoposto alla procedura concorsuale allo speciale e inderogabile procedimento di verificazione dello stato passivo (Cass. S.U. 6 giugno 2003, n. 9070; Cass. n. 3918 del 2011; Cass. n. 17891 del 2004).
Dopo l'apertura della procedura concorsuale (nel caso di specie, di amministrazione straordinaria), le domande dei creditori possono, pertanto, essere proposte esclusivamente davanti al giudice fallimentare - nella fattispecie, il Giudice italiano ed, in particolare, il Tribunale di Milano - secondo le disposizioni di cui al Capo 5^ della legge fallimentare (in forza della vis trahens della competenza fallimentare), onde assicurare che tutte le domande nei confronti del fallimento vengano proposte e trattate dal medesimo giudice congiuntamente, onde assicurare la parità di trattamento dei creditori.
6. Non giova, sotto altro profilo, alla società egiziana il richiamo alla disciplina di cui all'art. 15 del Regolamento CE n. 1346/2000.
La norma prevede che "gii effetti della procedura di insolvenza su un procedimento pendente relativo a un bene o a un diritto del quale il debitore è spossessato sono disciplinati esclusivamente dalla legge dello Stato membro nel quale il procedimento è pendente".
Si sostiene da parte ricorrente che, avendo l'arbitrato sede in Francia, nel caso di specie gli effetti dell'apertura della procedura concorsuale sul procedimento arbitrale dovrebbero essere regolati in base alla legge francese, e si prosegue affermando che, in base alla legge francese, essendo il collegio arbitrale già costituito al momento dell'ammissione della Valtur alla procedura concorsuale, l'arbitrato proseguirebbe, sic et simpliciter, previo deposito da parte del creditore dell'istanza di ammissione al passivo.
Va di converso riaffermata la competenza esclusiva e inderogabile del Foro fallimentare, per le seguenti, concorrenti ragioni:
- il Regolamento 1346/2000 disciplina esclusivamente i rapporti derivanti da una procedura concorsuale che si instaura tra parti che hanno la propria residenza o sede all'interno dell'Unione Europea.
Deve, pertanto, già in limine escludersi che tale disciplina possa trovare applicazione in relazione a quei creditori che, come N., abbiano la propria sede in un territorio Extra-UE (nella specie, in Egitto).
- quand'anche si ritenesse applicabile la suddetta normativa, essa è comunque destinata a regolare soltanto gli effetti della dichiarazione di fallimento sul procedimento pendente in sede extrafallimentare, ma non anche gli effetti di tale procedimento sulla competenza giurisdizionale relativa alla procedura fallimentare: gli artt. 4 e 15 del Regolamento non hanno direttamente ad oggetto detta competenza, pur disciplinando l'individuazione della legge che disciplina gli effetti della procedura concorsuale sui procedimenti collegati e previamente instaurati;
- la stessa Commissione UE, nel rapporto sull'applicazione del Regolamento, ha esplicitamente affermato che, "pur se la procedura ha il proprio centro d'interessi all'interno della UE, sussistono delle limitazioni alla portata del Regolamento in relazione agli assets, ai creditori ed agli stabilimenti situati in zone extra UE. In queste situazioni, il Regolamento trova applicazione solo parzialmente agli attori e agli assets situati in uno Stato membro, con la conseguenza che le situazioni non rientranti nella portata del Regolamento sono disciplinati dalla legge nazionale";
- l'art. 39 del Regolamento dispone espressamente che "il creditore che ha la residenza abituale, il domicilio o la sede in uno Stato membro diverso dallo Stato di apertura ha il diritto di insinuare i crediti per iscritto nella procedura di insolvenza";
- Il successivo art. 40 prevede che "non appena è aperta una procedura in uno Stato membro, il giudice competente dello Stato o il curatore da lui nominato informa senza ritardo i creditori conosciuti che hanno la residenza abituale, il domicilio o la sede negli altri Stati membri";
- le norme di cui all'art. 4 lett. f) del Reg. CE n. 1346/2000, nonchè la disciplina eccezionale di cui alla stesso art. 15 Reg. CE non possono, pertanto trovare applicazione al caso in esame, essendo dettate solo al fine d'individuare la legge applicabile per determinare gli effetti della procedura d'insolvenza sui procedimenti individuali relativi ad uno specifico bene o diritto del quale il debitore è spossessato: si tratta, in sostanza, di norme dichiaratamente ed espressamente operanti sulla legge applicabile, non sulla competenza giurisdizionale in tema di apertura della procedura d'insolvenza;
- quanto alla competenza giurisdizionale, il Regolamento si occupa soltanto d'individuarla in relazione all'apertura della procedura (art. 3), individuando come competenti ad aprirla i giudici dello Stato membro in cui è situato il centro degli interessi principali del debitore (i.e., nella specie, il tribunale fallimentare di Milano).
A tanto consegue che, in presenza di una procedura concorsuale instaurata in uno Stato Membro UE' nei confronti di creditori che abbiano la propria sede o il proprio centro d'affari fuori dalla UE, deve, comunque, trovare applicazione la legge dello Stato in cui la procedura concorsuale viene aperta (nella specie, quella italiana). E ciò a tacere dalla ulteriore considerazione per la quale l'individuazione della legge applicabile non integra una questione di giurisdizione, ma rappresenta questione di merito devoluta al giudice competente.
Se il più volte citato (e più volte evocato da parte ricorrente) art. 15 sancisce una delle eccezioni al principio della lex concursus, la sussistenza dei presupposti per l'applicabilità di tale eccezione - diversamente da quanto opina la N. - non integra una questione di giurisdizione, ma ha ad oggetto la diversa (pur se collegata) questione della legge applicabile.
Il Regolamento n. 1346/2000, difatti, non risolve espressamente la questione della giurisdizione in tema di azioni strettamente connesse alle procedure di insolvenza o da esse derivanti. La normativa europea si limita a riferirsi alle sole decisioni di apertura delle procedure, ma nulla prevede quanto alla giurisdizione per le anzidette azioni: in merito, il legislatore europeo ha soltanto stabilito, in modo esplicito, all'art. 25, par. 1 del Regolamento, il riconoscimento automatico delle relative sentenze.
Non va per altro verso trascurato che le singole discipline nazionali divergono considerevolmente, in subiecta materia.
Il principio della vis trahens concursus non caratterizza, infatti, tutti gli ordinamenti nazionali - in Germania, ad esempio, non è prevista una norma speculare a quella di cui all'art. 24 della legge fallimentare italiana, di tal che, nel diritto tedesco, il creditore domiciliato all'estero, nei confronti del quale un fallimento aperto in Germania agisca in revocatoria, deve essere convenuto nello suo Stato di appartenenza.
La questione ha dato luogo, come è noto, ad un articolato dibattito dottrinario in ordine alla competenza internazionale in materia di azione revocatoria fallimentare e di altre azioni connesse o derivanti dalle procedure concorsuali.
Da una canto, considerata l'assenza, nel Regolamento, di norme ad hoc in relazione a tali azioni, si è affermato che per esse la giurisdizione va stabilita in base ai criteri individuati nei singoli ordinamenti nazionali. Dall'altro, e in particolare in seno alla dottrina tedesca ed anglosassone, è prevalsa la tesi per la quale opererebbe di fatto - pur mancando un'esplicita disposizione - una vera e propria vis trahens del foro nel quale la procedura di insolvenza è stata aperta, con conseguente competenza di quell'autorità giudiziaria a norma dell'art. 3 (i criteri di giurisdizione stabiliti in tale disposizione, volti a determinare il giudice dotato di competenza internazionale per l'apertura di una procedura, sia essa principale che secondaria, sarebbero pertanto destinati ad essere interpretati estensivamente, ritenendoli riferibili anche alle azioni cd. "ancillari").
Interpellata al riguardo, la Corte di Giustizia UE ha affermato che, per circoscrivere l'oggetto dell'art. 3 comma 1 del Regolamento n. 1346/2000, il suo sesto "considerando" adotta tout court il criterio risultante dalla sentenza Gourdain (Corte di Giust. 22 febbraio 1979, in causa C-133/78), con la conseguenza che il Regolamento si limiterebbe a prevedere disposizioni che disciplinano la competenza ai fini dell'apertura delle procedure d'insolvenza e dell'adozione delle decisioni che direttamente ne derivino e vi siano strettamente connesse.
Il giudice comunitario ne ha così dedotto che, tenuto conto di tale scopo perseguito dal legislatore e dell'effetto "utile" del Regolamento, l'art. 3, paragrafo deve essere interpretato nel senso di attribuire ai giudici dello Stato membro competente ad aprire una procedura d'insolvenza anche una competenza internazionale a conoscere delle azioni che derivano direttamente da detta procedura e vi siano strettamente connesse (Corte di Giust. 12 febbraio 2009, Seagon, in causa C-339/07, punto 21). La stessa Corte europea ha poi specificato che tale doppio criterio è utilizzato anche all'art. 25, paragrafo 1, comma 1, del Regolamento 1346/2000, che disciplina il riconoscimento e l'esecuzione delle decisioni relative allo svolgimento e alla chiusura di una procedura d'insolvenza, volta che, ai sensi del secondo comma di tale paragrafo 1, il comma 1 si applica alle decisioni che derivano direttamente dalla procedura d'insolvenza e le sono strettamente connesse, anche se sono prese da altro giudice. Ai sensi del paragrafo 2 di tale art. 25, le decisioni diverse da quelle di cui al paragrafo 1 sono invece disciplinate dal Regolamento n. 44/2001, ove - ma non è questo il caso di specie - questo sia in concreto applicabile (Corte di Giust. 19 aprile 2012, F- Tex SIA, causa C-213/10; 12 febbraio 2009, Deko Marty, causa C- 339/07).
Le ultime due decisioni conducono, pertanto, ad una soluzione che permette di concentrare tutte le azioni direttamente legate all'insolvenza di una impresa davanti ai giudici dello Stato membro competente per l'avvio della procedura, nel dichiarato intento di migliorare l'efficacia e la rapidità delle procedure e la massima certezza del diritto nello spazio giudiziario europeo. A tanto consegue che, diversamente da quanto opinato, con dovizia di pur pregevoli argomentazioni da parte ricorrente, la fattispecie in esame non è regolata dalla disciplina speciale di cui all'art. 4, lett. f, e 15 del Regolamento CE n. 1346/2000.
Nè la soluzione del caso in esame risulterebbe diversa alla luce del diritto internazionale processuale italiano.
La L. n. 218 del 1995, dopo aver individuato, all'art. 3, comma 1, il criterio di collegamento costituito dal domicilio o dalla residenza del convenuto, detta, nel comma 2, due distinte disposizioni di rinvio ad altre norme regolatrici della competenza giurisdizionale.
In primo luogo, si prevede che la giurisdizione sussista in base ai criteri stabiliti dalle sezioni 2, 3 e 4 del titolo 2^ della Convenzione di Bruxelles, "anche allorchè il convenuto non sia domiciliato nel territorio di uno Stato contraente, quando si tratti di una delle materie comprese nel campo di applicazione della Convenzione".
Si stabilisce poi, in secondo luogo, che "rispetto alle altre materie, la giurisdizione sussiste anche in base ai criteri stabiliti per la competenza per territorio".
La normativa alla quale la disposizione del comma 2 rinvia risulta quindi diversa, secondo che si verta in materie comprese nella Convenzione di Bruxelles o di materie non comprese nella detta Convenzione: per le prime, vigono anche le speciali regole di competenza della Convenzione, per le seconde anche le regole di competenza per territorio dettate dal codice di rito italiano negli artt. 18-27 c.p.c..
Nella specie, venendo in considerazione una delle materie escluse dall'ambito di applicazione della Convenzione di Bruxelles (materie escluse che sono elencate dall'art. 1 della Convenzione, e riguardano lo stato e capacità delle persone fisiche, il regime patrimoniale fra coniugi, testamenti e successioni, fallimenti, concordati ed altre procedure affini, sicurezza sociale, arbitrato), deve tenersi conto del rinvio compiuto nella L. n. 218 del 1995, art. 3, comma 2, ultima parte, con conseguente applicabilità, in Italia, dei criteri di competenza per territorio stabiliti dal codice di rito italiano, i quali, ai sensi dell'art. 3, comma 2, seconda parte, sono utilizzabili per le sole materie escluse (Cass. S.U. 11/02/2003, n. 2060; S.U. 21/10/2009, n. 22239; S.U. 2/12/2013, n. 26937).
Alla luce delle considerazioni che precedono, sono destinate a restare assorbite le altre questioni prospettate dalle parti, specie quanto alla rilevanza ed al contenuto delle norme del codice di commercio francese, rivelandosi anch'esse attinenti alla legge applicabile e non alla competenza giurisdizionale. Nè, d'altro canto, le parti hanno specificato, nei loro atti difensivi in questa sede, l'esistenza di un consensus in idem placitum in ordine alle regole di diritto che il tribunale arbitrale avrebbe dovuto applicare al merito della controversia (ovvero, in assenza di accordo, quali regole avesse ritenuto appropriate per l'applicazione il tribunale arbitrale), nè hanno specificato gli eventuali accordi contrattuali da esse convenuti, nè gli eventuali usi del commercio pertinenti che il tribunale arbitrale avrebbe potuto applicare, nè, infine, se detto tribunale avrebbe potuto, su conferimento dei relativi poteri ad opera di esse parti, pronunciare quale amichevole compositore ex aequo et bono.
Allo stesso modo, pur dibattendo in ordine al dedotto "scioglimento" della Valtur dall'arbitrato, non hanno dedotto quali fossero le eventuali clausole contrattuali o usi negoziali internazionali al riguardo.
Il ricorso è pertanto rigettato.
P.Q.M.
La Corte dichiara inammissibile il ricorso e rinvia gli atti del procedimento, anche per la liquidazione delle spese del giudizio di Cassazione, al Tribunale fallimentare di Milano.
Così deciso in Roma, il 12 febbraio 2014.
Depositato in Cancelleria il 21 luglio 2015.