Bancario
Il Caso.it, Sez. Articoli e Saggi - Data pubblicazione 16/05/2007 Scarica PDF
Violazione di regole comportamentali e tutela: il "subbuglio" giurisprudenziale
Fernando Greco, ProfessoreCORTE
D'APPELLO DI MILANO, 19 dicembre 2006, n. 3070 - Pres. Rognoni, A. c/ Credito
Valtellinese Spa
Intermediazione finanziaria - Obblighi di informazione - Contratto valido -
Risarcimento
(c.c. art. 1337, D.LGS. 24 febbraio 1998, n. 58; REG. CONSOB, n. 11522/1998)
La tutela del cliente rispetto alla violazione degli obblighi informativi va
ravvisata nell'azione risarcitoria, che trova fondamento nell'applicazione
dell'art. 1337 c.c. e di cui l'art. 21 Tuf rappresenta, nell'ambito di questa
tipologia di rapporti, una specificazione.
TRIBUNALE DI BRINDISI, 21 luglio 2006, n. 701 - Pres. Fedele - Rel. Giliberti,
A. c/ Banca Monte Paschi di Siena
Intermediari finanziari - Obblighi di informazione - Nullità virtuale
(c.c. art. 1418; D.LGS. 24 febbraio 1998, n. 58; REG. CONSOB, n. 11522/1998)
La normativa dell'intermediazione finanziaria, essendo posta a tutela
dell'ordine pubblico economico, consiste in norme imperative, alla cui
violazione a norma dell'art. 1418 c.c., segue il rimedio della nullità del
contratto, anche a prescindere da un'espressa previsione in tal senso da parte
delle singole disposizioni violate.
TRIBUNALE DI LECCE, 12 giugno 2006,n. 1105 - Pres. Giardino - Rel. Zuppetta, A
c/ Banca Popolare Pugliese
Intermediari finanziari - Obblighi di informazione - Inadempimento contrattuale
- Risarcimento
(C.c. art. 1176; D.LGS. 24 febbraio 1998, n. 58; REG. CONSOB, n.
11522/1998)
La mancata osservanza da parte dell'intermediario degli obblighi di
informazione e di valutazione imposti dal T.U.F. è senz'altro espressione di
inadempimento contrattuale e, come tale, foriera dell'obbligo di risarcimento
dei danni che ne sono derivati.
Considerazioni preliminari
Le sentenze in commento manifestano - emblematicamente - il
"subbuglio" giurisprudenziale in ordine alle conseguenze
dell'inadempimento degli obblighi di informazione da parte dell'intermediario
nei confronti del risparmiatore. Il caotico[1] quadro già esistente si
"arricchisce" ulteriormente per il semplice fatto che in questo caso
due delle decisioni, che manifestano differenti orientamenti, sono state emesse
da tribunali - appartenenti alla medesima Corte d'Appello - cui si erano
rivolti i risparmiatori che in seguito alla crisi patrimoniale del "Gruppo
Cirio", sfociata poi nel c.d. cross default, hanno perduto l'intero
capitale sottoscritto.
Più nel dettaglio, il Tribunale di Brindisi è chiamato a pronunciarsi in ordine
alla nullità del contratto di collocamento delle obbligazioni "Del
Monte" - emesse dalla società finanziaria Del Monte Finance Luxemburg S.A
con sede in Lussemburgo, appartenente al Gruppo Cirio - per difetto dei requisiti
essenziali ex art. 1325 nn. 1, 3 e 4 c.c. e 23 comma 1, d.lgs. 58/1998, in
relazione all'art. 1418 c.c., nonché per violazione delle norme imperative ex
artt. 94 e 100 Tuf e degli altri specifici obblighi sanciti dal d.lgs. n. 58/98
in relazione all'art. 1418 c.c. . In subordine ne veniva proposto
l'annullamento ex artt. 1394 e 1395 c.c. o la risoluzione per grave
inadempimento della banca.
Il caso all'esame del Tribunale di Lecce riguarda, invece, il collocamento da
parte di una banca di obbligazioni Cirio denominate nell'ordine di acquisto
"Cirio 01-04 6,25%", di cui si chiede la nullità per contrarietà a
norme imperative e, in via gradata, l'annullamento per conflitto di interessi o
la risoluzione per grave inadempimento.
I giudici del tribunale di Brindisi, nel decidere la controversia, aderiscono
all'orientamento giurisprudenziale, in virtù del quale la normativa violata -
ovvero la regolamentazione nel campo dell'intermediazione finanziaria - è posta
a tutela dell'ordine pubblico economico e consiste, pertanto, in norme
imperative alla cui violazione - a norma dell'art. 1418 c.c. - segue il rimedio
della nullità del contratto, anche a prescindere da un'espressa previsione in
tal senso da parte delle singole disposizioni violate. Per i giudici brindisini
il quadro normativo in materia di intermediazione non si limita al rapporto
obbligatorio con l'investitore ma, più in generale, si riferisce allo
svolgimento dell'attività economica come canone di condotta volto a realizzare
una leale competizione e a garantire l'integrità del mercato. Il tribunale,
come già stabilito dai giudici fiorentini[2], osserva come tutto ciò renda
evidente l'esistenza, nella materia dell'intermediazione finanziaria, di
interessi anche di carattere generale che rendono inderogabili le regole di
comportamento. Sicchè un "contratto concluso senza l'osservanza delle
regole di condotta dettate dalla normativa richiamata deve essere dichiarato
nullo, perché contrario all'esigenza di trasparenza dei servizi finanziari che
è esigenza di ordine pubblico (...)".
A diverse conclusioni giunge il tribunale di Lecce che propende per la tesi
dell'inadempimento contrattuale da parte dell'intermediario; in particolare,
per i giudici leccesi la mancata osservanza di obblighi di informazione e di
valutazione è espressione di inadempimento contrattuale e, come tale,
"foriera dell'obbligo di risarcimento dei danni che ne sono
derivati".
A ciò aggiungasi il più recente orientamento emergente dalla lettura della
decisione della Corte d'Appello Milanese secondo la quale la tutela del cliente
- rispetto alla violazione degli obblighi informativi - va ravvisata
nell'azione risarcitoria, che trova fondamento nell'applicazione dell'art. 1337
c.c., di cui l'art. 21 Tuf rappresenta - nell'ambito della tipologia dei
contratti dell'intermediazione finanziaria - una specificazione.
L'informazione precontrattuale nella disciplina dell'intermediazione
finanziaria
Il primo dato che in questa sede merita approfondimento è quello legato ai
profili dell'informazione nell'ambito della disciplina contenuta nel d.lgs. 24
febbraio 1998 (testo unico delle disposizioni in materia di intermediazione
finanziaria) e nel Reg. Consob n. 11522 dell'1 luglio 1998.
In particolare, occorre analizzare quale sia il ruolo dell'informazione nel
settore indagato per poi decidere dell'incidenza dell'omissione sulla sorte del
contratto stipulato.
E' fuor di dubbio, così come ha evidenziato attenta dottrina[3], che la
riflessione sull'obbligo di informazione debba essere contestualizzata e che,
pertanto, si debba diffidare dalle generalizzazioni. In effetti, soprattutto
nel settore dei contratti connotati da asimmetria informativa, la disciplina
dell'informazione presenta una maggiore e più dettagliata articolazione
rispetto a quanto previsto nella parte generale sul contratto, sia con
riferimento alla fase precontrattuale che a quella post-contrattuale[4].
Mentre nel codice civile la teoria degli obblighi di informazione fa perno,
fondamentalmente, sugli artt. 1337 e 1338 (riguardanti la fase delle
trattative) e sull'art. 1375 c.c. (relativa all'esecuzione del contratto),
nella disciplina indagata l'informazione acquisisce una distinta fisionomia ed
un peso ben diverso, perché l'informazione è tramite per l'effettiva conoscenza
e strumento di reale comprensione dell'operazione[5].
Di particolare interesse, al fine, è la motivazione del tribunale leccese, secondo
il quale la banca avrebbe dovuto fornire precise indicazioni circa la
pericolosità dello specifico investimento.
Il dato trova conferma nell'art. 28 del Reg. Consob 11522/1998. Trattasi di una
norma che impone all'intermediario di valorizzare la specificità di ciascuna
contrattazione al fine di mitigare gli effetti di una valutazione del rischio,
svolta a monte su un campione di situazioni ampio e differenziato[6].
Coerentemente con il tenore letterale della disposizione appena richiamata il
collegio leccese ha ritenuto insufficiente l'informazione rilasciata
dall'intermediario mediante la dicitura prestampata "non adeguata"
apposta su un modulo sottoposto all'investitore sull'atto dell'acquisto, poiché
l'ampiezza dell'espressione utilizzata "induce a circoscrivere la portata
stessa della dichiarazione apposta in calce all'ordine di acquisto sottoscritto
dal cliente e sul rischio ad essa correlato"[7] ed a negarle il valore di
esternazione di una reale consapevolezza sulla natura dell'operazione[8].
V'è da evidenziare, in aggiunta, come nella decisione si censuri la difesa
della banca nella parte in cui afferma che "la risparmiatrice sarebbe
comunque stata in grado di valutare la pericolosità dell'operazione alla luce
delle indicazioni contenute nel documento sui rischi dell'investimento di cui
all'art. 28, co. 1, reg. Consob n. 11522/1998, stante la natura generale e
standardizzata di tali indicazioni, laddove la banca avrebbe dovuto fornire
specifiche indicazioni circa la pericolosità di quello specifico
investimento".
Tale orientamento va senz'altro condiviso, posto che la mera consegna del
documento sui rischi generali degli investimenti in strumenti finanziari non
può ritenersi idonea a soddisfare l'esigenza dell'informazione. Si tratta,
infatti, di informativa del tutto generica che non garantisce la conoscenza
concreta ed effettiva del titolo specificamente negoziato: circostanza cui è
subordinata l'assunzione consapevole da parte dell'investitore del rischio
dell'investimento[9].
Analoghe considerazioni valgono anche per la decisione dei giudici brindisini,
i quali rilevano come la banca abbia omesso di fornire informazioni che
avrebbero consentito all'attore una piena consapevolezza degli strumenti
finanziari che si accingeva ad acquistare:"informazioni che, nondimeno,
sono state, nella specie, del tutto omesse, o comunque non vi è prova (...) che
siano state effettivamente fornite".
Il dato trova conferma anche nella decisione della corte milanese secondo la
quale l'art. 21 lett. a) e b), rappresenta una specificazione del principio di
cui all'art. 1337 c.c., e risponde all'esigenza di elevare il livello di
correttezza da parte dell'operatore qualificato il quale - avendo un accesso
facilitato ai dati relativi alle caratteristiche dei titoli - è tenuto a
conoscere prima di consigliarli o metterli in vendite. Ciò implica - pur nella
consapevolezza che in ogni investimento è contenuta una componente di rischio
difficile da azzerare - che l'investitore non può sopportare un difetto di
conoscenza circa il contenuto del titolo e, comunque, degli elementi che
incidono sulla sua consistenza e sicurezza.
Sulla scorta di tale premessa è agevole comprendere la valenza
dell'informazione nella disciplina indagata. E' fuor di dubbio (e le decisioni
in commento lo confermano) che il rafforzamento dell'obbligo informativo sia
giustificato dalla forte asimmetria informativa, frutto anche del fatto che gli
strumenti finanziari, data l'obiettiva complessità che li caratterizza, nella
maggior parte dei casi sono difficilmente apprezzabili nella loro consistenza
dall'investitore[10]. L'informazione, dunque, deve essere in grado di far
assumere al cliente scelte consapevoli, consentendogli soprattutto una reale
valutazione del rischio che si annida nell'operazione.
Di particolare rilevanza è il richiamo del legislatore all'adeguatezza
dell'informazione (d.lgs. 58/1998, art. 21 lett. b) che implica la necessità
che l'informazione sia connotata da una certa flessibilità in ragione della
tipologia del prodotto finanziario offerto. La flessibilità, val la pena
evidenziarlo, non riguarda esclusivamente l'informazione da rendere al cliente,
ma anche quella che l'intermediario deve ricevere da questo.
Ciò posto, l'intermediario potrà collocare un determinato prodotto finanziario
solo dopo aver acquisito le informazioni necessarie dal cliente.
Chiara conferma di ciò si trae dal Regolamento Consob n. 11522/1998 che,
all'art. 28, specifica i criteri anzi citati relativamente allo svolgimento
dell'attività di prestazione dei servizi di investimento. La formulazione della
disposizione impone all'intermediario di valorizzare la specificità di ciascuna
contrattazione "sì da mitigare gli effetti di una valutazione del rischio,
svolta a monte su un campione di situazioni ampio e differenziato"[11].
Correttamente i giudici leccesi sottolineano la necessità che l'intermediario
debba procedere alla valutazione dell'adeguatezza dell'informazione anche nelle
ipotesi in cui il cliente rifiuti di fornire le informazioni ex art. 28, comma
1°, lett.a, Reg. 11522/Consob. Ciò implica che la modulazione dell'attività
informativa deve essere effettuata sempre e comunque, al fine di evitare la
standardizzazione delle informazioni e favorire la flessibilità del flusso
informativo in relazione alla tipologia del cliente.
Del resto in questa direzione si è orientata anche la Consob che, pur non
prevedendo alcuna specifica modalità di assolvimento dell'obbligo di
raccogliere le informazioni dal cliente, ha espressamente stabilito, con
comunicazione del 21 aprile 2000, n. 30396, che l'intermediario non può
"sollecitare in alcun modo il rifiuto dell'investitore di fornire le
informazioni richieste".
Reticenza informativa e tutela
Come già si è anticipato, i due tribunali pugliesi e la Corte d'Appello
Milanese giungono a forme di tutela differenti per la violazione degli obblighi
di informazione. Per Lecce si tratta di inadempimento contrattuale; per Brindisi
trattasi di nullità del contratto per violazione di normativa posta a tutela
dell'ordine pubblico economico. Per Milano si tratta di un risarcimento che
trova fondamento nell'art. 1337 c.c.
V'è da evidenziare, immediatamente, come quest'ultima soluzione abbia dato
avvio ad un ampio dibattito in ordine alla possibilità di configurare la
nullità virtuale tutte le volte in cui sia individuabile - da parte
dell'intermediario - la violazione della normativa posta a tutela del
risparmio.
Trattasi, peraltro, di una soluzione che - in passato - aveva riscosso il
favore della giurisprudenza di legittimità in relazione ad un contratto di
swap, stipulato da un intermediario non iscritto all'albo della società di
intermediazione[12]. Nello specifico i giudici - confermando la sentenza di
appello - avevano concluso per la nullità del contratto, evidenziando: a) che
le disposizioni dettate per le Sim hanno carattere inderogabile derivante dalla
natura pubblica e generale degli interessi con esse garantiti; b) che le disposizioni
concernono la tutela dei risparmiatori uti singuli e quelli del risparmio
pubblico come elemento di valore dell'economia nazionale. Non è peraltro priva
di rilevanza la circostanza che, da tempo, la giurisprudenza abbia sottolineato
che la violazione di una norma imperativa che non preveda espressamente la
nullità impone di controllare la natura della disposizione violata, lo scopo
della legge e la natura della tutela apprestata, se cioè sia di interesse
pubblico o privato[13].
Il dato - lo si è già detto - non è pacifico e le decisioni esaminate lo
confermano. Parte della dottrina[14] ha negato utilità al criterio della
pubblicità dell'interesse tutelato, reputandolo per nulla decisivo ai fini
della soluzione della questione della nullità del contratto nel caso di sua
inosservanza.
Recentemente la giurisprudenza della Corte di Cassazione[15] ha ritenuto che la
nullità virtuale del contratto operi solo quando la contrarietà a norme
imperative riguardi elementi intrinseci del contratto: cioè struttura o
contenuto del medesimo. Essa va pertanto esclusa quando contrari a norme
imperative siano comportamenti tenuti dalle parti nel corso delle trattative o
durante l'esecuzione del contratto, salvo che il legislatore preveda
espressamente la nullità. In altri termini - stando al recente orientamento dei
giudici di legittimità - detti comportamenti rimangono estranei alla
fattispecie negoziale e la loro eventuale illegittimità, quale che sia la
natura delle norme violate, non può dar luogo alla nullità del contratto a meno
che non ci sia un'espressa previsione normativa.
Trova posto in questa decisione - che si pone in contrasto con quanto sostenuto
dai giudici di Brindisi - la distinzione tra regole di validità e regole di
responsabilità; si riafferma, in altre parole, che le regole di comportamento
non possano avere alcuna ricaduta sulla validità del contratto[16]. Tale
argomento è stato oggetto di approfondito dibattito in dottrina e si è già
sottolineato in altra sede[17] come una rivisitazione di tale impostazione sia
stata già auspicata sulla scorta di una attenta lettura delle norme
codicistiche ed in particolare dell'art. 1337 c.c.[18].
Parte della dottrina[19] ha decisamente avversato questo indirizzo, perchè le
regole di validità e di comportamento hanno statuti normativi e funzioni
alquanto diversi, riferendosi le prime alla vincolatività dell'accordo e le
seconde alla moralità delle contrattazioni. Proprio in ragione del fatto che la
correttezza in contrahendo è il punto di riferimento finale della tutela che il
legislatore accorda con i sistemi dei vizi del consenso, ove essa venisse resa
tout court e indistintamente oggetto di protezione non si realizzerebbe tanto
l'effetto di ampliare il novero delle ipotesi di invalidità, quanto piuttosto
si introdurrebbe, sotto mentite spoglie, un principio antagonista che,
togliendo qualsiasi significato alla loro disciplina, sarebbe in grado di
scardinare l'intero sistema dei vizi del consenso. In questa prospettiva si è
sottolineata - con estrema fermezza - l'autonomia delle regole di validità e di
responsabilità proprio negando che il sistema delle invalidità negoziali possa
essere integrato da ipotesi di invalidità desunte dalla violazione di regole
comportamentali, rilevanti solo sul piano risarcitorio[20].
Non è certamente questa la sede per approfondire una questione così complessa.
Tuttavia possiamo limitarci a segnalare che già all'interno del codice civile
possono individuarsi delle ipotesi in cui problematiche di validità del
contratto e di responsabilità si intrecciano. Si pensi all'area in cui le
regole sui vizi del volere interferiscono con quelle sulla responsabilità
contrattuale[21].
Oltretutto nel settore indagato sarebbe estremamente riduttivo immaginare che
le regole comportamentali previste dal legislatore si limitino - sic et
simpliciter - alla fase precontrattuale. Ad un più attento esame tali regole
paiono incidere sul profilo contenutistico del contratto[22].
Si pensi all'art. 28 Re. Consob n. 11522/1998 che stabilisce l'impossibilità
per l'intermediario di effettuare operazioni o prestare il servizio di gestione
se non dopo aver fornito all'investitore informazioni adeguate sulla natura,
sui rischi e sulle implicazioni della specifica operazione o del servizio, la
cui conoscenza sia necessaria per effettuare consapevoli scelte di
investimento. Per dirla in altri termini, l'informazione dovrà specificare la
natura, i rischi e le implicazioni dell'investimento e laddove questa manchi
l'operazione o il servizio non potrà essere prestato.
Così ragionando[23] non appare azzardato affermare che queste informazioni
integrano il contenuto del contratto. L'obiettivo del legislatore è proteggere
la corretta formazione della volontà di aderire all'operazione contro
rappresentazioni incomplete ed inattendibili che non possono che mettere in
crisi la vicenda contrattuale.
Per di più queste informazioni "non hanno solo una dimensione protettiva
con specifico riferimento alla formazione della volontà e del convincimento ma
assurgono ad un ruolo attivo di conformazione del rapporto, spostandosi così
nella definizione di un modello ottimale ed efficiente di scambi di
mercato"[24].
I giudici brindisini osservano che il principale scopo della regolamentazione
nel campo dell'intermediazione finanziaria è assicurare l'affidabilità delle
informazioni fornite al cliente, garantendo la sostanzialità e l'accuratezza
dei consigli di investimento da questi ricevuti. I sistemi regolamentati si
preoccupano di mitigare lo svantaggio informativo sopportato dagli investitori
non sofisticati nella fruizione dei servizi prestati dagli intermediari
finanziari. Un contratto di investimento, concluso senza l'osservanza delle
regole di condotta dettate dalla normativa richiamata, deve essere dichiarato
nullo, perché contrario all'esigenza di trasparenza dei servizi finanziari, che
è esigenza di ordine pubblico.
Può quindi ritenersi, in assenza di un'alternativa alla nullità virtuale, che
un contratto concluso in violazione di una norma imperativa che non preveda expressis
verbis una specifica sanzione sia nullo.
Il Tribunale di Lecce, sia pur sinteticamente, aderisce alla tesi secondo cui
la mancata osservanza degli obblighi di informazione e di valutazione (art. 21
t.u.l.f. e artt. 28 e 29 Reg. Consob 11522/1998) è senz'altro espressione di
inadempimento contrattuale. I giudici leccesi sembrano, così, voler aderire
all'orientamento già manifestato in passato da un altro tribunale pugliese[25]
(sempre appartenente alla medesima Corte d'Appello) in virtù del quale può
fondatamente parlarsi di inadempimento dell'intermediario piuttosto che di
conclusione di un contratto nullo; in quanto il vizio non è genetico, ma
funzionale, nel senso che il vizio riguarda le prestazioni che dovevano essere
rese sulla base del negozio concluso.
Nella stessa direzione si era già espresso qualche tempo addietro il tribunale
capitolino[26],il quale aveva osservato che "nei contratti con prestazioni
corrispettive i doveri di correttezza, di buona fede e diligenza, di cui agli
artt. 1338, 1374, 1575 e 1175 c.c., si estendono anche alle cosiddette
obbligazioni collaterali di protezione, di informazione, che presuppongono e
richiedono una capacità discretiva ed una disponibilità cooperativa e, quindi,
nel tenere conto delle controparti dell'acquisto. Tali doveri ed obblighi
impongono che l'imprenditore, anzitutto, si preoccupi dell'esatta
specificazione delle caratteristiche del bene compravenduto al momento
dell'acquisto".
Tale soluzione non convince appieno. Non emerge con nitidezza la valenza
dell'obbligo di informazione. In altri termini non si riesce a comprendere se
quelle informazioni rese nella fase precontrattuale subiscano una sorta di
attrazione nel contratto concluso, sicchè la loro violazione giustifichi - in
favore del risparmiatore - il risarcimento per inadempimento.
Ancora diversa è la soluzione accolta dalla Corte Milanese, che, nel ribadire
la non interferenza tra regole di comportamento e regole di validità del
contratto, giunge a ritenere che si tratti di responsabilità contrattuale. In
altre parole, osservano i giudici, il campo di applicazione della
responsabilità contrattuale non è circoscritto alle ipotesi in cui il
comportamento non conforme a buona fede abbia impedito la conclusione di un
contratto o abbia determinato la conclusione di un contratto invalido ovvero
(originariamente) inefficace. In questa prospettiva si afferma che il perimetro
di applicazione dell'art. 1337 c.c. va oltre l'ipotesi della rottura
ingiustificata delle trattative, assumendo il valore di una clausola generale
che implica - nell'ambito dei contratti dell'intermediazione finanziaria - un
dovere di trattare in modo leale, astenendosi non solo da comportamenti
ingannatori ma anche solo reticenti. Così ragionando, la conclusione di un contratto
valido ed efficace non è da ostacolo alla proposizione di un'azione
risarcitoria fondata sulla violazione della regola posta dall'art. 1337 c.c. o
di obblighi più specifici riconducibili a detta disposizione, qualora il danno
trovi il suo fondamento nella violazione di obblighi relativi alla condotta
delle parti nel corso delle trattative e prima della conclusione di un
contratto. Il danno risarcibile sarà dunque quantificato avendo riguardo al
minor vantaggio o al maggior aggravio economico determinato dal contegno sleale
di una delle parti.
V'è però da segnalare, sul punto, l'orientamento decisamente avverso di una
parte della dottrina[27] che nega la possibilità di ottenere attraverso lo
strumento risarcitorio la "correzione" dei risultati economici
pregiudizievoli di un regolamento di interessi, pur validamente stipulato. In
particolare si osserva che tale eventualità consentirebbe la
"correzione" (attraverso la misura risarcitoria) del profilo
economico-monetario del contratto, permettendo la modifica (ad opera del
giudice) del regolamento di interessi stabilito dalle parti[28]. Per di più
l'estensione del risarcimento anche ai danni "positivi" per aver
concluso a condizioni peggiori di quelle che si sarebbe potuto conseguire in
una trattativa corretta, traviserebbe la stessa nozione di culpa in contraendo
e consentirebbe ai giudici - in molti casi - di fare il contratto tra le
parti[29].
E si optasse per una soluzione alternativa?
Si sono diffusamente palesate talune perplessità della dottrina e della stessa
giurisprudenza sulla possibilità di sanzionare la violazione degli obblighi di
informazione e quindi la reticenza dell'intermediario con la nullità virtuale
del contratto. Maggiori dubbi manifesta - per le ragioni già illustrate - la
scelta di applicare alla violazione di queste regole la responsabilità
contrattuale per inadempimento. Perplessità, poi, non mancano anche in ordine
alle conclusioni cui giunge la Corte milanese.
Il "caos" giurisprudenziale - come è agevole intuirlo - è il frutto
evidente di un quadro normativo assolutamente incompleto che, a nostro avviso,
consente di individuare anche una terza via[30].
Come si è detto, non v'è dubbio che tutta legislazione più recente assecondi
l'idea che l'informazione precontrattuale costituisca parte integrante
dell'operazione economica, nel senso che l'informazione deve permettere al
contraente "debole" di avere in dotazione un bagaglio di notizie
connotate dai caratteri della chiarezza e della esaustività, al fine di
superare pratiche contrattuali oscure ed opache e comportamenti fortemente
penalizzanti per il cliente. L'obbligo di informazione è dunque finalizzato
all'obiettivo di assicurare al contraente debole il massimo di conoscenze
qualificate utili e rilevanti possibili, che valgano a porlo nella condizione
ideale di effettuare consapevoli e ragionate scelte.
Sicchè appare assolutamente coerente il richiamo al dolo[31] ed eventualmente
all'errore; ben può ritenersi che la reticenza dell'intermediario in ordine
alle informazioni che la legge gli impone di fornire possa condurre -
ricorrendone i presupposti -all'annullamento del contratto. Va ricordato in
questa sede come il termine reticenza abbia acquisito con il tempo una valenza
di mezzo fortemente rappresentativo ed evocativo di ogni vicenda di mancata
comunicazione di dati rilevanti[32].
Del resto, etimologicamente reticenza e silenzio sono concetti diversi. Il
primo è rappresentativo del contegno di chi non dice quel che potrebbe o
dovrebbe dire. Il silenzio non necessariamente presuppone la conoscenza della
circostanza non rivelata, mentre la reticenza implica sempre la cognizione di
ciò che non si dice e, quindi, la coscienza e volontarietà dell'atto
omissivo[33].
Va segnalato, peraltro, come la stessa giurisprudenza di legittimità abbia
affermato che il dolo quale vizio di annullamento del contratto non deve
necessariamente consistere nell'inganno posto in essere con una condotta
positiva di raggiro e/o mediante la comunicazione di notizie false, ma può
anche ravvisarsi quando siano state taciute da uno dei contraenti all'altro, in
violazione del principio di buona fede, fatti e circostanze decisivi che, se
conosciute, l'altra parte non avrebbe prestato il proprio consenso[34].
Il superamento di comportamenti reticenti si giustifica - a maggior ragione -
nel contesto della disciplina dei contratti connotati da asimmetria
informativa, ove anche la dottrina più autorevole segnala il trascorrere
dell'informazione "dalla mera rilevanza di comportamenti omissivi in termini
di dolo o di inganno circa aspetti o qualità rilevanti della lex contractus - e
cioè nella sede del processo formativo del volere - a (vero e proprio) set di
obblighi e/o doveri a contenuto positivo quale rimedio, per definizione, contro
il lack di conoscenze del contraente che non è stato in grado di
procurarsele"[35].
In questa prospettiva può senz'altro sostenersi che l'omissione di
comunicazioni che la legge impone di fornire può configurare la fattispecie del
dolo come vizio del consenso.
Per concludere il contegno reticente dell'intermediario in presenza di
un'espressa previsione di legge che gli impone di comunicare una serie di
informazioni - determinanti per l'adesione consapevole del consumatore - è
idoneo ad integrare la fattispecie del dolo contrattuale; il silenzio su
determinate circostanza è più che sufficiente a creare l'inganno, posto che la
specificità dell'informazione - giova ribadirlo - è posta a garanzia
dell'adesione consapevole del risparmiatore.
*Commento destinato alla rivista "Danno e Responsabilità", Ipsoa, 5,
2007
[1] In questi termini si esprime ROPPO, La tutela del risparmiatore fra
nullità, risoluzione e risarcimento (ovvero, l'ambaradan dei rimedi
contrattuali), in Contr. e impr., 2005, 896 ss.
[2] Trib. Firenze, 19 aprile 2005.
[3] Il riferimento è a GRISI, voce Informazione (Obblighi di), in Enc. Giur.
Treccani (Vol. Aggiornamento), 2006, 5.
[4] Sul punto v. F. GRECO, Profili del contratto del consumatore, Napoli, 2005,
40 ss.
[5] GRISI, op. cit., 7. Evidenzia l'A. come sembra superato l'approccio
formalistico, quello "per intenderci, ispirante la disciplina delle
condizioni generali di contratto (...)".
[6] Sul punto si rinivia a F. GRECO, Tutela dei risparmiatori e responsabilità
del promotore finanziario, del soggetto abilitato e della Consob, Milano, in
Resp. civ. prev., n. 4-5, 2005, 977.
[7] Così testualmente la motivazione della decisione.
[8] Nella stessa direzione v. anche Trib. Genova, 22 aprile 2005, in www.ilcaso.it
[9] In questa direzione v., tra le altre, la decisione del Tribunale di Mantova
del 12 novembre 2004, in Contratti, 6, 2005, 585 ss., con nota di M.M. GAETA.
[10] F. GRECO, Profili del contratto del consumatore, op. cit., 8-9.
[11] DE POLI, Asimmetrie informative e rapporti contrattuali, Padova, 2002,
175, nota 26.
[12] Il riferimento è a Cass. 7 marzo 2001, n. 2372.
[13] In tal senso v. Cass., Sez. Un. 2697/1972; Cass. 3794/1975; Cass.
5311/1979; Cass., 6601/1982.
[14] Il riferimento è a LUCCHINI GUASTALLA, Danno agli investitori e
responsabilità delle autorità di vigilanza e degli intermediari finanziari, in
Resp. civ. prev., 2005, 38. Evidenzia l'A. come possano "nutrirsi seri
dubbi circa il fatto che l'interesse principale e prevalente tutelato dalla
normativa in questione possieda quelle caratteristiche di interesse pubblico
generale che la giurisprudenza solitamente considera come presupposto
necessario per poter addivenire ad una pronuncia di nullità del contratto
nell'ipotesi in cui vi sia stata la violazione del precetto imposto dalla norma
imperativa; ciò in quanto le norme de quibus appaiono, ben diversamente, poste
a tutela degli interessi degli invesitori che si trovino ad utilizzare i c.d.
servizi di investimento e, dunque, solo indirettamente (o, al limite in via
complementare) semberebbero assolvere alla funzione di garantire la trasparenza
del mercato e la tutela del risparmio".
[15] Il riferimento è a Cass., 29 settembre 2005, n. 19024, in Danno Resp., 1,
2006, 25 ss. con nota di ROPPO e AFFERNI (Dai contratti finanziari al contratto
in genere: punti fermi della Cassazione su nullità virtuale e responsabilità
precontrattuale) e in Resp. civ. prev., 4, 2006, 1080 ss., con nota di F. GRECO
(Difetti di accordo e nullità nell'intermediazione finanziaria)
[16] In questa direzione v. ROPPO, La tutela del risparmiatore fra nullità,
risoluzione e risarcimento (ovvero, l'ambaradan dei rimedi contrattuali, op.
cit., 627; A. DI MAJO, Prodotti finanziari e tutela del risparmiatore, in Corr.
giur., 2005, 1284. Per quest'ultimo A. non si fa buon governo delle categorie
che riguardano il comportamento dei consociati e la cui violazione è fonte di
responsabilità e regole che attengono invece ai requisiti di atti giuridici,
posti nell'interesse generale, ove la conseguenza se inosservata è la
invalidità degli stessi. In argomento v., anche, A. PERRONE, La responsabilità
degli intermediari, in Banca borsa tit. cred., 2006, 372 ss.
[17] F. GRECO, Profili del contratto del consumatore, op. cit., 1090.
[18] Per un approfondimento si rinvia a R. SACCO, Il consenso, in E. GABRIELLI
(a cura di), I contratti in generale, I, t.1, in P. RESCIGNO (diretto da),
Trattato dei contratti, 1999, 404 ss.
[19] D'AMICO, Le regole di validità e principio di correttezza nella formazione
dei contratti, Napoli, 1996, 44 ss. Evidenzia GRISI, voce Informazione, op.
cit. , 14 che se si guarda alla tutela, "resta ineludibile - nell'ambito
del rapporto individualizzato, come pure in una più ampia prospettiva - il
riferimento alla dialettica tra regole di responsabilità (e rimedio
risarcitorio) e regole di validità (e tecniche di invalidazione e/o di
inefficacia): la prima sembra, sovente, chiamata, in via suppletiva, a colmare
i vuoti lasciati dalla seconda, ma un'unica lettura da tutti ben accetta non
esiste dacchè - com'è logico - le soluzioni avanzate divergono a seconda che si
acceda o meno ad una logica di interferenza tra le regole succitate".
[20] D'AMICO, op. cit., 68
[21] Come già si è affermato in altra sede (F. GRECO, Difetto di accordo e
nullità nell'intermediazione finanziari, in Resp. civ. prev., 6, 2006, 1091)
"il referente normativo fondamentale è l'art. 1338 c.c. che impone alla
parte che conosce o dovrebbe conoscere l'esistenza di una causa di invalidità
di darne notizia alla controparte, pena il risarcimento del danno da questa
risentito per aver confidato senza sua colpa nella validità del contratto. E'
stato correttamente osservato, a tal proposito, che i criteri in base ai quali
giudicare se la parte non errante conosceva o avrebbe potuto non conoscere
l'errore essenziale del partner contrattuale sono gli stessi cui l'art. 1431
c.c. affida l'accertamento della riconoscibilità dell'errore invalidante.
Quanto basta per sostenere, insomma, la combinazione tra regole di validità e
regole di responsabilità."
[22] Osserva GRISI, voce Informazione, op. cit., 14 come gli scambi di mercato
rinviino a meccanismi negoziali connotati dalla massificazione e dalla
spersonalizzazione del rapporto; logico dunque che rispondano a logiche non
assimilabili a quelle che governano la contrattazione individuale.
[23] F. GRECO, Difetto di accordo e nullità nell'intermediazione finanziaria,
op. cit., 141.
[24] F. GRECO, Difetto di accordo e nullità nell'intermediazione finanziaria,
op. cit., 141. Va segnalato che il Tribunale di Milano con decisione del 20
marzo 2006, in www.ilcaso.it ha operato un'ulteriore distinzione
tra norme che contemplano la violazione di obblighi comportamentali che mai
potrebbero produrre ex art. 1418 c.c. la nullità e regole che presiedono (a
monte) la distribuzione di titoli sul mercato, relativamente alle quali, in
considerazione dei più generali interessi sottesi, la sanzione della nullità ,
ex art. 1418 c.c. - per contrarietà all'ordine pubblico economico - appare più
appropriata.
[25] Il riferimento è a Trib. Taranto, 27 ottobre 2004, in Giur. It., 2005,
754.
[26] Trib. Roma, 8 ottobre 2004, in www.ilcaso.it
[27] D'AMICO, op. cit., 249
[28] D'AMICO, op. cit., 249 ss. Osserva l'A. che tutto ciò è incompatibile con
i principi del nostro diritto dei contratti.
[29] D'AMICO, op. cit., 249 ss., nota 369.
[30] Qualche cenno verso una "terza" via è gia contenuto in F. GRECO,
Tutela dei risparmiatori e responsabilità del promotore finanziario, del
soggetto abilitato e della Consob, op. cit., 986. Ma qualche riferimento si
trova anche in in F. GRECO, Profili del contratto del consumatore, op. cit.,
63.
[31] Di questo avviso è GRISI, voce Informazione, cit., 14.
[32] Per un approfondimento si rinvia a G. VISINTINI, La reticenza come causa
di annullamento del contratto, in Riv. dir. civ., 1972, 170. Per l'A. il
principio di correttezza dell'art. 1337 c.c., impone un generale obbligo di
informazione, almeno relativamente all'oggetto della trattativa ed alle
circostanze che condizionano gli scopi perseguiti, per cui la reticenza in tale
ambito sarebbe sempre causa di annullamento. Id., La responsabilità della banca
per false informazioni nel quadro dei servizi ai clienti, Relazione al convegno
"Mercato finanziario e tutela del risparmio, Gardone Riviera, 10 e 11
giugno 2005. In giurisprudenza v.: Trib. Parma, 22 luglio 2005 che ha annullato
la vendita di alcuni bond Parmalat Finance Corporation Bv di Rotterdam, finito
in default con il crack di Collecchio.
[33] GRISI, L'obbligo precontrattuale di informazione, Napoli, 1990, 282
[34] Cass. 7 agosto 2002, n. 11896, in Riv. dir. civ., 2004, II, 911 con nota
di DE POLI (Servono i "raggiri" per annullare il contratto per dolo?
Note critiche sul concetto di reticenza invalidante).
[35] A. DI MAJO, Libertà contrattuale e dintorni, in Riv. crit. Dir. priv.,
1995, 17
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