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Il Caso.it, Sez. Articoli e Saggi - Data pubblicazione 02/10/2024 Scarica PDF

A proposito degli omissis sui contratti di acquisto dei vaccini contro il Covid-19 (nota a margine della sentenza del Tribunale UE 17 luglio 2024, n. T-689/21)

Andrea Berti, Avvocato


Sommario: 1. Le sentenze del Tribunale dell’Unione europea T-689/21 e T-761-21 del 17 luglio 2024. 2. Gli antefatti. 3. I motivi in base ai quali il Tribunale UE ha confermato la legittimità della decisione della Commissione europea. 4. L’interesse pubblico alla conoscenza dei contratti di acquisto dei vaccini Covid-19. 5. La “trasparenza” come paradigma della “fiducia” nelle Istituzioni.

 

 

1. Le sentenze del Tribunale dell’Unione europea T-689/21 e T-761-21 del 17 luglio 2024.

Lo scorso 17 luglio il Tribunale dell’Unione europea ha emesso due importanti sentenze in tema di accesso agli atti con cui l’Unione europea ha negoziato l’acquisto dei vaccini Covid-19 [1].

Con una prima sentenza il Tribunale ha deciso il ricorso (T-689/21) proposto da sei parlamentari europei contro la decisione della Commissione di negare l’accesso integrale ai contratti (preliminari, definitivi ed integrativi) stipulati dalla medesima Commissione con le imprese farmaceutiche per la fornitura dei vaccini.

I ricorrenti avevano fatto valere il diritto di accesso del pubblico ai documenti delle istituzioni europee (nel caso di specie della Commissione) riconosciuto dal Regolamento CE 30 maggio 2011, n. 1049/2001.

Con la contestata decisione la Commissione aveva consentito un accesso parziale ai contratti, oscurando le clausole contrattuali riguardanti:

1) le definizioni di “dolo” e di “ogni ragionevole sforzo” ;

2) le eventuali donazioni o rivendite dei vaccini;

3) l’indennizzo a carico degli Stati membri nell’ipotesi in cui le imprese fornitrici fossero state condannate a versare un risarcimento danni a terzi a titolo di responsabilità extracontrattuale per difetto dei vaccini prodotti;

4) le informazioni relative all’ubicazione dei siti di produzione dei vaccini e dei subappaltatori;

5) il diritto esclusivo delle imprese di beneficiare dei diritti di proprietà intellettuale derivanti dalla produzione dei vaccini e la possibilità di concedere una licenza su una parte di tali diritti;

6) gli acconti e i pagamenti anticipati;

7) il regime della responsabilità contrattuale in caso di violazione dei contratti;

8) i calendari di consegna dei vaccini da parte delle imprese produttrici (volumi delle dosi e periodicità delle consegne).

Il Tribunale ha ritenuto legittima la decisione della Commissione nella parte in cui ha oscurato le clausole di cui ai punti 4), 5), 6), 7) e 8), trattandosi di informazioni riguardanti i rapporti commerciali e le strategie industriali delle imprese farmaceutiche, la cui divulgazione è esclusa dall’art. 4, comma 2, del Regolamento n. 1049/2001 [2].

La decisione della Commissione è stata, invece, ritenuta illegittima nella parte in cui ha disposto l’oscuramento:

- delle clausole di cui ai punti 1) e 2) perché non ha fornito spiegazione sufficienti che consentissero di sapere in che modo l’accesso a tali informazioni avrebbe potuto arrecare concretamente ed effettivamente un pregiudizio agli interessi commerciali delle imprese;

- delle clausole di cui al punto 3), perché le motivazioni addotte dalla Commissione (rischio di azioni giudiziarie nei confronti delle imprese, rischio di far conoscere alle imprese concorrenti i punti deboli della copertura della responsabilità da prodotto difettoso e possibili ripercussioni sulla reputazione commerciale delle imprese) non dimostravano che la loro divulgazione integrale avrebbe potuto arrecare un pregiudizio concreto ed effettivo agli interessi commerciali delle imprese interessate.

Con la seconda sentenza il Tribunale ha deciso il ricorso (T-761/21) di due cittadini europei (avvocati) volto ad ottenere l’accesso (oltre che ai contratti in versione integrale) ai dati personali dei rappresentanti UE che hanno condotto la negoziazione dei contratti di fornitura.

Nell’occasione, il Tribunale (oltre a replicare la decisione assunta con l’altra sentenza) ha ritenuto illegittima la decisione della Commissione nella parte in cui ha motivato l’oscuramento dei dati personali dei negoziatori con l’esigenza di proteggere la loro vita privata senza ponderare adeguatamente gli interessi gioco ed in particolare senza considerare la necessità da parte dei richiedenti di acquisire tali informazioni al fine di accertare la veridicità delle dichiarazioni di assenza di conflitti di interessi rese dagli stessi negoziatori.

Su quest’ultimo punto non vi è molto da dire, se non che la decisione è in linea con quanto diffusamente affermato anche dalla giurisprudenza interna, per la quale, fatti salvi casi particolari in cui sussiste la necessità di preservare la loro sicurezza personale [3], il pubblico funzionario o l’agente di pubblico servizio, a fronte della esigenza del richiedente l’accesso di verificare il corretto esercizio dell’attività amministrativa, non gode di un “diritto all’anonimato” per ragioni di tutela della riservatezza [4], anche perché, diversamente, si determinerebbe un inammissibile privilegio in contrasto con gli artt. 24 e 28 della Costituzione [5].

Un approfondimento merita, invece, la sentenza T-689/21 nella parte in cui ha ritenuto legittima la decisione della Commissione, essendo anche l’occasione per qualche considerazione in merito alle esigenze di trasparenza degli atti di gestione dell’emergenza Covid-19.

 

2. Gli antefatti.

Gli antefatti sono noti.

Il 30 gennaio 2020 l’Organizzazione Mondiale di Sanità dichiara l’emergenza internazionale di salute pubblica per il coronavirus (PHEIC).

In data 14 aprile 2020 il Consiglio dell’Unione europea adotta il Regolamento n. 2020/521/UE con cui attiva il “sostegno d’emergenza” a norma del Regolamento 2016/369 per finanziare le spese necessarie per affrontare la pandemia Covid-19 [6].

Nel preambolo del Regolamento si dice che la pandemia richiede una serie di “misure eccezionali”, comportanti  “deroghe” al Regolamento 18 luglio 2018, n. 2018/1046 UE – Euratom (contenente le regole finanziarie applicabili al bilancio generale dell’Unione), anche per quanto concerne le procedure di aggiudicazione.

Con detto atto regolamentare vengono anche modificati gli articoli 3, 4 e 5 del Regolamento n. 2016/369, riguardanti le “azioni ammissibili” a sostegno dell’emergenza, rimesse ad un’amplissima discrezionalità della Commissione [7], le “tipologie di intervento”, le “modalità di attuazione” e i costi ammissibili [8].

Il 17 giugno 2020 la Commissione europea comunica al pubblico quella che sarà la “Strategia dell’Unione europea per i vaccini contro la Covid-19” : l’obiettivo è quello di avere accesso ai vaccini prima possibile mediante un’azione congiunta a livello unionale, anche perché – si dice - nessuno Stato membro ha da solo la capacità di garantire investimenti nello sviluppo e nella produzione di un numero sufficiente di vaccini.

Il 18 giugno 2020 la Commissione adotta la decisione con cui approva l’accordo tra gli Stati membri per procurarsi i vaccini e le relative procedure: l’accordo prevede che la Commissione proceda con una negoziazione centralizzata e la stipula dei contratti di fornitura dei vaccini con le aziende farmaceutiche, mentre gli Stati (che si impegnano a non negoziare separatamente) ne decideranno l’utilizzo nell’ambito delle loro politiche sanitarie [9].

L’accordo prevede anche un cospicuo finanziamento in favore dei partner privati per gli investimenti iniziali, in cambio del diritto (o, in circostanze specifiche, l’obbligo) degli Stati membri di acquistare un numero specifico di dosi entro un determinato periodo di tempo e a un determinato prezzo [10].

Vengono nominati dei “negoziatori esperti”, i cui nominativi vengono tenuti segreti (illegittimamente, come oggi accertato dal Tribunale).

Le trattative vengono condotte con alcune aziende “candidate” a manifestare il loro interesse ed individuate sulla base di alcuni criteri stabiliti nel citato accordo [11].

I negoziati condotti dalla Commissione sono monitorati dagli Stati membri mediante un Comitato direttivo.

All’esito della negoziazione, la Commissione conclude alcuni accordi preliminari di acquisto con le aziende produttrici dei vaccini, da cui gli Stati membri possono acquistare direttamente le dosi secondo i quantitativi decisi e le condizioni prestabilite, dopo che i vaccini saranno stati “autorizzati” dalle Autorità competenti [12].

La negoziazione si avvale della procedura eccezionale prevista dall’art. 32 della Direttiva 2014/24/UE, in deroga alla procedura di evidenza pubblica che assicura pubblicità e trasparenza.

 

3. I motivi in base ai quali il Tribunale UE ha confermato la legittimità della decisione della Commissione europea.

Come detto, il Tribunale ha ritenuto legittima la decisione della Commissione nella parte in cui ha oscurato le clausole contrattuali riguardanti le informazioni relative all’ubicazione dei siti di produzione dei vaccini e dei subappaltatori, il diritto esclusivo delle imprese di beneficiare dei diritti di proprietà intellettuale derivanti dalla produzione dei vaccini e la possibilità di concedere una licenza su una parte di tali diritti, gli acconti e i pagamenti anticipati, la responsabilità contrattuale in caso di violazione dei contratti e i calendari di consegna dei vaccini da parte delle imprese produttrici (volumi delle dosi e periodicità delle consegne), perché ha ritenuto trattarsi di informazioni riguardanti i rapporti commerciali e le strategie industriali delle imprese farmaceutiche, rientranti nella “eccezione” all’accesso prevista dall’art. 4, comma 2, del Regolamento n. 1049/2001.

Non si vuole qui discutere della sussistenza nel caso di specie di un effettivo e concreto pregiudizio agli “interessi commerciali” delle aziende produttrici dei vaccini: il Tribunale ha esaminato, per ogni singola clausola in discussione, la congruità della motivazione posta dalla Commissione a fondamento dell’apposizione degli omissis e poi ha verificato se detta motivazione potesse essere sussunta nella fattispecie normativa prevista dall’art. 4, comma 2, del Regolamento n. 1049/2001 (“interessi commerciali” ).

Trattasi di una decisione su cui ha pesato il fatto che (come affermato dalla Commissione e non smentito dai ricorrenti) i negoziati sarebbero stati condotti individualmente con ogni azienda produttrice, di tal che la rivelazione di informazioni sensibili sulla produzione dei vaccini avrebbe potuto nuocere allo stesso andamento delle trattative (ovviamente il Tribunale ha effettuato una valutazione “ora per allora”, avuto riguardo al contesto ed alla situazione esistente al momento della richiesta di accesso dei documenti).

Ciò che merita, invece, un approfondimento è la questione dell’” interesse pubblico” alla divulgazione di dette clausole contrattuali.

Va, invero, considerato che, ai sensi dell’art. 4, comma 2, del Regolamento n. 1049/2001, la limitazione dell’accesso agli atti delle Istituzioni europee per la sussistenza di un pregiudizio agli “interessi commerciali” delle imprese non opera quando “vi sia un interesse pubblico prevalente alla divulgazione” dei documenti.

La norma impone di effettuare un giudizio di ponderazione degli interessi antagonisti (accesso e riservatezza) avuto riguardo al c.d. criterio del public interest test”, in base al quale un documento va osteso se, nonostante il possibile pregiudizio a determinati interessi privati, sussista comunque un interesse pubblico prevalente alla sua ostensione.

Si tratta di un criterio che attiene all’esercizio della “discrezionalità” dell’Istituzione, che implica l’effettuazione di una delicata opera di bilanciamento tra l’” interesse specifico e particolare” alla segretezza e l’” interesse generale” alla ostensibilità del documento, alla luce dei vantaggi che derivano al pubblico da una maggiore trasparenza [13].

Vantaggi da valutarsi – come ricordato dalla stessa sentenza del Tribunale UE in commento - alla luce del Considerando 2 del Regolamento n. 1049/2001, per il quale la “politica di trasparenza consente una migliore partecipazione dei cittadini al processo decisionale e garantisce una maggiore legittimità, efficienza e responsabilità dell'amministrazione nei confronti dei cittadini in un sistema democratico. La politica di trasparenza contribuisce a rafforzare i principi di democrazia e di rispetto dei diritti fondamentali sanciti dall’articolo 6 del trattato UE e dalla carta dei diritti fondamentali dell'Unione europea.” .

In disparte si osserva che, benché il nostro ordinamento interno non riconosca espressamente questo criterio di ponderazione degli interessi, qualche T.A.R., prendendo spunto dalla norma eurounitaria e da altri ordinamenti FOIA, ha ritenuto che esso possa trovare uno spazio applicativo nella valutazione delle limitazioni dell’accesso civico generalizzato di cui all’art. 5-bis del D.Lgs. 14 marzo 2013, n. 33, imponendo all’Amministrazione di “valutare l’aspettativa che ha il richiedente di conoscere i dati, le informazioni o i documenti oggetto dell’istanza (riferibili all’attività e all’organizzazione amministrativa) e quale potrebbe essere il contributo positivo alla “conoscenza diffusa” dell’attività amministrativa che l’ostensione richiesta potrebbe comportare.” [14].

Tornando al caso deciso dal Tribunale europeo, i ricorrenti avevano dedotto un “interesse pubblico prevalente” alla divulgazione integrale dei contratti di fornitura dei vaccini Covid-19 per i seguenti motivi: le imprese farmaceutiche hanno prodotto i vaccini avvalendosi di consistenti sovvenzioni pubbliche erogate dall’Unione europea; la conoscenza dei contratti può avere rilevanti effetti sulla fiducia che la generalità dei cittadini europei ripone nel ruolo svolto dalla Commissione, anche al fine di contrastare il fenomeno della cosiddetta “reticenza vaccinale” .

Queste argomentazioni sono state respinte dal Tribunale sulla base dei seguenti principi, consolidati nella giurisprudenza comunitaria: a) spetta al richiedente l’accesso dedurre concretamente e dimostrare le circostanze su cui si fonda “l’interesse pubblico prevalente” [15]; b) a tal fine non bastano considerazioni generiche [16], occorrendo la dimostrazione che, in una data situazione, il principio di trasparenza assume una “rilevanza particolare” .

Nel declinare i suddetti principi al caso di specie, il Tribunale non ha negato che le ragioni addotte dai ricorrenti potessero in effetti configurare un “interesse pubblico”  alla conoscenza dei contratti: e ciò sia perché la circostanza che le imprese interessate abbiano contribuito alla realizzazione di compiti di interesse pubblico, in particolare lo sviluppo di vaccini contro la COVID-19 mediante acconti o pagamenti anticipati provenienti da fondi pubblici e versati a titolo dei contratti in questione negoziati dalla Commissione a nome degli Stati membri, è idonea, in linea di principio, a rivelare l'esistenza di un interesse reale del pubblico all'accesso a informazioni relative a detti vaccini e contratti (v., in tal senso, sentenza del 7 settembre 2023, Breyer/REA, C-135/22 P, EU:C:2023:640, punto 77).” (§ 220); sia perché “la trasparenza del processo seguito dalla Commissione durante le trattative con i produttori di vaccini contro la COVID-19 e la conclusione dei contratti in questione in nome degli Stati membri può contribuire ad aumentare la fiducia dei cittadini dell'Unione nei confronti della strategia vaccinale promossa da tale istituzione e, di conseguenza, a lottare segnatamente contro la diffusione di false informazioni per quanto riguarda le condizioni per la negoziazione e la conclusione di detti contratti (v., in tal senso, sentenze del 7 settembre 2022, Saure/Commissione, T-448/21, non pubblicata, EU:T:2022:525, punto 45, e del 7 settembre 2022, Saure/Commissione, T-651/21, non pubblicata, EU:T:2022:526, punto 46).” (§ 221).

Il punto è che – come sostenuto dalla Commissione e condiviso dal Tribunale – tale “interesse pubblico” risultava già soddisfatto con “i diversi passi intrapresi per garantire la trasparenza, tra cui la pubblicazione di informazioni aggiornate sullo stato di avanzamento dei negoziati e la comunicazione di informazioni al Parlamento con viva voce e per iscritto.” (§ 222).

Peraltro – ha aggiunto il Tribunale – le considerazioni riguardanti la necessità di instaurare la fiducia nei vaccini per contrastare il fenomeno della “reticenza vaccinale” sarebbero “generiche” e comunque non idonee a dimostrare quella “rilevanza particolare” che deve assumere l’interesse generale alla conoscenza per poter prevalere rispetto alle ragioni di riservatezza degli “interessi commerciali” (§ 223).

Non è certamente scopo del presente contributo prospettare possibili vizi della sentenza, il che richiederebbe la conoscenza degli atti e dei documenti processuali.

Certo è che qualche perplessità essa suscita alla luce delle seguenti considerazioni.

 

4. L’interesse pubblico alla conoscenza dei contratti di acquisto dei vaccini Covid-19.

Una prima annotazione di carattere preliminare riguarda l’applicazione della regola dell’onere della prova in ordine alla sussistenza del “prevalente interesse pubblico” .

Il Tribunale, richiamando la consolidata giurisprudenza comunitaria, afferma che spetta a chi esercita il diritto di accesso dedurre concretamente e dimostrare le circostanze su cui si fonda “l’interesse pubblico prevalente” alla loro divulgazione.

Il principio affermato è peculiare al processo davanti agli organi giurisdizionali europei.

Nel nostro ordinamento, invero, il giudizio sull’accesso (oggi disciplinato dall’art. 116 c.p.a.) è sempre stato concepito come un “giudizio sul rapporto” che, ancorché si atteggi formalmente come impugnatorio nella fase della proposizione del ricorso (da proporsi entro il termine decadenziale di 30 giorni avverso l’atto che decide, espressamente o implicitamente sull’istanza di accesso), è in realtà un giudizio volto ad accertare la sussistenza o meno del diritto di accesso nella specifica situazione dedotta dalle parti (CdS 2022/3454; 2021/1717; a.p. 2020/10; 2019/2737; 2018/3956; 2018/1033; 2012/4261; 2011/3190; 2011/117; 2008/5573; 2006/7187; 2004/2966; 2001/191).

Ne consegue, tra l’altro, che il Giudice Amministrativo decide in merito alla sussistenza del diritto di accesso anche a prescindere dal contenuto dell’atto amministrativo impugnato, tanto che può integrare la motivazione della decisione assunta dall’Amministrazione anche d’ufficio ed in assenza di deduzioni processuali senza incorrere in vizio di ultrapetizione [17], fatti salvi i casi in cui residui uno spazio decisionale discrezionale in capo alla stessa P.A..

Non è un caso che, nei casi in cui (con le sentenze precedentemente citate) il Giudice amministrativo ha applicato il criterio del public interest test nel decidere sulle limitazioni dell’accesso civico generalizzato, lo ha fatto d’ufficio, chiedendosi quali vantaggi sarebbero derivati al pubblico da una maggiore trasparenza amministrativa [18].

Il processo davanti al Giudice europeo si differenzia da tale modello.

Ciò nondimeno l’onere processuale a carico del privato non può diventare una probatio diabolica: una volta che il ricorrente (richiedente l’accesso) ha dedotto le circostanze su cui si fonda “l’interesse pubblico prevalente”, dovrebbe spettare al Tribunale verificare, all’esito di una ricognizione dell’ordinamento ed avuto riguardo all’oggetto della richiesta ostensiva, se sussistono gli elementi per riconoscere una “rilevanza particolare” all’” interesse generale” alla conoscenza.

Peraltro, nel nostro caso il Tribunale ha riconosciuto l’esistenza di un “interesse pubblico” alla conoscenza dei contratti, ma poi, invece di verificare se detto interesse prevalesse rispetto agli interessi privati confliggenti, ha affermato che detto interesse risultava già soddisfatto con la divulgazione delle informazioni già rese di pubblico dominio(§ 222).

Senonché, sul punto la decisione sembra contraddittoria, o quantomeno incompiuta, in quanto se sussiste un “interesse pubblico” a conoscere quegli aspetti del contratto che sono stati divulgati al pubblico, è difficile negare che sussiste un identico interesse a conoscere le clausole contrattuali omissate, che rappresentano aspetti fondamentali del rapporto negoziale intercorso con le imprese produttrici dei vaccini.

Il punto è se detto “pubblico interesse” potesse prevalere sugli interessi privati confliggenti e questo giudizio di “prevalenza” degli interessi in gioco è mancato.

A tal fine, il Tribunale avrebbe dovuto verificare se nell’ordinamento giuridico europeo sono ricavabili indicazioni in merito alla “particolare rilevanza” della trasparenza dei contratti di che trattasi, avuto riguardo alla materia che costituisce oggetto di regolamentazione negoziale.

Invero, laddove esistano disposizioni normative che assegnino un particolare rilievo alla trasparenza in quella determinata materia o attività amministrativa interessata dai contratti di che trattasi, l’” interesse pubblico” alla conoscenza dovrebbe prevalere.

Ciò accade, ad esempio, per le “informazioni ambientali”, dove esiste apposita normativa volta a garantirne l’accesso (Reg. 30 maggio 2001, n. 1049/2001/CE; Reg. 6 settembre 2006, n. 1367/2006/CE), che consente di presumere la prevalenza dell’interesse pubblico alla trasparenza rispetto agli interessi privati confliggenti [19].

Ma la medesima situazione può sussistere anche in mancanza di una norma settoriale ad hoc, qualora emerga in altro modo la “prevalenza” dell’interesse generale alla conoscenza della documentazione richiesta [20].

Orbene, pur non essendo certo questa la sede per compiere quel giudizio di “prevalenza” affidato agli organi giurisdizionali, si può comunque osservare quanto segue.

Il Tribunale afferma che la circostanza che le imprese interessate abbiano contribuito alla realizzazione di compiti di interesse pubblico, in particolare lo sviluppo di vaccini contro la COVID-19 mediante acconti o pagamenti anticipati provenienti da fondi pubblici e versati a titolo dei contratti in questione negoziati dalla Commissione a nome degli Stati membri, è idonea, in linea di principio, a rivelare l'esistenza di un interesse reale del pubblico all'accesso a informazioni relative a detti vaccini e contratti” .

A questa considerazione si può aggiungere che:

- il finanziamento di cui hanno beneficiato le aziende produttrici dei vaccini ha dato luogo a “sovvenzioni” pubbliche, per le quali l’ordinamento prevede un particolare regime di “pubblicità” e comunque di “trasparenza” (vedi artt. 38, 188 e 189 Reg. n. 2018/1046/UE-Euratom);

- le azioni intraprese dalla Commissione nel sostenere l’emergenza dovevano rispettare, tra gli altri, i principi di “neutralità”, “imparzialità” e “indipendenza” (art. 3, comma 3, Reg. n. 2016/369/CE);

- le azioni intraprese dalla Commissione avevano carattere “eccezionale” e portata “derogatoria” rispetto ai principi generali dell’azione amministrativa, a cominciare dalla scelta dei partner privati (vedi nota 7) e dalle modalità di negoziazione e di contrattualizzazione (vedi nota 11), che sono avvenute in deroga alle regole ordinarie di evidenza pubblica.

Vi è già quanto basta per ritenere di “particolare rilevanza”, nel pubblico interesse, la conoscenza dei dettagli dei contratti con cui si è concretizzata questa azione del tutto speciale della Commissione europea [21].

C’è poi la questione della “fiducia” nelle Istituzioni e nei suoi partner privati.

Anche qui il Tribunale riconosce che “la trasparenza del processo seguito dalla Commissione durante le trattative con i produttori di vaccini contro la COVID-19 e la conclusione dei contratti in questione in nome degli Stati membri può contribuire ad aumentare la fiducia dei cittadini dell'Unione nei confronti della strategia vaccinale promossa da tale istituzione e, di conseguenza, a lottare segnatamente contro la diffusione di false informazioni per quanto riguarda le condizioni per la negoziazione e la conclusione di detti contratti.” ; salvo poi ridimensionarne la rilevanza, disconoscendo il collegamento con il fenomeno della “reticenza vaccinale” (§ 223).

Sul punto possono farsi le seguenti considerazioni.

E’ difficile negare che le clausole contrattuali di cui si discute (oggetto di secretazione), oltre ad assumere un peso fondamentale nell’economia dei contratti, possano assumere rilievo nella valutazione di affidabilità dei contraenti.

Si pensi alle informazioni relative all’ubicazione dei siti di produzione dei vaccini e dei subappaltatori, la cui conoscenza avrebbe consentito di verificare non soltanto dove sono stati investiti i soldi pubblici, ma anche in quale contesto i vaccini sono stati sviluppati, prodotti e commercializzati.

Si pensi, ancora, alle clausole disciplinanti la responsabilità contrattuale delle imprese in caso di inadempimento contrattuale: anche in questo caso è difficile negare che la regolamentazione contrattuale di tali aspetti possa incidere sulla percezione che la collettività si è formata in merito alla affidabilità delle aziende produttrici.

E ci si può chiedere, allora, se il giudizio sulla affidabilità del produttore possa essere scisso da quello sulla affidabilità dei prodotti, anche considerato che le imprese erano indennizzate dagli Stati membri per qualsiasi danno cagionato ai consumatori (clausola la cui omissione è stata ritenuta illegittima dal Tribunale).

 

5. La “trasparenza” come paradigma della “fiducia” nelle Istituzioni.

Il caso deciso dal Tribunale invita a porsi le seguenti domande: la “trasparenza” dell’azione amministrativa favorisce davvero la “fiducia” nelle Istituzioni ? E se ciò è vero (come riconosce anche il Giudice comunitario), fino a che punto la “fiducia” nelle Istituzioni può rappresentare un “interesse pubblico prevalente” rispetto agli interessi privati alla riservatezza commerciale ?

Proviamo a fare qualche considerazione.

Cominciamo col dire che nessuno dubita del fatto che la “trasparenza” contribuisce in modo decisivo a ridefinire in chiave democratica il rapporto tra la P.A. e i cittadini-amministrati e quindi a rafforzare lo stesso “principio di democraticità”, da intendersi come effettiva partecipazione alla vita democratica (art. 1 Cost.) [22], come d’altra parte ricordato dal Considerando 2 del Regolamento n. 1049/2001.

La “trasparenza”  quale strumento di attuazione del “principio di democraticità”  è stata talvolta accostata al concetto di accountability, concetto di origine anglosassone che evoca il principio di “responsabilità”, nel senso del dover rispondere del proprio operato [23].

Poco esplorato è stato, invece, il rapporto tra “trasparenza” e “fiducia sistemica” (o “impersonale” ) nel contesto del “principio di democraticità” di cui all’art. 1 della Costituzione.

La “fiducia” (intesa in termini generali come aspettativa di un comportamento favorevole da parte di altri soggetti, individui, gruppi o istituzioni) è un concetto ampiamente studiato nelle scienze sociali e psicologiche, ma non altrettanto nelle discipline giuridiche.

Ciò dipende in larga parte dal fatto che tradizionalmente si ritiene che il diritto debba occuparsi dei comportamenti degli uomini e non del loro “sentire”, essendo volto a dettare regole razionali degli eventi che scandiscono la vita dei consociati.

D’altra parte, ciò è ben comprensibile, visto che le emozioni sono incoercibili e, se il diritto se ne occupasse, si andrebbe incontro ad “ingiunzioni paradossali” [24].

Ciò nonostante, il concetto di “fiducia” ha trovato un qualche spazio nel mondo giuridico, per quanto possibile oggettivata: ad esempio, nel diritto costituzionale si parla di “fiducia parlamentare” (art. 94 Cost.) e nel diritto successorio di “fiducia testamentaria”.

Di recente, la “fiducia” è entrata anche nel diritto amministrativo dei contratti, sino ad assurgere a “principio” regolatore dei rapporti tra stazioni appaltanti ed operatori economici (art. 2 Codice dei contratti pubblici).

Maggior fortuna ha avuto, storicamente, il concetto di “affidamento” (nel senso di fare affidamento su qualcuno o qualcosa), in particolare nel diritto dei contratti e nel diritto amministrativo quale corollario dei principi correttezza di buona fede, di recente introdotto tra i principi generali dell’attività amministrativa nell’art. 1, comma 2-bis, legge n. 241 del 1990.

Ma la nozione di “affidamento” presuppone pur sempre un rapporto “qualificato” (ovvero uno specifico “contatto sociale” ) tra due o più soggetti (persone fisiche o giuridiche), sì da rientrare nella categoria di “fiducia personale o interpersonale” .

Diversa è, invece, la “fiducia sistemica”  o “impersonale”, che si ha quando il destinatario delle aspettative è rappresentato da un’organizzazione naturale o sociale nel suo insieme o nelle sue singole espressioni istituzionali e collettive [25].

Il rilievo assunto dalla “fiducia sistemica” nell’ordinamento democratico non è certo una novità, visto che già le teorie contrattualistiche del XVII e XIII secolo consideravano la “fiducia” un prerequisito del contratto sociale (Locke J., Due trattati sul governo, 1689) e Durkheim definiva la “fiducia” l’elemento precontrattuale della vita sociale, ovvero quella solidarietà di base, quell’accordo cooperativo implicito, morale e cognitivo, che tiene insieme la società.

In quest’ultima accezione il concetto di “fiducia” merita di essere esplorato anche nella prospettiva del diritto pubblico ed in particolare nel suo rapporto con la “trasparenza amministrativa”, verificando se il livello (quantitativo e qualitativo) di “fiducia sistemica” tra cittadino e P.A. possa dipendere dal livello (quantitativo e qualitativo) di attuazione del “principio di trasparenza” .

Sotto questo profilo, è di rilievo il fatto che buona parte degli studi delle scienze sociali indicano quale contenuto della “fiducia” proprio il processo comunicativo di trasmissione delle informazioni tra il soggetto su cui è riposta la fiducia ed il soggetto che la ripone, nel senso che la “fiducia” è soprattutto un’aspettativa di avere la rappresentazione completa, autentica e non mendace di un comportamento e delle ragioni che lo hanno indotto [26].

Vero è che in una società complessa, la compresenza di plurimi interessi e diritti confliggenti non consente ai cittadini di avere sempre la completa conoscenza delle ragioni poste a fondamento delle decisioni politiche ed amministrative, ma è altrettanto vero che essi possono e debbono aspirare ad averne quanto più possibile per potersi fidare del decisore.

E in un ordinamento democratico la “fiducia” che i cittadini ripongono nella Autorità non può che essere di tipo “cognitivo”, ovvero mediata dalla conoscenza degli atti con cui prendono forma le decisioni politiche ed amministrative, atteso che diversamente essa si trasformerebbe in un atto di “fede” .

E allora, rispondendo alla domanda posta in apertura, non par dubbio che la “fiducia” nelle Istituzioni può ben rappresentare un “interesse pubblico prevalente” rispetto ad interessi privati alla riservatezza dei documenti.



[1] Vedi comunicato stampa n. 113/24 del 17 luglio 2024 pubblicato sul sito istituzionale della Corte di Giustizia dell’Unione europea curia.europea.eu.

[2] Art. 4, comma 2, Reg. CE n. 1049/2001: “Le istituzioni rifiutano l’accesso a un documento la cui divulgazione arrechi pregiudizio alla tutela di quanto segue: - gli interessi commerciali di una persona fisica o giuridica, ivi compresa la proprietà intellettuale; …” .

[3] Vedi, ad esempio, Cons. St. sez. III 1 agosto 2022, n. 6768 in relazione ad un’istanza di accesso ai verbali del Gruppo Interforze propedeutici ad un provvedimento di diniego di rinnovo della iscrizione alla White list, oscurabile ai sensi dell’art. 3 D.M. 415/1994.

[4] Cons. St. sez. V 5 aprile 2022, n. 2530.

[5] Cons. St. sez. II 20 settembre 2022, n. 8106.

[6] Il Regolamento 15 marzo 2016, n. 2016/369stabilisce il quadro entro cui può essere concesso un sostegno di emergenza dell'Unione attraverso misure specifiche adeguate alla situazione economica in caso di catastrofi naturali o provocate dall'uomo in atto o potenziali.”  (art. 1).

[7] Vedi, in particolare, l’art. 3, comma 4, del Regolamento 2016/369: “Le azioni di cui al paragrafo 2 sono attuate dalla Commissione o da organizzazioni partner selezionate dalla Commissione. La Commissione può selezionare come organizzazioni partner, in particolare, le organizzazioni non governative, i servizi specializzati degli Stati membri, le autorità nazionali e gli altri organismi pubblici, le organizzazioni internazionali e le loro agenzie e, ove opportuno e necessario per l'attuazione di un'azione, le altre organizzazioni ed entità in possesso delle competenze necessarie o attive nei settori pertinenti ai fini dei soccorsi in caso di catastrofi, quali fornitori di servizi privati, produttori di apparecchiature, nonché scienziati e istituti di ricerca. In tale contesto, la Commissione mantiene una stretta cooperazione con lo Stato membro interessato.” .

[8] L’art. 5 del Regolamento 2016/369 prevede tra i costi ammissibili coperti dal finanziamento UE, tra gli altri, anche i “costi indiretti”  sostenuti dalle organizzazioni partner (comma 2) ed i costi sostenuti anche prima della data di presentazione della domanda di finanziamento (comma 5), che può coprire anche il 100% dei costi ammissibili (comma 4).

[9] L’accordo si fonda sull’art. 168 del Trattato sul Funzionamento dell’U.E. (TFUE), che prevede le azioni dell’Unione europea in materia di salute pubblica.

[10] In particolare, l’accordo prevede che il finanziamento delle aziende produttrici dei vaccini ha lo scopo di “de-rischiare”  gli investimenti necessari per lo sviluppo e la produzione dei vaccini, nonché per la preparazione della capacità produttiva su larga scala, in vista di un rapido impiego di milioni di dosi e viene considerato come anticipo per gli acquisiti da parte degli Stati membri. 

[11] Nel citato accordo si legge che viene data priorità ai produttori che: a) hanno pianificato di entrare in sperimentazioni cliniche ancora nel 2020; b) hanno la capacità di sviluppare vaccini di successo; c) hanno una comprovata capacità di produrre su larga scala già nel 2021.

[12] Come noto, i vaccini Covid-19 sono stati tutti “autorizzati”  mediante procedure centralizzate coordinate da EMA (Agenzia europea per i medicinali), a partire dal dicembre 2020 (data in cui è iniziata la somministrazione dei vaccini), sulla base di “procedure di valutazione accelerate”  e con “autorizzazioni all’immissione in commercio condizionate”, prima che tutti i dati relativi alla sicurezza, la qualità e l’efficacia di impiego fossero disponibili, sulla base di una valutazione del “rapporto rischio/beneficio”, ai sensi del Regolamento CE 29 marzo 2006, n. 507/2006. Ed anche la fase della distribuzione dei vaccini ha subito “deroghe”  per quanto concerne le regole sulla etichettatura ed imballaggio e le regole riguardanti le sperimentazioni cliniche con medicinali per uso umano contenenti gli organismi geneticamente modificati (OGM) (vedi Reg. CE 15 luglio 2020, n. 2020/1043/UE).

[13] Trib. UE sez. II 5 febbraio 2018, n. T-718/15. 

[14] Vedi T.A.R. Napoli sez. VI 9 maggio 2019, n. 2486. Analogamente T.A.R. Napoli sez. VI 7 febbraio 2020, n. 604; Milano sez. II 16 ottobre 2020, n. 1948; Roma sez. III 21 marzo 2022, n. 3212.

[15] Trib. UE n. T-306/12 del del 25 settembre 2014.

[16] Corte di Giustizia UE sez. X n. C-135/22 del 7 settembre 2023.

[17] Cons. St. sez. V 10 novembre 2022, n. 9843; sez. VI 12 gennaio 2011, n. 117.

[18] Così, ad esempio, T.A.R. Napoli n. 2486/2019 cit., in un caso di istanza di accesso civico generalizzato alle licenze e agli atti edilizi rilasciati da un Comune ad altri operatori commerciali della zona, ha valorizzato l’interesse pubblico a verificare l’imparzialità dell’azione amministrativa e quindi la “parità di trattamento”  riservata dalla P.A. a soggetti posti nelle medesime condizioni o in condizioni analoghe. 

[19] Trib. UE sez. VIII 7 marzo 2019, n. T-716/14.

[20] Vedi, ad esempio, Corte Giustizia UE grande sezione 5 marzo 2024, n. 588, che ha riconosciuto l’” interesse generale”  alla conoscenza di quattro “norme armonizzate”  adottate dal CEN (Comitato europeo di normazione) in materia di sicurezza di giocattoli, sulla base della considerazione che l’osservanza di dette norme, ancorché non obbligatoria, implica una presunzione di conformità alla legislazione tecnica dell’Unione, sì che esse sono "uno strumento essenziale per gli operatori economici, ai fini dell’esercizio del diritto alla libera circolazione dei beni o dei servizi nel mercato dell’Unione." (§ 74).

[21] In questi termini si esprimono, Cozzio M., Fracchia F. e Smerchinich F. nel Report sulla contrattazione pubblica dei vaccini anti Covid-19 del 1° febbraio 2021, pubblicato sul sito www.osservatorioappalti.unitn.it: "… non sembra accettabile che il contenuto di tali accordi e delle relative procedure sia sottratto a forme di pubblicità e trasparenza che paiono doverose per elementari ragioni di etica pubblica prima ancora che per ragioni di mera conformità alle regole. Nessuna valutazione di opportunità, di tutela della concorrenza e/o di altri interessi economici, men che meno di garanzie di efficienza nella conduzione delle trattative negoziali, acquisisce rilevanza tale da giustificare la segretezza di questi contratti." (pag. 35).

[22] Anche di recente Corte cost. n. 20 del 2019 ha definito i “principi di pubblicità e trasparenza”  un “corollario del principio democratico (art. 1 Cost.)” . Sul punto, sempre più attuali sono le osservazioni di Bobbio N., per il quale, al di là di come possa variamente essere intesa e definita la democrazia, è certo che essa "non possa fare a meno d’includere nei suoi connotati la visibilità o trasparenza del potere." atteso che è proprio l’esercizio del "potere pubblico in pubblico”  che rappresenta l’essenza della democrazia (Il futuro della democrazia, Torino, 1995),

[23] Il concetto di accountability è sorto nel contesto delle tecniche di gestione amministrativa di stampo manageriale implicanti l’esigenza di misurare e valutare la performance delle P.A. e dei suoi dirigenti, con particolare riferimento al corretto utilizzo delle risorse pubbliche, in un’accezione, quindi, soprattutto contabile.

[24] Sulla natura paradossale della ingiunzione a provare sentimenti vedi Watzlawick P. –Beavin J.H. - Jackson D.D., Pragmatica della comunicazione umana (1971).

[25] Mutti A., Fiducia, Enciclopedia Treccani delle scienze sociali, 1994.

[26] In un documento pubblicato sul sito istituzionale dell’Istituto Superiore di Sanità (www.epicentro.iss.it) dedicato alla comunicazione del rischio sanitario si legge: "Più del 50% della credibilità della comunicazione dipende dal modo in cui il pubblico percepisce colui o colei che comunica (“chi” comunica). Se le persone percepiscono empatia, ascolto e attenzione per la loro preoccupazione, per il loro modo di vivere e sentire il rischio, saranno più disponibili ad ascoltare e ad avere fiducia. Se invece chi comunica non è credibile perché “distante”  dal pubblico, centrato esclusivamente sui propri obiettivi informativi, il livello della fiducia sarà destinato ad abbassarsi e nello stesso tempo la componente emotiva della percezione tenderà a prevalere sulla componente cognitiva.".


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