Diritto dei Mercati Finanziari


Il Caso.it, Sez. Giurisprudenza, 682 - pubb. 01/07/2007

Bond argentini e dovere di informazione dell'intermediario

Tribunale Mantova, 12 Novembre 2004. Est. Bernardi.


Intermediazione finanziaria – Obbligo di informazione – Specificità – Diligenza dell’intermediario e interesse dei clienti – Know your merchandise rule – Material fact.

Intermediazione finanziaria – Obblighi informativi – Clausola prestampata – Inefficacia.

Intermediazione finanziaria – Adeguatezza dell’operazione – Obblighi dell’intermediario – Natura e contenuti.



L’intermediario deve fornire una completa informazione circa i rischi connessi alla specifica operazione che i clienti intendono porre in essere (obbligo imposto dall’art. 28 co. II del regolamento Consob n. 11522; v. anche art. 11 co. I direttiva 93/22 CEE del 10-5-1993), dovendo l’intermediario finanziario agire con la diligenza dell’operatore particolarmente qualificato (cfr. artt. 21 lett. a) d. lgs. 58/98, 26 lett. e) reg. Consob cit. e 1176 II co. c.c.) nell’ambito di un rapporto in cui gli è imposto di tutelare l’interesse dei clienti (v. artt. 47 Cost., 5 e 21 lett. a) del d. lgs. 58/98). Tale obbligo implica l’indicazione, non generica, della natura altamente rischiosa dell’investimento secondo la valutazione operata dalle maggiori agenzie specializzate in materia, dato questo che la banca è tenuta a conoscere e, quindi, a comunicare al cliente al fine di consentirgli di effettuare una scelta consapevole, dovendosi in proposito ritenere che la valutazione del titolo da parte del mercato costituisca fattore rilevante (c.d. material fact secondo l’espressione usata dalla giurisprudenza nordamericana) in quanto idoneo ad influenzare il processo decisionale dell’investitore.

Quanto poi al fatto che gli ordini d’acquisto contenessero l’indicazione prestampata secondo cui gli stessi venivano eseguiti “avendo i clienti ricevuto adeguate informazioni in merito ai rischi connessi allo strumento finanziario in oggetto” valgono le medesime considerazioni sopra svolte trattandosi di mera clausola di stile tale da non esonerare l’istituto dall’onere di fornire la prova positiva del tipo di informazione concretamente dato, clausola peraltro inefficace alla luce del disposto di cui all’art. 1469 bis n. 18 c.c..

L’intermediario non è esonerato dall’obbligo di valutare l’adeguatezza dell’operazione anche ove (come nel caso di specie) i clienti abbiano rifiutato di fornire le informazioni di cui all’art. 28 I co. lett a) del regolamento Consob n. 11522/98 dovendo in tal caso tenere conto di tutte le informazioni comunque in suo possesso (ad esempio “età, professione, presumibile propensione al rischio anche alla luce della pregressa ed abituale operatività, situazione del mercato”: in tal senso vedasi comunicazione Consob n. DI/30396 del 21-4-2000 dettata in tema di trading on line): tanto si desume sia dai principi generali in tema di correttezza, diligenza e trasparenza dei comportamenti negoziali imposti dalla normativa generale e speciale (cfr. artt. 1175 e 1176 II co. c.c., 21 d. lgs. 58/98) ma anche dal testo l’art. 29 del citato regolamento Consob che impone all’intermediario finanziario di astenersi dal compiere per conto degli investitori operazioni non adeguate e prevede che lo stesso utilizzi ogni altra informazione disponibile anche diversa da quella fornita, ex art. 28 reg. cit., dai clienti, autorizzandolo solo in caso di conferma scritta dell’ordine d’acquisto a darvi (correttamente) esecuzione (la diversa regola contenuta nell’art. 19 co. V della direttiva europea 2004/39/CE del 21-4-2004 non può trovare applicazione al caso di specie sia ratione temporis sia perché le direttive non attuate -e purchè ricorrano gli altri requisiti- non hanno efficacia nei rapporti interprivati: cfr. Cass. 25-2-2004 n. 3762; Corte Giust. CE 29-5-2004 n. 194). (Redazione IL CASO.it) (riproduzione riservata)


Doveri informativi dell’intermediario, natura e contenuto

Doveri informativi dell’intermediario, natura e contenuto, casi

Doveri informativi dell’intermediario, adeguatezza dell’operazione






REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

IL TRIBUNALE DI MANTOVA

- SEZIONE SECONDA -

 

nella persona del Giudice Unico Dott. Mauro BERNARDI

ha pronunciato la seguente

SENTENZA

nella causa civile di I Grado iscritta al N. 3693/2002 R.G. promossa da:

C. E. e C. B. entrambi elettivamente domiciliati in **,

ATTORI

contro

UNICREDIT BANCA S.P.A.

CONVENUTA

CONCLUSIONI

Il procuratore degli attori chiede e conclude:

“Ogni avversa istanza, eccezione o deduzione reietta: ritenuta la falsità delle sottoscrizioni riferite a C. B. in calce ai documenti allegati alla citazione quale documenti n° 6,8 e 9, nonché la responsabilità della banca convenuta per le violazioni di legge contestate nella medesima citazione, dichiararsi nulli o annullarsi, ovvero dichiararsi risolti per fatto e colpa della stessa i contratti stipulati al fine dell’acquisto dei titoli di cui ai 3 ordini 19 aprile 2001, condannarsi la medesima convenuta, in persona del suo legale rappresentante, alla restituzione della somma di € 44.000, oltre ad interessi legali e rivalutazione monetaria dal 19 aprile 2001 al pagamento, nonché al risarcimento dell’ulteriore danno non patrimoniale quantificato in € 4.500,00 o nella somma maggiore o minore ritenuta di giustizia, con interessi e rivalutazione.

Con il favore di spese e competenze di causa”.

Il procuratore della convenuta chiede e conclude:

“Nel merito: rigettare le domande tutte proposte dall’attrice siccome infondate in fatto ed in diritto.

Con vittoria di spese, competenze ed onorari”.

Svolgimento del processo

Con atto di citazione notificato in data 14-10-2002 gli attori, assumevano a) di essere entrambi pensionati ultrasettantenni e di avere investito nel corso del 1999 tutti i loro risparmi, pari a circa £ 130.000.000, in certificati di deposito emessi dalla banca convenuta; b) che, alla scadenza del certificato di £ 80.000.000, il C., recatosi in banca il 19-4-2001, veniva consigliato da un funzionario dell’istituto di credito di acquistare obbligazioni argentine in quanto titoli sicuri perché emessi da uno stato sovrano che avrebbero garantito un più alto rendimento; c) che, nella stessa giornata, veniva perfezionato l’acquisto di obbligazioni argentine, in particolare, attraverso un ordine d’acquisto di obbligazioni 8,5% - 99/04, per un controvalore di euro 40.000,00 al prezzo di 98,6 , sottoscritto da C. B., un altro ordine di titoli dello stesso tipo per un controvalore di euro 3.000,00 recante la firma apocrifa di C. B. ed infine un terzo ordine per un controvalore di euro 1.000,00 anch’esso recante la firma apocrifa di C. B..

Alla luce di tali fatti e del successivo azzeramento del valore dei titoli a seguito della crisi finanziaria che aveva colpito lo stato argentino, gli attori convenivano in giudizio la banca onde ottenere la restituzione delle somme investite nonché il risarcimento dei danni patiti per effetto dell’operato della banca deducendo 1) la nullità del contratto di negoziazione dei titoli e dei singoli ordini d’acquisto per inosservanza dell’obbligo di forma nella loro stipulazione mancando una manifestazione di volontà da parte della banca, costituendo tali atti mere dichiarazioni unilaterali dei clienti; 2) l’invalidità o comunque la risolubilità dei contratti per violazione degli artt. 21 t.u.l.f., 28 e 29 del regolamento Consob n. 11522 non avendo la banca richiesto notizie sulla situazione patrimoniale dei clienti e sulla loro propensione al rischio, né informato sulla rischiosità dell’investimento nonché per mancata segnalazione dell’inadeguatezza dell’operazione; 3) la nullità del secondo e del terzo ordine d’acquisto stante la falsità della sottoscrizione di C. B..

La banca, costituitasi, chiedeva il rigetto della domanda sostenendo di avere osservato tutte le prescrizioni di legge e regolamentari in particolare affermando a) che i contratti relativi ai servizi di investimento erano stati regolarmente sottoscritti dai clienti e che l’invio delle conferme d’ordine e degli estratti conto periodici nonché l’incasso delle cedole dimostravano il consenso quantomeno tacito in ordine alle operazioni poste in essere; b) che il proprio funzionario aveva fornito tutti i necessari ragguagli circa la rischiosità dell’investimento comunque evincibile dall’alto rendimento previsto per l'obbligazione in questione in rapporto a quello assicurato dai titoli di stato italiani; c) che era stato consegnato il prescritto documento sui rischi degli investimenti in strumenti finanziari e che gli istanti avevano rifiutato di fornire indicazioni sulla loro situazione finanziaria; d) che non poteva configurarsi alcuna violazione dell’art. 29 del citato regolamento atteso che, nell’attestazione degli ordini, si trovava specificato che gli stessi venivano eseguiti “avendo i clienti ricevuto adeguate informazioni in merito ai rischi connessi allo strumento finanziario in oggetto”; e) di avere eseguito gli ordini impartiti e di non avere mai agito all’insaputa degli istanti; f) di avere comunque osservato tutte le cautele richieste al banchiere professionale.

Esperita l'istruttoria orale e disposta c.t.u., affidata alla dott.ssa **, la causa veniva trattenuta in decisione sulle conclusioni delle parti in epigrafe riportate.

Motivi

Preliminarmente occorre esaminare la questione concernente la nullità della costituzione in giudizio della convenuta stante la mancata produzione della procura a favore del procuratore della banca, eccezione sollevata dagli attori in comparsa conclusionale. Al riguardo va detto che, in caso di omesso deposito della procura (pur richiamata, come nel caso di specie, negli atti difensivi), il giudice non può dichiarare l’invalidità della costituzione senza avere formulato l’invito ex art. 182 c.p.c. a produrre il documento mancante, invito che può essere fatto durante tutto il giudizio di merito (compreso quello d’appello), venendo la produzione del documento a sanare ex tunc l’irregolarità della costituzione (cfr. Cass. 7-7-1995 n. 7490; Cass. 27-10-1986 n. 6302): poiché la difesa della convenuta unitamente alla memoria di replica ha prodotto copia del verbale del consiglio di amministrazione del 9-7-2002 attestante l’attribuzione del potere di rappresentanza da parte della banca all’avv. ** (direttore centrale di Unicredit Banca) che ha poi conferito il mandato defensionale per il presente giudizio, ne deriva la superfluità dell’invito a regolarizzare la costituzione sicché la sollevata eccezione di nullità va respinta.

Infondate debbono pure ritenersi le deduzioni difensive in ordine alla nullità per difetto di forma del contratto per la negoziazione, ricezione e trasmissione di ordini su strumenti finanziari atteso che tale documento reca la sottoscrizione di un funzionario dell’istituto di credito.

Per quanto riguarda poi gli ordini d’acquisto va rilevato che per la loro validità è sufficiente la sottoscrizione dei moduli da parte del cliente trattandosi di atti unilaterali cui peraltro la banca ha dato esecuzione come concordemente ammesso dalle parti.

Né può trovare accoglimento l’assunto circa la nullità del secondo e del terzo ordine in quanto recanti la firma apocrifa di C. B. atteso che siffatta circostanza non è stata provata dagli attori gravati del relativo onere probatorio (sul punto va osservato che era stata richiesta e rigettata nel corso dell’istruttoria l’istanza di ammissione di una consulenza tecnica che, per come formulata e in difetto di ogni elemento di comparazione, aveva carattere esplorativo, istanza peraltro non reiterata in sede di precisazione delle conclusioni) né il difetto di autenticità appare ictu oculi evincibile.

Va altresì disatteso l’assunto attoreo secondo cui la banca, nel caso di specie, avrebbe violato la c.d. know your customer rule atteso che gli attori avevano manifestato nel contratto di negoziazione in strumenti finanziari il loro rifiuto di fornire alla banca informazioni sulla propria esperienza in materia di investimenti finanziari, sulla situazione finanziaria, sugli obiettivi di investimento nonché sulla propensione al rischio, facoltà ad essi consentita dall’art. 28 I co. lett. a) del reg. Consob n. 11522/98.

A questo punto va precisato in fatto che la C. aveva impartito ordini d’acquisto di obbligazioni argentine (cd. tango bond) per un controvalore di € 44.000,00 (vedasi docc. n. 7-8-9 attorei) e, pur in difetto di produzione degli estratti conto, deve ritenersi provato l’acquisto nella misura indicata sia perché ciò trova conforto nelle risultanze della consulenza tecnica sia perché ove gli ordini non fossero stati eseguiti la banca avrebbe dovuto darne comunicazione ai clienti (cfr. artt. 32 reg. Consob n. 11522/98 e 1 co. IV del contratto per la negoziazione di ordini) il che non è stato non solo provato ma neppure dedotto. Va inoltre aggiunto che, a fronte delle contrapposte versioni ed in mancanza di documentazione contabile, non può ritenersi provato che, per effetto dell’investimento nei titoli argentini, gli attori abbiano incassato delle cedole il cui importo peraltro non è stato neppure indicato dalla banca.

Ciò premesso deve ritenersi che la convenuta non si sia comportata in conformità di quanto prescritto dal combinato disposto di cui agli artt. 21 lett. a) e b) del d. lgs. 24-2-1998 n. 58 e 28 del regolamento Consob 1-7-1998 n. 11522 che impongono all’istituto di credito di prestare i servizi di investimento con diligenza e di operare in modo che i clienti siano sempre adeguatamente informati. In proposito occorre osservare che, secondo quanto risulta dall’indagine svolta dal c.t.u., ai titoli del debito argentino le maggiori agenzie internazionali avevano attribuito, nel corso del tempo, il rating (con andamento progressivamente negativo: cd. downgrading) di cui al seguente prospetto:

data rating S&P Fitch Moody’s

02-04-97 BB

28-05-97 BB

02-10-97 Ba3

1.  Ba3

1. B1

01-11-00 BB

14-11-00 BB-

19-03-01 BB-

20-03-01 BB-

26-03-01 B+

28-03-01 B+ B2

sicché, al momento dell’acquisto, i titoli in questione erano classificati B+ sia da Standard & Poor che da Fitch e B2 da Moody’s.

Premesso che nella valutazione di Standard & Poor’s e Fitch il rating B+ sta ad indicare un titolo “più vulnerabile ad avverse condizioni economiche, finanziarie e settoriali, ma capacità nel presente di far fronte alle proprie obbligazioni finanziarie, mentre quello B2 per Moody’s esprime “obbligazioni che non possono definirsi investimenti desiderabili. La garanzia di interessi e capitale o il puntuale assolvimento di altre condizioni del contratto sono piccole nel lungo periodo” laddove la cifra accanto alla lettera indica che, da 1 a 3, il titolo occupa il secondo grado di posizionamento della classe B, va rilevato che, per tutte le agenzie sopra menzionate, i titoli classificati con quel tipo di rating sono considerati not investment grade (ovvero high yeld o junk) in quanto presentano, in linea generale, un elevato rischio di non incassare cedole e/o capitale a scadenza, tanto che molte società di gestione dei fondi comuni di investimento sono obbligate a non includere nel proprio portafoglio titoli con rating che appartengono alla categoria cd. speculativa (v. pag. 10 della relazione tecnica).

Ne deriva che i titoli obbligazionari argentini al momento del loro acquisto erano già considerati ad elevato rischio di rimborso dovendosi evidenziare inoltre che, nel corso del 2001, le agenzie avevano rivisto in senso negativo il loro giudizio sull’affidabilità ad onorare gli impegni da parte dello stato argentino. Orbene deve ritenersi che la banca avrebbe dovuto fornire una completa informazione circa i rischi connessi a quella specifica operazione che i clienti intendevano porre in essere (obbligo imposto dall’art. 28 co. II del regolamento Consob n. 11522; v. anche art. 11 co. I direttiva 93/22 CEE del 10-5-1993), dovendo l’intermediario finanziario agire con la diligenza dell’operatore particolarmente qualificato (cfr. artt. 21 lett. a) d. lgs. 58/98, 26 lett. e) reg. Consob cit. e 1176 II co. c.c.) nell’ambito di un rapporto in cui gli è imposto di tutelare l’interesse dei clienti (v. artt. 47 Cost., 5 e 21 lett. a) del d. lgs. 58/98), obbligo implicante l’indicazione, non generica, della natura altamente rischiosa dell’investimento secondo la valutazione operata dalle maggiori agenzie specializzate in materia, dato questo che la banca è tenuta a conoscere e, quindi, a comunicare al cliente al fine di consentirgli di effettuare una scelta consapevole, dovendosi in proposito ritenere che la valutazione del titolo da parte del mercato costituisca fattore rilevante (c.d. material fact secondo l’espressione usata dalla giurisprudenza nordamericana) in quanto idoneo ad influenzare il processo decisionale dell’investitore.

Sul punto va osservato che, nel corso del giudizio, venivano escussi sia il genero degli attori (il quale aveva assistito al colloquio intervenuto fra il C. ed i funzionari della banca prima dell’operazione di acquisto dei bond) sia una dipendente della filiale i quali, in ordine alle informazioni circa la rischiosità dell’investimento, hanno rispettivamente affermato il primo che il funzionario cui il C. era stato indirizzato gli avrebbe assicurato che “l’investimento era sicuro perché i titoli erano garantiti da una banca di Milano”, che, peraltro, una sua collega in quel frangente gli avrebbe invece suggerito “di effettuare l’investimento come al solito ossia con libretti” alla quale osservazione il funzionario avrebbe ribattuto che “valeva la pena di investire in titoli argentini perché andavano molto forte e ne erano stati piazzati in notevole misura” ed altresì che “l’unico rischio consisteva nel fatto che se l’investitore voleva monetizzare i titoli prima della scadenza avrebbe percepito un prezzo inferiore rispetto al prezzo d’acquisto” mentre, la seconda, ha dichiarato: “illustrai il rischio derivante dall’investimento in titoli di paesi emergenti e feci riferimento al recente caso dell’Ucraina. Spiegai che il tasso molto alto si spiegava con la circostanza che si trattava di un paese indebitato e che quindi poteva non essere in grado di onorare il debito, anche se non era certo che ciò avvenisse”.

Alla luce di tali dichiarazioni che non appaiono essere contrastanti nel senso che evidentemente i due funzionari della banca avevano opinioni diverse sulla rischiosità dell’operazione, non può ritenersi superato da parte della banca, ex art. 23 u.c. del d. lgs. 58/98, l’onere di avere agito con la specifica diligenza richiesta e cioè di avere adeguatamente informato il cliente della natura speculativa delle obbligazioni.

Né merita adesione la deduzione difensiva dell’istituto secondo cui i risparmiatori sarebbero comunque stati in grado di valutare la pericolosità dell’operazione alla luce delle indicazioni contenute nel documento sui rischi degli investimenti (peraltro non prodotto in causa sebbene le parti abbiano dato atto della sua consegna e che deve ritenersi conforme al modello allegato al regolamento Consob n. 11522/98), atteso che tali indicazioni hanno carattere generale laddove, si ribadisce, la banca doveva fornire precise (ed univoche) indicazioni circa la pericolosità di quello specifico investimento, né la consegna del documento informativo può ritenersi idonea a determinare una presunzione di conoscenza dei rischi dell’investimento in capo al risparmiatore sia per il carattere generale delle informazioni ivi contenute sia in considerazione del differenziato grado di comprensione da parte degli investitori non professionali.

Quanto poi al fatto che gli ordini d’acquisto contenessero l’indicazione prestampata secondo cui gli stessi venivano eseguiti “avendo i clienti ricevuto adeguate informazioni in merito ai rischi connessi allo strumento finanziario in oggetto” valgono le medesime considerazioni sopra svolte trattandosi di mera clausola di stile tale da non esonerare l’istituto dall’onere di fornire la prova positiva del tipo di informazione concretamente dato, clausola peraltro inefficace alla luce del disposto di cui all’art. 1469 bis n. 18 c.c..

In ordine al rilievo secondo cui l’istituto avrebbe comunque dovuto segnalare l’inadeguatezza dell’operazione ai sensi dell’art. 29 del regolamento sopra menzionato in applicazione della c.d. suitability rule, va preliminarmente osservato che l’intermediario non è esonerato dall’obbligo di valutare l’adeguatezza dell’operazione anche ove (come nel caso di specie) i clienti abbiano rifiutato di fornire le informazioni di cui all’art. 28 I co. lett a) del regolamento Consob n. 11522/98 dovendo in tal caso tenere conto di tutte le informazioni comunque in suo possesso (ad esempio “età, professione, presumibile propensione al rischio anche alla luce della pregressa ed abituale operatività, situazione del mercato”: in tal senso vedasi comunicazione Consob n. DI/30396 del 21-4-2000 dettata in tema di trading on line): tanto si desume sia dai principi generali in tema di correttezza, diligenza e trasparenza dei comportamenti negoziali imposti dalla normativa generale e speciale (cfr. artt. 1175 e 1176 II co. c.c., 21 d. lgs. 58/98) ma anche dal testo l’art. 29 del citato regolamento Consob che impone all’intermediario finanziario di astenersi dal compiere per conto degli investitori operazioni non adeguate e prevede che lo stesso utilizzi ogni altra informazione disponibile anche diversa da quella fornita, ex art. 28 reg. cit., dai clienti, autorizzandolo solo in caso di conferma scritta dell’ordine d’acquisto a darvi (correttamente) esecuzione (la diversa regola contenuta nell’art. 19 co. V della direttiva europea 2004/39/CE del 21-4-2004 non può trovare applicazione al caso di specie sia ratione temporis sia perché le direttive non attuate -e purchè ricorrano gli altri requisiti- non hanno efficacia nei rapporti interprivati: cfr. Cass. 25-2-2004 n. 3762; Corte Giust. CE 29-5-2004 n. 194).

Nella fattispecie in esame deve ritenersi che l’operazione di acquisto delle obbligazioni in questione non fosse adeguata in considerazione della sua dimensione (comportando l’impiego di oltre la metà del patrimonio mobiliare dei clienti), della natura altamente rischiosa dei titoli prescelti, delle condizioni di mercato di quei titoli (il cui rating aveva costituito oggetto di progressivo declassamento da parte delle maggiori agenzie internazionali), della circostanza che i clienti erano investitori non professionali (entrambi pensionati), dell’età dei risparmiatori (superiore ai settant’anni come emerge dai contratti, dovendo tale dato fare ragionevolmente presumere la preferenza per una gestione conservativa piuttosto che speculativa del patrimonio), nonché della propensione al rischio in precedenza manifestata (gli istanti avevano in passato investito i propri risparmi in obbligazioni della banca convenuta), elementi questi tutti convergenti e chiaramente a conoscenza dell’istituto.

La domanda attorea risulta quindi fondata essendo stata dimostrata la violazione, da parte della banca, delle prescrizioni contenute negli artt. 21 t.u.l.f., 28 e 29 reg. Consob n. 11522/98 da considerarsi come norme imperative ex art. 1418 c.c. in considerazione degli interessi tutelati (tutela del risparmio, diligenza degli intermediari, integrità dei mercati: cfr. art. 47 Cost.; artt. 5 -riguardante le finalità dei poteri di vigilanza attribuiti alla Banca d’Italia ed alla Consob- 21 lett. a) e 190 -che prevede sanzioni amministrative per le violazioni all’art. 21 del t.ul.f.- del decreto legislativo 58/98, direttiva 93-22 UE del 10-5-1993 ora sostituita da quella n. 2004/39 CE) e della natura generale di siffatti interessi (in tal senso vedasi Trib. Firenze 30-5-2004 in www ilcaso.it per l'affermazione di tale principio con riguardo all’analoga disciplina contenuta nella legge 1/91 vedasi Cass. 7-3-2001 n. 3272; Cass. 5-4-2001 n. 5052; Trib. Torino 19-4-1998 in Foro Padano,1998,387; Trib. Milano ord. 11-5-1995 in Banca Borsa Tit. Cred.,1996,II,442).

Poiché l'obbligazione di restituzione dell'importo versato in conseguenza della dichiarazione di nullità dell'ordine di acquisto costituisce debito di valuta, avendo ad oggetto, sin dal suo sorgere, il pagamento di una somma di denaro e non avendo gli attori provato di avere subito un danno ex art. 1224 II co. c.c., ad essi va restituito l'importo di euro 44.000,00 cui debbono aggiungersi, ai sensi dell’art. 2033 c.c., gli interessi al tasso legale dal 19-4-2001 sino al saldo definitivo non potendosi ritenere che la convenuta, in relazione ai comportamenti sopra censurati, fosse in buona fede.

Le spese seguono la soccombenza e sono liquidate come da dispositivo.

P.Q.M.

il Tribunale di Mantova, in composizione monocratica, definitivamente pronunciando, ogni altra domanda ed eccezione reietta, così provvede:

dichiara la nullità degli ordini d’acquisto di obbligazioni argentine 8,5% - 99/04 impartiti da C. B. il 19-4-2001;

condanna Unicredit Banca s.p.a. a corrispondere agli attori la somma di euro 44.000,00 cui debbono aggiungersi gli interessi al tasso legale dal 19-4-2001 sino al saldo definitivo;

condanna la convenuta a rifondere agli attori le spese di lite liquidandole in complessivi euro 7.826,81 di cui € 1.478,10 per spese (comprese quelle di c.t.u.), € 1.848,71 per diritti ed € 4.500,00 per onorari, oltre al rimborso forfetario delle spese ex art. 15 T.P., ed oltre ad I.V.A. e C.P.A. come per legge.

Così deciso in Mantova, lì 12/11/2004