Diritto Bancario e Finanziario
Il Caso.it, Sez. Giurisprudenza, 14120 - pubb. 04/02/2016
Protezione internazionale: sul ricorso tardivo e sulla cd. via di fuga interna
Tribunale Milano, 17 Luglio 2012. Est. Martina Flamini.
Protezione internazionale – Provvedimento della Commissione Territoriale – Lingua – Mancata traduzione – Conseguenze – Ammissibilità dell’opposizione tardiva – Decorrenza – Dal momento in cui il richiedente ha avuto conoscenza del contenuto del provvedimento (nel caso di specie, Nigeria)
Protezione internazionale – Via di fuga interna – Art. 8 DIR 2004/83/CE – Omessa trasposizione da parte del dlgs 251 del 2007 – Effetti – Criterio non vincolante per il diritto interno (nel caso di specie, Nigeria)
In materia di protezione internazionale, le norme che prevedono la necessità di traduzione dei provvedimenti emessi nei confronti dello straniero nella prima lingua indicata dallo stesso od, in mancanza, in una delle lingue veicolari (inglese, francese, spagnolo o arabo) secondo l'indicazione di preferenza fornita dal medesimo (art 10 commi 4 e 5 D.Lgs. n. 25/2008), sono norme imperative quale garanzia - imposta dalla Costituzione, dalle convenzioni internazionali e dalle norme comunitarie - di pieno espletamento delle possibilità di difesa del destinatario dell'atto, la cui violazione comporta la nullità dell'atto e giustifica la tardività dell'impugnazione, il cui termine decorre dal momento in cui l'opponente abbia potuto avere una adeguata conoscenza della natura dell'atto e del rimedio avverso lo stesso proponibile. (Redazione IL CASO.it) (riproduzione riservata)
L'art. 8 della direttiva 2004/83/CE recante norme sulla qualifica di rifugiato e sulla protezione minima riconosciuta prevede che "Nell'ambito dell'esame della domanda di protezione internazionale, gli Stati membri possono stabilire che il richiedente non necessita di protezione internazionale se in una parte del territorio del paese d'origine egli non abbia fondati motivi di temere di essere perseguitato o non corra rischi effettivi di subire danni gravi e se è ragionevole attendere dal richiedente che si stabilisca in quella parte del paese. Nel valutare se una parte del territorio del paese d'origine è conforme al paragrafo 1, gli Stati membri tengono conto delle condizioni generali vigenti in tale parte del paese nonchè delle circostanze personali del richiedente all'epoca della decisione sulla domanda". La norma in esame della direttiva lascia dunque agli stati membri la facoltà se trasporla o meno del proprio ordinamento: nel caso dell'Italia, la attuazione della direttiva è avvenuta tramite il D.Lgs. n. 251 del 2007 che non ha ripreso la disposizione dell'art. 8 della direttiva. Come riconosciuto dalla Cassazione (16.2.2012 n. 2294) “ciò significa che quella disposizione non è entrata nel nostro ordinamento e non costituisce dunque un criterio applicabile al caso di specie”. (Redazione IL CASO.it) (riproduzione riservata)
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