Diritto Societario e Registro Imprese
Il Caso.it, Sez. Giurisprudenza, 6245 - pubb. 01/08/2010
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Cassazione civile, sez. I, 12 Aprile 2005, n. 7536. Est. Ceccherini.
Società - Di capitali - Società per azioni - In genere (nozione, caratteri, distinzioni) - Scopo di lucro - Requisito essenziale - Sussistenza - Delibera assembleare escludente lo scopo di lucro - Ammissibilità - Esclusione - Incidenza della delibera sulla causa del contratto sociale - Esclusione - Mancata impugnazione della delibera - Conseguenze - Successiva delibera dell'assemblea straordinaria "ripristinatoria" dello scopo di lucro - Validità - Consenso unanime dei soci - Necessità - Esclusione.
Il principio di autonomia negoziale è applicabile al contratto di società di capitali, con i limiti derivanti dalla circostanza che l'art. 2249, cod. civ., nel prevedere che le società aventi ad oggetto l'esercizio di attività commerciali devono costituirsi secondo i tipi di legge, non consente l'adozione di clausole statutarie incompatibili con il tipo di società prescelto; ne consegue che, costituendo lo scopo di lucro un elemento essenziale e caratterizzante il tipo della società per azioni, l'assemblea straordinaria della società non può deliberare la sostituzione dello scopo lucrativo con uno scopo non lucrativo, mediante l'introduzione del divieto di distribuzione degli utili, al di fuori delle tassative ipotesi nelle quali è espressamente consentita l'utilizzazione del tipo della s.p.a. per uno scopo non lucrativo e del procedimento di trasformazione della società in società cooperativa; peraltro, la delibera dell'assemblea straordinaria di una s.p.a. che sostituisca, a livello statutario, allo scopo di lucro soggettivo uno scopo mutualistico, non incide sulla causa del contratto di società e neppure dà vita ad una società di tipo mutualistico e, benché illegittima, se sia stata adottata con la maggioranza stabilita per la modifica dello statuto della società e non sia stata impugnata, comporta l'utilizzazione della società per uno scopo diverso da quello inerente alla sua forma giuridica, sicchè la successiva delibera che modifica la precedente, ripristinando lo scopo di lucro, a sua volta, neppure incide sulla causa del contratto di società e, conseguentemente, avendo ad oggetto una modificazione dello statuto, può validamente essere adottata con le maggioranze stabilite a questo fine. (massima ufficiale)
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE PRIMA
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. LOSAVIO Giovanni - Presidente -
Dott. SALVAGO Salvatore - Consigliere -
Dott. CECCHERINI Aldo - rel. Consigliere -
Dott. DI PALMA Salvatore - Consigliere -
Dott. GIANCOLA Maria Cristina - Consigliere -
ha pronunciato la seguente:
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
BESSEGA SERGIO, BIONDI FERDINANDO, PADOVANI EGIDIO, DEL RIO LUCREZIA, TARDIVO VANDA, BOSMIN PIERO, MINGARDI SILVANO, MARCIONI ROBERTO, BIASINI GIANFRANCO, SALIN ATTILIO, CAZZOLA UMBERTO, FAVERO RENATO, SANTIN MICHELA, BREDA MICHELE, POZZI LAZZARO, SCHIAVON ELSA, PIRAS GIANFRANCO, PEDRON LUCIANO, BULFONI ROBERTA, ZORZI TOSCA, NASCIMBEN LORENZO, NARDINI DANTE, FERRONATO CELESTE, TASCHIN PAOLO, GIACCHETTO MARIO, FURLANIS GIANFRANCO, ROMA PAOLO, STEFANI NELLO, HELEM HOLDING in persona del legale rappresentante Lucio Meloni, ZUCCON ANNA, RECH TULLIA, MONTI GIANCARLO, LIGUORI SALVATORE, FURLAN ENZO, BIONDI GUIDO, VAZZOLER VITTORIO, elettivamente domiciliati in ROMA, VIA ANDREA VESALIO 22, presso l'avvocato IRTI NATALINO, che li rappresenta e difende unitamente agli avvocati MAGGIOLO ANGELO, SERGIO CAMERINO, giusta procura in calce al ricorso;
- ricorrenti -
contro
PORTO TURISTICO JESOLO S.P.A., in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA BERTOLONI 35, presso l'avvocato BIAGETTI VITTORIO, che la rappresenta e difende unitamente all'avvocato BENEDETTO COSTANTINO, giusta procura a margine del controricorso;
- controricorrente -
contro
MARCHETTI MAURO, HENEQALDO PAOLO, elettivamente domiciliati in ROMA PIAZZA MAZZINI 27, presso l'avvocato GIOVAN CANDIDO DI GIOIA, che li rappresenta e difende unitamente all'avvocato GIOVANNI TARLINDANO, giusta procura in calce al ricorso in adesione;
contro
PIGBIN GIAMPAOLO, MOLITORI FRANCESCO, CAVAZZINA VITTORIO, CALZAVARA LUCIANO, SCARPI ROBERTO;
- intimati -
e sul 2^ ricorso n. 09900/03 proposto da:
PIGHIN GIAMPAOLO, MOLINARI FRANCESCO, CAVAZZINA VITTORIO, elettivamente domiciliati In ROMA VIA TAGLIAMENTO 55, presso l'avvocato NICOLA DI PIERRO, che li rappresenta e difende unitamente agli avvocati PAOLO MESTROVICH, CLAUDIO CAMPANER, giusta mandato a margine del ricorso;
- controricorrenti e ricorrenti incidentali -
contro
PORTO TURISTICO DI OSSOLO S.P.A., in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA VIA BERTOLONI 35, presso l'avvocato VITTORIO BIAGETTI, che la rappresenta e difende unitamente all'avvocato BENEDETTO COSTANTINO, giusta procura a margine del controricorso);
- controricorrente al ricorso incidentale -
contro
BESSEGA SERGIO;
- intimato -
avverso la sentenza n. 969/02 della Corte d'Appello di VENEZIA, depositata il 28/06/02;
udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 14/01/2005 dal Consigliere Dott. Aldo CECCHERINI;
uditi per il ricorrente, gli Avvocati IRTI e CAMERINI che hanno chiesto l'accoglimento del ricorso principale;
udito per i ricorrenti adesivi Marchetti e Menegaldo, l'avvocato DI GIOIA che ha chiesto l'accoglimento del ricorso principale;
udito per la resistente Porto Turistico, l'Avvocato BIADETTI per il rigetto del ricorso principale e di quello incidentale. udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. RUSSO Rosario che ha concluso per il rigetto di tutti i ricorsi, previa correzione o integrazione della sentenza.
SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
Alcuni soci della Porto Turistico di Jesolo S.P.A. (nel seguito:
società) impugnarono, dinanzi al Tribunale di Venezia, le deliberazioni adottate il 17 aprile 1993 dall'assemblea straordinaria della società, con cui era stata approvata, a maggioranza, la modifica dello statuto, nella parte in cui prevedeva, tra l'altro, che: a) la realizzazione e la gestione del porto turistico dovevano essere "nell'interesse dei soci" b) questi ultimi avevano diritto "permanente ed esclusivo, per tutta la durata della società", all'ormeggio nella darsena ed al parcheggio vetture negli spazi adiacenti; c) i soci dovevano rimborsare le spese per la gestione del porto turistico. In particolare, a seguito della deliberazione del 17 aprile 1993, era stata eliminata la previsione della gestione nell'interesse dei soci, mentre il diritto di questi all'uso dell'ormeggio e del posto, macchina era stato sostituito con la preferenza nella stipulazione di contratti d'ormeggio a presso scontato del 30% rispetto ai terzi: inoltre, era stata introdotta la previsione di spettanza e distribuzione di utili, in precedenza soppressa con delibera del 17 settembre 1988. Secondo gli impugnanti, le nuove modifiche statutarie non potevano essere fatte a maggioranza, ma solo all'unanimità, perché la ragione fondamentale per la quale erano state acquistate le quote (la società era stata trasformata in s.r.l. con la predetta delibera 17 settembre 1988, poi nuovamente in società per azioni con la deliberazione impugnata) o le azioni era di ottenere l'uso esclusivo dei posti barca e macchina. Costituitasi, la società convenuta resistette alla domanda; in sede di precisazione delle conclusioni, chiese che fossa dichiarata la nullità della precedente delibera del 17 settembre 1988, che aveva soppresso l'obbligo dei soci di pagare un corrispettivo per il godimento dei beni sociali, introdotto l'obbligo di ripianare il saldo del conto profitti e perdite, e soppresso il diritto dagli azionisti agli utili.
Il Tribunale adito, con sentenza 14 febbraio 1996, rigettò la domanda dagli attori, dichiarando inammissibile quella della società.
Avverso quella sentenza proposero appello principale Ferdinando Biondi ed altri soci: la società resistette al gravame, eccependo in ogni modo la novità della domanda con cui gli appellanti avevano dedotto l'illegittimità della modifica della causa del contratto sociale da mutualistica a lucrativa; in via incidentale, ripropose la domanda di declaratoria di nullità della delibera del 17 settembre 1988. La sentenza fu impugnata in via incidentale anche da altri soci, con motivi analoghi a quelli proposti dagli appellanti principali.
La Corte d'Appello di vanesia, con sentenza 6 luglio 1998, respinse tutta le impugnazioni. La Corte osservò, in relazione ai vari motivi degli appelli principale ed incidentali, che, in primo grado, gli appellanti principali avevano impugnato la delibera sotto l'unico profilo che avrebbe violato diritti intangibili dei soci: senza mai dedurre che con un voto di maggioranza era stata modificata la causa del contratto sociale da mutualistica a lucrativa, onde il motivo era nuovo, basandosi su diversa causa petendi; e che è dubbio, secondo la dottrina prevalente, che possano configurarsi diritti soggettivi del socio nei confronti della società, come il ed. diritto agli utili, ovvero all'utilizzo dei beni sociali: in ogni caso, la previsione che determinate delibere debbano essere adottate all'unanimità, anziché a maggioranza, assume carattere eccezionale e può essere ammessa solo nei casi specifici previsti dalla legge (nel momento costitutivo della società o quando è stato deliberato lo scioglimento), mentre le modifiche dello statuto sono demandate alla maggioranza qualificata, propria dell'assemblea straordinaria. Di qui la conclusione che il godimento dei beni sociali, da parte dei singoli soci, può essere deliberato anche senza il consenso di coloro che lo pretendono, di talché non è ravvisabile la necessità dell'unanimità per modifiche statutarie che possono anche ledere la posizione soggettiva di determinati soci.
La Corte territoriale, infine, respinse l'appello incidentale proposto dalla società, confermando l'inammissibilità, dichiarata dai primi giudici, della domanda riconvenzionale proposta tardivamente dalla società in primo grado.
Con sentenza n. 14142/2000, questa corte suprema cassò la sentenza di appello, osservando che - nonostante l'accento posto sull'intangibilità del diritto del socio all'uso del parcheggio e del posto barca, previsto dall'art. 7 dello statuto, come modificato dall'assemblea straordinaria del 17 maggio 1980 (la quale aveva consacrato il diritto di ciascun socio all'uso del parcheggio e del posto barca, beni sociali) - dalla prospettazione della citazione di primo grado non si poteva trarre la conclusione che si volesse limitare l'Impugnazione della delibera alla sola intangibilità del predetto diritto del socio; al contrario, detta intangibilità era stata dedotta anche quale conseguenza della ragione per cui gli stessi soci avevano aderito alla compagine sociale: in questo senso, poi, era stata intesa e valutata dal Tribunale. I soci avevano proposto appello, contestando, tra l'altro, la possibilità che la causa c.d. mutualistica del contratto sociale (sull'assunto che le imprese con tale scopo non debbano necessariamente costituirsi come società cooperative) possa essere trasformata, a maggioranza, in causa lucrativa, come avevano ritenuto - e non solo implicitamente - i primi giudici. Tuttavia, la Corte territoriale aveva radicalmente escluso che la questione potesse trovare ingresso in sede di gravame, ritenendo erroneamente che il motivo d'appello si fondasse su causa petendi non dedotta in primo grado. La Corte d'Appello, pertanto, avrebbe dovuto esaminare e decidere nel merito il motivo d'appello vertente sulla nullità della deliberazione - assunta a maggioranza - di modifica della causa del contratto sociale: non avendolo fatto, il compito doveva essere adempiuto dal giudice di rinvio, che avrebbe dovuto attenersi a quanto enunciato - nella sentenza di cassazione - in tema di ammissibilità della censura medesima. Per il resto, non potevano essere esaminate questioni relative alla fondatezza e meno della doglianza non esaminata dal giudice di appello, quale quella - posta dalla società controricorrente - della nullità delle delibere 17 maggio 1980 e 17 settembre 1988: dovendosi, comunque, rilevare che per la seconda di dette delibere la Corte d'Appello aveva rigettato il motivo di gravame formulato dalla stessa società. Riassunta la causa davanti al giudice di rinvio, la Corte d'appello di Venezia, con sentenza 28 giugno 2002, respinse l'appello e condannò ali appellanti alle spese del grado, dichiarando compensate le spese del giudizio di Cassazione. La corte di merito osservò che:
- la trasformazione delle società cooperative in società lucrative è vietata dall'art. 14 della legge 17 febbraio 1971 n. 127, che non considera la trasformazione inversa, di società lucrative in società mutualistiche;
- anche quest'ultima trasformazione, però, è da ritenere esclusa, a causa della differenza di causa del contratto di società, perché solo l'identità causale del contratto rende possibile la trasformazione da un tipo all'altro di società; - la trasformazione doveva in ogni caso salvaguardare la funzione economico sociale del contratto, descritta nell'art. 2247, essendo sottratta alla disponibilità delle parti l'applicazione ad una società del regime giuridico previsto per l'altra, e conseguentemente il godimento di facilitazioni tributarie accordate alle società mutualistiche; - le deliberazioni assembleare del 17 maggio 1980, che avevano operato la trasformazione vietata della società, costituita a scopo di lucro, in una società mutualistica erano mille per le ragioni appena ricordate; - tale nullità, imprescrittibile, insanabile e rilevabile d'ufficio anche in appello, è sancita dall'art. 2379 c.c. nei casi in cui le deliberazioni abbiano oggetto illecito; - l'illiceità sussiste quando l'oggetto contrasta con norme dettate a tutela di interessi generali che trascendono quello del singolo socio; - nella specie sul punto non s'era formato il giudicato, avendo la sentenza di cassazione ricusato di affrontare la questione perché non esaminata dal giudice d'appello, ed essendo rimesso al giudice del rinvio di esaminare se vi era stato illegittimo sovvertimento della causa del contratto sociale; - la nullità prodotta escludeva che possa nulla la delibarazione del 1993, che nel ripristinare la causa lucrativa aveva solo rimediato alla nullità precedente e non avere quindi natura costitutiva o modificativa dello statuto, ma solo di accertamento dell'originario scopo di lucro della società. Contro questa sentenza, che non risulta notificata, i soci indicati in epigrafe hanno proposto ricorso per Cassazione (n. 6384/2003), notificato alla società ed ai soci Giampaolo Pighin, a Francesco Molinari e Vittorio Cavazzina, nel domicilio da ciascuna parte eletto, in data 21 febbraio 2003, e ai soci Paolo Menegaldo, Mauro Marchetti, Luciano Calzavara e Roberto Scarpi (i primi due, nel domicilio eletto) in data 26 febbraio 2003, articolando cinque motivi, illustrati anche con La società intimata resiste con controricorso notificato, il 28 marzo 2003, nel domicilio eletto nel ricorso.
Mauro Marchetti resiste con controricorso in adesione notificato in data 1^ aprile 2003 agli intimanti, il a aprile a Paolo Menegaldo, il 5 aprile a Luciano Calzavara, il 6 aprile a Roberto Scarpi, il 7 aprile alla società, e Giampaolo Pighin, Francesco Molinari e Vittorio Cavazzina: in esso dichiara di voler proporre ricorso contro la sentenza 28 giugno 2002 della Corte d'appello di Venezia articolando tre motivi.
Anche Paolo Menegaldo resiste con controricorso in adesione notificato in data 1^ aprile 2003 agli intimanti, il 2 aprile a Mauro Marchetti, il 5 aprile a Luciano Calzavara e a Roberto Scarpi, il 7 aprile alla società, a Gianpaolo Pighin, Francesco Molinari e Vittorio Cavazzina in esso dichiara di voler proporre ricorso contro la sentenza 28 giugno 2002 della Corte d'appello di Venezia articolando tre motivi, illustrati anche con memoria. La società intimata resiste al controricorso in adesione notificatole dal Marchetti, con distinto controricorso. Avverso la stessa sentenza 28 giugno 2002 n. 969 della corte d'appello di Venezia, l'architetto Giampaolo Pighin, Francesco Molinari e Vittorio Cavazzina hanno proposto separato ricorso per cassazione articolato in sei motivi, notificandolo in data 2 aprile 2003 alla società, e al signor Sergio Bessega (n. 9900/03). Ad esso la società intimata resiste con controricorso notificato in data 9 maggio 2003, illustrato anche con successiva memoria. I ricorsi nn. 6384/2003 e 9909/2003 sono stati riuniti. MOTIVI DELLA DECISIONE
1. La società resistente eccepisce l'inammissibilità del ricorso definito "in adesione", proposto da Mauro Marchetti nel controricorso notificato alla altra parti. Al riguardo è solo necessario chiarire che i controricorsi "in adesione" notificati dai soci Marchetti e Menegaldo hanno mero valore di controricorsi, e che i motivi in essi articolati possono essere appressati solo cene argomenti a sostegno dei motivi del ricorso n. 6384/2003; come tali, essi sono legittimi. 2. con il primo motivo del ricorso n. 6384/2003 si denuncia l'ultrapetizione e la violazione dei limiti del giudizio di rinvio, in cui l'impugnata sentenza sarebbe incorsa nell'affermare la nullità della deliberazione assembleare del 17 maggio 1980, alla quale aveva attribuito l'illecita trasformazione della società lucrativa in una società mutualistica. Si censurano, in particolare, le affermazioni dell'impugnata sentenza, che a) sulla questione non si sarebbe formato il giudicato (perché non esaminata dal giudice d'appello, e di conseguenza neppure dalla suprema corte), e b) che essa potrebbe essere rilevata d'ufficio in sede di appello. Si deduce che il giudicato non si era formato sol perché la questione non era stata prospettata dalla società ne' in primo grado, e neppure nell'appello incidentale, che riguardava solo la deliberazione del 17 settembre 1988, nello stesso appello incidentale, al contrario, ai affermava che la deliberazione del 1980 ora compatibile con lo scopo di lucro della società, a solo nella comparsa conclusionale la difesa della società aveva qualificato nulla o inefficace la deliberazione del 1980. Nè la nullità può essere rilevata d'ufficio in grado di appello, se le censure formiate con l'impugnazione o le eccezioni ad esse opposta non mettano in discussione la validità dell'atto, o se l'appellante abbia argomentato sul presupposto esplicito o implicito della validità ad efficacia dell'atto con il secondo motivo di ricorso si denunzia la violazione dell'art. 14 della l. 17 febbraio 1971 n. 127 e la connessa ultrapetizione, vizi nei quali l'impugnata sentenza sarebbe incorsa dichiarando la nullità della deliberazione del 17 maggio 1980 perché non sarebbe consentita la trasformazione di una società lucrativa in una società mutualistica, incidente sulla causa del contratto di società, consentendo una tale trasformazione il godimento illegittimo di agevolazioni fiscali. Si deduca che la questiona controversa verteva sulla necessità che la deliberazione, che aiuta la causa del contratto sociale, sia assunta a maggioranza o all'unanimità, e che la questione dell'impossibilità di deliberare (sia pure all'unanimità) il mutamento dello scopo sociale non era mai stata prospettata nei precedenti gradi di giudizio, nei quali, conseguentemente, non era stata dibattuta la premessa dalla quale muove la sentenza di rinvio, che il mutamento in parola fosse stato operato dalla deliberazione del 1980 invece che (come dovrebbe in ogni caso ritenersi) da quella del 1988.
Il mutamento della causa del contratto sociale, proseguono i ricorrenti, rientra nell'autonomia dei soci, ed è ammissibile se preso all'unanimità. D'altra parte la ragione del divieto sancito dalla norma invocata è nell'intento di prevenire l'accesso illegittimo ai benefici previsti per l'esercizio di attività mutualistiche da chi, dopo averli conseguiti, voglia destinarli ad altra attività lucrativa, e tale ratio legis non è estensibile all'ipotesi di passaggio della causa lucrativa a quella mutualistica perseguita nella forma di una società ordinaria. Nella specie, peraltro, non essendosi trasformata in una cooperativa, la società non aveva goduto ne' avrebbe potuto godere dai benefici fiscali riservati alle cooperative.
Con il terzo motivo di ricorso si denuncia la violazione dell'articolo 2379 c.c., e connessi vizi di motivazione. Si deduce che la nullità delle deliberazioni assembleari è limitata alla ipotesi tassativamente prevista dalla norma di impossibilità o illiceità dell'oggetto, senza alcun riferimento alla causa del contratto sociale, e che nessuno aveva sostenuto la tesi dell'impossibilità o illiceità della trasformazione dello scopo e dell'oggetto di una società di capitale da lucrativo a mutualistico. Con il quarto motivo si denuncia la violazione degli artt. 2377 c.c. e 2909 cc. Si deduce che, affermando la natura non costitutiva (ma meramente ricognitiva dell'originaria causa contrattuale) della deliberazione del 1988, il giudice di rinvio aveva violato il giudicato formatosi sulla statuizione assunta in primo grado dal tribunale, che invece - come era stato affermato dalla suprema corte nella sua precedente sentenza pronunciata nel presente processo - aveva ragionato sulla base della funzione ripristinatoria della causa lucrativa della società, senza che la società avesse proposto appello incidentale sul punto, per impedire la formazione del giudicato su statuizione potenzialmente pregiudizievole. Peraltro sulla stessa intangibilità della delibera del 1988, che aveva operato la trasformazione della causa contrattuale da lucrativa in mutualistica, si era formato il giudicato, rendendo la nullità della delibera del 1980 ininfluenti infatti, la deliberazione del 1993, impugnata dai soci dissenzienti, aveva inteso modificare proprio quella del 1988 (ormai intangibile) e non quella del 1980 (affermazione, non impugnata, contenuta già nella sentenza di primo grado).
con il quinto votivo, sulla premessa che sono state violate le norme che delimitano il giudizio di rinvio, si chiede una pronuncia nel merito della causa, si deduce che la precedente sentenza di cassazione aveva dichiarato inammissibile l'eccezione di nullità della delibera del 1980, perché non esaminata dal giudice di appello. Il giudice del rinvio, nel riprendere in esame la medesima questione, avrebbe dovuto rilevare che - se essa fosse stata a suo tempo sollevata dalla società appellata ed appellante incidentale, ed erroneamente non esaminata dal giudice d'appello - la medesima società avrebbe dovuto impugnare sul punto la sentenza con ricorso incidentale per cassazione, con il vizio di omessa pronuncia, incorrendo altrimenti nella preclusione del giudizio di rinvio. I ricorrenti, pertanto, chiedono che questa corte suprema, giudicando nel merito, affermi la nullità della deliberazione di trasformazione della causa mutualistica in causa lucrativa adottata dalla società a maggioranza, invece che all'unanimità.
3. Con il primo motivo del ricorso 9900/03 si denunciala violazione degli artt. 99/112 e 394; si deduce che la validità della deliberazione del 17 maggio 1980 non fa parte della materia del contendere, non essendo mai stata la nullità domandata ne' eccepita dalla società. Si qui l'ultrapetizione della sentenza impugnata. con il secondo motivo si denuncia la violazione degli art. 1372 e 2377 c.c.. Si deduce che la nullità della delibera del 1980, siccome superata dalla delibera del 1988, è irrilevante ai fini del decidere. La corte veneziana avrebbe ignorato la volontà sociale del 1988.
Con il terzo motivo di denuncia la violazione degli artt. 1322 e 2511 c.c.. La corte veneziana avrebbe confuso tipo sociale e causa sociale: l'uno attiene alla veste e alla disciplina del soggetto collettivi) che nasca dal contratto sociale, l'altra alla funzione economico sociale che caratterizza il contratto. La fattispecie di causa, si osserva, non riguarda il tipo ma la causa sociale, perché non s'è mai discusso - di trasformai ione della società, ma solo di modificazione - nell'ambito dei tipi di società ordinaria - della causa sociale mutualistica o lucrativai e la causa, se non illecita, è disponibile dalla parti che modificano un contratto di società ordinaria. La corte veneziana, diversamente opinando, avrebbe violato il principio dell'autonomia contrattuale e la possibilità dei soci di una società ordinaria di darsi uno scopo lucrativo o mutualistico ex art. 2511, essendo assolutamente pacifico che un'impresa mutualistica possa costituirsi anche nella forma della società lucrativa.
Con il quarto motivo si denuncia la falsa applicazione art. 2379 c.c. La delibera in data 17/3/1980 non aveva - si sostiene - oggetto contrario a nome Imperative, considerato che la codificazione della causa sociale da lucrativa a mutualistica rientra nell'autonomia contrattuale dei soci.
Con il quinto motivo si denuncia la violazione degli artt. 1321 e 1372. Trattandosi - per la modifica della causa del contratto sociale da lucrativa a mutua-listica - di un elemento essenziale del contratto, sarebbe richiesto il consenso unanime di tutti i soci, che - non essendo necessaria la sede assembleare - potrebbe risultare aliunde, come dal comportamento concludente, ciò che era avvenuto con la mancata impugnazione della delibera del 1980, la quale è quindi efficace.
Con il sesto motivo si denuncia la violazione degli artt. 1321 e 1325, 1418, 2377. Si sostiene che la delibera impugnata non è dichiarativa, bensì ricostruttiva della causa del contratto sociale, e pertanto doveva ottenere il consenso dell'unanimità dei soci: non avendolo ottenuto, essa sarebbe improduttiva di effetti, e la corte territoriale le avrebbe accreditato operatività vincolante in violazione dei 1312 e 1325 c.c..
4. I motivi così sintetizzati, in parte sovrapponimi, e per il resto strettamente collegati sul piano logico e giuridico, richiedono un esame congiunto.
vengono all'esame, preliminarmente, le questioni processuali. Si assume che, giudicando nulla la deliberazione dell'assemblea straordinaria del 17 maggio 1980, il giudice del rinvio avrebbe violato, per un verso, il principio della corrispondenza tra il chiesto e il giudicato, non essendo mai stato l'accertamento di quella nullità richiesto dalla società, e per l'altro i limiti del giudizio di rinvio, circoscritto alla questione - dedotta dai soci impugnanti - della nullità della deliberazione del 1993 perché assunta a maggiorala, quantunque modificativa della causa del contratto sociale.
Le censure in questione sono infondate. Va innanzi tutto chiarito che il giudice di rinvio non ha dichiarato la nullità della deliberazione del 1980, ma ne ha solo esaminato incidentalmente la validità, quale presupposto della denunciata nullità della deliberazione impugnata in via principale dai soci, ciò che era tenuto a fare proprio in virtù del principio, per cui la nullità del contratto è rilevabile d'ufficio solo nella controversia promossa per far valere diritti presupponenti la validità del contratto medesimo, in considerazione del potere-dovere del giudice di verificare la sussistenza delle condizioni dell'azione. Italia specie, infatti, condizione dell'azione di impugnazione di una deliberazione assembleare che aveva soppresso lo scopo mutualistico della società, costituita nella forma di società lucrativa regolata dalle disposizioni del titolo 5^, era la validità delle deliberazioni precedenti, che quello scopo mutualistico avevano introdotto. la mancanza di esse, infatti, la nullità della delibera impugnata non sarebbe stata sostenibile neppure nell'impostazione data alla loro demanda dai soci. Conseguentemente, quelle delibere precedenti appartenevano alla causa non già quali oggetto di domande riconvenzionali o di eccezioni in senso tecnico, ma quali elementi della causa petendi dell'impugnazione proposta dagli attori. Nè in tal modo la sentenza impugnata ha violato il principio, consolidato nella giurisprudenza di questa corte, per cui il giudizio di rinvio è un processo chiuso, nel quale non solo non è consentito alla parti di ampliare il thema decidendum, formulando nuova domanda e nuova eccezioni, ma operano la preclusioni che derivano dal giudicato implicito formatosi con la sentenza di cassazione, onda neppure le questioni esaminabili d'ufficio, non rilevate dalla Corte suprema, possono in sede di rinvio essere dedotte o comunque esaminate, giacché il loro riesame tende a porre nel nulla o a limitare gli effetti della stessa sentenza di cassazione, in contrasto con il principio della sua intangibilità, La precedente sentenza di questa corte, infatti, aveva cassato la sentenza della corte d'appello per aver ricusato - sulla base d'un'interpretazione indebitamente riduttiva della domanda - di prendere in esame il motivo di gravame avente ad oggetto l'accertamento della nullità della deliberazione assembleare, di asserita modifica della causa del contratto sociale, siccome assunta a maggioranza. Per ciò stesso, nessuna questione, attinente all'esistenza dei presupposti della fondatezza di quella demanda, era stata ancora esaminata, ne' poteva ritenersi pregiudicata. Nessuna limitazione poteva dunque implicare, all'indagine sulla fondatezza sostanziale di quella domanda non esaminata, il rinvio al giudice di merito per il suo esame. 5. Occorra pertanto passare all'esame delle questioni di diritto sostanziale proposta dai ricorsi. Il giudice del rinvio ha dato risposta negativa al quesito che gli era stato sottoposto: sa, cioè, la modificazioni statutaria assunta dall'assemblea straordinaria del 17 aprile 1993 fossero nulla, per aver operato a maggior ansa, in luogo dell'unanimità all'uopo necessaria, una modificazione della causa mutualistica del contratto sociale, quale risultante dalle precedenti deliberazioni assunte nel 1980 e nel 1988. Questa statuizione è, ad avviso della corte, conforma a diritto. Per giustificarla, tuttavia, il giudice del rinvio ha seguito un complesso iter logico-giuridico, nel quale numerosi passaggi - non conformi a diritto - si espongono alle censure dei ricorrenti, sicché si rende necessaria una corrasione della motivazione a norma dell'art. 384 cpv. c.p.c..
6. Poiché molto si è discusso, in questo giudizio, di autonomia contrattuale, si deve muovere dal principio, ormai da tempo acquisito, che l'autonomia negoziale si estende al campo dei contratti plurilaterali, quale il contratto di società. Ciò,- tuttavia, con i limiti derivanti dal fatto che la società rileva sul piano giuridico non solo come contratto, ma come forma d'organizzazione di un'attività economica da svolgere nei confronti di altri soggetti; e che, nel caso della creazione di organismi autonomi destinati a durare nel tempo, e ad operare con i terzi, v'è la necessità di salvaguardare guasti ultimi. Ciò spiega perché il legislatore abbia anche istituito un sistema di pubblicità legale, il quale, tra l'altro, escluda la possibilità che l'atto costitutivo sia qualificato in modo da attribuire alla società una natura o un tipo diverso da quelli risultanti dall'iscrizione nel registro delle imprese (Cass. 26 ottobre 1995 n. 11151, 10 dicembre 1996 n. 10970). Secondo i risultati che riscuotono il più generale consenso in dottrina e in giurisprudenza, dunque, non è consentita la creazione di un tipo di società che non corrisponda ad alcuno dei modelli specificamente previsti dal legislatore. Le parti, libere di scegliere il modello di società più conveniente ai loro interessi, dispongono bensì di una certa autonomia negoziale, la quale, però, incontra il limite delle norme imperativa che definiscono il modello sociale prescelto. È tuttavia significativo, per quel che segue, che l'eventuale violazione di quei limiti, ora non sia riconducibile alle previsioni tassativa dell'art. 2332 c.c., non comporta la nullità della società (la quale, ciò nonostante, è stata efficacemente costituita ed è vitale), ma solo della clausola in questione una volta costituita, la società capitalistica vive di vita propria, ed è governata dalle sue regole statutarie.
Quanto alla successiva modificazioni dello statuto, è noto che, nelle società di capitale, la legge stessa prevede che esse, possano essere decise a maggioranza (con il limite delle posizioni intangibili dei soci: punto già esaminato nella prima sentenza della corte veneziana, e non più riproposto ne' riproponibile in questo giudizio), giacché in quelle società l'organizzazione sociale ha, rispetto alla volontà espressa al momento della costituzione della società, un'autonomia ben maggiore di quella che caratterizza le società di persone (Cass. 12 giugno 1996 n. 5416). La regola maggioritaria, applicata nelle deliberazioni assembleari della società, non deroga ai principi del diritto civile, se si ammette che quelle modifiche, quale che sia il loro oggetto, non tendono propriamente a modificare la causa del contratto sociale (sotto questo profilo, con la creazione dell'ente collettivo di gestione dell'impresa i soci costituenti hanno già conseguito il loro obiettivo quanto al lucro - o al vantaggio mutualistico - essi se lo ripromettono non già dall'esecuzione diretta del contratto sociale, ma solo, mediatamente, dallo svolgimento concreto dell'attività sociale, che ha luogo attraverso atti non più riferibili ai soci singolarmente, ma alla società). Si tratta, invece, di modifiche attinenti al funzionamento della società, le quali introducono per gli organi sociali nuove regole di comportamento: esse (qualora non tocchino la forma della società, come nel caso della trasformazione, ciò che nella fattispecie non e avvenuto) possono incidere soltanto sulla gestione dell'impresa collettiva e dei rapporti sociali. La legittimità di tali modifiche deve essere accertata in relazione al diversi tipi di società. I limiti, che l'esistenza di norme imperative di legge pone all'autonomia delle parti del contratto di società, valgono anche per l'autonomia dell'ente collettivo, che si esprime nelle deliberazioni dell'assemblea; e questi limiti non si esauriscono nella previsione del modelli d'organizzazione interna dell'ente, giacché lo scopo perseguito collettivamente costituisce la base stessa sulla quale il legislatore riconosce all'ente personalità giuridica e generale capacità di agire
nell'ordinamento. Pertanto, l'autonomia statutaria della società, già costituita, non può spingersi sino al punto da eleggere uno scopo sociale incoerente con la sua forma giuridica. 7. Nella società capitalistica, lo scopo di lucro - tradizionalmente distinto dallo scopo mutualistico menzionato nell'art. 2511 c.c. - è inerente al modello legale, dovendo essere indicato nello statuto (artt. 2238 comma primo n. 7, e 2475 primo comma n. 6 cc., nel testo anteriore alla Novella n. 6/2003, che tuttavia non ha sostanzialmente, innovato sul punto). Esso, dunque, non è modificabile dai soci sulla base dell'autonomia statutaria (se non attraverso una trasformazione eterogenea della stessa forma sociale, peraltro regolata pur sempre dal principio maggioritario:
contrariamente all'assunto della corte veneziana, la società per azioni ben può trasformarsi in cooperativa, non ostandovi l'inapplicabile disposto dell'art. 14 della legge del 1971, come era stato riconosciuto dalla giurisprudenza anche prima della Novella 17 gennaio 2003 n. 6: cfr. Cass. 14 luglio 1997 n. 6349). In particolare, la giurisprudenza di legittimità ha tradizionalmente ribadito che lo scopo di lucro soggettivo è essenziale al contratto di società (Cass. 14 ottobre 1958 n. 3251; 6 aprile 19(6 n. 907), non essendo sufficiente il mero esercizio in forma collettiva di un'attività economica produttiva (Cass. 30 marzo 1973 n. 889): come tale, esso non può essere escluso nella società per azioni, quale disciplinata nel codice civile.
A questo principio si è autorevolmente obiettato che l'originario legame, esistente nella disciplina del codice civile, tra forma della società e suo contenuto, è stato messo in ombra dall'impiego che il legislatore ha fatto poi della forata della società per azioni, utilizzandola come struttura per il perseguimento di scopi diversi; e Questa dottrina e stata ricordata anche nella discussione orala. L'insegnamento della dottrina, tuttavia, se descrive efficacemente una linea di tendenza della legislazione, non giustificherebbe la conclusione che, attualmente, l'autonomia statutaria delle società capitalistiche possa creare società per azioni o a responsabilità limitata senza scopo di lucro, fuori dei casi espressamente previsti da norme di legge. Una diversa conclusione vanificherebbe di fatto il valore della pubblicità legale, in materia, per la tutela delle aspettative dai tersi che entrano in contatto con la società; Questi si vedrebbero esposti al rischio di contrattare con una società che persegue fini essenzialmente diversi da quelli desumibili dalla sua natura giuridica, come è definita dalla legge. Ciò vale anche per coloro che acquistano partecipazioni sociali: nel contrasto tra la natura giuridica dichiarata nella stessa denominazione sociale, e gli scopi sociali desumibili da una laboriosa ricostruzione delle modificazioni dello statuto, deve essere tutelato l'affidamento riposto nella prima.
Sul punto, non per un precedente significativo la contraria affermazione che si legge nella motivazione della sentenza di onesta corte 12 gennaio 1978 n. 141 richiamata dai ricorrenti, per cui, in presenza dello scopo mutualistico "caratterizzante l'oggetto sociale", sarebbe una semplice facoltà quella di adottare il tipo della società cooperativa, potandosi adottare anche uno dei tipi di società lucrative. Indipendentemente dal fatto che la si condivida o non, quell'affermazione è volta a confermare il principio - indubitabile, ma del quale essa non è premessa necessaria - che la società cooperativa ha una capacità giuridica generale, non limitata e ristretta nell'ambito dell'oggetto sociale, come tutte le società alle quali è attribuita la personalità giuridica. Allo stesso modo, è pur vero che in una decisione - peraltro isolata - di questa corte si accoglieva una nozione lata di lucro soggettivo, per cui non si richiederebbe necessariamente che esso sia preventivamente acquisito al patrimonio della società, per essere poi distribuito tra i soci (Cass. 6 agosto 1979 n. 4558; il precedente è richiamato dai ricorrenti per argomentarne la riducibilità dello stesso vantaggio mutualistico alla nozione di lucro soggettivo). Ma il precedente non è significativo, perché in quel caso si trattava di una società di persone, ed ansi di società irregolare e di fatto, in relazione alla quale non è per definizione configurabile uno schema legale tipico nel quale lo scopo sociale sia cristallizzato. 8. In questo quadro devono essere esaminate anche le modificazioni statutarie che hanno interessato la società Jesolo. Al riguardo, deve escludersi che le deliberazioni delle assemblee straordinarie del 1980 e del 1988 - sostituendo, a livello statutario, allo scopo di lucro soggettivo uno scopo mutualistico - potessero incidere sulla causa del contratto sociale, o creare una società capitalistica (per adoni prima, a responsabilità limitata poi) con scopo mutualistico. Vero è solo che le modifiche introdotte, quantunque illegittime, erano state adottate con le maggioranze richieste per le modificazioni statutarie, e non erano mai state impugnate, e che esse comportavano l'utilizzazione della società per scopi diversi da quelli inerenti alla sua forma giuridica.
Sul piano puramente formale, l'ultima deliberazione adottata dall'assemblea straordinaria della società nel 1993, ed impugnata nel presente giudizio, non si presenta diversamente dalle precedenti. Essa, secondo la ricostruzione del giudice di merito pacificamente condivisa dalle parti, modificò lo statuto nella parte in cui vietava la distribuzione degli utili, e ciò, al fine appunto di reintrodurla (senza che questa modifica, all'opposto delle precedenti, si ponesse in contrasto con alcuna noma imperativa, dettata in tana di società per azioni o a responsabilità limitata). Ciò che è decisivo, peraltro, è che anche qui la causa del contratto sociale (come la forma stessa della società) era fuori dell'area d'incidenza della deliberazione: tanto bastava ad escludere la supposta necessità del consenso di tutti i soci, e di conseguenza la dedotta illegittimità della deliberazione maggioritaria. Essa, infatti, aveva ad oggetto una modificazione statutaria, per la quale si richiedeva soltanto l'adozione da parte dell'assemblea straordinaria, con la maggioranza qualificata necessaria. Sulla base di queste diverse premesse, che l'impugnata sentenza non ha colto appieno, risulta comunque corretta la conclusione alla quale la corte veneziana è pervenuta, a devono conseguentemente respingersi i ricorsi riuniti.
Le spese del giudizio di legittimità sono a carico dei ricorrenti, risultati soccombenti, e sono liquidate come in dispositivo. P.Q.M.
La Corte rigetta i ricorsi riuniti e condanna i ricorrenti in solido al pagamento delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in complessivi E. 14.200,00, di cui E. 14.000,00 per onorari, oltre alle spese generali e agli accessori di legge.
Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Prima Civile della Corte Suprema di Cassazione, il 14 gennaio 2005. Depositato in Cancelleria il 12 aprile 2005