Societario
Il Caso.it, Sez. Articoli e Saggi - Data pubblicazione 03/01/2025 Scarica PDF
Appunti in tema di garanzia per vizi e aliud pro alio nel contratto di compravendita di partecipazioni delle società di capitali
Biagio Ciliberti, Avvocato in MilanoSommario: 1. La differente consistenza patrimoniale della società target e l’applicabilità dei rimedi di cui agli artt. 1490 e ss. e 1497 cod. civ. - 1.1. I diversi orientamenti. - 1.2. La giurisprudenza più recente. - 1.3. Osservazioni. - 2. Le garanzie nella cessione di partecipazioni sociali - 3. L’aliud pro alio nella compravendita di partecipazioni societarie.
* * *
Il presente contributo si pone l’obiettivo di analizzare brevemente i principali orientamenti in ordine all’applicabilità nel contratto di compravendita di partecipazioni delle società di capitali della disciplina codicistica delle garanzie per vizi, peculiari in quanto prestate da un soggetto che è già parte del rapporto principale e in quanto si risolvono in un elemento complementare di quello stesso rapporto (c.d. garanzie “in senso lato”).
Ci si soffermerà, inoltre, sui presupposti e sulla declinazione assunta, nella particolare fattispecie in esame, dalla disciplina dell’aliud pro alio datum e sui rimedi cui l’acquirente deluso può far conseguentemente ricorso.
* * *
1. La differente consistenza patrimoniale della società target e l’applicabilità dei rimedi di cui agli artt. 1490 e ss. e 1497 cod. civ.
Oggetto di un annoso dibattito è stato il tema dell’applicabilità dei rimedi di cui agli artt. 1490 e ss. e 1497 cod. civ. anche alla cessione di partecipazioni sociali, nell’ipotesi in cui il patrimonio effettivo della società si riveli inferiore rispetto a quello cui i paciscenti hanno fatto riferimento al momento della conclusione del contratto.
La quaestio iuris, dunque, attiene alla rilevanza delle caratteristiche dei beni sociali e della situazione patrimoniale e finanziaria della società target e, in particolare, alla necessità che il venditore fornisca specifiche garanzie al riguardo.
Sul punto si sono sviluppati tradizionalmente due distinti orientamenti.
1.1. I diversi orientamenti.
Secondo l’orientamento tradizionale della giurisprudenza di legittimità, il contratto di cessione di partecipazioni ha come oggetto immediato la partecipazione sociale e solo quale oggetto mediato la quota parte del patrimonio sociale che la partecipazione rappresenta.
Conseguentemente, le carenze o i vizi relativi alla consistenza patrimoniale della società potrebbero giustificare (in alternativa all’annullamento del contratto per errore) la risoluzione per difetto di “qualità” della res venduta solo in presenza di una specifica garanzia assunta dal cedente[1].
In tale prospettiva, il rimedio posto dall’art. 1497 cod. civ. dovrebbe essere applicato tenendo presente che l’oggetto della compravendita della partecipazione sociale è esclusivamente quest’ultima, sicché i vizi di cui agli artt. 1490 e ss. cod. civ. e il difetto di qualità di cui all’art. 1497 cod. civ. - relativamente alla compravendita di partecipazioni sociali - possono attenere unicamente alla “qualità” dei diritti ed obblighi che in concreto la partecipazione sociale sia idonea ad attribuire, essendo invece del tutto irrilevante il suo valore economico, non attinente all’oggetto del contratto, ma alla sfera delle valutazioni motivazionali delle parti.
La disciplina di cui all’art. 1497 cod. civ., pertanto, non si estenderebbe alla consistenza od al valore dei beni costituenti il patrimonio, a meno che l’acquirente, per conseguire tale risultato, non abbia fatto ricorso ad un’espressa clausola di garanzia, frutto dell’autonomia contrattuale, in modo da ricollegare esplicitamente il valore della partecipazione al valore dichiarato del patrimonio sociale (sub specie di «mancanza di qualità promesse»).
È fatta salva, pur nell’ambito dell’orientamento più restrittivo, l’ipotesi del dolo del cedente, quando il mendacio o le omissioni sulla situazione patrimoniale della società siano accompagnate da malizie e astuzie volte a realizzare l’inganno e idonee, in concreto, a sorprendere una persona di normale diligenza.
Secondo l’orientamento di segno opposto, invece, le quote delle società di capitali costituirebbero beni “di secondo grado”, in quanto, lungi dall’essere totalmente distinti e separati da quelli ricompresi nel patrimonio sociale, sono rappresentative delle posizioni giuridiche che competono ai singoli soci, in ordine alla gestione e alla utilizzazione di tali beni, funzionalmente destinati all’esercizio dell’attività sociale.
Conseguentemente, i beni ricompresi nel patrimonio della società non potrebbero essere considerati estranei all’oggetto del contratto di cessione delle quote o delle azioni di una società di capitali, non solo nell’ipotesi in cui le parti abbiano fatto ad essi esplicito riferimento, mediante la previsione di specifiche garanzie contrattuali, ma anche quando l’affidamento del cessionario, circa la ricorrenza di tali requisiti, debba ritenersi giustificato alla stregua del principio di buona fede[2].
In tale ottica, il divario tra l’effettiva consistenza quantitativa del patrimonio sociale rispetto a quella cui hanno fatto riferimento le parti, riflettendosi sulla solidità economica e sulla produttività dell’impresa sociale e conseguentemente sul valore e sulla redditività delle azioni (o delle quote) cedute, integrerebbe gli estremi della «mancanza di qualità essenziali» della cosa venduta, che può giustificare la risoluzione del contratto a norma dell’art. 1497 cod. civ.
1.2. La giurisprudenza più recente
La discussione sul tema oggetto del presente contributo si è nuovamente acuita a seguito dell’ordinanza della Corte di legittimità del 12 settembre 2019, n. 22790[3], che ha nuovamente affermato la tesi delle partecipazioni quali beni “di secondo grado”, che pareva superata.
Sulla base delle già richiamate premesse, la Corte ha osservato che la consistenza quantitativa del patrimonio sociale incide sulla solidità economica e sulla produttività della società e, in ultima istanza, sul valore delle azioni e delle quote.
La differenza tra l’effettiva consistenza quantitativa del patrimonio sociale e quella indicata nel contratto, pertanto, potrebbe integrare la «mancanza di qualità promesse ovvero quelle essenziali della cosa», che renderebbe ammissibile la risoluzione del contratto ex art. 1497 cod. civ., anche in assenza di un’esplicita garanzia assunta dal venditore.
Nei successivi pronunciamenti, tuttavia, la Corte di legittimità si è discostata da tali principi, riaffermando l’orientamento tradizionale.
Così, ad esempio, Cass. 21 gennaio 2020, n. 1164 ha affermato che «le carenze o i vizi relativi alle caratteristiche e al valore dei beni ricompresi nel patrimonio sociale - e, di riverbero, alla consistenza economica della partecipazione - possono giustificare l'annullamento del contratto per errore o, sensi dell'art. 1497 c.c., la risoluzione per difetto di "qualità" della cosa venduta (necessariamente attinente ai diritti e obblighi che, in concreto, la partecipazione sociale sia idonea ad attribuire e non al suo valore economico), solo se il cedente abbia fornito, a tale riguardo, specifiche garanzie contrattuali, ovvero nel caso di dolo di un contraente, quando il mendacio o le omissioni sulla situazione patrimoniale della società siano accompagnate da malizie ed astuzie volte a realizzare l'inganno ed idonee, in concreto, a sorprendere una persona di normale diligenza»[4].
Nel medesimo senso, si è espressa anche Cass. 18 luglio 2024, n. 19833[5], ove si legge: «la cessione delle azioni, o delle quote, di una società di capitali, ha come oggetto immediato la partecipazione sociale, e solo quale oggetto mediato, la quota parte del patrimonio sociale che tale partecipazione rappresenta. Pertanto, le carenze o i vizi relativi alle caratteristiche e al valore dei beni ricompresi nel patrimonio sociale e, di conseguenza, alla consistenza economica della partecipazione possono giustificare la sua risoluzione o la riduzione del prezzo pattuito solo se il cedente abbia fornito, a tale riguardo, specifiche garanzie contrattuali».
In questa prospettiva, l'assetto patrimoniale del valore della partecipazione, in quanto corrispondente all'esercizio dei diritti patrimoniali spettanti al socio, rappresenta solo una parte dell'utilità che l'acquirente della partecipazione riceve per effetto del suo acquisto, che si aggiunge ai diritti amministrativi, che consentono al socio di partecipare alla vita della società esercitando tutte le facoltà concesse dalla legge e dallo statuto, rispetto alle quali l'aspettativa di redditività connessa all'esercizio dei diritti patrimoniali costituisce non più che un aspetto del complessivo status di socio.
1.3. Osservazioni
Nella ricerca di solide coordinate ermeneutiche, deve osservarsi che l’orientamento contrario all’esperibilità delle azioni edilizie nelle ipotesi di carenze o vizi relativi alle caratteristiche e al valore dei beni ricompresi nel patrimonio sociale sembra ormai definitivamente consolidato e meritevole di condivisione.
Le affermazioni rese sulla materia oggetto del presente contributo dalla Corte di legittimità con l’ordinanza n. 22790 del 2019, rimaste peraltro isolate, suscitano alcune perplessità e non appaiono adeguatamente ponderate.
Innanzitutto, infatti, è d’uopo osservare che la Corte di legittimità si è espressa in una fattispecie in cui i venditori avevano assunto una specifica ed espressa garanzia sulla corrispondenza della situazione patrimoniale della società, sì che la pronuncia non avuto effettivamente ad oggetto una fattispecie in cui davvero sarebbe stato possibile riconoscere la garanzia ex art. 1497 cod. civ. alla stregua del solo principio di buona fede[6].
In secondo luogo, è stato ribadito un principio che sembrava definitivamente superato dalla giurisprudenza maggioritaria, senza un’adeguata analisi delle pronunce di segno contrario, che pure erano numerose e meno risalenti dell’unico precedente richiamato (i.e. Cass. 9 settembre 2004, n. 18181, cit., altrettanto criticata, che aveva altresì affrontato la questione in via incidentale) e si erano espresseproprio in merito all’applicabilità - in assenza di una espressa garanzia - della disciplina di cui all’art. 1497 cod. civ. nel caso di differente consistenza patrimoniale della società target rispetto a quanto pattuito.
Pertanto, la natura di obiter dictum del riconoscimento della possibilità di esperire il rimedio di cui all’art. 1497 cod. civ. anche sulla base del solo affidamento posto dal cessionario induce a quantomeno a dubitare che la Suprema Corte abbia meditatamente inteso pronunciarsi in senso contrario rispetto al suo più consolidato orientamento[7].
Come osservato, infatti, anche da autorevole dottrina, la ricostruzione delle azioni come «beni di secondo grado» non è idonea a superare il rilievo per cui il diritto reale sulla partecipazione - i.e. l’oggetto (immediato) del contratto di compravendita - si traduce unicamente in un diritto sulla “posizione” di socio in relazione ai diritti e poteri derivanti da detta posizione[8], con la conseguenza che il trasferimento delle partecipazioni determina soltanto l’acquisto di quell’insieme di posizioni giuridiche attive e passive che costituisce, appunto, il c.d. status socii, l’unico oggetto possibile sul piano giuridico-formale del contratto di compravendita.
La distinzione, sul piano giuridico, tra le partecipazioni oggetto del contratto di cessione e il patrimonio sociale, difatti, non consente di superare l’irrilevanza della difformità del patrimonio sociale o di vizi di singoli beni in esso ricompresi sulla base di una ricostruzione e interpretazione della effettiva volontà delle parti in relazione al bene che esse effettivamente hanno voluto trasferire.
In altri termini, il “valore” della partecipazione o la consistenza patrimoniale della società target non potrebbero integrare la nozione di “qualità” ai sensi dell’art. 1497 cod. civ., il cui difetto deve attenere in ogni caso «alla struttura materiale, alla funzionalità o anche alla mancanza di attributi giuridici della cosa venduta»[9]: ciò sempre alla stregua della considerazione per cui i diritti ricompresi nello status socii hanno ad oggetto l’esercizio in comune dell’impresa sociale, sul quale non si riflettono i vizi e le difformità dei beni e del patrimonio sociale[10].
Si assisterebbe, in altri termini, in una indebita previsione di una garanzia implicita (svincolata da qualsivoglia inadempimento) a carico del venditore, peraltro in contrasto con l’orientamento giurisprudenziale prevalente che richiede l’espressa previsione delle garanzie nel contratto[11] e con riferimento ad operazioni di sovente connotate dall’intervento di professionisti e da un sostanziale equilibrio tra le parti[12].
Inoltre, neppure è parso convincente il riferimento effettuato dall’orientamento più lasco al principio di buona fede: le garanzie c.d. “in senso lato” nel contratto di compravendita e, in particolare, il rimedio di cui all’art. 1497 cod. civ., in caso di vizi o “qualità essenziali”, opererebbero a prescindere dall’affidamento riposto dall’acquirente o dalla previsione di una esplicita garanzia.
Non può che concludersi, pertanto, che l’adesione all’orientamento minoritario implicherebbe una non consentita integrazione giudiziale del contratto secondo buona fede (con riferimento a beni estranei dall’oggetto del contratto), la quale - tuttavia - presuppone proprio l’irrilevanza del patrimonio sociale nel contratto di cessione di partecipazioni, posto che altrimenti avrebbe trovato certamente applicabilità la disciplina codicistica di cui agli artt. 1490 ss. cod. civ. in tema di garanzie c.d. “in senso lato”.
2. Le garanzie nella cessione di partecipazioni sociali
Come detto, la tesi ormai consolidata accolta dalla giurisprudenza maggioritaria postula l’applicabilità del rimedio di cui all’art. 1497 cod. civ. nei casi in cui il cedente abbia fornito espresse garanzie in merito alla situazione patrimoniale della società, addossandosi il rischio derivante da eventuali difformità rispetto alle garanzie prestate e obbligandosi, nel caso, ad indennizzare l’acquirente.
Ciò posto, ferma la difficoltà di individuare una tutela per l’acquirente in assenza di un’apposita garanzia da parte del venditore, si pongono alcuni interrogativi in ordine alla natura di tali clausole di garanzia, ossia sulla loro riconducibilità allo schema tipico delle garanzie legali di cui agli artt. 1490 e ss. cod. civ., nonché in ordine ai rimedi che l’ordinamento pone a tutela dell’acquirente deluso.
Come è noto, le garanzie rilasciate dal venditore possono riguardare le caratteristiche delle quote oggetto immediato della compravendita (c.d. legal warranties) o la consistenza patrimoniale e finanziaria della società target e alle sue prospettive reddituali (c.d. business warranties).
La qualificazione delle business warranties come «qualità promesse o essenziali» accolta dalla giurisprudenza è stata sconfessata dalla dottrina unanime[13], la quale ha evidenziato le conseguenze particolarmente gravi per il compratore, che nella maggior parte dei casi si troverebbe a rilevare le eventuali difformità ben oltre la scadenza del termine di prescrizione annuale di cui all’art. 1495 cod. civ.
Si è inoltre affermato che, a ben vedere, la garanzia legale di cui agli artt. 1490 e 1497 cod. civ. attiene a vizi e qualità intrinseche del bene esistenti al momento della conclusione del contratto[14]: al contrario, l’oggetto delle business warranties attiene ad elementi estrinseci rispetto all’oggetto immediato del contratto (ossia, la cessione delle partecipazioni) e, comunque, risulta inevitabilmente connesso ad eventi futuri ed incerti riguardanti la consistenza patrimoniale e la redditività[15].
L’obbligazione assunta dal venditore è configurabile come una mera prestazione accessoria rispetto a quella principale, che impone unicamente un obbligo di indennizzo a carico del venditore ove la consistenza patrimoniale della società target si riveli diversa da quella considerata dalle parti con il contratto di cessione. E ciò per il solo fatto oggettivo della stessa, senza che rilevi in alcun modo il suo adempimento o il suo inadempimento o il rimedio risolutivo di cui all’art. 1497 cod. civ. [16]
Nell’impossibilità di ripercorrere le innumerevoli argomentazioni rese dalla dottrina più attenta, ci si limita a dare atto delle perplessità che ha suscitato l’apparente mancato recepimento dell’orientamento più condivisibile della Corte di legittimità, che ha qualificato le business warranties quali prestazioni accessorie al trasferimento del diritto oggetto del contratto, volte a garantire l'esito economico dell'operazione e aventi un oggetto distinto da quello della garanzia legale previste dal Codice civile[17].
Tali clausole, dunque, presentano più propriamente la natura di garanzie autonome, slegate dalle norme sulla vendita e soggette al termine ordinario decennale di prescrizione[18].
In tale prospettiva, i patti autonomi di garanzia eventualmente previsti, anche se eventualmente collegati all’oggetto immediato del negozio, non attengono a quest’ultimo e costituiscono un’autonoma regolamentazione di garanzia che non ricade nell’ambito di applicazione degli artt. 1495 e 1497 cod. civ.: in caso di inadempimento, deve riconoscersi all’acquirente il diritto a conseguire un indennizzo e non la possibilità di ottenere la risoluzione del contratto di acquisto della partecipazione a causa del difetto di qualità della cosa venduta.
Di conseguenza, pur nel sospetto che la “statica” ripetizione del principio non sia frutto di una ponderata mediazione, appare quantomeno fuorviante il perdurante riferimento alla “riduzione del prezzo”[19], rimedio peraltro neppure previsto dalla disciplina di cui all’art. 1497 cod. civ.
3. L’aliud pro alio nella compravendita di partecipazioni societarie.
Questione distinta, invece, è quella relativa all’ipotesi in cui i vizi relativi alle caratteristiche e al valore dei beni ricompresi nel patrimonio della società siano tali da determinare una radicale diversità della prestazione eseguita rispetto a quella pattuita.
Com’è noto, secondo la giurisprudenza, sussiste consegna di aliud pro alio quando la res è completamente differente da quella pattuita, perché appartenente a un altro genere del tutto diverso o perché priva, a causa di vizi (materiali o giuridici) del bene, della capacità di assolvere alla sua funzione naturale o a quella concreta ritenuta essenziale dalle parti, facendola degradare in una sottospecie del tutto diversa da quella dedotta in contratto, tanto da azzerarne il valore[20].
Tali affermazioni consentono di far riferimento, oltre che ad un concetto di “diversità ontologica”, anche a quello di “diversità dinamica”, relativo all’utilizzo e all’utilità che le parti intendono assegnare alla res oggetto del contratto di compravendita.
In tale ipotesi, i rimedi esperibili dall’acquirente sono quelli ordinari previsti in materia di inadempimento contrattuale (artt. 1218 e 1453 e ss. cod. civ.), svincolati dalle strettoie decadenziali e prescrizionali delle garanzie edilizie[21].
Tali princìpi sono stati ritenuti applicabili anche alla compravendita di partecipazioni delle società di capitali, pur se con alcune particolari declinazioni[22].
In particolare, nella materia de qua, si è soliti far riferimento a Cass. 20 febbraio 2004, n. 3370, cit.[23], la quale, con riferimento al mancato rilascio dell’autorizzazione che aveva reso impossibile l’utilizzo dei beni, ha affermato la configurabilità della consegna di aliud pro alio nell’ipotesi in cui «i beni consegnati possono essere ritenuti del tutto inidonei ad assolvere "la loro funzione naturale o quella assunta come essenziale dalle parti" e vanno conseguentemente considerati (non solo semplicemente "difformi", ma "radicalmente diversi", da quelli presi in considerazione al momento della stipula del contratto».
La pronuncia, pur ritenuta “isolata”[24], non ha trovato significative smentite.
Occorre, pertanto, passare al vaglio le coordinate fornite dalla dottrina e dalla giurisprudenza in merito all’accezione dalla nozione di aliud pro alio, con particolare riferimento al contratto di compravendita di partecipazioni sociali.
L’aliud pro alio datum, in particolare, è stato ritenuto sussistente nelle ipotesi in cui si assista ad una irrimediabile alterazione della «funzionalità della società», le cui partecipazioni sono oggetto di trasferimento, e, quindi, dello status socii[25].
Ciò accade, in particolare, oltre all’ipotesi dell’acquisto di partecipazioni che non rappresentino la quota del capitale sociale concordata dalle parti o relative ad una società appartenente ad un differente tipo sociale o con un differente oggetto sociale, allorquando - nonostante il contratto presupponesse il trasferimento di partecipazioni di una società in bonis e potenzialmente in grado di proseguire l’attività sociale - si renda di fatto impossibile l’esercizio dell’impresa[26].
Concretamente, si è fatto riferimento alle ipotesi di:
(i) assenza di autorizzazioni, licenze, permessi o quant’altro impedisca l’esercizio stesso dell’attività di impresa svolta dalla società[27];
(ii) diversità dell’oggetto sociale[28];
(iii)inservibilità dello stabilimento industriale per lo svolgimento dell’attività sociale[29];
(iv)scioglimento e successivo stato di liquidazione della società[30];
(v) stato di insolvenza[31].
In questa prospettiva, la domanda di risoluzione proposta ex artt. 1453 e ss. cod. civ. prescinderebbe del tutto dalla previsione di una specifica garanzia sulla consistenza patrimoniale della società target, ma troverebbe il proprio fondamento nella consegna di un bene radicalmente differente (i.e. le partecipazioni di una società «del tutto priva di qualsivoglia capacità funzionale») da quello cui le parti hanno inteso far riferimento nel contratto[32].
Ecco che, nonostante - come visto - l’orientamento più convincente della giurisprudenza di legittimità con riferimento all’applicabilità della disciplina delle garanzie per vizi, alla consistenza patrimoniale della società target potrebbe comunque essere riconosciuto un rilievo sotto il diverso profilo dell’inadempimento all’obbligazione di consegna di cui all’art. 1476, n. 1, cod. civ.
Si tratta, tuttavia, di un territorio per lo più inesplorato dalla giurisprudenza e relegato alle ipotesi eccezionali di impossibilità della società di proseguire l’attività.
L’indagine, in ogni caso, dovrà necessariamente spostarsi sugli intendimenti dei contraenti al momento della genesi del contratto e, in particolare, sulla loro intenzione di trasferire partecipazioni di una società operativa e funzionale.
In siffatta prospettiva, anche la previsione di una inerente business warranty potrebbe costituire un indice dirimente al fine dell’emersione della volontà delle parti, assolvendo altresì alla funzione di sottrarre da ogni contestazione la rilevanza dell’inadempimento richiesta dall’art. 1455 cod. civ. per la risoluzione ex art. 1453 cod. civ.
[1] Per quest’orientamento, cfr. ex plurimis, Cass. 19 luglio 2007, n. 16031, in Obbl. e Contr., 2007, 11, p. 869, con nota di D. Rubino, la quale - con riguardo all’errore - osserva che «[…] non può dubitarsi che una cosa è la vendita di azioni, un'altra la vendita di beni della società -contratti del tutto autonomi e distinti -, posto che diverso è il bene oggetto della compravendita. In questa ottica, emerge, in maniera netta, la differenza tra vendita dell'azione - cui consegue l'acquisto dello status di socio ed anche la misura della partecipazione del nuovo socio nella s.p.a. - e la vendita dell'intero patrimonio o di singoli beni della società. Infatti, solo in quest'ultimo caso, oggetto della vendita sono i beni della società; e, quindi, non possono non trovare applicazione le garanzie dovuta dal venditore, con riferimento al patrimonio sociale. Nella vendita di azioni, la disciplina giuridica, invece, si ferma all'oggetto immediato e, cioè all'azione oggetto del contratto, mentre non si estende alla consistenza od al valore dei beni costituenti il patrimonio, a meno che l'acquirente, per conseguire tale risultato, non abbia fatto ricorso ad un'espressa clausola di garanzia, frutto dell'autonomia contrattuale, che consente alle parti di rafforzare, diminuire, od escludere convenzionalmente la garanzia, in modo da ricollegare esplicitamente il valore dell'azione al valore dichiarato del patrimonio sociale».
[2] Cfr. Cass. 9 settembre 2004, n. 18181, in One Legale, per l’osservazione per cui: «le società, ancorché personificate, costituiscono centri di imputazione meramente transitori e strumentali, in quanto le situazioni giuridiche che ad esse sono imputate sono destinate a tradursi (e questa volta definitivamente) in situazioni giuridiche corrispondenti facenti capo ai singoli soci, i quali finiscono, quindi, per esserne titolari effettivi, sia pure in una maniera "specifica", che vale a distinguerle dalle altre che ad essi competono come individui». In senso conforme, cfr. Cass. 20 febbraio 2004, n. 3370, in Giur. Comm., 2005, II, p. 130; Cass. 21 giugno 1996, n. 5773, in Corriere Giur., 1997, 3, p. 352 e, nella giurisprudenza di merito, Trib. Roma, 12 ottobre 2017, n. 19222, in One Legale.
[3] Cass. ord. 12 settembre 2019, n. 22790, in Contratti, 2020, 2, 160, nota di A. Reschigna, ove si legge: «i beni compresi nel patrimonio della società non possono essere considerati del tutto estranei all’oggetto del contratto di cessione delle azioni o delle quote di una società di capitali, sia se le parti abbiano fatto espresso riferimento agli stessi, mediante la previsione di specifiche garanzie contrattuali, sia se l’affidamento del cessionario debba ritenersi giustificato alla stregua del principio di buona fede; conseguentemente la differenza tra l’effettiva consistenza quantitativa del patrimonio sociale rispetto a quella indicata nel contratto, incidendo sulla solidità economica e sulla produttività della società, quindi sul valore delle azioni o delle quote, può integrare la mancanza delle qualità essenziali della cosa, che rende ammissibile la risoluzione del contratto ex art. 1497 cod. civ., ovvero, qualora i beni siano assolutamente privi della capacità funzionale a soddisfare i bisogni dell’acquirente, quindi “radicalmente diversi” da quelli pattuiti, l’esperimento di un’ordinaria azione di risoluzione ex art. 1453 cod. civ., svincolata dai termini di decadenza e prescrizione previsti dall’art. 1495 cod. civ.». Idem, nella giurisprudenza di merito, Trib. Firenze 18 ottobre 2023, n. 2979, in One Legale.
[4] Cass. 21 gennaio 2020, n. 1164, in One Legale.
[5] Oltre a Cass. 18 luglio 2024, n. 19833, in Società, 2024, 10, p. 1139, cfr. Cass. 26 febbraio 2024, n. 5053, in Società, 2024, 5, p. 627; Cass. 10 giugno 2022, n. 18755, in Notariato, 2022, 5, p. 478. Cass. 29 aprile 2019, n. 21590, in One Legale; Cass. 19 ottobre 2012, n. 17948, in Notariato, 2013, 1, p. 101. Nella giurisprudenza di merito, cfr. Trib. Milano 2 gennaio 2023, n. 3, in DeJure; App. Milano 22 marzo 2021, n. 925, in One Legale; Trib. Milano 29 settembre 2020, in IUS Societario, 2021; Trib. Milano 2 luglio 2019; Trib. Milano 11 dicembre 2018, in www.giurisprudenzadelleimprese.it.
[6] Cfr. A. Tina, Compravendita di partecipazioni societarie nella recente giurisprudenza di legittimità, in Giur. comm., 2020, I, pp. 735 ss., secondo cui «[i]l richiamo operato dalla S.C. - seppur, come chiarito, in via incidentale - ai beni sociali quale parte integrante [dell’] oggetto di cessione e ad una garanzia del venditore sulla base dell’affidamento generato nell’acquirente alla stregua del principio di buona fede, oltre che non condivisibile […], appare, quindi, superfluo e fuori luogo».
[7] In questo senso, cfr. anche M. Speranzin, Una criticabile sentenza della Cassazione in materia di garanzie legali e convenzionali nel caso di trasferimento di partecipazioni sociali, ne Il Corriere Giuridico, n. 4, 1° aprile 2020, p. 510.
[8] Così lo stesso T. Ascarelli, Riflessioni in tema di titoli azionari personalità giuridica e società tra società, in Banca, borsa tit. cred., 1952, I, p. 389, cui si deve la paternità della teoria dei beni “di secondo grado”. Cfr. A. Tina, Compravendita di partecipazioni societarie nella recente giurisprudenza di legittimità, cit., p. 746, il quale osserva che «[i]l socio in quanto tale non ha un diritto di proprietà (art. 832 c.c.) sui beni sociali, la cui disponibilità, rientrando nella gestione del patrimonio, è rimessa esclusivamente all’organo amministrativo (artt. 2380-bis e 2475 c.c.)»; Id., Note in materia di trasferimento di partecipazioni societarie (di controllo o rilevanti) e tutela dell'acquirente, tra responsabilità precontrattuale, dolo incidente e integrazione del contratto secondo buona fede e correttezza, in Banca Borsa Titoli di Credito, 2, 2023, p. 184.
[9] Cass. 24 luglio 2014, n. 16963, in Foro it., 2015, I, c. 4001, richiamata da A. Tina, Compravendita di partecipazioni societarie nella recente giurisprudenza di legittimità, cit., p. 754.
[10] A. Tina, Il contratto di acquisizione di partecipazioni societarie, cit., p. 250.
[11] Ex multis, Cass. 19 luglio 2007, n. 16031, cit.
[12] A. Tina, Compravendita di partecipazioni societarie nella recente giurisprudenza di legittimità, cit., p. 750; M. Reschigna, Sulle clausole di garanzia nei contratti di trasferimento di partecipazioni sociali e sulla inammissibilità delle garanzie implicite, cit., p. 160, per il quale «nella maggior parte dei casi le parti del contratto sono imprenditori e pertanto, di regola, non si verifica un’asimmetria informativa tale da giustificare un certo affidamento di una delle parti verso l’altra».
[13] Ex plurimis, M. Reschigna, Sulle clausole di garanzia nei contratti di trasferimento di partecipazioni sociali e sulla inammissibilità delle garanzie implicite, ne I Contratti, n. 2, 1° marzo 2020, p. 160, nt. 5 (anche per ulteriori richiami); C. Confortini, Clausole di rappresentazione e garanzia nella vendita di partecipazioni sociali, in Nuova giur. civ. comm., 2019, 569, p. 577 ss.; T. dalla Massara, Garanzie convenzionali in tema di cessione di partecipazioni: una proposta ricostruttiva, in Riv. dir. civ., 2016, pp. 1181 ss.; G. Buset, Vendita di partecipazioni sociali di “controllo” e garanzie patrimoniali: rassegna critica, in Nuova giur. civ. comm., 2015, 355, pp. 363 ss.
[14] È necessario, secondo la dottrina unanime, che il vizio sia preesistente alla conclusione del contratto: cfr. A. Luminoso, La vendita, cit., 482; C. M. Bianca, La vendita e la permuta, cit., p. 896; cfr. anche V. G. Ventura, L’onere della prova in tema di garanzia per vizi della cosa venduta ex art. 1490 c.c. ed eventuali riflessi sulla vendita consumeristica, in Notariato, 4, 1° luglio 2019, p. 413, secondo cui i deterioramenti sopravvenuti rientrano nella sfera dei rischi incombenti sul compratore in qualità di proprietario. L’anteriorità del difetto si determina avendo riguardo al momento nel quale si realizza il trasferimento del diritto di proprietà sulla res, coincidente con quello dello scambio dei consensi o quello successivo nelle ipotesi delle c.d. vendite obbligatorie.
[15] Così anche T. Dalla Massara - M. D’Onofrio, Clausole di garanzia nella cessione di partecipazioni: struttura, legittimazione ad agire e prescrizione, ne I Contratti, n. 3, 1° maggio 2018, p. 299.
[16] T. dalla Massara, Garanzie convenzionali in tema di cessione di partecipazioni: una proposta ricostruttiva, cit., pp. 1181 ss.; P. Trimarchi, Le garanzie contrattuali nell’acquisto di partecipazioni sociali, in Studi in onore di G. De Nova a cura di G. Gitti - F. Delfini - D. Maffeis, Milano 2015, p. 3033 ss.
[17] Cass. 13 marzo 2019, n. 7183, in Rivista dei Dottori Commercialisti,2019, 3, p. 532; nonché Cass. 24 luglio 2014, n. 16963, in Foro it., 2015, 12, c. 4001.
[18] Peraltro, decorrente dal giorno in cui il diritto oggetto della garanzia possa essere fatto valere, cioè dal giorno in cui si verifica l’evento garantito: cfr. M. Reschigna, Sulle clausole di garanzia nei contratti di trasferimento di partecipazioni sociali e sulla inammissibilità delle garanzie implicite, cit., p. 160, nonché A. Tina, Il termine di prescrizione degli impegni di garanzia e indennizzo nel trasferimento di partecipazioni societarie, in Giur. it., 2014, p. 2406.
[19] Solo da ultimo, cfr. Cass. 18 luglio 2024, n. 19833, cit.
[20] Di recente, cfr. Cass. 9 aprile 2024, n. 13214, in Notariato, 2024, 4, p. 413, ove si legge: «sussiste consegna di aliud pro alio, che dà luogo all'azione contrattuale di risoluzione ai sensi dell'art. 1453 c.c., qualora il bene consegnato sia completamente eterogeneo rispetto a quello pattuito, per natura, individualità, consistenza e destinazione, cosicché, appartenendo ad un genere diverso, si riveli funzionalmente del tutto inidoneo ad assolvere allo scopo economico-sociale della res promessa e, quindi, a fornire l'utilità presagita». La giurisprudenza è granitica: cfr. Cass. 2 aprile 2024, n. 8649, in DeJure; Cass. 5 febbraio 2024, n. 3250, in One Legale; Cass. 24 agosto 2023, n. 25230, in Dir. e giust., 2023; Cass. 2 agosto 2023, n. 23604, in DeJure.
[21] Cass. 2 agosto 2023, n. 23604, in Imm. e propr., 2023, 10, p. 580.
[22] Sul punto, anche la stessa Cass. ord. 12 settembre 2019, n. 22790, cit., secondo cui lo scioglimento e il successivo stato di liquidazione della società, le cui partecipazioni sono oggetto di cessione, sono idonei ad alterare la “funzionalità” della medesima e, dunque, lo status socii, oggetto immediato della cessione, giustificandosi in tal modo la risoluzione del contratto ai sensi dell’art. 1453 cod. civ. Cfr., nuovamente, anche Cass. 9 settembre 2004, n. 18181, cit.; Cass. 20 febbraio 2004, n. 3370, cit. e, nella giurisprudenza di merito, Trib. Brescia 29 giugno 2023, n. 1618, in One Legale; Trib. Milano 2 luglio 2019, n. 6461, in One Legale. Contra Trib. Trieste 16 ottobre 2019, n. 585, in One Legale, che ha ritenuto preclusa (anche) la domanda di risoluzione ex art. 1453 cod. civ. «siccome avent[e] ad oggetto le qualità del bene compreso nel patrimonio societario, nell'ambito di una cessione del capitale sociale sprovvista di clausole di garanzia specifiche».
[23] In precedenza, Cass., 23 febbraio 2000, n. 2059, in Società, 2000, p. 1205, aveva riconosciuto la sussistenza dell’aliud pro alio in un caso in cui era stata alienata una società di persone che gestiva una tabaccheria priva di autorizzazione alla vendita dei tabacchi.
[24] Così, ad es., Trib. Milano 6 luglio 2015, in One Legale, che ha sostenuto la difficile predicabilità della sussistenza dei presupposti dell’aliud pro alio «nel caso di cessione di un pacchetto di azioni di spa quotata in borsa, pacchetto rispetto al quale "i bisogni dell'acquirente" non paiono comunque direttamente collegabili alla consistenza della situazione industriale della società oggetto della cessione».
[25] G. Panzarini, La tutela dell’acquirente nella vendita di titoli di credito, in Riv. dir. comm., 1959, I, 291, p. 459.
[26] Come osservato da Cass. 24 luglio 2014, n. 16963, cit., le circostanze che influiscono meramente sulla consistenza e sulla redditività della società target possono assumere rilevanza sotto il profilo della corretta attuazione del sinallagma funzionale voluto dalle parti o sotto il profilo dell’inadempimento del venditore alla luce dei doveri di correttezza e buona fede. In dottrina, cfr. Cfr. M. Callegari, Le clausole relative all’oggetto “diretto” (azioni e quote), in Le acquisizioni societarie, diretto da Irrera, Zanichelli, 2011, 190, nt. 6.
[27] Cass. 24 luglio 2014, n. 16963, cit.
[28] A. Tina, Trasferimento di partecipazioni societarie ed annullamento del contratto, in Giur. comm., II, 2008, p. 103.
[29] Cass. 28 agosto 1952, n. 2784 in Foro it., 1953, I, c. 1638 ss., con nota di T. Ascarelli, In tema di vendita di azioni e responsabilità degli amministratori. In prospettiva di configurabilità dell’aliud pro alio.
[30] A. Maisano, Lo scioglimento delle società, Milano, 1974, pp. 225 ss.; G. Ferri, Le società, in Trattato di diritto civile italiano, fondato da F. Vassalli, X, 3, Torino, 1987, p. 309. Cfr. anche A. Tina, Trasferimento di partecipazioni societarie ed annullamento del contratto, cit., p. 103, per il quale lo scioglimento modifica lo “scopo-fine” della società, indirizzando l’attività sociale “alla conservazione dell’integrità e del valore del patrimonio sociale”, escludendo in radice un’attività di impresa diretta alla realizzazione del massimo profitto.
[31] Per gli esempi, cfr. A. Tina, Compravendita di partecipazioni societarie nella recente giurisprudenza di legittimità, cit., p. 744, e, dello stesso Autore, Il contratto di acquisizione di partecipazioni societarie, Milano, 2007, p. 250, Trasferimento di partecipazioni societarie e annullamento del contratto, in Giur. comm, 2008, pp. 118 ss., Trasferimento di partecipazioni societarie: risoluzione del contratto per mancanza di qualità, aliud pro alio e annullamento del contratto per dolo, in Banca borsa tit. cred., 2009, II, pp. 570 ss. Nel senso della configurabilità dell’aliud pro alio, cfr. anche M. Speranzin, Vendita della partecipazione di “controllo” e garanzie contrattuali, Milano, 2006.
D’altro canto, come osserva A. Luminoso, La compravendita, VII, Torino, 2011, p. 22, «[r]ientrano nel novero delle operazioni economiche aventi, sotto il profilo giuridico, natura di contratti per l’esecuzione di un servizio (non già lo scambio di beni) […] quelle ipotesi nelle quali vengono trasferite aziende in perdita o pacchetti azionari di società in perdita con l’aggiunta - sovente - di un “premio” o “conguaglio” in favore dell’acquirente, per l’azzeramento o il parziale risanamento delle perdite».
[32] Cfr., sul punto, A. Tina, Compravendita di partecipazioni societarie nella recente giurisprudenza di legittimità, cit., p. 745.
Scarica Articolo PDF