La Responsabilità del Medico
Il Caso.it, Sez. Giurisprudenza, 374 - pubb. 01/07/2007
Responsabilità medica e danno morale dei nonni
Tribunale Mantova, 25 Gennaio 2006. Est. Pagliuca.
Responsabilità del medico – Decesso del feto durante il parto – Danno non patrimoniale – Danno morale soggettivo dei nonni – Sussistenza.
Responsabilità del medico – Danno non patrimoniale da mancata nascita – Liquidazione equitativa – Modalità e criteri di determinazione del danno.
Essendo notorio che, a seguito della nascita del nipote, viene ad instaurarsi fra costui ed i nonni una intensa relazione affettiva, in assenza di elementi che facciano ritenere il contrario può presumersi che l’improvvisa ed inaspettata mancata nascita del nipote determini anche nel nonno un dolore di intensità tale da poter essere risarcito a titolo di danno morale soggettivo. (Mauro Bernardi) (riproduzione riservata)
Il danno non patrimoniale da mancata nascita di congiunto va liquidato in via equitativa tenendo conto del momento in cui è avvenuta la cessazione della gravidanza, dell’intensità del vincolo familiare che si sarebbe venuto a creare con il nascituro, della consistenza più o meno ampia del nucleo familiare residuo, dell'età dei genitori facendosi riferimento, quale criterio orientativo, alle tabelle di quantificazione del danno non patrimoniale elaborate dall’osservatorio presso il Tribunale di Milano anche se relative alla diversa ipotesi del pregiudizio non patrimoniale patito dal genitore per la morte del figlio che sia già nato: poiché la sofferenza patita dal congiunto è tanto maggiore quanto più si è avuta la possibilità di instaurare ed approfondire con il tempo stabili rapporti affettivi con il deceduto, nell’ipotesi del feto venuto a mancare solo al termine della gravidanza appare corretto orientare la valutazione equitativa del danno avendo quale riferimento l’importo minimo della forbice prevista dalle predette tabelle. (Mauro Bernardi) (riproduzione riservata)
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
IL TRIBUNALE DI MANTOVA
SEZIONE DISTACCATA DI CASTIGLIONE DELLE STIVIERE
in persona del Dottor Luigi Pagliuca in funzione di giudice unico
ha pronunciato la seguente
SENTENZA
nella causa civile iscritta al n. 6018 del ruolo generale degli affari contenziosi dell'anno 2003
SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
Con citazione notificata in data 25.1.03 e 27.1.03 P. S., M. B., M. S., S. M. R., G. B. ed A. B. convenivano in giudizio i medici A. T. e S. D. G. nonché l’Azienda Ospedaliera X Y per sentirli condannare al risarcimento di tutti i danni – patrimoniali e non patrimoniali – patiti a causa della mancata nascita di N. S., imputabile a condotta imperita dei medici convenuti, i quali durante il parto non si erano avveduti della sofferenza fetale in corso e, invece di procedere a taglio cesareo, avevano insistito nel tentativo di indurre il parto per via fisiologica, determinando il decesso del feto a causa di una sindrome asfittica.
Affermavano inoltre gli attori:
a) di essere i genitori (P. S. e M. B.), i nonni paterni (M. S. e S. M. R.) ed i nonni materni (G. B. ed A. B.) del nascituro;
b) che la responsabilità dei medici convenuti era già stata accertata in sede penale con sentenza n. 62/02 in data 1/03/02 del GIP presso il Tribunale di Mantova, pronunciata a seguito di istanza di patteggiamento degli imputati ex art. 444 cpp;
c) che tutti i convenuti erano tenuti sia contrattualmente che extracontrattualmente al risarcimento di tutti i danni derivati in capo agli attori a causa del reato;
d) che, quanto ai genitori del nascituro, si era determinato un pregiudizio sia patrimoniale – per la mancata percezione dei contributi economici che il figlio avrebbe loro presumibilmente in futuro apportato -, sia non patrimoniale – a titolo di danno morale soggettivo per l’enorme sofferenza patita a causa della mancata nascita ed a titolo di danno esistenziale per la mancata instaurazione di un rapporto familiare ed affettivo con il nascituro, con conseguente peggioramento della qualità della loro vita;
e) che anche i nonni avevano patito grande sofferenza per la mancata nascita del nipote ed avevano perciò anche loro diritto a vedersi risarcito il danno morale patito;
f) che prima dell’instaurazione del giudizio i convenuti avevano corrisposto ai soli genitori l’importo di euro 170.430,00, non esaustivo della pretesa creditoria azionata e quindi accettato solo a titolo di acconto sul maggior risarcimento dovuto
Tutto ciò premesso gli attori concludevano chiedendo la condanna dei convenuti, in solido, al risarcimento del danno che quantificavano nella misura di euro 350.000,00 per ciascuno dei genitori e di euro 75.000,00 per ciascuno dei nonni.
I convenuti, costituitisi in giudizio, non contestavano l’esclusiva responsabilità dei medici convenuti in ordine alla mancata nascita del piccolo N., né contestavano il diritto dei due genitori al risarcimento del danno non patrimoniale patito.
Affermavano tuttavia che l’importo di euro 170.430,00 già versato era ampiamente satisfattivo di ogni pretesa dei genitori, i quali non avevano diritto al risarcimento di alcun tipo di danno patrimoniale. Quanto ai nonni contestavano in radice la loro legittimazione a pretendere importi a titolo di risarcimento del danno morale.
Su queste premesse i convenuti concludevano chiedendo il rigetto di ogni ulteriore richiesta risarcitoria avanzata dagli attori.
La causa, istruita solo documentalmente, veniva trattenuta in decisione all’udienza del 13.7.05, sulla base delle conclusioni delle parti come riportate in epigrafe.
MOTIVI DELLA DECISIONE
1 - Non è contestato che il decesso del nascituro N. S., quando ancora si trovava nel ventre materno ed era in atto l’espulsione del feto, sia stato causato dalla condotta imperita dei medici convenuti i quali non si erano avveduti tempestivamente della grave sofferenza fetale in corso e non avevano perciò provveduto urgentemente a parto chirurgico (taglio cesareo) insistendo invece in pratiche volte ad indurre il parto per via fisiologica e, così facendo, determinando la sindrome asfittica da cui è purtroppo derivato l’evento letale.
I convenuti dott. T. e dott. D. G., quindi, sono senz’altro tenuti a risarcire i danni conseguenti al decesso del feto e, quindi, alla mancata nascita di N. S.. Ai sensi dell’art. 2049 c.c. il medesimo obbligo grava anche sull’Azienda ospedaliera X Y di cui i predetti medici erano pacificamente dipendenti.
2 – Dalle sommarie informazioni testimoniali e dagli interrogatori resi dai convenuti nel corso del procedimento penale emerge chiaramente che il decesso del piccolo N. era avvenuto quando il feto si trovava ancora nel grembo materno (cfr atti del procedimento penale prodotti da parte attrice sub doc. 1). Della circostanza si dà atto anche nella perizia redatta dal prof. Silingardi e dal prof. Volpe in sede di incidente probatorio, laddove si afferma testualmente che “alle ore 11.40 veniva estratto, con taglio cesareo, il feto già morto” (doc. 2 di parte attrice).
Pertanto, poiché il decesso era avvenuto prima della nascita (ossia prima del completamento del parto con l’estrazione del feto dal grembo materno e la recisione del cordone ombelicale) il fatto come sopra descritto integra chiaramente l’ipotesi delittuosa di cui all’art. 17, c. 1 della legge 194/78 (interruzione colposa della gravidanza).
Pertanto, giusto il disposto dell’art. 185, c. 2 cpc, i convenuti sono tenuti al risarcimento di tutti i danni patrimoniali e non patrimoniali che il reato abbia cagionato a terzi.
3 - La norma non indica criteri per l’individuazione dei soggetti legittimati a richiedere il risarcimento, ossia delle persone che possono considerarsi danneggiate dal reato.
Ritiene in proposito questo giudice che, stante l’assenza di limitazioni espresse, astrattamente legittimato a richiedere il risarcimento possa essere chiunque provi di aver effettivamente subito un pregiudizio patrimoniale e/o non patrimoniale quale conseguenza del reato.
Non appare quindi operazione corretta e conforme al dettato legislativo quella volta all’individuazione ex ante di categorie di soggetti astrattamente legittimati a richiedere il risarcimento in contrapposizione ad altri a cui non debba essere riconosciuto analogo diritto, dovendosi piuttosto verificare in concreto, e quindi con accertamento di fatto che tenga conto delle specificità di ogni singolo caso, l’effettiva esistenza del pregiudizio lamentato quale conseguenza del reato.
Per evitare la proliferazione di richieste pretestuose e, quindi, per operare un’adeguata selezione delle pretese meritevoli di accoglimento il giudice dovrà pretendere e la parte istante dovrà fornire la prova rigorosa dell’effettiva esistenza del danno. Prova che sarà tanto più gravosa, quanto più sia flebile e sfumata la relazione esistente tra la vittima del reato ed il richiedente.
Il che, per converso, non preclude certo al giudice la possibilità di avvalersi di presunzioni nel caso in cui tra la vittima ed il danneggiato sussista invece una particolare e qualificata relazione affettiva o familiare, tale da far ritenere notoriamente sussistente, secondo l’id quod plerumque accidit e sempre che non siano emersi elementi di segno contrario, l’effettiva esistenza del pregiudizio di cui si chiede il risarcimento.
Presunzione a cui il giudice potrà fare ricorso specie laddove si verta in ipotesi di danni di natura non patrimoniale (come nel caso emblematico della transeunte sofferenza conseguente al reato che integra il c.d. danno morale soggettivo), ossia di pregiudizi spesso privi di evidenti sintomi rilevatori esterni e quindi difficilmente accertabili in modo oggettivo.
4 - Ciò premesso, avendo specifico riguardo all’ipotesi per cui è causa, non vi è dubbio che la sofferenza per la mancata nascita del figlio sia senz’altro e massimamente avvertita proprio dai genitori che quella nascita avevano desiderato, programmato, voluto e ormai ritenuto imminente e certa.
La mancata nascita del figlio tanto atteso determina senz’altro dolore e delusione per la frustrazione dei progetti e delle aspettative che l’attesa del nuovo nato aveva determinato durante il periodo di gestazione.
D’altra parte non vi è ragione di escludere che analoga sofferenza, seppur evidentemente di intensità di gran lunga inferiore, venga patita anche dai nonni, specie laddove, come nella fattispecie, il nascituro sia il primo nipote.
Può infatti ritenersi comunemente noto e, quindi, di comune esperienza che nella generalità dei casi proprio i nonni (oltre che i genitori) attendano con particolare apprensione e desiderio la nascita del nipote, col quale dopo la nascita viene ad instaurarsi relazione privilegiata. Infatti, specie al giorno d’oggi in cui anche la madre svolge attività lavorativa, i nipoti vengono spesso affidati ai nonni, con cui trascorrono molto del loro tempo. Tra nonno e nipote viene quindi generalmente a determinarsi una particolare relazione affettiva, fonte di vicendevole felicità e gratificazione.
Il che implica che i nonni quasi sempre vivano il periodo della gestione con fremente attesa della nascita del nipote, riponendo in essa grandi aspettative di futura ed imminente gratificazione affettiva ed esistenziale.
Pertanto, in assenza di elementi che facciano ritenere il contrario, può senz’altro presumersi che l’improvvisa ed inaspettata mancata nascita del nipote tanto atteso determini anche nel nonno un dolore di intensità tale da poter essere risarcito a titolo di danno morale soggettivo.
Nella fattispecie, non sono stati allegati né sono emersi elementi idonei a far ritenere che gli attori M. S., S. M. R. (nonni paterni del piccolo N.), G. B. e A. B. (nonni materni) non avessero atteso la nascita del nipote con l’apprensione e le aspettative che comunemente si determinano in capo a detta categoria di parenti, di talchè, considerato anche che trattatasi del primo nipote, può senz’altro presumersi che a causa della mancata nascita del piccolo N. sofferenza vi sia stata, con conseguente diritto al risarcimento del danno morale soggettivo.
A maggior ragione può presumersi la sofferenza dei genitori, che peraltro non è nemmeno messa in discussione dai convenuti, i quali hanno anzi già provveduto a corrispondere a questi ultimi un importo a titolo di risarcimento del danno.
Certamente maggiore sarà stata la sofferenza della madre M. B. la quale, oltre al dolore per la perdita del figlio, ha vissuto in prima persona e “sulla propria pelle” i momenti drammatici che hanno preceduto il decesso del nascituro, sino alla cessazione del battito fetale. E’poi evidente che durante tutto il periodo della gestazione la madre avverte fisicamente la presenza e l’evolversi di una vita nel suo grembo e, quindi, si determina con il nascituro una particolare relazione che, se interrotta, non può che determinare una sofferenza particolarmente intensa, certamente maggiore di quella che viene generalmente patita dal padre.
Tutti gli attori, quindi, hanno diritto al risarcimento per il danno morale soggettivo patito, nella misura di cui si dirà oltre.
5 – Quale ulteriore voce di danno non patrimoniale gli attori P. S. e M. B. hanno chiesto il risarcimento del pregiudizio conseguente alla lesione del rapporto parentale con il figlio nascituro.
Come è noto l'interesse fatto valere nel caso di danno da uccisione di prossimo congiunto non è quello alla mera conservazione del semplice rapporto di parentela con la persona deceduta, bensì quello all’intangibilità degli affetti e della reciproca solidarietà che con detto soggetto si vengono ad instaurare nell'ambito della famiglia, quindi alla inviolabilità della libera e piena esplicazione delle attività realizzatrici della persona umana nell'ambito di quella peculiare formazione sociale costituita dalla famiglia, la cui tutela è ricollegabile agli artt. 2, 29 e 30 Cost.
Detto altrimenti, perché sussista l’interesse di cui si afferma la lesione non è sufficiente che esista rapporto di parentela tra deceduto e richiedente il risarcimento, essendo invece necessario anche che tra i medesimi soggetti intercorressero i rapporti di affetto, reciproco affidamento e frequentazione che, secondo il comune sentire, costituiscono il proprium del suddetto rapporto parentale.
Il che presuppone che il parente venuto a mancare, non solo sia nato, ma che con lo stesso si siano venuti ad istaurare nel tempo rapporti di vita quotidiana e frequentazione dalla cui interruzione derivi la lesione dell’interesse in considerazione e, quindi, il pregiudizio in capo al soggetto che invoca il risarcimento.
Pertanto laddove, come nella fattispecie, il soggetto non sia neppure nato non può ritenersi sussistente alcun rapporto parentale nell’accezione sopra evidenziata, di talchè deve in radice escludersi la ricorrenza della voce di danno richiesta dagli attori.
6 – E’invece inammissibile la pretesa risarcitoria avanzata dall’attrice M. B. per l’asserita lesione dell’interesse costituzionalmente tutelato all’autodeterminazione consapevole relativamente agli interventi medici (inerenti alla modalità del parto) a cui sottoporsi, tra quelli in concreto possibili.
La relativa pretesa risarcitoria è stata infatti avanzata per la prima volta in comparsa conclusionale ed è quindi del tutto tardiva.
7 – Gli attori P. S. e M. B. hanno infine lamentato un danno patrimonialeper la perdita delle future contribuzioni economiche che il figlio N. avrebbe loro apportato.
Detto danno, in astratto senz’altro risarcibile (Cass. 3929/69, Cass. 2063/75, Cass. 4137/81, Cass. 11453/95, Cass. 1085/98, Cass. 15103/02), presuppone comunque che sia raggiunta la prova, quantomeno in termini di probabilità, che i genitori avrebbero avuto in futuro la necessità di avvalersi della contribuzione economica del figlio – da una parte – e che quest’ultimo sarebbe stato in grado di farvi fronte – dall’altra.
Nella fattispecie, tenuto conto dell’attività lavorativa svolta dagli istanti (avvocato lo S., insegnante la B.) non vi è ragione di dubitare che gli stessi abbiano ed avrebbero conservato mezzi ampiamente sufficienti per provvedere autonomamente al loro sostentamento e non è quindi possibile presumere la necessità per gli stessi di ricorrere in futuro all’aiuto economico del figlio.
In difetto di prova del danno, la pretesa risarcitoria avanzata sul punto non può quindi essere accolta.
8 - In conclusione a tutti gli attori spetta unicamente il risarcimento del danno morale soggettivo patito in conseguenza della mancata nascita del piccolo N..
Quanto ai criteri di liquidazione di detto danno, vertendosi in ipotesi di danno non patrimoniale, in quanto tale privo di contenuto economico, non potrà che procedersi con valutazione equitativa (artt. 1226 e 2056 c.c.), tenendo conto del momento in cui è avvenuta la cessazione della gravidanza, dell’intensità del vincolo familiare che si sarebbe venuto a creare con il nascituro, della consistenza più o meno ampia del nucleo familiare residuo, dell'età dei genitori.
9 - Quanto ai genitori può aversi riguardo, quale criterio orientativo, alle tabelle di quantificazione del danno non patrimoniale elaboratedall’osservatorio presso il Tribunale di Milano e recepite da questo ufficio giudiziario, anche se relative alla diversa ipotesi del pregiudizio non patrimoniale patito dal genitore per la morte del figlio che sia già nato.
Dette tabelle, per il caso di morte del figlio, prevedono una forbice risarcitoria da un minimo di euro 100.000,00 ad un massimo di euro 200.000,00 per ciascun genitore.
Tendenzialmente, nell’individuare l’importo del risarcimento adeguato al caso concreto all’interno della suddetta fornice risarcitoria, il giudice terrà conto della durata della relazione affettiva tra la vittima ed il parente superstite, riconoscendo un risarcimento minore nell’ipotesi in cui il decesso sia avvenuto in tenera età e maggiore nel caso in cui l’uccisione del figlio sia avvenuta in età più avanzata. (e specie se esso sia ancora convivente con i genitori). E’infatti noto che la sofferenza patita dal congiunto è tanto maggiore quanto più si è avuta la possibilità di instaurare ed approfondire con il tempo stabili rapporti affettivi con il deceduto, il quale diviene un punto di riferimento la cui perdita ha inevitabili riflessi negativi.
Pertanto, nell’ipotesi di decesso del figlio appena nato dovrà tendenzialmente optarsi per una quantificazione del danno corrispondente o comunque vicina al minimo della suddetta forbice risarcitoria.
Di conseguenza, poiché l’ipotesi del feto deceduto solo al termine della gravidanza (come avvenuto nella fattispecie) è del tutto equiparabile a quella del figlio morto nei giorni o nel periodo successivo al parto, appare corretto orientare la valutazione equitativa del danno avendo quale riferimento l’importo minimo della suddetta forbice risarcitoria.
Ovviamente, per le ragioni sopra indicate, alla madre M. B. dovrà essere corrisposto un importo superiore rispetto a quello dovuto al marito, potendosi senz’altro ritenere che la sofferenza da lei patita sia stata di maggiore intensità.
Ciò premesso, tenuto conto ed applicati i criteri ora individuati, appare equo quantificare il risarcimento dovuto a M. B. e M. S. - liquidato all’attualità e già comprensivo degli interessi maturati sino alla data di sottoscrizione della presente sentenza – nell’importo, rispettivamente di euro115.000.000 ed euro 105.000.000.
I convenuti hanno già corrisposto ai predetti attori in data 16.5.02 (doc. 1 di parte convenuta) l’importo di euro 170.430,00 (euro 85.215,00 per ciascun genitore) che, per operare con termini omogenei, va rivalutato anch’esso all’attualità ed ammonta oggi ad euro 182.883,00 (euro 91.441,50 per ciascun genitore).
Di conseguenza, tenuto conto dell’acconto versato, i convenuti vanno condannati, in solido, al pagamento a favore di M. B. del residuo importo di euro 23.558,50 (115.000,00 – 91.441,50), ed a favore di M. S. della residua somma di euro 13.558,50 (105.000,00 – 91.441,50).
10 - Quanto invece ai nonni M. S., S. M. R., G. B. ed A. B. appare equo quantificare il pregiudizio da ciascuno di essi patito nella misura di euro 10.000,00 a testa, già rivalutata all’attualità e comprensiva di interessi sino alla sottoscrizione della presente sentenza.