Crisi d'Impresa e Insolvenza
Il Caso.it, Sez. Giurisprudenza, 26404 - pubb. 13/01/2022
Ammissione al passivo del credito dell’associazione professionale
Tribunale Alessandria, 05 Ottobre 2021. Pres. Dragotto. Est. Demontis.
Fallimento – Ammissione al passivo – Credito dell’associazione professionale – Privilegio – Presupposti
Fallimento – Ammissione al passivo – Credito dell’associazione professionale – Privilegio – Presupposti – Esercizio prevalente o esclusivo dell’attività da parte del singolo professionista
Fallimento – Ammissione al passivo – Credito dell’associazione professionale – Privilegio – Presupposti – Pertinenza del credito dell’associazione professionale al singolo professionista
La domanda di insinuazione al passivo fallimentare proposta da uno studio associato fa presumere l'esclusione della personalità del rapporto d'opera professionale da cui quel credito è derivato e, dunque, l'insussistenza dei presupposti per il riconoscimento del privilegio ex art. 2751 bis, n. 2, c.c., salvo che l'istante dimostri la sussistenza del duplice, cumulativo presupposto che il credito si riferisca ad una prestazione svolta personalmente dal professionista, in via esclusiva o prevalente, e che detto credito sia di pertinenza dello stesso professionista, pur se formalmente richiesto dall'associazione professionale.
Il requisito dell’esercizio prevalente o esclusivo dell’attività professionale da parte del singolo professionista ricorre quando è individuabile l’associato che ha svolto l’attività in via esclusiva o prevalente, anche avvalendosi di collaboratori che ha coordinato e del cui lavoro si è appropriato assumendone la paternità e la responsabilità nei confronti del cliente.
Il requisito della pertinenza del credito al singolo professionista è ravvisabile ove le somme richieste dall’associazione professionale, per la prestazione svolta da qualcuno degli associati, competano - detratte eventualmente le spese necessarie per la vita dell’associazione - a chi effettivamente ha svolto in misura esclusiva o prevalente quella prestazione, perché solo in tal caso sono destinate a retribuire il lavoro e ricorre la ratio che giustifica la concessione del privilegio. Occorre quindi che gli accordi interni tra gli associati prevedano che il compenso percepito da un determinato cliente spetti a chi ha concretamente svolto la prestazione in suo favore, o quanto meno meccanismi per assicurare che, nella rendicontazione periodica, gli utili siano distribuiti in misura proporzionale al lavoro svolto da ciascuno degli associati. Invece, tutte le volte che gli accordi interni prevedano una diversa distribuzione degli utili (per esempio in misura fissa tra gli associati sulla base delle quote di partecipazione all’associazione stessa), non si può ritenere che i compensi vadano a retribuire il lavoro svolto da ciascuno, perché almeno in parte retribuiscono anche chi non ha svolto attività, costituendo piuttosto una rendita di una attività che assume un carattere imprenditoriale e commerciale. (Francesco Dimundo) (riproduzione riservata)
Segnalazione dell’Avv. Francesco Dimundo
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