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Il Caso.it, Sez. Articoli e Saggi - Data pubblicazione 06/05/2024 Scarica PDF
Il “collegamento funzionale” tra fideiussioni ABI e clausole EURIBOR
Biagio Ciliberti, Avvocato in MilanoSommario: 1. Premessa: la distinzione con il “collegamento negoziale”. - 2. Il “collegamento funzionale” secondo Cass., Sez. Un., 30 dicembre 2021, n. 41994. - 3. La manipolazione del tasso EURIBOR: Cass., ord. 13 dicembre 2023, n. 34889. - 4. La giurisprudenza successiva. - 5. Conclusioni.
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Il presente contributo ha come obiettivo l’approfondimento della nozione di “collegamento funzionale”, come delineata dalle Sezioni Unite della Corte di Cassazione in occasione del pronunciamento circa la legittimità delle fideiussioni omnibus riproducenti le clausole dello schema contrattuale adottato dall’Associazione bancaria Italiana (ABI) e dichiarato parzialmente nullo dalla Banca d’Italia per violazione dell’art. 2, 2° comma, lett. a), della l. n. 287 del 1990.
Il tema, a distanza di oltre due anni, ha acquisito rinnovato interesse, a seguito dell’ordinanza n. 34889/2023, pubblicata in data 13 dicembre 2023 dalla III Sezione Civile della Corte di Cassazione, con cui il Supremo Consesso ha affermato la nullità delle clausole di un contratto di leasing che prevedevano un tasso d’interesse variabile determinato per relationem ancorato al tasso EURIBOR, del quale la Commissione Europea ha accertato l’illegittima manipolazione da parte di alcune banche europee.
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1. Premessa: la distinzione con il “collegamento negoziale”
Preliminarmente, occorre precisare che l’istituto del “collegamento funzionale”, oggetto della presente analisi, è in realtà tutt’altra cosa rispetto agli istituti del “collegamento negoziale” e dell’invalidità derivata, solo apparentemente affini.
Com’è noto, infatti, per aversi collegamento negoziale in senso “tecnico” tra due negozi - l’unico in grado di giustificare gli effetti di cui al brocardo simul stabunt, simul cadent - è necessario che siano rinvenibili un requisito oggettivo, costituito dal nesso teleologico tra i negozi, e un requisito soggettivo, costituito dalla comune intenzione delle parti - espressa o tacita - di collegare i vari negozi in uno scopo comune.
Al contrario, la teoria del “collegamento funzionale” è stata adoperata per spiegare la nullità di negozi “a valle” stipulati in esecuzione di accordi restrittivi della concorrenza e, ovviamente, prescinde dalla sussistenza dei requisiti appena richiamati.
2. Il collegamento funzionale secondo Cass., Sez. Un., 30 dicembre 2021, n. 41994
Le più puntuali coordinate in merito al “collegamento funzionale” sono state tracciate dalle Sezioni Unite della Corte di Cassazione nella sentenza del 30 dicembre 2021, n. 41994, con la quale il Massimo Consesso ha affermato la parziale nullità dei contratti di fideiussione a valle di intese dichiarate parzialmente nulle dall’Autorità Garante, in relazione alle clausole che riproducano quelle dello schema contrattuale standardizzato adottato dall’Associazione bancaria Italiana (ABI) e dichiarato parzialmente nullo dalla Banca d’Italia per violazione dell’art. 2, 2° comma, lett. a), della l. n. 287 del 1990, salvo che sia desumibile dal contratto o altrimenti comprovata una diversa volontà delle parti.
In particolare, le Sezioni Unite della Corte di Cassazione hanno rilevato che i contratti “a valle” di accordi contrari alla normativa antitrust costituiscono “lo sbocco dell’intesa vietata, essenziale a realizzarne e ad attuarne gli effetti”: essi, infatti, partecipano della stessa natura concorrenziale dell’atto a monte e, pertanto, vengono ad essere inficiati dalla medesima forma di invalidità che colpisce i primi.
Secondo il Supremo Consesso, il legislatore nazionale ed europeo ha posto un divieto di “risultato economico”, ossia la distorsione della concorrenza: che troverebbe attuazione proprio con il contratto “a valle”.
Di talché, il contratto stipulato dall’istituto di credito con il cliente deve essere ritenuto “a valle” dell’intesa anticoncorrenziale ogni qual volta sussista un “collegamento funzionale”, tale da concretare un meccanismo di violazione della normativa nazionale ed eurounitaria antitrust.
Tale “collegamento funzionale”, in altri termini, è riscontrabile nelle ipotesi in cui tra l’atto “a monte” e il contratto successivo sussista un nesso che faccia apparire la connessione tra i due atti “funzionale”, appunto, alla produzione dell’effetto anticoncorrenziale.
In tal senso - nella prospettiva del Supremo Consesso -, deporrebbe proprio l’espressione “ad ogni effetto” dell’art. 2 l. n. 287 del 1990, che permetterebbe di far riverberare la nullità (parziale) dell’intesa a monte sul contratto “a valle”: la nullità anticoncorrenziale comminata dall’art. 2 cit., infatti, sarebbe una nullità di protezione e, pertanto, non potrebbe che esplicare i propri effetti sul cliente, ossia proprio sul soggetto che la norma è deputata a tutelare.
3. La manipolazione del tasso EURIBOR: Cass., ord. 13 dicembre 2023, n. 34889
Come anticipato, la questione che ha attirato oggi l’attenzione degli osservatori è quella relativa alla sorte dei contratti di finanziamento (in generale) a tasso variabile riferiti all’andamento del tasso EURIBOR stipulati con la clientela dalle banche italiane.
Ciò in quanto la Commissione Europea, in data 4 dicembre 2013, ha accertato l’illegittimità di un cartello nel settore degli EIRD (Euro Interest Rates Derivatives) tra alcune banche europee volto alla manipolazione del medesimo tasso EURIBOR tra il 29 settembre 2005 ed il 30 maggio 2008.
Il tema della sorte dei contratti di finanziamento a tasso variabile stipulati con riferimento al tasso EURIBOR è stato affrontato dalla III Sezione Civile della Corte di Cassazione, con l’ordinanza n. 34889, resa in data 12 ottobre 2023 e pubblicata in data 13 dicembre 2023.
Secondo la Corte di legittimità, qualsiasi forma di distorsione della competizione di mercato, in qualunque forma posta in essere, costituisce comportamento rilevante ai fini dell’accertamento della violazione dell’art. 2 della legge antitrust: dovrebbe, pertanto, ritenersi vietato qualunque contratto o negozio a valle che costituisca applicazione delle intese illecite concluse a monte.
Le clausole contenute nel contratto di leasing che prevedono il tasso con riferimento al tasso EURIBOR fissato attraverso un accordo manipolativo della concorrenza - come accertato dalla Commissione Europea - dovrebbero essere, pertanto, ritenute nulle, a prescindere dal fatto che all’intesa illecita avesse o meno partecipato la banca convenuta.
La Suprema Corte, nell’ordinanza del dicembre 2023, ha dunque accolto il ricorso avverso la sentenza della Corte di Appello di Milano nella misura in cui quest’ultima aveva ritenuto che la mera partecipazione di più banche per la determinazione del tasso Euribor non implicasse, di per sé, la sussistenza di un’intesa vietata dall’art. 2 della l. 287/1990 e che, in ogni caso, assumesse valore decisivo il fatto che la banca convenuta non avesse partecipato all’intesa manipolativa.
4. La giurisprudenza successiva
In realtà, le prime pronunce della giurisprudenza di merito successive all’ordinanza in commento si sono espresse in senso difforme rispetto ai princìpi dettati dalla Suprema Corte nell’ordinanza del dicembre 2023.
Tra queste, degna di particolare interesse è la sentenza del Tribunale di Torino del 29 gennaio 2024, rel. dott. Enrico Astuni, che ha rigettato l’azione promossa da un mutuatario per far valere la nullità e/o l’inapplicabilità del tasso EURIBOR tra il 2005 e il 2008, essendo in tesi irrilevante che la Banca convenuta non avesse preso parte all’intesa per la manipolazione dello stesso.
Segnatamente, il Tribunale di merito torinese, che pure ha dato atto della recentissima pronuncia della Corte di legittimità e di quella delle Sezioni Unite in materia di fideiussioni ABI, ha rilevato che nel caso di specie lo scopo illecito delle banche fosse consistito nel miglioramento dei propri flussi reddituali in relazione alle “posizioni di negoziazione/esposizioni assunte”, come osservato dalla Decisione della Commissione UE.
Il Tribunale di Torino, osservando che la medesima Commissione ha escluso che sia esistito un uniforme interesse del ceto bancario a mantenere necessariamente alto il tasso EURIBOR, ha individuato una duplice differenza tra la fattispecie sottopostale e il precedente riguardante lo schema di fideiussione omnibus raccomandato dall’ABI alla generalità delle banche aderenti e da queste adottate: i) da un lato, infatti, è mancato l’intervento di un ente esponenziale degli interessi dell’intero ceto bancario; ii) dall’altro, è mancata altresì una posizione comune all’intero ceto bancario nei confronti della clientela.
Alla luce di tali differenze, pertanto, adottando proprio i criteri ermeneutici dettati dalle Sezioni Unite nella sentenza n. 41994/2021, il Tribunale torinese ha escluso che possa essere qualificato come contratto “a valle” (e dunque inficiato da nullità) qualsiasi contratto di credito in corso di esecuzione negli anni tra il 2005 e il 2008 parametrato all’EURIBOR, e ciò a prescindere dall’accertamento - ritenuto dal Tribunale comunque decisivo - dell’adesione dell’impresa bancaria all’intesa per la manipolazione del prezzo.
Alcun nesso “funzionale”, stando a quanto osservato dal Tribunale torinese, potrebbe essere affermato in materia.
Ad analoghe conclusioni, del resto, è giunto anche il Tribunale di Milano, il quale, nella sentenza n. 2221 del 21 febbraio 2024, ha escluso la nullità parziale di un contratto di leasing nella parte in cui rinvia per la determinazione del tasso di interesse all’indice EURIBOR, sul presupposto che i contratti di leasing immobiliare costituiscono fattispecie differenti rispetto a quella che ha dato origine all’attività accertativa e poi sanzionatoria svolta dalla Commissione UE.
Come rilevato dal Tribunale meneghino, l’accertamento della Commissione UE ha interessato il ben diverso mercato degli EIRD, di talché avrebbe dovuto necessariamente escludersi che i contratti di leasing sottoposti all’attenzione del Tribunale possano aver costituito lo sbocco e l’attuazione dell’intesa censurata dalla Commissione UE.
Più di recente, la Procura Generale della Corte di Cassazione, all’udienza pubblica del 27 marzo 2024, in un ricorso avverso una sentenza della Corte di Appello che aveva disatteso la doglianza dell’appellante in merito alla nullità della clausola di un contratto di mutuo relativa al tasso EURIBOR per il periodo 2005-2008, ha chiesto la rimessione della causa alla Prima Presidente per l’assegnazione alle Sezioni Unite, auspicando una rimeditazione dei principi espressi dalla III Sezione Civile nell’ordinanza n. 34889/2023.
Segnatamente, la Procura Generale ha osservato che il valore vincolante della decisione della Commissione (che costituisce “prova privilegiata”) sui giudici nazionali, infatti, attiene esclusivamente alla sussistenza del comportamento accertato o della posizione rivestita sul mercato e del suo eventuale abuso (e con esclusivo riferimento alle banche coinvolte) e non, invece, ai residui elementi costitutivi della domanda, che devono essere provati dall’attore.
Ebbene, la considerazione che dalla decisione della Commissione UE non emergerebbe una chiara indicazione che le pratiche poste in essere dalle banche (nonostante l’evidente illiceità sotto il profilo della concorrenza) abbiano concretamente alterato il valore dell’EURIBOR - ponendosi l’accertata illiceità dello scambio di informazioni solo in termini di mera potenzialità rispetto all’alterazione della concorrenza e all’aumento dei prezzi praticati al consumatore finale - non consentirebbe di affermare l’invalidità dei tassi di interesse che fanno riferimento all’EURIBOR, e ciò a maggior ragione con riferimento alle banche estranee a tali pratiche illecite.
In questo, allora, sarebbe ravvisabile una profonda differenza con la fattispecie esaminata dalle Sezioni Unite in tema di fideiussioni riproducenti lo schema ABI: non sussisterebbe, nel caso posto all’attenzione della Procura Generale, la “immediata corrispondenza tra le disposizioni contrattuali [del contratto a valle, n.d.r.] e le condizioni oggetto dell’intesa restrittiva della concorrenza”, sì che l’atto negoziale non potrebbe ritenersi “di per sé stesso un mezzo per violare la normativa antitrust”.
Ancor più di recente, la Corte di Appello di Firenze, con sentenza n. 720 pubblicata il 15 aprile 2024, ha escluso la nullità di un mutuo ipotecario a tasso variabile determinato attraverso il riferimento al parametro EURIBOR, seppur erogato nel maggio 2007, in quanto - alla stregua dei medesimi principi affermati dalle Sezioni Unite della Corte di Cassazione nelle sentenze n. 2205 del 2005 e n. 41994 del 2021 - lo stesso non potrebbe essere ritenuto attuativo o comunque obiettivamente e finalisticamente collegato alla condotta anticoncorrenziale censurata dalla Commissione UE.
Da un lato, infatti, la banca mutuante non ha in alcun modo partecipato alla pratica collusiva, che aveva un ambito oggettivo del tutto distinto ed era diretta ad influenzare l’andamento di altri e diversi prodotti finanziari (come detto, il mercato dell’EIRD); dall’altro lato, nel caso di specie non vi era alcun elemento concreto per ritenere che la banca avesse in qualche modo sfruttato a proprio vantaggio le altrui pratiche collusive, con pregiudizio del mutuatario.
Secondo la Corte di Appello di Firenze, pertanto, il mero riferimento al parametro EURIBOR non sarebbe sufficiente a far ritenere il contratto “a valle” “esecutivo” dell’accertata condotta anti-competitiva o “diretto a realizzarne gli scopi illeciti”: non sarebbe predicabile in materia, dunque, alcuna invalidità lato sensu “derivata”.
5. Conclusioni
Conclusivamente, al di là della tuzioristica richiesta della Procura Generale di rimettere la questione alle Sezioni Unite della Corte di Cassazione, è d’uopo osservare come il principio affermato dalla Corte di legittimità nell’ordinanza n. 34889 del dicembre 2023 non sembri aver trovato ampi consensi nella giurisprudenza successiva.
Ed infatti, l’istituto del “collegamento funzionale” - come compiutamente delineato dalle Sezioni Unite nella citata sentenza in materia di fideiussioni ABI - si mostra in ogni caso come un istituto del carattere eccezionale, del quale sarebbe opportuna una ponderata applicazione.
L’obiettivo di porre rimedio alle iniquità del contratto “a valle” stipulato in esecuzione dell’intesa anticoncorrenziale, infatti, è il frutto di una ricostruzione sistematica delle norme in materia antitrust, che poggia le proprie fondamenta proprio sulla circostanza che il negozio successivo sia direttamente attuativo dell’intesa vietata e miri a far conseguire all’impresa (anche soggettivamente partecipe) proprio quei vantaggi indebiti ai quali mirava la condotta anticoncorrenziale.
Difatti, il “collegamento funzionale” - così inteso - genera un’invalidità che prescinde da uno specifico vizio dell’atto, ma è determinato dalla condotta anticoncorrenziale a monte; tale invalidità, inoltre, prescinde anche dal collegamento negoziale e, dunque, dalla nozione classica di invalidità derivata.
E se, in linea di massima, si può ancora fare riferimento ai principi delineati dalla celebre pronuncia delle Sezioni Unite del 19 dicembre 2007, n. 26724, rel. Rordorf, secondo cui la violazione di regole di validità dà luogo ai rimedi eliminatori mentre la violazione di regole di comportamento può dar vita al risarcimento del danno (nonostante nella medesima pronuncia si riconoscesse in atto un “fenomeno di trascinamento di regole di comportamento in regole di validità”), allora per determinare la nullità del contratto “a valle” non può essere ritenuto sufficiente il mero riferimento al parametro oggetto della condotta anticoncorrenziale, essendo invece necessario il carattere dell’attuazione o della finalizzazione dell’intesa alla realizzazione del risultato vietato, come emergerebbe dalle conferenti norme di legge nella ricostruzione effettuata da Cass., Sez. Un., n. 41994 del 2021.
Le obiezioni sollevate dalla giurisprudenza di merito che si è pronunciata successivamente all’ordinanza della Corte di Cassazione del dicembre 2023, in sostanza, appaiono ben calibrate e tutt’altro che infondate.
Maggiori spazi, invece, dovrebbero essere riconosciuti all’ammissibilità dell’azione risarcitoria (che - per evidenti ragioni - non può essere oggetto del presente contributo), nonostante l’orientamento maggioritario - sostenuto anche di recente dal Tribunale di Milano nella già menzionata sentenza n. 2221 del 21 febbraio 2024 - ritenga che l’azione di risarcimento sia esperibile nei soli confronti dell’istituto di credito che abbia effettivamente partecipato all’intesa restrittiva della concorrenza (la quale, dunque, dovrebbe rispondere in via extracontrattuale): la disciplina contenuta nella direttiva 2014/104/UE, infatti, attribuirebbe la legittimazione passiva ai soli autori della violazione e ciò non potrebbe essere superato dalla circostanza che la giurisprudenza della CGUE attribuisce la legittimazione attiva all’azione di risarcimento del danno cagionato dalla manipolazione della concorrenza anche a favore di colui che abbia subito una ricaduta negativa nella propria contrattazione.
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