Diritto Societario e Registro Imprese


Il Caso.it, Sez. Giurisprudenza, 6944 - pubb. 01/08/2010

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Cassazione civile, sez. V, tributaria, 07 Maggio 2008, n. 11091. Est. D'Alonzo.


Società - Di capitali - Società per azioni - Bilancio - Contenuto - Criteri di valutazione - In genere - Principio di continuità dei valori contabili - Conseguenze - Immodificabilità dei criteri di valutazione - Deroga in casi eccezionali - Ammissibilità - Condizioni - Mancanza - Conseguenze - Nullità del bilancio - Fattispecie in tema di IVA dovuta su rimanenze iscritte nel bilancio di liquidazione.

Tributi erariali indiretti (riforma tributaria del 1972) - Imposta sul valore aggiunto (I.V.A.) - Accertamento e riscossione - Presunzioni di cessione e di acquisti - Società di liquidazione - Rimanenze iniziali - Iscrizione in bilancio - Valutazione secondo un criterio diverso da quello precedentemente adottato - Conseguenze - Nullità del bilancio - Presunzione di esistenza di vendite non fatturate - Operatività - Recupero a tassazione della differenza - Ammissibilità.



In tema di società, l'adozione, nella redazione del bilancio, di un criterio di valutazione di un cespite patrimoniale diverso da quello utilizzato negli esercizi precedenti senza che la nota integrativa rechi un'adeguata motivazione della deroga consentita dall'art. 2423 -bis, comma sesto, cod. civ. in casi eccezionali si traduce in una violazione del principio di continuità dei valori contabili, e comporta pertanto la nullità del bilancio, attesa l'inderogabilità dei criteri di valutazione dettati dall'art. 2426 cod. civ., la cui funzione consiste nell'assicurare la trasparenza e la leggibilità del bilancio da parte dei soci e dei terzi. (In applicazione di tale principio, la S.C. ha cassato la sentenza impugnata, la quale, in tema di IVA, aveva ritenuto illegittimo il recupero a tassazione della differenza tra le rimanenze iniziali iscritte nel bilancio di un società in liquidazione e le rimanenze finali risultanti alla data di chiusura dell'esercizio precedente, rilevando che le prime erano state iscritte al costo di acquisto e le seconde al valore di realizzazione, ed escludendo quindi la possibilità di desumere da tale variazione l'esistenza di vendite non fatturate). (massima ufficiale)


 


REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. PAOLINI Giovanni - Presidente -
Dott. CICALA Mario - Consigliere -
Dott. D'ALONZO Michele - rel. Consigliere -
Dott. RUGGIERO Francesco - Consigliere -
Dott. DI IASI Camilla - Consigliere -
ha pronunciato la seguente:

SENTENZA
sul ricorso proposto da:
AGENZIA delle ENTRATE, in persona del Direttore pro tempore, elettivamente domiciliata in Roma alla Via dei Portoghesi n. 12 presso l'Avvocatura Generale dello Stato che la rappresenta e difende;
- ricorrente -
contro
il Fallimento della s.r.l. ROSSIPLAST, con sede in CampLi (TE) in persona del curatore Leonardo Arnese, elettivamente domiciliata in Roma alla Via delle Quattro Fontane n. 15 presso lo studio dell'avv. TINELLI Giuseppe, che lo rappresenta e difende "giusta procura speciale" per notar Barcone di Teramo del 20 settembre 2004;
- controricorrente -
AVVERSO la sentenza n. 45/05/03 depositata il 26 gennaio 2004 dalla Commissione Tributaria Regionale dell'Abruzzo, notificata il 19 febbraio 2004.
Udita la relazione svolta nella pubblica udienza del 10 gennaio 2008 dal Cons. Dott. D'ALONZO Michele;
sentite le difese delle parti, perorate dal Dr. GENTILI Paolo, dell'Avvocatura Generale dello Stato, per le amministrazioni ricorrenti, e dall'avv. TINELLI Giuseppe, per la curatela;
udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dr. DE NUNZIO Wladimiro, il quale ha concluso per la declaratoria di inammissibilità del ricorso.
SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
Con ricorso notificato al Fallimento della s.r.l. ROSSIPLAST il 5 maggio 2004 (depositato il 21 maggio 2004), l'AGENZIA delle ENTRATE - premesso che l'allora competente Ufficio dell'IVA, ritenendo ingiustificata la "riduzione", alla "data di inizio della procedura di liquidazione" ("5 maggio 1995"), delle "rimanenze finali" a L. 64.248.000 dalle L. 1.781.975.000 risultanti alla "data di chiusura del precedente esercizio", aveva notificato a detta società un avviso di rettifica della dichiarazione IVA dalla stessa presentata per l'anno d'imposta 1995 con il quale recuperava a tassazione (con l'aliquota del 19%) la differenza "presumendo che tale ingiustificata variazione dovesse essere attribuita a vendite non fatturate" -, in forza di un solo motivo, chiedeva di cassare (con "ogni consequenziale statuizione anche in ordine alle spese") la sentenza n. 45/05/03 depositata il 26 gennaio 2004 dalla Commissione Tributaria Regionale dell'Abruzzo (notificata il 19 febbraio 2004) la quale aveva respinto l'appello dell'Ufficio avverso la decisione (58/04/02) con cui la Commissione Tributaria Provinciale di Teramo aveva recepito il ricorso della curatela nella quale ("con il supporto di una consulenza di parte") era stato dedotto che "il valore delle rimanenze iniziali era stato determinato con il criterio del funzionamento e quello delle rimanenze finali con quello del realizzo liquidatorio".
Nel controricorso notificato il primo ottobre 2004 (depositato il 12 ottobre 2004) la curatela intimata instava per il rigetto dell'impugnazione, con i "consequenziali provvedimenti, anche in ordine alla condanna alle spese".
MOTIVI DELLA DECISIONE
1. In via preliminare va riscontrata la tardività della costituzione della curatela innanzi a questa Corte atteso che il dies a quo ("entro venti giorni") per la notifica del controricorso è individuato, ad espressa pena di inammissibilità, direttamente dall'art. 370 c.p.c., con esclusivo riferimento alla "scadenza del termine stabilito per il deposito del ricorso", quindi in stretta relazione con l'attività processuale di controparte. Tale termine non può essere sostituito da nessun altro, men che mai, come preteso dalla curatela, da quello della "data di nomina" del difensore da parte del giudice delegato ("solo in data 8 luglio 2004"), essendo tale organo del fallimento carente di qualsivoglia potere in proposito: sul decorso dei termini, infatti (Cass., trib., 12 maggio 2006 n. 11062), sono consentiti interventi, peraltro del solo giudice del processo e non di altri, unicamente nei casi tassativamente indicati dalla legge.
Per reiterato principio, poi, la mancanza dell'autorizzazione al curatore, da parte del giudice delegato, a stare in giudizio in nome e per conto del fallimento, si risolve in un difetto di legittimazione processuale: il relativo vizio, pertanto (Cass., 3^, 14 maggio 2007 n. 11014; 1^, 14 aprile 2004 n. 7066; 1^, 30 gennaio 1989 n. 553), resta sanato quando venga successivamente conseguita e prodotta detta autorizzazione, e tale sanatoria opera retroattivamente, indipendentemente dal verificarsi di decadenze meramente processuali e con il solo limite dei diritti quesiti di natura sostanziale.
Discende da tanto che la mancanza della pur "necessaria preventiva nomina da parte del giudice delegato" non costituisce affatto "una lesione dei diritti della difesa della società fallita" perché tanto, diversamente da quanto sostenuto dalla curatela, non rappresenta un ostacolo, ne' giuridico ne' di fatto, alla tempestiva costituzione.
La curatela, comunque ed infine, non giustifica in alcun modo l'inutile trascorrere del termine di venti giorni anche in riferimento alla "data di nomina" ("... 8 luglio 2004") rispetto al giorno (1^ ottobre 2004) di notifica del controricorso. 2. La Commissione Tributaria Regionale - premesso che:
(2) "l'Ufficio ..., conformemente alle risultanze del PVC del 31 dicembre 1999, redatto dal Nucleo Verificatori Contabili dell'Ufficio IVA ..., rettificava la dichiarazione IVA presentata dalla Società ROSSIPIAST srl ... per il 1995, recuperando un importo IVA complessivo di L. 326.368.000 ed irrogando sanzioni ed interessi per un totale complessivo di L. 773.191.000";
(2) in appello l'Ufficio aveva (a) evidenziato "gli errori della Commissione Tributaria Provinciale nella valutazione della documentazione prodotta che fa imputare la differenza dei valori delle rimanenze alla diversa natura degli inventari (di funzionamento l'uno e di liquidazione l'altro), posto che i valori sono stati desunti dalle dichiarazioni dei redditi e non dagli inventari" e (b) sostenuto che "le rimanenze indicate nel conto di gestione ... non possono ritenersi, contrariamente a quanto affermato dalla C.T.P., indicate al valore di realizzo, ma a quello di funzionamento";
(3) nelle proprie controdeduzioni all'appello il curatore fallimentare della società aveva fatto rilevare "in via principale l'inammissibilità in quanto l'Agenzia delle Entrate con tale atto ha apportato sostanziali modifiche rispetto a quanto esposto nell'avviso di rettifica" e, "nel merito", insistito "su incensurabilità della sentenza impugnata e sulla illegittimità, nullità, erroneità ed inefficacia dell'avviso di rettifica" - ha disatteso il gravame affermando che "l'Ufficio nei due gradi del giudizio, non ha fornito la benché minima prova a sostegno del suo operato, che si fonda soltanto su mere presunzioni non sostenute da alcun valido elemento di supporto atto a sostenerne la fondatezza, mentre la Curatela, con la produzione in giudizio di tutti gli elementi di prova, atti a contrastare la verifica operata ed il relativo atto di rettifica impugnato, ha consentito l'accertamento dell'effettività delle operazioni eseguite, che non trovano smentita dagli assunti dell'Ufficio, peraltro non corrispondenti all'effettiva temporalità delle operazioni contabili eseguite" mentre "la documentazione prodotta dal ricorrente (fatture, bilanci, ecc.) ... evidenzia in modo inequivocabile che le merci di rimanenza di magazzino sono state in buona parte vendute e fatturate, secondo il valore effettivo di realizzo e come da rendiconto degli amministratori, partitamente individuate nelle singole classificazioni".
Il giudice di appello osserva, ancora, che: - "le risultanze dell'Ufficio, che non ha tenuto in alcuna considerazione il prezzo di realizzo, in fase di liquidazione non appaiono fondate, specie se si tiene ... debito conto della circostanza, dedotta dal ricorrente, ed attestata dalla relazione tecnica prodotta in giudizio, relativa alla ricognizione dei materiali presenti nel magazzino della società":
"infatti, contrariamente a quanto sostenuto in giudizio dall'Ufficio, sarebbe stato possibile un effettivo riscontro sia della merce venduta, sia delle fatture emesse tenendo presenti le rimanenze di magazzino per quantità, così rilevando le singole entità di beni e le fatture emesse, cosa che l'Ufficio non ha riscontrato, adducendo addirittura in un primo momento, l'inesistenza del magazzino, nel quale, come è dato evincere dalla succitata relazione di perizia prodotta, non solo esistono ancora materiali, ma anche tali da dover essere smaltiti come rifiuti tossici, così come prospettato dal ricorrente e non contestato dall'Ufficio";
- "inoltre la verifica operata dagli operatori tributari dell'Ufficio IVA è stata iniziata e conclusa nella mattinata del 31/12/1999, dando così adito a risultanze imprecise ed approssimate, non avendo avuto i verificatori, tempo necessario per poter predisporre sia una accurata e stratificata ricostruzione qualitativa e quantitativa delle merci giacenti in magazzino e sia una reale e puntuale verifica delle merci vendute, delle relative fatture emesse e delle fatture di acquisto".
2. Con il proprio ricorso l'Agenzia delle Entrate - assumendo che "il problema della causa era rappresentato dalla destinazione delle rimanenze risultanti dal bilancio redatto dalla ... contribuente alla data del 30 giugno 1994, del valore dichiarato di L. 1.782.404.541 (di cui L. 451.808.741 relative a materie prime sussidiarie e di consumo e L. 1.330.165.800 relative a merci e prodotti finiti)" atteso che nei "successivi bilanci ... il valore delle materie prime, sussidiarie e di consumo, si è ridotto a L. 94.248.000 alla data di chiusura dell'attività e poi ulteriormente a L. 64.248.000 nel successivo giorno di inizio delle operazioni di liquidazione, ed il valore delle merci e prodotti finiti si è totalmente azzerato" - denunzia "violazione e falsa applicazione degli artt. 112 e 115 c.p.c., del D.P.R. 26 ottobre 1972, n. 633, art. 54 e degli artt. 2277 e 2727 ss. c.c." nonché "insufficiente ed illogica motivazione su punti decisivi della controversia" adducendo che "la C.T.R., recependo anche letteralmente gli argomenti e le espressioni contenute nella decisione impugnata e nelle deduzioni della contribuente, non ha compreso e ha omesso di esaminare le effettive ragioni e prove poste a base della rettifica ed ha conseguentemente motivato in modo lacunoso ed insufficiente la propria pronuncia" mentre "occorreva ... spiegare come si potesse giustificare una simile riduzione nel periodo preso in considerazione, tenendo conto che nello stesso periodo si erano registrati ricavi per sole L. 606.473.000, a fronte del persistente svolgimento di attività produttiva (documentata da ulteriori acquisti di materie prime per L. 261.203.000 e da ulteriori rilevanti costi di produzione contabilizzati)".
La ricorrente, di poi, contesta "l'affermazione dei giudici tributari, secondo cui l'Ufficio non avrebbe fornito "la benché minima prova a sostegno del suo operato", che si fonderebbe "soltanto su mere presunzioni non sostenute da alcun valido elemento di supporto" sostenendo che "la presunzione dell'Ufficio, secondo cui la drastica variazione in diminuzione delle rimanenze di materie prime, sussidiarie e di consumo e l'azzeramento delle rimanenze delle merci e dei prodotti finiti rivelava una cessione di beni in evasione di imposta, era ... basata sulle seguenti circostanze":
(a) "le inequivocabili risultanze documentali relative alle rimanenze iniziali e finali nel periodo";
(b) "la riferibilità dei ricavi conseguiti nel periodo all'ulteriore produzione realizzata";
(c) ("anche se si volesse prescindere dalla maggiore produzione realizzata") "l'inidoneità dei ricavi dichiarati nel periodo (L. 606.473.000) a coprire la differenza tra le rimanenze iniziali e finali dichiarate nello stesso periodo (L. 1.717.727.000)";
(d) "la mancanza di qualsiasi deduzione e prova da parte della contribuente, idonea a giustificare la variazione desumibile dai bilanci".
L'Agenzia, inoltre, afferma che il giudice di appello ha "confuso i termini del problema" in quanto "non si trattava di stabilire l'effettivo valore delle merci esistenti all'inizio della liquidazione (5 maggio 1995), secondo prezzi di realizzo" ma di "stabilire la sorte della merce esistente nell'ultimo periodo di attività e fino al momento di inizio della fase di liquidazione" (cioè "prima che ricorressero le condizioni per operare la stima a prezzi di realizzo, tenendo conto dei dati di bilancio sopra evidenziati") per cui "era del tutto indifferente sapere quali e quanti materiali siano stati venduti dai liquidatori o fossero ancora giacenti in magazzino, perché invendibili".
Secondo la ricorrente, inoltre, non è "logico ipotizzare" (a) che "le merci stimate in complessive L. 1.781.975.000 al 30 giugno 1994 si identificassero con quelle stimate in L. 64.248.000 all'inizio della liquidazione, e poi vendute con regolare fattura o lasciate in magazzino perché invendibili" e (b) che "la differenza di valore si potesse giustificare con la diversità dei criteri di stima (valori di funzionamento al 30 giugno 1994, valore di realizzo alla data di cessazione dell'attività e di apertura della fase di liquidazione)":
"questa tesi (accennata dalla controparte in primo grado, e non più proposta in appello)", per l'Agenzia, "non è giuridicamente corretta" perché "il conto di gestione che gli amministratori sono tenuti a redigere al momento di cessazione dell'attività, ai sensi dell'art. 2211 c.c., comma 1, (e quindi, nel ... caso, il bilancio redatto alla data del 4 maggio 1995) deve ... basarsi sul criterio di funzionamento (e non sul criterio del realizzo liquidatorio), e quindi su criteri omogenei rispetto a quelli della stima delle rimanenze iniziali al 30 giugno 1994" e "solo l'inventario ed il bilancio iniziale di liquidazione (che hanno la funzione principale di dare evidenza, in chiave prospettica, del patrimonio da liquidare) può essere redatto in base ai valori di realizzo, previa apposizione delle opportune rettifiche e variazioni alla contabilità" per cui ("orbene") "anche a voler prescindere dal fatto che nessuna formale rettifica e variazione contabile risulta apportata nel caso di specie per il passaggio dalla fase di attività a quella di liquidazione, ... in applicazione dei suddetti principi di diritto la variazione dei criteri di valutazione può aver comportato una diminuzione del valore delle rimanenze di sole L. 30.000.000, del tutto inidonea a giustificare la differenza di L. 1.111.121.000 rilevata dai verificatori" "da un valore di L. 94.248.000 stimato dagli ultimi amministratori alla data di cessazione dell'attività (4 maggio 1995) in base al debito criterio di funzionamento, si è passati ad un valore di L. 64.248.000 stimata dai primi liquidatori al momento di inizio della liquidazione (5 maggio 1995)" e "questa differenza, sintomatica della variazione del criterio di stima, impedisce di ritenere che anche il valore determinato al momento di cessazione dell'attività (4 maggio 1995) si basasse sul criterio del realizzo liquidatorio".
"In ogni caso, ed in subordine" la ricorrente sostiene che "l'indimostrata ed infondata ipotesi secondo cui le rimanenze iniziali al 30 giugno 1994 potessero identificarsi con i beni ceduti nella fase liquidatoria e con quelli ancora giacenti in magazzino alla data della verifica potrebbe riferirsi soltanto alle sole materie prime e non pure alle merci ed ai prodotti finiti, stimati (al 30 giugno 1994) in L. 1.330.165.800 e poi interamente azzerati al momento di cessazione dell'attività (4 maggio 1995)" atteso che "le argomentazioni svolte dalla controparte ed avvalorate con consulenza tecnica in merito alla incommercialità ed alla svalutazione dei beni per fattori tecnologici legati alla produzione, sono ... riferibili alle sole materie prime, sussidiarie e di consumo, e non pure alle merci ed ai prodotti finiti" e, "pertanto", "in questa subordinata ... ipotesi potrebbe astrattamente giustificarsi la sola variazione del valore delle materie prime (da L.. 451.808.741 a L. 64.248.000), e non pure l'azzeramento del valore delle rimanenze iniziali delle merci e dei prodotti finiti, che legittima in ogni caso la presunzione di avvenuta cessione in evasione di imposta". "In sintesi", per l'Agenzia, "le argomentazioni relative alle vendite ed alle giacenze delle rimanenze esistenti all'inizio della liquidazione non incidono affatto sui presupposti della rettifica, riguardanti fatti e circostanze avvenuti nel periodo precedente" e "qualora si fosse voluto sostenere, al di là dell'effettivo contenuto della sentenza impugnata, che le rimanenze iniziali al 30 giugno 1994 si dovessero materialmente identificare con quelle finali esistenti al 4 maggio 1995 (o al 5 maggio 1995), valutate con il diverso criterio di realizzo, sussisterebbero comunque un insanabile contrasto con il disposto dell'art. 2211 c.c. ed una manifesta contraddizione con le effettive risultanze di causa". 3. Il ricorso deve essere accolto perché fondato.
A. L'esigenza di determinare periodicamente i risultati di una attività imprenditoriale, come noto, impone di valutare (anche) le cosiddette rimanenze di magazzino, ovverosia di attribuire un valore pure ai beni destinati alla vendita ed a quelli che, nella normale attività dell'impresa, concorrono alla loro produzione. Pur potendo la valorizzazione di tali rimanenze (o giacenze) essere eseguita sulla base di vari criteri tecnici ("valutazione al ricavo netto presunto"; "scissione del margine in corso di formazione"), ai fini della redazione del bilancio, va seguito il criterio della "valutazione al costo" prescelto dal legislatore.
L'art. 2426 c.c. - che pone, appunto, i "criteri di valutazioni" delle varie voci di bilancio -, infatti, al n. 9) - che non ha subito modifiche per effetto dei successivi interventi legislativi (i quali hanno inciso su altri criteri) -, ai fini della determinazione dell'afferente valore da iscrivere nell'apposita posta del bilancio, prescrive che "le rimanenze, i titoli e le attività finanziarie che non costituiscono immobilizzazioni sono iscritti al costo di acquisto o di produzione, calcolato secondo il numero 1), ovvero al valore di realizzazione desumibile dall'andamento del mercato, se minore", con la precisazione che "tale minor valore non può essere mantenuto nei successivi bilanci se ne sono venuti meno i motivi".
Ai "criteri di valutazioni" dettati dall'art. 2426 detto, quindi anche al n. 9 che interessa la fattispecie, deve essere riconosciuto carattere inderogabile perché gli stessi garantiscono la funzione, propria del bilancio (Cass., 1^, 24 dicembre 2004 n. 23976; cfr., altresì, Cass., 1^, 7 marzo 2006 n. 4874), di trasparenza per assicurare la leggibilità (e la controllabilità) dello stesso da parte dei soci e dei terzi.
La norma, come visto, impone, in via principale, di valutare le rimanenze "al costo" (di acquisto o di produzione) e consente di iscrivere il valore delle stesse al minor "valore di realizzazione" quando "desumibile dall'andamento del mercato", quindi unicamente se il minore "valore di realizzazione" sia desumibile da tale "andamento".
B. Il D.Lgs. 9 aprile 1991, n. 127 (di "attuazione delle direttive n. 78/660/CEE e 83/349/CEE in materia societaria"), a sua volta, ha introdotto nel codice civile l'art. 2423 bis ("principi di redazione del bilancio") il quale al n. 6 dispone che "nella redazione del bilancio ... i criteri di valutazione non possono essere modificati da un esercizio all'altro", salvo "casi eccezionali", con la prescrizione che "la nota integrativa deve motivare la deroga e indicarne l'influenza sulla rappresentazione della situazione patrimoniale e finanziaria e del risultato economico": in base a tale norma, quindi (Cass., 1^, 29 aprile 2004 n. 8204), l'adozione, nella redazione del bilancio, di un criterio di valutazione di un cespite patrimoniale diverso da quello utilizzato negli esercizi precedenti, quindi in violazione del principio di continuità dei valori contabili sancito dalla norma e senza che la nota integrativa rechi l'adeguata motivazione della deroga richiesta dall'ultimo comma del medesimo articolo, rende nullo il bilancio.
Nella citata sentenza n. 4874 del 2006, inoltre, questa Corte ha già convincentemente statuito:
"Il bilancio d'esercizio di una società di capitali, che violi i precetti di chiarezza e precisione dettati dall'art. 2423 c.c., comma 2 (anche nel testo anteriore alle modificazioni apportate dal D.Lgs. 9 aprile 1991, n. 127), è illecito, ed è quindi nulla la deliberazione assembleare con cui esso sia stato approvato, non soltanto quando la violazione della normativa in materia determini una divaricazione tra il risultato effettivo dell'esercizio (o il dato destinato alla rappresentazione complessiva del valore patrimoniale della società) e quello del quale il bilancio dà invece contezza, ma anche in tutti i casi in cui dal bilancio stesso e dai relativi allegali non sia possibile desumere l'intera gamma delle informazioni che la legge vuole siano fornite per ciascuna delle singole poste iscritte (cfr. altresì, in argomento, Cass. 4 aprile 2001, n. 4937)".
C. Di contro, la Commissione Tributaria Regionale - al di là di generiche osservazioni ("l'Ufficio nei due gradi del giudizio, non ha fornito la benché minima prova a sostegno del suo operato, che si fonda soltanto su mere presunzioni non sostenute da alcun valido elemento di supporto atto a sostenerne la fondatezza"; "la Curatela, con la produzione in giudizio di tutti gli elementi di prova, atti a contrastare la verifica operata ed il relativo atto di rettifica impugnato, ha consentito l'accertamento dell'effettività delle operazioni eseguite, che non trovano smentita dagli assunti dell'Ufficio, peraltro non corrispondenti all'effettiva temporalità delle operazioni contabili eseguite"; "la documentazione prodotta dal ricorrente (fatture, bilanci, ecc.) ... evidenzia in modo inequivocabile che le merci di rimanenza di magazzino sono state in buona parte vendute e fatturate, secondo il valore effettivo di realizzo e come da rendiconto degli amministratori, partitamente individuate nelle singole classificazioni", non suffragate dall'indicazione di specifici elementi probatori - ha disatteso le censure con le quali l'Ufficio (come riportato nella sentenza qui impugnata) aveva (a) posto in evidenza "gli errori della Commissione Tributaria Provinciale nella valutazione della documentazione prodotta che fa imputare la differenza dei valori delle rimanenze alla diversa natura degli inventari (di funzionamento l'uno e di liquidazione l'altro), posto che i valori sono stati desunti dalle dichiarazioni dei redditi e non dagli inventari" e (b) sostenuto che "le rimanenze indicate nel conto di gestione ... non possono ritenersi ... indicate al valore di realizzo, ma a quello di funzionamento", ritenendo, nella sostanza, giuridicamente legittima la considerazione del "prezzo di realizzo, in fase di liquidazione", desumibile da "una reale e puntuale verifica delle merci vendute, delle relative fatture emesse e delle fatture di acquisto". Siffatto giudizio, chiaramente, si rivela contrastante con le richiamate norme giuridiche, oltre che con i principi giuridici innanzi esposti da esse desumibili, per totale disapplicazione delle stesse ed impone, pertanto, la cassazione della sentenza impugnata. La causa, siccome abbisognevole dei conferenti accertamenti fattuali, deve essere rinviata a sezione della stessa Commissione Tributaria Regionale, diversa da quella che ha emesso la decisione cassata, affinché, tenuto conto di quanto allegato ed effettivamente provato dalle parti; (1) esamini e decida l'appello dell'Ufficio accertando:
(a) se effettivamente, nella redazione del bilancio di chiusura della società, siano stati sostituiti i criteri di valutazione del "magazzino" (distinguendo tra "materie prime" e "merci e prodotti finiti") adottati nella precedente valutazione;
(b) se tale sostituzione sia legittima in base ai principi di diritto innanzi esposti;
(c) se la valutazione corrisponda al nuovo criterio legittimamente adottato;
(2) provveda anche in ordine alle spese processuali di questo giudizio di legittimità.
P.Q.M.
La Corte accoglie il ricorso; cassa la sentenza impugnata e rinvia la causa, anche per le spese del giudizio di legittimità, ad altra sezione della Commissione Tributaria Regionale dell'Abruzzo. Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio, il 10 gennaio 2008. Depositato in Cancelleria il 7 maggio 2008