Diritto Societario e Registro Imprese
Il Caso.it, Sez. Giurisprudenza, 6884 - pubb. 01/08/2010
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Cassazione civile, sez. I, 11 Ottobre 2006, n. 21804. Est. De Chiara.
Società - Di capitali - Società a responsabilità limitata - Capitale sociale - Conferimenti - Quota - Trasferimento - In genere - Cessione di quote - Adempimento, preordinato alla cessione, di pregresse obbligazioni della società nei confronti del socio cedente - Divieto di prestiti o garanzie ex art. 2483 cod. civ. - Configurabilità - Esclusione.
Non rientra nel divieto di concedere prestiti o garanzie per l'acquisto delle proprie quote, posto a carico delle società a responsabilità limitata dall'art. 2483 cod. civ., l'adempimento, ancorché preordinato alla cessione, di pregresse e distinte obbligazioni della società nei confronti del socio cedente. (massima ufficiale)
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE PRIMA
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. DE MUSIS Rosario - Presidente -
Dott. RORDORF Renato - Consigliere -
Dott. PICCININNI Carlo - Consigliere -
Dott. SCHIRÒ Stefano - Consigliere -
Dott. DE CHIARA Carlo - rel. Consigliere -
ha pronunciato la seguente:
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
C.I.G. COSTRUZIONI INDUSTRIALI GENERALI s.r.l., in persona del legale rappresentante p.t. sig.ra Alessi Emidia; ALÌ Ignazio; FATT INTERNATIONAL s.r.l., in persona del legale rappresentante sig. ALÌ Ignazio; ALÌ IGNAZIO s.p.a., in persona del legale rappresentante sig.ra Alessi Emidia; tutti rappresentati e difesi dall'avv. Buscemi Gaetano ed elett.te dom.ti presso il suo studio in Roma, Via A. Serpieri n. 8, giusta procura a margine del ricorso;
- ricorrenti -
contro
VITALE Carmela Anna, rappresentata e difesa dall'avv. Emilio Monfrini ed elett.te dom.ta in Roma, Via Galilei, n. 45, presso l'avv. Magnano di San Lio Giovanni, come da procura in calce al controricorso;
- controricorrente -
e contro
CO.IM, COSTRUZIONI IMMOBILIARI s.r.l., in persona dell'amministratore unico sig. Vitale Claudio, rappresentata e difesa dall'avv. Daniele Aiello ed elett.te dom.ta in Roma, Via Galilei n. 45, presso l'avv. Giovanni Magnano di San Lio, come da procura a margine del controricorso;
- controricorrente -
avverso la sentenza della Corte di appello di Catania n. 17 depositata il 7 gennaio 2003;
udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 6 giugno 2006 dal Consigliere Dott. Carlo DE CHIARA;
udito per i ricorrenti l'avv. BUSCEMI;
udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. PATRONE Ignazio, che ha concluso per il rigetto del ricorso. SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
La sig.ra Carmela Anna Vitale convenne in giudizio, con citazione del 25 gennaio 1994, il sig. Ignazio Alì, la G.I.G. Costruzioni Generali Immobiliari s.r.l., la Fatt International s.r.l. e la Alì Ignazio s.p.a. per sentir dichiarare inefficaci nei suoi confronti, ai sensi dell'art. 2901 c.c., due distinti atti di compravendita, rogati il 16 novembre 1993, con cui la C.I.G. s.r.l. e il sig. Alì avevano trasferito ciascuno un immobile di sua proprietà rispettivamente alla Fatt International s.r.l. ed alla Alì Ignazio s.p.a. Dedusse che gli atti impugnati recavano pregiudizio al suo credito, non onorato alla scadenza, relativo a cambiali per L. 1.500.000.000 - parte delle quali, per L. 510.000.000, erano state da lei girate alla CO.IM. s.r.l. - emesse dalla C.I.G. ed avallate dall'Alì. Le cambiali erano state emesse a seguito di un complesso accordo, contenuto in una scrittura privata del 15 gennaio 1993 - cui aveva fatto seguito atto notarile del 19 gennaio 1993 - per la cessione delle quote della C.I.G. s.r.l., di cui l'attrice era socia maggioritaria, e stipulato tra l'attrice, in proprio e quale legale rappresentante della C.I.G., la sig.ra Giuseppa Patti, socia di minoranza della medesima società, e la GE.SA.CO. s.r.l., cessionaria delle quote.
Nel giudizio intervenne anche la CO.IM. s.r.l., chiedendo dichiararsi l'inefficacia degli atti di compravendita anche nei suoi confronti, in relazione al suo credito insoddisfatto portato dalle cambiali per L. 510.000,000 giratele dalla Vitale.
I convenuti resistettero alla domanda e chiesero, in via riconvenzionale, dichiararsi la nullità, per violazione dell'art. 2483 c.c. della cennata scrittura privata 15 gennaio 1993 e degli atti ad essa conseguenti.
L'adito Tribunale di Catania accolse le domande di revoca e rigettò la domanda riconvenzionale con sentenza gravata dalle parti convenute.
La Corte di appello di Catania, con sentenza del 7 gennaio 2003, respinse il gravame osservando (per quanto qui ancora rileva):
che gli appellanti avevano insistito per la dichiarazione di nullità della scrittura del 15 gennaio 1993 e avevano sostenuto che l'obbligazione cambiaria assunta dalla C.I.G., con avallo dell'Alì, era priva di causa, in quanto illecita per violazione dell'art. 2483 c.c. e in quanto basata sul presupposto dell'esistenza di anticipazioni, da rimborsare, effettuate dalla socia Vitale in favore della C.I.G.: anticipazioni in realtà mai effettuate e fraudolentemente indicate da controparte in contabilità per pareggiare falsi debiti;
che, invece, l'art. 2483 c.c. il quale vieta le operazioni di garanzia e di anticipazione, da parte delle società a responsabilità limitata, per l'acquieto di proprie quote, non poteva trovare applicazione nella specie, dato che dalla scrittura del 15 gennaio 1993 risultava che la somma di cui alle cambiali emesse dalla C.I.G. e avallate dall'Alì costituiva rimborso a saldo e stralcio di anticipazioni effettuate dalla Vitale in favore della società, e non prezzo della cessione delle quote, il quale - pari a L. 99.000.000 - era stato invece versato in contanti dalla cessionaria; e che neppure sussisteva la lamentata illiceità del rimborso delle anticipazioni, dando atto la richiamata scrittura sia delle irregolarità contabili della società, sia della situazione effettiva, mentre le appostazioni contabili successive alla medesima scrittura dovevano ritenersi opera della nuova amministrazione societaria;
che neppure poteva essere accolto l'ulteriore motivo di gravame, con cui gli appellanti avevano dedotto che le vendite immobiliari erano state stipulate al line di reperire la liquidità necessaria per l'estinzione di debiti scaduti: infatti non era stata offerta alcuna prova di tale assunto e, comunque, si sarebbe trattato di circostanza irrilevante, atteso che quegli atti erano stati posti in essere in frode alla Vitale e alla CO.IM., essendo le società acquirenti - amministrate dall'avallante Ignazio Alì e dalla moglie di lui Emidia Alessi - a conoscenza sia dell'esistenza del debito, sia del fatto che le vendite avrebbero pregiudicato le ragioni dei creditori. Avverso tale sentenza ricorrono per Cassazione la C.I.G. s.r.l., il sig. Alì, la Fatt International s.r.l. e la Alì Ignazio s.p.a. articolando quattro motivi, cui resistono la sig.ra Vitale e la CO.IM. s.r.l. con separati controricorsi.
MOTIVI DELLA DECISIONE
1. - Con il primo motivo i ricorrenti denunciano violazione dell'art. 2483 c.c.. Lamentano che la Corte di appello abbia escluso la nullità dell'obbligazione cambiaria assunta dalla C.I.G. ed avallata dall'Alì, per violazione della norma invocata, sulla base di una lettura semplicistica e riduttiva della scrittura del 13 gennaio 1993, la quale, invece, si sostanziava nel porre interamente a carico della società il pagamento del prezzo convenuto per la cessione delle quote della stessa, mediante "l'indicazione - in frode al dettato normativo - di rimborso di anticipazioni in conto soci"; e comunque con quella scrittura la cessione delle quote era stata collegata al contestuale pagamento, a carico della società, anche mediante l'emissione degli effetti cambiari, di anticipazioni e crediti vantati dalla Vitale nei confronti della società stessa, sicché "l'acquisto delle quote sociali è stato (...) subordinato o comunque legato ad una operazione di garanzia", in violazione dell'art. 2483 c.c., "poiché con essa la società si è obbligata a una prestazione preordinata all'acquisto da parte di terzi delle proprie azioni" (recte: quote).
2. - Con il secondo motivo di ricorso si denuncia la insufficienza e contraddittorietà della motivazione della sentenza impugnata a proposito della "illiceità" del rimborso di anticipazioni in conto soci. I ricorrenti sostengono che la Vitale aveva falsamente annotato nella contabilità - come fu possibile scoprire solo a seguito dell'esame della stessa effettuato dagli amministratori della C.I.G., nominati dopo la cessione delle quote - pagamenti di fatture per operazioni inesistenti per complessive L. 4.623.940.918, allo scopo di creare la corrispondente posta di bilancio per anticipazione soci, utilizzata dalla Vitale per vantare un inesistente credito verso la società e dunque percepire un indebito maggior corrispettivo dall'acquirente delle quote. Lamentano, quindi, che la Corte di appello, premesso che, secondo la scrittura del 15 gennaio 1993, i motivi della differenza tra i dati riportati in contabilità e quelli effettivi erano stati resi noti alla cessionaria, abbia ritenuto che le appostazioni contabili successive alla predetta scrittura fossero opera non della Vitale, bensì della nuova amministrazione. Affermazione, questa, errata e contraddittoria, a parere dei ricorrenti, in quanto basata sulla semplice deduzione che, poiché le appostazioni erano successive alla conclusione del contratto, non erano state gestite dalla Vitale: mentre invece, posto che era stata la stessa Vitale a rendere nota alla cessionaria la differenza tra i dati riportati in contabilità e quelli effettivi, non vi era ragione di escludere a priori un suo coinvolgimento. Inoltre, la circostanza che la società cessionaria fosse consapevole della divergenza fra i dati contabili e quelli reali nulla toglieva alla effettività delle false appostazioni contabili, eseguite per giustificare l'inesistente credito per anticipazioni della socia.
3. - Con il terzo motivo di ricorso si denuncia violazione dell'art. 2901 c.c.. I ricorrenti sostengono che dal terzo comma della norma invocata, secondo cui "non è soggetto a revoca l'adempimento di un debito scaduto", si ricava la regola della irrevocabilità degli atti - ivi comprese le alienazioni immobiliari - compiuti dal debitore allo scopo di adempiere un debito scaduto. Ciò era, appunto, quanto avvenuto per la vendita immobiliare posta in essere dalla C.I.G., dalla quale erano state ricavate L. 1.200.000.000, di cui L. 870.000.000 erano servite per ottenere la desistenza da istanze di fallimento presentate da creditori della società, che era in crisi di liquidità, e le restanti L. 330.000.000 erano state utilizzate "al fine di accollo di un mutuo contratto dalla C.I.G. s.r.l. con la sezione Credito Fondiario del Banco di Sicilia".
I ricorrenti censurano, quindi, la sentenza impugnata per aver, ritenuto fondata l'azione revocatoria trattandosi di atti compiuti in frode ai creditori. Obbiettano, in proposito, che i cd. atti dovuti, ossia posti in essere in adempimento di un obbligo, non possono - essendo necessitati - presentare i requisiti del consilium fraudis e dell'eventus damni.
Censurano, altresì, la medesima sentenza nella parte in cui ha escluso che sussistesse la prova dell'asserita necessità, osservando che lo stato di dissesto della C.I.G. era notorio; che la stessa scrittura privata del 15 gennaio 1993, stipulata proprio per far fronte all'ingente massa di debiti accumulati dalla C.I.G., lo dimostrerebbe; che, inoltre, la stessa sig.ra Vitale in molti scritti difensivi del giudizio di merito aveva fatto riferimento ai debiti accumulati dalla società".
Le medesime ragioni di censura il ricorso estende anche alla vendita posta in essere dal sig. Alì, osservando che questi era stato "il protagonista, attraverso gli smobilizzi in oggetto, del risanamento della C.I.G. s.r.l.", ed aggiunge che i beni dai medesimo alienati costituivano una parte piccolissima del suo patrimonio, che pertanto ben poteva comunque garantire le sue obbligazioni.
4. Con il quarto motivo si deduce la nullità della sentenza per violazione degli artt. 101, 102 e 331 c.p.c.. La tesi svolta dai ricorrenti è che in ordine alla loro domanda riconvenzionale di nullità della scrittura del 15 gennaio 1993, avente carattere pregiudiziale rispetto alla domanda principale dell'attrice, sussistesse il litisconsorzio necessario di tutte le parti della scrittura medesima, sicché il contraddittorio avrebbe dovuto esser integrato nei confronti de la sig.ra Giuseppa Patti e della GE.SA.CO. s.r.l..
5. - Quest'ultimo motivo di ricorso, che va esaminato per primo in quanto il suo accoglimento comporterebbe la dichiarazione di nullità dell'intero giudizio di merito, è infondato.
La scrittura del 15 gennaio 1993 (qui esaminabile dato il carattere processuale del vizio dedotto) ha un contenuto complesso, contiene, cioè, più negozi. In particolare: a) la promessa di cessione, da parte della Vitale e della Patti, delle rispettive quote di partecipazione alla C.I.G. s.r.l. in favore della GE.SA.CO. s.r.l.;
b) l'assunzione, da parte della C.I.G., dell'obbligazione di pagare, in parte mediante emissione di cambiali avallate da Ignazio Alì (le cambiali poi poste a base dell'azione revocatoria), una determinata somma in favore della Vitale.
L'espressione "nullità della scrittura", usata dalle parti convenute in primo grado, poi appellanti e infine ricorrenti, va evidentemente interpretata, dato che una "scrittura", in quanto documento, non è suscettibile di "nullità". La dedotta nullità, dunque, non può che essere riferita ai negozi documentati dalla scrittura. Per quanto le predette parti sostengano - ma soltanto nel ricorso per Cassazione e senza spiegarne le ragioni - che l'eventuale accoglimento della domanda riconvenzionale avrebbe "travolto tutti i rapporti cui ha dato causa la predetta scrittura, incidendo soprattutto sulla validità della cessione delle quote sociali C.I.G. alla GE.SA.CO.", tuttavia, esaminando la deduzione della nullità contenuta, in particolare; nell'atto di appello, in cui non si fa mai espresso riferimento alla nullità del negozio di cessione delle quote, deve concludersi che esse hanno avuto riguardo solo al secondo dei negozi sopra individuati.
Ciò si evince, anzitutto, dalla ragione di nullità denunciata, consistente nella violazione dell'art. 2483 c.c. (che vieta alle società a responsabilità limitata, tra l'altro, di "accordare prestiti o fornire garanzie" per l'acquisto di proprie quote) in quanto la società partecipata G.I.G. s.r.l. - avrebbe, mediante il fraudolento riconoscimento alla Vitale del diritto al rimborso di inesistenti anticipazioni, in realtà finanziato l'acquisto, da parte delle GE.SA.CO., delle quote societarie appartenenti alla medesima Vitale. Siffatta ragione di nullità, infatti, travolge il negozio di finanziamento o garanzia posto in essere dalla società partecipata, non quello di cessione delle quote, stipulato da soggetti terzi. Inoltre la nullità della scrittura era stata dedotta in giudizio per negare il fondamento dell'obbligazione cambiaria assunta dalla C.I.G. (con avallo dell'Alì) e, dunque, escludere la sussistenza del fondamentale presupposto dell'azione revocatoria costituito dal credito tutelato dalla medesima azione. Ma detta obbligazione rientrava nel rapporto - e nel negozio - di (preteso) finanziamento o garanzia, non in quello, distinto, di cessione delle quote. Infine, è lo stesso comportamento processuale delle parti che hanno dedotto in giudizio la nullità della scrittura a confermare che oggetto di quella deduzione era esclusivamente il negozio di finanziamento o garanzia, e non anche quello di cessione, posto che esse non hanno mai chiesto di essere autorizzate a chiamare in giudizio anche gli altri soggetti della cessione stessa, ossia la cessionaria GE.SA.CO. a.r.l., in primo luogo, e la sig.ra Patti (cedente della quota di minoranza), le quali, in quanto parti del negozio di cessione, sarebbero state anche parti necessarie del giudizio ove questo fosse stato inteso alla dichiarazione anche della nullità di quel negozio.
Chiarito come sopra l'oggetto della domanda di nullità, non può che escludersi la pretesa necessità di integrazione del contraddittorio nei confronti della GE.SA.CO. s.r.l. e della sig.ra Patti in quanto litisconsorti necessaria.
Il litisconsorzio necessario, infatti, si configura allorché sia dedotto in giudizio un rapporto giuridico unitario ed inscindibile intercorrente tra più di due soggetti. Nella specie, invece, il rapporto interessato dalla invocata dichiarazione di nullità della "scrittura" del 15 gennaio 1993 è esclusivamente quello relativo all'obbligazione di pagamento assunta dalla C.I.G. s.r.l. nei confronti della Vitale, le quali sono state sin dall'inizio presenti nel processo, mentre la GE.SA.CO. s.r.l. e la sig.ra Patti sono parti del distinto rapporto di cessione delle quote societarie, in realtà non investito da alcuna azione giudiziaria.
6. - Il primo motivo di ricorso è in parte inammissibile e in parte infondato.
È inammissibile nella parte in cui insiste nel qualificare l'obbligazione assunta dalla C.I.G. s.r.l. nei confronti della Vitale quale obbligazione relativa al pagamento del prezzo per la cessione delle sue quote, o alla garanzia di tale pagamento, trascurando che la Corte di appello ha invece affermato - con statuizione in fatto che non viene censurata nell'unico modo consentito in questa sede, ossia deducendo specifici vizi della motivazione, ai sensi dell'art. 360 c.p.c., n. 5 - che il prezzo della cessione delle quote era stato pagato in contanti, e che l'obbligazione assunta dalla C.I.G. riguardava invece il rimborso, a saldo e stralcio di anticipazioni effettuate dalla Vitale in favore della società.
È infondato nella parte in cui mostra di ritenere compreso nel divieto di cui all'art. 2483 c.c. anche l'adempimento di una distinta obbligazione della società nei confronti del socio cedente (quale, appunto, il rimborso di anticipazioni) per la sola ragione che tale adempimento sia preordinato alla cessione delle quote. È del tutto evidente, infatti, come detto adempimento, per quanto possa obbiettivamente favorire la cessione (il che non è certo vietato), sia cosa del tutto diversa da un prestito o da una garanzia concessi dalla società per l'acquisto o sottoscrizione delle proprie quote, oggetto del divieto legale.
7. - Il secondo motivo è inammissibile.
Esso si innesta - implicitamente, ma evidentemente - sulla eccezione dei ricorrenti di inesistenza del credito cambiario a tutela del quale è stata esperita l'azione revocatoria; inesistenza, a sua volta, basata su una eccezione di inesistenza del credito (rapporto causale) sottostante a quello cartolare.
Ora, è pacifico, e comunque accertato dalla sentenza impugnata, che la più volte richiamata scrittura del 15 gennaio 1993, sottoscritta anche dalla C.I.G. s.r.l. (ossia dalla Vitale nella qualità di legale rappresentate della società), oltre che dalla cessionaria GE.SA.CO. s.r.l., riconosceva alla Vitale un credito per rimborso "a saldo e stralcio" di anticipazioni, da estinguersi mediante l'emissione delle cambiali di cui trattasi. Detta scrittura costituiva, quindi, formalmente, il titolo sulla base del quale le cambiali erano state emesse. Per privare di fondamento causale l'emissione degli effetti cambiari, dunque, i ricorrenti avrebbero dovuto addurre ragioni idonee ad inficiare la validità o l'efficacia di quel titolo. Essi deducono la generica "illiceità" dei rimborsi delle anticipazioni della socia Vitale e la originaria insussistenza del relativo credito di quest'ultima. Si tratta, però, di deduzioni di per sè insufficienti, perché sarebbe stato necessario precisare in quale maniera esse incidano sulla validità o efficacia del titolo di cui si è detto (ad esempio: determinando la nullità, o l'annullabilità per errore o dolo, del contratto, se di contratto si ritenga trattarsi; ovvero costituendo la prova contraria di cui all'art. 1988 c.c. ove la scrittura venga intera come promessa di pagamento o ricognizione di debito). Di tali precisazioni, invece, non è traccia nel ricorso, che rimane, quindi inammissibilmente generico e inidoneo a far apprezzare la decisività del vizio di motivazione denunciato.
Il motivo, peraltro, è inammissibile anche per un altro verso, ossì a perché la denuncia del vizio di motivazione è più apparente che effettiva, dato che si sostanzia, piuttosto che nella evidenziazione di vizi logici, nella critica nel merito della valutazione degli elementi probatori effettuata dalla Corte di appello.
8. Il terzo motivo è infondato e, nell'ultima parte, inammissibile. È vero che la giurisprudenza di questa Corte ha ricavato, dalla regola dell'irrevocabilità dell'adempimento di un debito scaduto (art. 2901 c.c., comma 3), il più ampio principio della irrevocabilità degli atti cd. dovuti; ma per atti dovuti si intendono (cfr. Cass. 16570/2002, 7119/1996, 12123/1990) gli atti di adempimento in senso tecnico-giuridico da diminuzione patrimoniale relativa ai quali trova causa nella fonte dell'obbligazione adempiuta, che dunque è essa revocabile, in presenza dei presupposti di legge, se consiste in un atto di disposizione del debitore: Cass. 7119/1996, cit.), e dunque non quelli estranei al contenuto e all'ordinario sviluppo dell'originario rapporto obbligatorio, caratterizzati da discrezionalità e arbitrarietà da parte del debitore (Cass. 1841/1974), quale appunto è la dismissione di cespiti finalizzata al reperimento dei mezzi finanziari per adempiere l'obbligazione. Nè vale ai ricorrenti il richiamo alla risalente (ed isolata) Cass. 2030/1984, che ha escluso la revocabilità della vendita di un immobile, già soggetto ad esecuzione forzata, eseguita per tacitare i creditori privilegiati procedenti o intervenuti, trattandosi di fattispecie particolare, in cui (pur essendo stata affermata, in maniera invero non convincente, la natura di atto dovuto della vendita in questione) l'irrevocabilità è stata giustificata anche dalla mancanza di pregiudizio per i creditori - chirografari - che avevano agito in revocatoria, essendo il valore del bene inferiore all'ammontare dei crediti privilegiati. Inoltre - si osserva per completezza - resta priva di adeguata smentita anche la statuizione della sentenza impugnata secondo cui l'assunto in fatto degli allora appellanti, attuali ricorrenti, manca di prova, insistendo essi, anche nel ricorso per cassazione, sulla sola evidenza dello stato di dissesto in cui versava la C.I.G. s.r.l., senza darsi alcun carico della questione - decisiva - della prova dell'effettiva destinazione del provento delle vendite alla estinzione dei suoi debiti.
Inammissibile in quanto nuova è, infine, la deduzione della sufficienza del patrimonio dell'Alì a far fronte alle sue obbligazioni anche dopo la vendita immobiliare impugnata, trattandosi di allegazione in fatto formulata soltanto con il ricorso per Cassazione ne' la sentenza impugnata, ne' lo stesso ricorso accennano alla sua introduzione nel giudizio di merito).
9. Il ricorso va dunque respinto.
Le spese del giudizio di legittimità, liquidate in dispositivo, seguono la soccombenza.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso e condanna i .ricorrenti in solido al pagamento delle spese del giudizio di legittimità, liquidate in Euro 7.100,00, di cui 7.000,00 per onorari, oltre spese generali ed accessori di legge, in favore di ciascuna delle controricorrenti. Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio, il 6 e il 27 giugno 2006.
Depositato in Cancelleria il 11 ottobre 2006