Diritto Civile
Il Caso.it, Sez. Giurisprudenza, 21334 - pubb. 06/03/2019
E’ ‘allevamento agricolo’ anche quello della fauna selvatica erbivora a fini venatori o alimentari, compreso l'allevamento di lepri
Tribunale Reggio Emilia, 06 Febbraio 2019. Est. Luisa Poppi.
Prelazione agraria - Legittimazione attiva - Attività di stabile coltivazione del fondo - Qualità di imprenditore agricolo - Automatica legittimazione ai fini del riscatto ai sensi dell'art. 8 Legge 590/1965 - Esclusione
Allevamento di fauna selvatica erbivora - Qualità di imprenditore agricolo - Sussistenza
E’ imprenditore agricolo chi, in forma organizzata e rivolta al mercato, non solo curi cicli biologici di carattere animale, ma li curi attraverso l'utilizzazione del fondo rustico ovvero dei suoi prodotti vegetali. Ne consegue che debba escludersi dall'impresa agricola l’allevamento di animali carnivori (come gatti, visoni, volpi ecc.), mentre vi rientrano a pieno titolo gli animali erbivori e gli uccelli con ali inette al volo (animali da cortile).
Deve ritenersi incluso nella definizione di “allevamento agricolo” anche l'allevamento della fauna selvatica erbivora, tanto a fini venatori (l. 11.2.92 n. 157) che a fini alimentari, quale l'allevamento di lepri, il cui legame al terreno è riconoscibile nell'intero ciclo biologico.
Il riconoscimento della qualità di imprenditore agricolo non comporta l'automatica legittimazione ai fini del riscatto ai sensi dell'art. 8 Legge 590/1965.
L'art. 8 Legge 590/1965 è norma di stretta interpretazione. Pertanto, non solo il conduttore del fondo deve essere titolare di un valido contratto d'affitto, ma deve altresì trattarsi di affitto che abbia per oggetto fondi su cui si svolga attività di "coltivazione" in senso stretto, conformemente al requisito della coltivazione biennale posto dallo stesso comma 1 dell’art. 8. l. 590/1965.
Restano esclusi dall’applicabilità dell'art. 8 Legge 590/1965 l'affitto di terreno pascolativo, di terreni boschivi o i contratti di vendita di erbe -così come non forniscono titolo per la prelazione la locazione di vasche per itticoltura o la soccida di pascolo-. (Redazione IL CASO.it) (riproduzione riservata)
Segnalazione del Dott. Gianluigi Morlini
Concisa esposizione delle ragioni di fatto e di diritto della decisione
Con atto di citazione ritualmente notificato, C. Roberta conveniva in giudizio N. G. e G. O. per esercitare il riscatto ai sensi dell'art. 8 Legge 590/1965 e art. 7 legge 817/1971 perchè, pur avendo l'attrice diritto di prelazione in quanto proprietaria e coltivatrice diretta dei confinanti terreni (mapp.li 332, 333 e 327 fg.43) nonché in quanto affittuaria di parte dei terreni oggetto di vendita, non è stata posta nella condizione di esercitare validamente detto diritto di prelazione. Pertanto, nelle conclusioni dell'atto di citazione, C. Roberta chiedeva accertarsi e dichiararsi il suo diritto di prelazione relativamente ai quei terreni siti nel Comune di Vetto (mapp.li *) oggetto del rogito Dr. Fatuzzo 19-3-2014 e “quindi disporsi l'inefficacia della compravendita e il trasferimento delle particelle predette poste in Comune di Vetto separatamente o unitamente alle altre particelle indicate in rogito in suo favore disponendo per le conseguenti volture e trascrizioni e subordinando l'efficacia del riscatto al pagamento del prezzo indicato in contratto, pagamento da effettuarsi all'accettazione del riscatto o al passaggio in giudicato della sentenza oppure entro prefiggendo termine indicato dal Giudice”.
Si costituiva in giudizio il solo convenuto N. G. (acquirente dei terreni), eccependo la carenza dei presupposti per l'applicazione del diritto di riscatto da parte di C. Roberta e chiedeva, nel caso di accoglimento totale o parziale della domanda di parte attrice, dichiararsi la convenuta G. tenuta alla restituzione della somma di € 6.500 effettivamente ricevuta quale corrispettivo della vendita del fondo, oltre spese e danni.
Interrotto il giudizio per intervenuto decesso della convenuta G. O., l’erede G. A. -nei cui confronti il giudizio finiva regolarmente riassunto- rimaneva contumace.
La domanda deve essere rigettata in carenza dei presupposti soggettivi dell'attrice.
In punto di fatto si rileva come anche la parte convenuta N. Vito rivesta la qualità di coltivatore e allevatore di bestiame, proprietario di terreni limitrofi rispetto a quelli oggetto della vendita (fg. 43 mapp. 341). Pertanto, ai fini della valutazione della fondatezza della domanda attorea, deve essere qui esaminata la sola domanda fondata sulla prelazione accordata al conduttore del fondo dalla l. 590/1965.
Innanzitutto, si osserva come l'elencazione particolareggiata dei contratti indicati al comma 1 dell’art. 8. l. 590/1965 sia indice della volontà legislativa di attribuire il diritto non a chi di fatto, in un modo o nell'altro, abbia la disponibilità del fondo su cui è costituita l'impresa coltivatrice diretta, ma unicamente a chi vanti uno specifico rapporto agrario (mezzadri, coloni, e ora -di regola- i titolari di affitto agrario). Conseguentemente, e coerentemente con la ratio legislativa, deve ritenersi che la prelazione non competa al comodatario, al detentore che non abbia stipulato alcun negozio, nè al conduttore il cui contratto sia nullo (Cass. 2.4.84 n. 2157) o scaduto (Cass. 17.10.97 n. 10174).
N. Vito costituendosi in giudizio ha innanzitutto negato l'esistenza del requisito dell’effettività ed attualità della coltivazione del fondo da parte di C. Roberta. A tale riguardo l'attrice ha ritenuto di dimostrare il proprio rapporto qualificato con il terreno oggetto di vendita producendo denuncia verbale annuale del contratto di affitto (relativo ad alcuni mappali oggetto di vendita), nonché "ricevuta" sottoscritta da O. G. con l'indicazione di € 100 per "affitto campi … anno 2011/2012” e dichiarazione del proprietario degli immobili di autorizzazione ad eseguire le migliorie. Sul punto, inoltre, sono stati escussi diversi testi.
Tuttavia, in via preliminare rispetto alla valutazione dell’adeguatezza delle prove raccolte al fine della dimostrazione dell'esistenza di un valido contratto agrario stipulato tra C. Roberta e O. G., deve valutarsi se l'attrice rivesta o meno la qualifica soggettiva necessaria per l'applicazione della norma invocata.
C. Roberta è titolare dell'impresa "A. Ro & Ro di C. Roberta” (cfr. doc. 1 visura della Camera di Commercio) e nello svolgimento di tale attività viene allegato l'utilizzo dei terreni oggetto della presente azione.
L'allevamento di animali (terza attività agricola rispetto alla coltivazione del fondo e la silvicoltura) è stata oggetto di modifica legislativa con d. leg. 228/2001 laddove, nella riformulazione dell'articolo 2135 c.c., il legislatore ha abbandonato il termine "bestiame" per adottare quello più ampio di "animali", "i quali utilizzano o possono utilizzare il fondo, il bosco o le acque dolci, salmastre o marine" -tra l'altro assimilando agli imprenditori agricoli gli imprenditori ittici, ovvero coloro che catturano o raccolgono "organismi acquatici" nel mare, nelle lagune, nei laghi e nei fiumi-.
Tale modifica legislativa, tuttavia, ha solo in parte superato le difficoltà segnalate dalla giurisprudenza del periodo precedente (frutto dell'evoluzione anche tecnica dell'attività agricola a decorrere dagli anni ’60, quando l'introduzione delle macchine agricole e dei concimi inorganici per la coltivazione del fondo e l'impiego dei mangimi industriali per l'allevamento hanno di fatto affievolito l'originario legame tra l'allevamento e la coltivazione). Rimane, infatti, dubbio il richiamo all’ "utilizzazione" del fondo (del bosco e delle acque): il riferimento al supporto naturale dato dal fondo può intendersi, infatti, tanto in senso concreto -la qualifica agraria degli allevamenti sarebbe ricavata dal dato organizzativo della specifica azienda indipendentemente dalle specie animali allevate-, quanto in senso teorico -la qualifica agraria deriverebbe dagli elementi naturalistici caratteristici della specie animale-.
A parere di questo Giudice, comunque, non può prescindersi dalla definizione attuale dell'imprenditore agricolo, la quale pretende un soggetto che, in forma organizzata e rivolta al mercato, non solo curi cicli biologici di carattere animale, ma li curi attraverso l'utilizzazione del fondo rustico ovvero dei suoi prodotti che -ovviamente- non possono che essere vegetali. Si condivide, pertanto, quella parte della dottrina secondo cui deve escludersi dall'impresa agricola l’allevamento di animali carnivori (come gatti, visoni, volpi,…..), mentre vi rientrano a pieno titolo gli animali erbivori e gli uccelli con ali inette al volo (animali da cortile).
Ed allora, in questo senso, deve ritenersi incluso nella definizione di “allevamento agricolo” anche l'allevamento della fauna selvatica erbivora, tanto a fini venatori (l. 11.2.92 n. 157) che a fini alimentari, quale l'allevamento di lepri, il cui legame al terreno è riconoscibile nell'intero ciclo biologico (non solo alimentazione ma anche riproduzione).
Il riconoscimento della qualità di imprenditore agricolo in capo all'attrice non comporta, tuttavia, l'automatica legittimazione ai fini del riscatto ai sensi dell'art. 8 Legge 590/1965.
Deve ritenersi, infatti, che tale norma debba essere oggetto di stretta interpretazione, in quanto apporta significative limitazioni al diritto di proprietà e, come tale, pacificamente non può avere interpretazioni estensive (cfr. Cass. 14.3.2013 n. 6572). Pertanto, non solo il conduttore del fondo deve essere titolare di un valido contratto d'affitto (secondo le specificazioni sopra indicate), ma deve altresì trattarsi di affitto che abbia per oggetto fondi su cui si svolga attività di "coltivazione" in senso stretto, conformemente al requisito della coltivazione biennale posto dallo stesso comma 1 dell’art. 8. l. 590/1965. Ne consegue, che restano esclusi dall’applicabilità della norma l'affitto di terreno pascolativo, di terreni boschivi o i contratti di vendita di erbe (cfr. Cass. 2/3/2007 n. 4958) -così come non forniscono titolo per la prelazione la locazione di vasche per itticoltura o la soccida di pascolo-.
In questo senso, anche qualora l'attrice riuscisse a dimostrare di essere titolare di un valido contratto d'affitto stipulato con O. G., svolgendo l'attività di allevamento di lepri non potrebbe comunque vantare in suo favore l'applicazione dell’art. 8. l. 590/1965 in quanto il diritto in esame compete unicamente a chi svolge attività di stabile coltivazione (con esclusione, tra l'altro, dei rapporti agrari che si riferiscono a brevi cicli produttivi rispetto a quelli che caratterizzano la principale destinazione del terreno).
Pertanto, la domanda deve essere rigettata.
Secondo il principio della soccombenza parte attrice deve essere condannata alla rifusione delle spese di lite nei confronti della parte convenuta costituita, spese liquidate come da dispositivo.
P.Q.M.
Il Tribunale di Reggio Emilia, in persona del Giudice Unico dott.ssa Luisa Poppi, uditi i procuratori delle parti, definitivamente pronunciando sulla domanda proposta da C. Roberta nei confronti di N. G. e G. A. -in qualità di erede di G. O.-, ogni altra istanza, eccezione e deduzione disattesa, così provvede:
-rigetta la domanda;
-condanna C. Roberta al pagamento delle spese di lite in favore di N. G. che si liquidano in € 4.835, oltre spese generali, IVA e CPA.
Sentenza resa ex articolo 281 sexies c.p.c., pubblicata mediante lettura alle parti presenti ed allegazione al verbale.
Reggio Emilia, 6 febbraio 2019
Il Giudice
dott. Luisa Poppi