Diritto Societario e Registro Imprese
Il Caso.it, Sez. Giurisprudenza, 6316 - pubb. 01/08/2010
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Cassazione civile, sez. III, 12 Gennaio 2011, n. 525. Est. Amendola.
Società - Di persone fisiche - Società in accomandita semplice - In genere (nozione, caratteri, distinzioni) - Norme applicabili - Contratto di cessione di quota sociale - Pagamento delle obbligazioni contratte dalla società prima della cessione e non ancora estinte - Ripartizione interna - Problema di ermeneutica contrattuale - Configurabilità - Sussistenza - Fondamento - Applicabilità delle disposizioni di cui agli artt. 2269, 2290, 2263 e 2289 cod. civ. nei rapporti fra cedente e cessionario della quota - Esclusione.
Nei rapporti tra cedente e cessionario di quota di società di persone, l'individuazione della parte tenuta al pagamento delle obbligazioni contratte dalla società prima della cessione e non ancora estinte è un problema di ermeneutica contrattuale, avendo il legislatore lasciato all'autonomia contrattuale la regolamentazione della ripartizione interna di tali obbligazioni; al riguardo risultano, infatti, inconferenti le previsioni degli artt. 2269 e 2290 cod. civ., che attengono alla responsabilità verso i creditori sociali, dell'art. 2263 cod. civ., che disciplina i rapporti tra i soci e dell'art. 2289 cod. civ., che regolamenta quelli tra società e socio uscente. (massima ufficiale)
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE TERZA
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. VARRONE Michele - Presidente -
Dott. FILADORO Camillo - Consigliere -
Dott. UCCELLA Fulvio - Consigliere -
Dott. VIVALDI Roberta - Consigliere -
Dott. AMENDOLA Adelaide - rel. Consigliere -
ha pronunciato la seguente:
SENTENZA
sul ricorso 23977/2006 proposto da:
D'IPPOLITO ERNESTO DPPRST32B01F888D, D'IPPOLITO ALESSANDRO DPPLSN66E24H501S, elettivamente domiciliati in ROMA, VIA TACITO 23, presso lo studio dell'avvocato VESPAZIANI Giovanni, che li rappresenta e difende giusta delega in calce al ricorso;
- ricorrente -
contro
CARCIONE ROSE MARIE CRCMRR64H50Z110S, elettivamente domiciliato in ROMA, VIA PINEROLO 43, presso lo studio dell'avvocato LATELLA Stefano, che la rappresenta e difende unitamente all'avvocato PONTIERI FRANCO giusta delega a margine del controricorso;
- controricorrenti -
avverso la sentenza n. 205/2006 del TRIBUNALE di RIETI, emessa il 13/03/06, depositata il 26/04/2006, R.G.N. 719/2004;
udita la relazione della causa svolta nella Pubblica udienza del 15/11/2010 dal Consigliere Dott. ADELAIDE AMENDOLA;
udito il P.M., in persona dell'Avvocato Generale Dott. FEDELI Massimo, che ha concluso con il rigetto del ricorso.
SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
I fatti di causa possono così ricostruirsi sulla base della sentenza impugnata.
Ernesto e Alessandro D'Ippolito proposero opposizione all'esecuzione intrapresa in loro danno da Rose Marie Carcione in forza di venti pagherò cambiari emessi per il pagamento del prezzo della quota, pari al 50% del capitale sociale di Ippocampo s.n.c., ceduta dalla Carcione, con scrittura del 31 gennaio 1997, a D'Ippolito Ernesto. A sostegno del mezzo dedussero che il credito azionato doveva ritenersi estinto per compensazione, avendo essi pagato un residuo debito vantato da MDL Allestimenti nei confronti della società, anche per la parte posta a carico della cedente, di talché, ex artt. 2289 e 2290 cod. civ., avevano ora diritto di regresso nei confronti della socia uscente. A tale controcredito andavano poi aggiunti quelli nascenti dalla condanna al pagamento di spese di giudizio contenuta in due sentenze del Tribunale di Roma. Resistette la Carcione, eccependo in limine la litispendenza tra il presente giudizio e altro già deciso in prime cure e ora pendente in grado di appello; chiedendo inoltre, in subordine, la sospensione del processo, ex art. 295 cod. proc. civ..
Con sentenza del 26 aprile 2006 il Tribunale di Rieti, escluso il rapporto di identità tra le due cause indicate dall'opposta - essendo l'una di opposizione all'esecuzione, e l'altra di opposizione a precetto nonché la sussistenza delle condizioni per la sospensione del processo, ha rigettato l'opposizione.
Ha segnatamente osservato il decidente che gli artt. 2289 e 2290 cod. civ., non sono applicabili alla presente fattispecie, in cui vi è stata una cessione della partecipazione, ma esclusivamente all'ipotesi in cui il rapporto sociale si sia sciolto limitatamente a un socio, e cioè alle ipotesi di recesso o di esclusione. Ha aggiunto che, in ogni caso, la responsabilità del socio uscente è solo nei confronti dei terzi, non già degli altri soci; che tale responsabilità è relativa a debiti derivanti da operazioni in corso al momento dello scioglimento, laddove, nella fattispecie, il debito afferiva a una operazione conclusa molto tempo prima; che, a norma dell'art. 2269 cod. civ., chi entra a far parte di una società risponde anche dei debiti anteriori all'acquisto, mentre, a norma dell'art. 2291 cod. civ., (rectius, art. 2290) la responsabilità personale illimitata del socio per le obbligazioni sociali non sopravvive alla cessazione della qualità di socio; che era pacifico tra le parti, quanto ai crediti vantati dagli opponenti per spese di giudizio, che essi sarebbero stati portati in compensazione in sede distributiva.
Avverso detta pronuncia propongono ricorso per cassazione, illustrato anche da memoria, Ernesto e Alessandro D'Ippolito, formulando tre motivi.
Resiste con controricorso Rose Marie Carcione.
MOTIVI DELLA DECISIONE
1 Col primo motivo i ricorrenti denunciano violazione degli artt. 39 e 295 cod. proc. civ., segnatamente contestando la mancata sospensione del giudizio in attesa della definizione di quello di opposizione a precetto pendente davanti alla Corte d'appello di Roma nonché di altro giudizio di opposizione, pendente davanti al Tribunale di Rieti, proposto ai sensi dell'art. 615 cod. proc. civ., comma 2, avverso l'esecuzione iniziata con atto di pignoramento immobiliare, dopo la notifica di un nuovo e distinto atto di precetto per il medesimo credito di cui qui si discute. Deducono che in entrambi i giudizi è stata riproposta l'eccezione di compensazione derivante dal controcredito alla restituzione delle somme pagate in luogo della Carcione, di talché tra le cause sussiste litispendenza parziale o continenza, dipendendo il loro esito dalla soluzione di una questione comune ad entrambe.
2 Il motivo è, per certi aspetti inammissibile, per altri infondato. Per quanto risulta dalla sentenza impugnata, fu l'opposta Carcione a chiedere al Tribunale di disporre la sospensione, prospettando la pendenza del giudizio di appello avverso la decisione emessa in sede di opposizione a precetto. Ma il giudice di merito, considerato che tale decisione aveva riguardato la sola opposizione agli atti esecutivi, ex art. 617 cod. proc. civ., mentre i motivi di opposizione all'esecuzione proposti in via subordinata dall'opponente erano stati ritenuti assorbiti, escluse la ricorrenza dei presupposti della richiesta sospensione.
Ne deriva che devono ritenersi prospettate per la prima volta in questa sede e la questione della necessità di disporre la sospensione in attesa della definizione dell'altro giudizio di opposizione, incardinato davanti al Tribunale di Rieti a seguito della notifica di un nuovo e distinto atto di precetto, con pedissequo pignoramento immobiliare; e quella dell'attinenza del giudizio di opposizione, attualmente pendente in grado di appello, anche all'eccezione di compensazione qui fatta valere. Ma, se così è, la censura, in quanto volta a veicolare una istanza di sospensione proposta per la prima volta in Cassazione, è inammissibile, esulando il provvedimento richiesto dalla funzione istituzionale di questa Corte, cui è demandato soltanto il sindacato di legittimità delle anteriori decisioni di merito (Cass. civ., 31 maggio 2006, n. 13001).
2.1 Il motivo è invece infondato con riferimento ai profili già esaminata dal giudice a quo, perché la decisione del Tribunale in punto di insussistenza dei presupposti della sospensione, tenuto conto della diversità dei mezzi azionati e dell'area di incidenza delle due opposizioni tra le quali dovrebbe sussistere l'evocato nesso di pregiudizialità, è conforme agli enunciati della giurisprudenza di legittimità, secondo cui la sospensione necessaria del processo può essere disposta, a norma dell'art. 295 cod. proc. civ., quando la decisione del medesimo dipenda dall'esito di altra causa, nel senso che questa abbia portata pregiudiziale in senso stretto, e cioè vincolante, con efficacia di giudicato, all'interno della causa pregiudicata (confr. Cass. civ. 28 dicembre 2009, n. 27426).
4 Col secondo mezzo, articolato in tre sezioni, i ricorrenti lamentano:
a) violazione dell'art. 2289 cod. civ., norma che, contrariamente a quanto ritenuto dal decidente, si applicherebbe a qualsiasi ipotesi di scioglimento del rapporto sociale limitatamente a un socio, e quindi anche all'ipotesi di cessione della partecipazione, in quanto forma di attuazione del recesso del socio alienante dalla compagine (confr. Cass. civ. 4 giugno 1999, n. 5479);
b) vizi motivazionali con riferimento alla affermazione del giudice di merito secondo cui nella fattispecie il debito, in quanto sorto anteriormente allo scioglimento, non era qualificabile come perdita derivante da un'operazione in corso, laddove decisivo, ai fini che qui interessano, sarebbe, insieme all'anteriorità del debito rispetto alla fuoriuscita del socio dalla compagine, il termine di adempimento dell'obbligazione.
c) violazione degli artt. 2269, 2289, 2290 cod. civ., per avere il giudice di merito fatto discendere la liberazione dall'obbligazione di pagamento della Carcione dall'art. 2269 cod. civ., laddove tale norma, volta a sancire la responsabilità del nuovo socio anche per i debiti anteriori all'acquisto, sarebbe destinata a disciplinare esclusivamente la responsabilità di coloro che entrano a far parte della compagine nei confronti dei creditori sociali, non già nei rapporti interni, rapporti che resterebbero invero presidiati dall'art. 2289 cod. civ..
5 Le critiche non hanno pregio, ancorché la motivazione della sentenza impugnata debba essere integrata e corretta, ai sensi dell'ultimo comma dell'art. 384 cod. proc. civ..
Il regime della responsabilità del socio della società di persone, per ciò che attiene alle obbligazioni contratte dalla società, è, in via di principio, disciplinato dagli artt. 2269 e 2290 cod. civ., entrambi dettati in tema di società semplice, ma sicuramente applicabili anche alla società in nome collettivo in forza del rinvio operato dall'art. 2293 cod. civ.: l'art. 2269, stabilisce che chi entra a far parte di una società già costituita risponde con gli altri soci per le obbligazioni sociali anteriori all'acquisto della qualità di socio; l'art. 2290, prevede che nei casi in cui il rapporto sociale si scioglie limitatamente a un socio, questi o i suoi eredi sono responsabili verso i terzi per le obbligazioni sociali fino al giorno in cui si verifica lo scioglimento. Queste disposizioni attengono tuttavia al solo profilo esterno della responsabilità, e cioè alla responsabilità verso i creditori sociali.
Una indiretta, ma invincibile conferma della correttezza di tale approccio la sì ritrova nel disposto dell'art. 2290 cod. civ., comma 2, a tenor del quale la fuoriuscita dalla compagine del socio deve essere portata a conoscenza dei terzi con mezzi idonei, essendo altrimenti inopponibile a quelli che l'abbiano senza colpa ignorata (confr. Cass. civ. 26 novembre 2008, n. 28225).
In mancanza di adeguate forme di pubblicità della cessazione del rapporto societario, questo continua dunque a operare, in relazione ai terzi, dando luogo a un'ipotesi di scuola di responsabilità senza debito.
Rapportato al caso di specie, tutto quanto sin qui detto comporta che, rispetto a MDL Allestimenti, creditrice del residuo prezzo degli arredi del ristorante gestito dalla società, erano parimenti responsabili sia la Carcione, trattandosi di obbligazione sorta prima, che la stessa dismettesse la qualità di socio, sia D'Ippolito Ernesto.
6 L'incidenza interna del peso economico delle obbligazioni contratte dalla società è stata dal legislatore disciplinata, in costanza di partecipazione alla compagine, attraverso la previsione suppletiva della sua proporzionalità alla misura della partecipazione (art. 2263 cod. civ.), e, con riferimento all'ipotesi di scioglimento del rapporto sociale limitatamente al socio, per recesso o esclusione, attraverso la previsione dei criteri di liquidazione della quota dettati dall'art. 2289 cod. civ..
Tali criteri prevedono, da un lato, che la liquidazione deve avvenire in base alla situazione patrimoniale della società nel giorno in cui si verifica lo scioglimento, situazione da redigersi nel rispetto dei principi di formazione del bilancio (confr. Cass. civ. 16 gennaio 2009, n. 1036); dall'altro, che, se vi sono operazioni in corso, il socio o i suoi eredi partecipano agli utili e alle perdite inerenti alle operazioni medesime. Il che implica, assumendo a caso paradigmatico proprio la fornitura di arredi dei quali, al momento della liquidazione della quota non sia stato integralmente pagato il prezzo, che nel calcolare la somma spettante al socio uscente dovrà tenersi conto e del valore dei beni acquistati, costituenti immobilizzazione materiali, e quindi poste attive dello stato patrimoniale; e dell'obbligazione di pagamento del prezzo, obbligazione che, nei limiti in cui non sia stata ancora adempiuta, verrà appostata al passivo, tra i debiti della società. 7 Quanto sin qui detto consente di arrivare, nello scrutinio sulla fondatezza delle critiche svolte nel secondo mezzo, a una prima affermazione.
Nessuna delle norme innanzi richiamate è applicabile ai rapporti tra cedente e cessionario della quota: non gli artt. 2269 e 2290, che attengono alla responsabilità verso i creditori sociali; non l'art. 2263, che si occupa dei rapporti tra soci; non l'art. 2289, che regolamenta quelli tra società e socio uscente.
Tale assetto normativo conferma che il legislatore ha lasciato all'autonomia contrattuale la regolamentazione della ripartizione interna delle obbligazioni già contratte dalla società al momento della cessione, ma non ancora estinte, in coerenza con la natura giuridica di bene complesso della quota sociale, bene che si sostanzia nella partecipazione a un patrimonio autonomo e il cui valore è conseguentemente determinato dal rapporto tra poste attive e poste passive dello stesso.
Ciò significa che il solo terreno sul quale poteva essere giocata la partita della incidenza, nei rapporti interni tra cedente e cessionario, dell'obbligazione di pagamento del prezzo degli arredi, era quello del contratto: quand'anche, invero, nulla fosse stato espressamente previsto in proposito nell'atto di cessione, la tesi secondo cui era la cedente la parte tenuta a sopportare, in misura corrispondente al valore della quota ceduta, il peso dell'acquisto degli arredi, andava sostenuta sulla base delle previsioni e del contenuto economico dell'accordo di cessione nonché di ogni altro elemento utile a ricostruire la volontà delle parti, secondo i canoni dettati nell'art. 1362 cod. civ., e segg..
Nella totale mancanza di allegazioni al riguardo, incombenti sulla parte che aveva assunto la posizione scomoda del deducente (secondo la regola per cui onus probandi incumbit ei qui dicit), le critiche alla decisione del giudice di merito che ha negato la sussistenza dei presupposti per l'operatività dell'eccezione di compensazione, devono ritenersi infondate alla luce del seguente principio di diritto: è problema di ermeneutica contrattuale l'individuazione, nei rapporti tra cedente e cessionario di quota di società di persone, della parte tenuta al pagamento delle obbligazioni contratte dalla società prima della cessione e non ancora estinte, inconferenti essendo, in parte qua, le previsioni degli artt. 2269 e 2290, che attengono alla responsabilità verso i creditori sociali;
dell'art. 2263, che disciplina i rapporti tra soci e dell'art. 2289, che regolamenta quelli tra società e socio uscente.
8 Col terzo motivo i ricorrenti lamentano violazione dell'art. 132 cod. proc. civ., art. 118 disp. att. cod. proc. civ., art. 1241 cod. civ., nonché nullità della sentenza per insanabile contrasto tra dispositivo e motivazione perché, una volta rilevato, quanto alla eccezione di compensazione con riferimento ai controcrediti vantati dagli opponenti per spese giudiziali, che l'opposta non li aveva mai contestati e si era già dichiarata disponibile a detrarli in sede distributiva, il decidente avrebbe dovuto accogliere l'opposizione. 9 La censura è infondata perché eccentrica rispetto alla ratio decidendi della sentenza impugnata, fondata, in sostanza, sul difetto di interesse della parte a dedurre una compensazione della quale la stessa controparte aveva riconosciuto l'operatività. In definitiva il ricorso deve essere integralmente rigettato. La difficoltà delle questioni consiglia di compensare integralmente tra le parti le spese del giudizio.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso. Compensa integralmente tra le parti le spese del giudizio.
Così deciso in Roma, il 15 novembre 2010.
Depositato in Cancelleria il 12 gennaio 2011