Deontologia
Il Caso.it, Sez. Giurisprudenza, 24132 - pubb. 08/09/2020
Magistratura ed illeciti disciplinari: ritardata scarcerazione riconducibile nell’ambito dell’attività interpretativa non sindacabile
Cassazione Sez. Un. Civili, 18 Maggio 2020, n. 11868. Pres. Di Cerbo. Est. Maria Acierno.
Magistratura - Procedimento disciplinare - Ritardata scarcerazione - Illeciti disciplinari di cui all’art. 2, comma 1, lett. a) e g), del d.lgs. n. 109 del 2006 - Inosservanza dei limiti temporali previsti dalla disciplina codicistica - Riconducibilità nell’ambito dell’attività interpretativa non sindacabile - Condizioni
In tema di responsabilità disciplinare dei magistrati, nell'ipotesi di incolpazione avente ad oggetto una condotta consistente nella grave violazione di legge determinata da ignoranza o negligenza inescusabile, ex art. 2, comma 1, lett. a) e g), del d.lgs. n. 109 del 2006, e risoltasi nell'inosservanza della disciplina codicistica in tema di limiti temporali della custodia cautelare in carcere, o di altre misure limitative della libertà personale, è necessario, ai fini della riconduzione di tale condotta nell'ambito dell'attività interpretativa non sindacabile in sede disciplinare (con conseguente esclusione dell'illecito), accertare se le ragioni di essa siano verificabili attraverso uno o più provvedimenti motivati, giustificativi del diverso computo dei termini o del superamento del limite massimo stabilito nell'art. 304, comma 6, c.p.p., anche mediante l'adesione ad una scelta ermeneutica riconducibile ad un orientamento minoritario, purché reso evidente da un percorso argomentativo valutabile ed impugnabile così come previsto dalla legge. (massima ufficiale)
Fatto
1. All'incolpata è stato contestato l'addebito disciplinare consistente nell'avere, nell'esercizio delle funzioni di giudice del Tribunale di *, quale presidente del Collegio nel procedimento aperto nei confronti di T.F., omesso di disporne la scarcerazione a seguito della scadenza del termine di durata massima complessiva della custodia cautelare in carcere, da rinvenirsi nel 9 maggio 2016, ai sensi dell'art. 303 c.p.p., nonostante l'imputato risultasse assoggettato alla misura restrittiva al momento dell'emissione del decreto che aveva disposto il giudizio il 9 maggio 2014 ed in particolare, nell'aver omesso di adottare, per inescusabile negligenza, un efficace sistema di controllo dei termini delle misure cautelari in atto nei procedimenti a lei assegnati, sia in relazione all'omesso rilievo della scadenza del 9 maggio 2016 sia per avere indicato nel 22 luglio 2017, il giorno della scadenza dei termini, con ordinanza ex art. 306 c.p.p., emessa il giorno dopo la sentenza relativa al giudizio a carico dell'imputato medesimo. Ciò aveva determinato la protrazione della privazione della libertà personale per 404 giorni (di cui 386 esclusivamente imputabili alla ricorrente) essendo stato rimesso in libertà l'imputato il 17 giugno 2017 dal Presidente relatore del collegio d'appello.
2. La sezione disciplinare ha assolto l'incolpata rilevando in fatto che: a) nel procedimento penale di primo grado era stata prevista una calendarizzazione delle udienze di discussione del tutto coerenti con l'originario termine di scadenza dei termini di custodia cautelare; b) all'udienza del 22 aprile 2016, fissata per la chiusura dell'istruttoria e la discussione, il p.m. procedeva a nuova contestazione a carico di un altro imputato ed il difensore di quest'ultimo (peraltro legale anche di T.F.) unitamente a tutti altri difensori chiedeva termine a difesa e formulava istanza di rinvio della discussione. In data 22 luglio 2016, veniva emessa sentenza di condanna per T.F. alla pena di 7 anni di reclusione. Il giorno 25 luglio 2016 con ordinanza a firma dell'incolpata veniva individuato come termine massimo per la custodia cautelare il 22 luglio 2017.
2.1. La sezione disciplinare del C.S.M. ha ulteriormente precisato che la contestazione suppletiva del p.m. avrebbe stravolto la precedente calendarizzazione e che, come dichiarato dal legale di T.F., escusso dal C.S.M., era stata chiesta concordemente una dilazione temporale delle scansioni del procedimento unita all'eventuale sospensione dei termini di custodia cautelare. La scelta del Collegio di non stralciare la posizione dell'imputato colpito dalla contestazione suppletiva fu, di conseguenza, adottata avendo ben presenti le date di scadenza dei termini di fase e sulla base della richiesta dei difensori di sospendere i termini di custodia cautelare per tutti gli imputati. La determinazione di posticipare la discussione e la decisione del processo è stata assunta consapevolmente dall'incolpata, ritenendo che l'istanza dei difensori e il consenso prestato dagli stessi determinassero un'ulteriore sospensione del termine.
2.2. Secondo la sezione disciplinare, la valutazione giuridica dell'istanza dei difensori non può ritenersi il frutto di un errore inescusabile nell'interpretazione della norma, ma il frutto di un'ermeneusi non implausibile dell'art. 304 c.p.p., comma 1, lett. a) e b). Il Collegio presieduto dall'incolpata ha ritenuto che la richiesta di rinvio consentisse la sospensione dei termini di custodia cautelare anche oltre la durata massima stabilita dell'art. 304 c.p.p., comma 6 e tale scelta interpretativa ha governato le condotte successive relative alla conduzione del dibattimento, alle scansioni temporali ed al differimento del termine di scadenza della custodia cautelare. L'interpretazione adottata per quanto criticabile non ha rivelato scarsa ponderazione, approssimazione, frettolosità e limitata diligenza tali da riverberarsi negativamente sulla credibilità del magistrato. Nella specie la richiesta di rinvio, secondo la sezione disciplinare, doveva essere inquadrata nell'ipotesi di cui dell'art. 306 c.p.p., lett. a) e non nella lett. b). La differenza tra le due ipotesi si fonda sul rilievo che solo nella seconda (rinvio per impedimento dell'imputato o del difensore) l'effetto sospensivo della decorrenza dei termini di custodia cautelare può legittimamente oltrepassare il termine massimo previsto dall'art. 304 c.p.p., comma 6. L'ipotesi sub a), invece, consente la sospensione dei termini ma entro il limite temporale, non valicabile, indicato nel citato comma 6. La giurisprudenza di legittimità è univocamente orientata in questo senso mentre nel merito si possono riscontrare posizioni contrastanti.
2.3. Si tratta tuttavia, secondo la Sezione disciplinare, di un'interpretazione opinabile ma non frutto di errore inescusabile, come è confermato dalla deposizione del legale di T.F. il quale riferisce che vi era l'accordo tra tutti i difensori sulla sospensione dei termini di custodia cautelare, tanto che lui si meravigliò della scarcerazione del suo cliente, dal momento che della sospensione si erano fatti promotori proprio i difensori.
3. Avverso tale pronuncia hanno proposto ricorso per cassazione il Ministero della Giustizia e la Procura generale della Corte di cassazione. La parte intimata ha partecipato alla discussione orale.
Motivi
4. Il Ministero della Giustizia ha dedotto, nel primo motivo, la violazione del D.Lgs. n. 109 del 2006, art. 2, comma 2, rilevando che i principi elaborati dalle Sezioni Unite in tema di errore interpretativo inescusabile sono stati radicalmente disattesi nel provvedimento impugnato e che l'insindacabilità deve escludersi quando essa sia conseguenza di scarsa ponderazione, approssimazione e limitata diligenza o sia indice di comportamento arbitrario. In particolare, è stato rilevato che ove il provvedimento sia abnorme o emesso fuori dello schema processuale, o sia frutto di macroscopico errore, l'intervento disciplinare non ha ad oggetto il risultato dell'attività giurisdizionale ma il comportamento deontologico deviante posto in essere dal magistrato nell'esercizio delle sue funzioni. E' pertanto necessario pervenire ad una complessiva valutazione della vicenda e dell'atteggiamento del magistrato incolpato. Nella specie, proprio il quadro complessivo della situazione imponeva l'applicazione della sanzione disciplinare. L'art. 304 c.p.p., non contempla la richiesta di termine a difesa come ipotesi normativa di sospensione del decorso dei termini di custodia cautelare, anzi vi è al riguardo un'espressa esclusione. Peraltro, nel caso di specie, la richiesta sorgeva dalla contestazione suppletiva che per l'imputato destinatario dà luogo al diritto potestativo ad un termine a difesa. La estensione del termine agli altri (conseguenza del mancato stralcio) non muta la natura del termine stesso.
La libertà personale non è disponibile nè rinunciabile mediante l'accordo delle parti (Corte Cost. 125 del 1979). La circostanza dell'accordo dei difensori, pertanto, non ha alcuna rilevanza e non esclude scarsa ponderazione, approssimazione e frettolosità.
La giurisprudenza delle S.U. è granitica nel ribadire che l'inosservanza dei termini di custodia cautelare integra l'illecito disciplinare costituito dalla grave violazione di legge. Tale illecito non è scriminato dalla laboriosità e capacità del magistrato, essendo necessario un costante controllo sul decorso dei termini.
4.1. Nel secondo motivo viene censurata la mancanza, la contraddittorietà e la manifesta illogicità della motivazione in relazione alla scusabilità dell'omessa verifica della scadenza dei termini per un intervallo temporale molto ampio. Il controllo sui termini non è avvenuto e nessuna cautela è stata adottata non potendo essere elusa dal dedotto accordo con i difensori in relazione alla sospensione dei termini di custodia cautelare. Il magistrato ha posto in essere una condotta lesiva del diritto fondamentale alla libertà personale garantito dall'art. 13 Cost., tenuto conto, inoltre, della lunghezza della protrazione temporale contra legem della custodia cautelare in carcere.
5. Nel primo motivo di ricorso della Procura generale presso questa Corte viene censurata la legittimità della decisione impugnata per non aver applicato i principi consolidati nella giurisprudenza di legittimità in materia di rapporti tra concessione del termine a difesa e sospensione dei termini complessivi custodiali di fase previsti nell'art. 304 c.p.p., comma 6. In particolare non può ritenersi plausibile, anche perchè contrastante con la formulazione letterale della norma, un'interpretazione secondo la quale la concessione di termini a difesa determina la sospensione di quelli di fase relativi alla custodia cautelare. L'art. 304 c.p.p., comma 6, indica il limite temporale invalicabile per ciascun segmento procedimentale. Oltre al contrasto testuale deve rilevarsi anche quello sistematico e teleologico. La custodia cautelare è un rimedio eccezionale da circoscrivere in limiti molto precisi. La predeterminazione di termini complessivi di fase si rinviene nell'esigenza, costituzionalmente imposta, del favor libertatis, essendone consentito lo sforamento solo per alcuni eventi in qualche modo imputabili all'imputato o al difensore ma non certo per l'esercizio di diritti difensivi specificamente riconosciuti. Deve rilevarsi, peraltro, che il diritto alla libertà personale può essere disciplinato esclusivamente dalla legge e non può essere oggetto di accordo.
5.1 Si fa presente, al riguardo, che nel verbale di udienza del 22 aprile 2016 non risulta la pronuncia di un provvedimento di sospensione della durata dei termini di custodia cautelare ma ci si limita alla sospensione del dibattimento in accoglimento dell'istanza di termine a difesa dei difensori. Trovano pertanto piena applicazione nella specie i principi elaborati dalle S.U. in relazione all'illecito in questione ove collegato alla protrazione ingiustificata del termine di custodia cautelare, nella specie temporalmente molto estesa.
6. Nel secondo motivo viene censurata la contraddittorietà e manifesta illogicità della motivazione della sentenza impugnata che, per un verso riconosce l'univocità degli orientamenti giurisprudenziali in tema di eventi che determinano la sospensione dei termini di custodia cautelare di fase, e per l'altro postula la non implausibilità dell'opposta interpretazione adottata, giustificandola in virtù dell'accordo (privo di rilievo giuridico) dei difensori. Del pari fortemente contraddittorio è ritenere eccezionale la contestazione suppletiva in dibattimento, che invece costituisce un accadimento processuale previsto e disciplinato dal codice.
7. La difesa dell'incolpata nella discussione orale ha in primo luogo rilevato l'inammissibilità dei motivi perchè non individuano in modo corretto il percorso logico della sentenza impugnata, fraintendendo l'oggetto della decisione. In particolare è stato evidenziato che T.F., la cui protrazione del termine di custodia cautelare è la causa dell'addebito disciplinare, non è l'imputato al quale è stata formulata la contestazione suppletiva. Solo nei confronti di quest'ultimo poteva, pertanto, essere concesso termine a difesa, pacificamente non incidente sul decorso del termine di custodia cautelare. Nei confronti degli altri, ed in particolare di T.F. la dilazione temporale costituisce un'evenienza non normativamente regolata e, conseguentemente, soggetta a più ampia espansione della discrezionalità interpretativa. Secondo l'impianto della sentenza impugnata l'atteggiamento concorde della difesa è stato determinante per la scusabilità dell'errore ma tale profilo non è stato oggetto puntuale di censura così da doversi escludere che i motivi rispettino il requisito di specificità.
8. I motivi dei due ricorsi, da trattare unitariamente, in quanto logicamente connessi, sono senz'altro ammissibili perchè colgono le rationes decidendi del provvedimento impugnato, occupandosi sia del profilo dell'insindacabilità interpretativa, sia del rilievo dell'accordo della difesa sulla dilazione temporale (ovvero il termine) concesso all'imputato T.F.. Non vi è stata da parte dei ricorrenti alcuna confusione tra questo imputato e quello oggetto della contestazione suppletiva, ma si è ritenuto, che l'istanza di rinvio formulata dal difensore di T.F. fosse finalizzata (come riconosciuto dallo stesso difensore nello stralcio d'interrogatorio riportato nella sentenza impugnata) ad apprestare una difesa più efficace, oltre a non risultare sostenuta da alcuna giustificazione motivazionale espressa.
9. Nel merito i ricorsi devono essere accolti per quanto di ragione.
10.L'esame del fondamento delle censure richiede preliminarmente una sintetica ricostruzione del quadro normativo. L'art. 304 c.p.p., al comma 1, lett. a), stabilisce che i termini di custodia cautelare sono sospesi (con ordinanza appellabile a norma dell'art. 310 c.p.p.), nella fase del giudizio, durante il tempo in cui il dibattimento è sospeso o rinviato per impedimento dell'imputato o del suo difensore o su richiesta dell'imputato o del suo difensore salvo che la sospensione non sia disposta a seguito di concessione di termini per la difesa. L'art. 304, comma 1, lett. b), stabilisce che i termini sono sospesi durante il tempo in cui il dibattimento è sospeso o rinviato a causa della mancata presentazione, dell'allontanamento o della mancata partecipazione di uno o più difensori che rendano privo di assistenza uno o più imputati. Il comma 6 contiene una norma di chiusura che determina il limite massimo della custodia cautelare, non oltrepassabile ex art. 304 c.p.p., comma 7, nelle ipotesi di sospensione indicate dell'art. 304 c.p.p., comma 1, citata lett. a), ma esclusivamente nell'ipotesi di cui al comma 1, lett. b). Non è in discussione l'applicabilità dell'art. 304 c.p.p., comma 2, riguardante la sospensione dei termini per la complessità del dibattimento che, peraltro, richiede, l'attivazione di un subprocedimento ad hoc (richiesta del p.m., termine a difesa e decisione, scansioni che ove mancanti, determinano la nullità del provvedimento, ex multis, Cass. pen. 42570 del 2017).
10.1 Dall'esame testuale e coordinato della norma emerge espressamente che il termine massimo di durata di fase determinato dell'art. 304 c.p.c., comma 6, non può essere dilatato per alcuna delle cause di sospensione indicate del comma 1, lett. a), della norma. Di conseguenza, la qualificazione dell'istanza di rinvio, svolta dal difensore di T.F. e da altri (i difensori di imputati diversi da quello colpito dalla contestazione suppletiva, T.G.) come termine a difesa o mera richiesta di dilazione, ha una rilevanza non centrale nell'esame della scusabilità dell'interpretazione adottata. Come evidenziato anche nella sentenza impugnata, l'unica causa di sospensione del computo del termine che incide sulla determinazione della durata massima di cui dell'art. 304 c.p.p., comma 6, è l'ipotesi sub b). L'opzione interpretativa assunta dall'incolpata contrasta pertanto con la lettura testuale della norma, ed in particolare con dell'art. 304 c.p.p., comma 7. Deve aggiungersi, peraltro, che la dilazione temporale, secondo quanto affermato nella sentenza impugnata e riferito dal difensore di T.F., fu dettata esclusivamente da esigenze difensive, dovendosi valutare la complessiva posizione di tutti gli imputati, alla luce della contestazione suppletiva. Ciò induce a dubitare che l'esigenza formulata dai difensori, e fatta propria dal Collegio, potesse trovare una giustificazione diversa dall'apprestamento di difese più complete, in modo da rientrare quanto meno nelle ipotesi di sospensione del computo del termine secondo il paradigma dell'art. 304 c.p.p., lett. a), (tuttavia inidoneo a consentire di oltrepassare il termine massimo di durata di fase).
10.2 La plausibilità dell'interpretazione adottata, che pretermette le chiare prescrizioni dell'art. 304 c.p.p., comma 7, non può, pertanto, ritenersi fondata nè su un quadro normativo confuso nè sulla contraddittorietà dei principi giurisprudenziali che ne sono conseguiti dal momento che gli orientamenti al riguardo sono univoci (Cass. pen. 22289 del 2018). Deve, di conseguenza, essere trovato un diverso ancoraggio. La sentenza impugnata lo ha rinvenuto nell'accordo dei difensori, desumibile dalle dichiarazioni del legale di T.F., non essendo in atti alcun provvedimento motivato endoprocessuale (come richiede dell'art. 304 c.p.p., comma 1) che stabilisca la sospensione dei termini di custodia cautelare e ne dia giustificazione, sia in relazione alla concessione del termine che è seguito alla contestazione suppletiva sia in ordine a quelli successivi (ad eccezione di quello dovuto all'allontanamento di un difensore da una delle udienze dibattimentali). Nè, in mancanza del testo dell'ordinanza del 25/7/2016, successiva all'emissione della sentenza di primo grado, è possibile trarre da quest'ultimo provvedimento, citato nella sentenza impugnata e nei ricorsi, una giustificazione, quanto meno ex post, del percorso argomentativo seguito per ritenere che, nonostante la chiara indicazione dell'art. 304 c.p.p., comma 7 e la diversità delle ipotesi normative contenute dell'art. 304 c.p.p., lett. a) e b), in relazione alla produzione dell'effetto sospensivo del computo del termine di custodia cautelare (lett. a) e della sua durata complessiva di fase (lett. b), la concessione dei termini avesse, nell'interpretazione del Collegio, efficacia sospensiva.
10.3 La plausibilità o non irragionevolezza dell'interpretazione dell'art. 304 c.p.p., così come enunciata nella sentenza impugnata, in totale mancanza del riscontro costituito da un provvedimento motivato, non può essere condivisa dal Collegio, risultando fondata, alla luce dei riscontri processuali, soltanto sull'indicazione del termine massimo per la custodia cautelare contenuta nel provvedimento successivo alla sentenza di primo grado. Dalla fissazione di questo termine nel 25 luglio 2017, è stato desunto che i termini endodibattimentali concessi, fossero idonei a produrre lo slittamento della durata massima di fase così come determinata nell'art. 304 c.p.p., comma 6. Il sostegno esterno alle evenienze processuali vere e proprie, fondato sulla valutazione soggettiva del difensore di T.F. e sulla eccezionalità della contestazione suppletiva, possono ritenersi elementi utili ad integrare il processo interpretativo relativo alla qualificazione giuridica dei rinvii disposti in dibattimento, ove tale percorso sia riscontrabile in uno o più provvedimenti motivati ma non possono, di per se soli, tracciarne univocamente il contenuto come invece ritenuto nella sentenza impugnata, soprattutto in considerazione dell'ambito nel quale viene in rilievo la predetta attività interpretativa. I provvedimenti cautelari restrittivi della libertà personale sono protetti dalla garanzia costituzionale della riserva di legge assoluta, hanno una durata predeterminata e non oltrepassabile a pena d'inefficacia della misura. Le deroghe al regime rigoroso della loro durata, in particolare costituite dalle ipotesi normative di sospensione del computo in relazione alla durata complessiva di fase, possono essere applicate dal giudice soltanto attraverso un provvedimento espressamente motivato ed impugnabile (art. 304 c.p.c., commi 1 e 3).
10.4 Nella specie, non si è proceduto, da parte della Sezione disciplinare, all'esame dei provvedimenti con i quali sono stati disposti i rinvii nè quello, successivo alla conclusione del dibattimento e all'emissione della sentenza, con il quale è stato indicato il termine finale della durata della custodia cautelare in carcere nel 22 luglio 2017, nonostante tale esame, a giudizio del Collegio, costituisca il substrato imprescindibile per formulare, a fronte di un testo normativo contrastante, un giudizio di ragionevolezza e plausibilità dell'interpretazione ed applicazione delle norme in modo difforme rispetto alla lettera della legge.
10.5 Ne consegue che il superamento dei termini complessivi di custodia cautelare di fase, non può, nella specie, essere giustificato in ragione della riconducibilità della condotta censurata ad un'interpretazione insindacabile delle norme regolative della sospensione del computo e della durata complessiva della custodia cautelare, in mancanza di elementi valutativi del percorso ermeneutico che non possano desumersi da un provvedimento motivato. Al riguardo, trattandosi della privazione della libertà personale, gli orientamenti di questa Corte sono rigorosi in relazione all'addebito disciplinare contestato imponendosi al magistrato "l'obbligo di vigilare con regolarità sulla persistenza delle condizioni, anche temporali, cui la legge subordina la privazione della libertà personale (...), sicchè l'inosservanza dei termini di durata massima della custodia cautelare, costituisce grave violazione di legge idonea ad integrare gli illeciti disciplinari di cui al D.Lgs. n. 109 del 2006, art. 2, comma 1, lett. a) e g), (Cass. S.U. 17120 del 2019).
Il grado d'insindacabilità dell'attività interpretativa ed applicativa delle norme relative al computo ed alla durata della custodia cautelare e delle altre misure limitative della libertà personale è, pertanto, strettamente consequenziale non soltanto alla chiarezza ed all'univocità testuale delle norme ma anche all'esistenza, all'adeguatezza e alla completezza della giustificazione motivazionale posta a base dell'interpretazione assunta per giustificare il superamento dei limiti temporali di durata di misure restrittive della libertà personale.
10.6 Nella sentenza impugnata nessuno dei due criteri è stato correttamente applicato. Non il primo perchè non si contesta il contenuto testuale dell'art. 304 c.p.p., per la parte che rileva e, soprattutto, non il secondo, perchè la plausibilità interpretativa e la conseguente insindacabilità non poggia sulla verifica dell'esistenza e sull'esame della motivazione dei provvedimenti che hanno determinato i rinvi endodibattimentali e che subito dopo il dibattimento hanno determinato la durata della custodia cautelare per la fase successiva ma su elementi sostanzialmente esterni all'esercizio effettivo dell'attività giurisdizionale nel processo.
11. I ricorsi devono, in conclusione, essere accolti per quanto di ragione. La pronuncia impugnata deve essere cassata con rinvio alla sezione disciplinare del Consiglio Superiore della Magistratura in diversa composizione che si atterrà al seguente principio di diritto:
"In tema di illeciti disciplinari dei magistrati, nell'ipotesi di incolpazione avente ad oggetto una condotta consistente nella grave violazione di legge, determinata da ignoranza o negligenza inescusabile D.Lgs. n. 109 del 2006, ex art. 2, lett. a) e g) e risoltasi nell'inosservanza della disciplina codicistica in tema di limiti temporali della custodia cautelare in carcere, o di altre misure limitative della libertà personale, è necessario, ai fini della riconduzione di tale condotta nell'ambito dell'attività interpretativa non sindacabile in sede disciplinare (con conseguente esclusione dell'illecito), accertare se le ragioni di tale condotta siano verificabili attraverso uno o più provvedimenti motivati, giustificativi del diverso computo dei termini o del superamento del limite massimo stabilito nell'art. 304 c.p.p., comma 6, anche mediante l'adesione ad un percorso ermeneutico e ad un orientamento minoritario, purchè reso evidente da un percorso argomentativo valutabile ed impugnabile così come previsto dalla legge".
P.Q.M.
Accoglie i ricorsi nei sensi di cui in motivazione. Cassa il provvedimento impugnato e rinvia alla Sezione Disciplinare del Consiglio Superiore della Magistratura in diversa composizione.
Si dà atto che il presente provvedimento è sottoscritto dal solo presidente per impedimento dell'estensore ai sensi del D.P.C.M. 8 marzo 2020, art. 1, comma 1, lett. a).
Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio, il 11 febbraio 2020.
Depositato in Cancelleria il 18 giugno 2020.