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Il Caso.it, Sez. Articoli e Saggi - Data pubblicazione 22/11/2007 Scarica PDF
La regola dell'informazione nel nuovo regolamento Consob
Fernando Greco, ProfessoreSommario: 1.
L'informazione; 2. Segue: adeguatezza, appropriatezza e connessioni con
l'informazione; 3. Segue: la selezione delle informazioni; 4. Segue: la
trasparenza.
1. L'informazione
Che cosa è l'informazione? Potrebbe essere questo l'interrogativo dal quale far
partire la riflessione.
Si potrebbe affermare, in prima battuta, che l'informazione - nel settore
indagato - non equivalga a mera comunicazione, ma identifichi l'attività
comunicativa funzionale alla conoscenza dell'operazione economica.
Ma a questo punto è legittimo domandarsi cosa sia la conoscenza. La conoscenza
dell'operazione economica dovrebbe consentire al soggetto che riceve
l'informazione di chiarire qualsiasi "zona d'ombra" e confusione.
In altri termini l'informazione deve essere resa in misura idonea a consentire
la comprensione da parte del destinatario. Tutto questo, ai fini che qui
interessano, deve essere necessariamente calato in un contesto - quale è quello
dell'intermediazione finanziaria - che manifesta delle peculiarità tutte
proprie rispetto ad altri ambiti settoriali e che non può - assolutamente -
prescindere da un'ottica relazionale tra le parti coinvolte che più avanti si
tenterà di chiarire.
Prima di addentrarsi più specificamente nell'oggetto dell'indagine è opportuno
rilevare, più in generale, come negli ultimi anni, si sia assistito ad una
enorme diffusione di regole relative all'informazione; ciò è stato giustificato
dalla necessità di porre in essere correttivi della disparità di posizioni
contrattuali al fine di agevolare la corretta formazione della volontà
contrattuale, sul presupposto che il perseguimento di questo risultato non può
prescindere dalla acquisizione da parte del contraente debole della conoscenza
esatta dei termini della contrattazione in itinere.
Soprattutto nei c.d. contratti connotati da "asimmetria informativa",
e quindi nei contratti del consumatore, il concetto di trattativa diventa
evanescente e viene ad essere rafforzato il nesso tra momento precontrattuale e
contratto. Ciò si realizza - essenzialmente - con la contrapposizione alla
disciplina degli obblighi informativi nella c.d. contrattazione individuale di
un'ampia e variegata normativa dello stesso fenomeno nella legislazione
speciale, volta a regolare meccanismi negoziali caratterizzati dalla
massificazione e dalla spersonalizzazione del rapporto.
Pare opportuno ricordare in questa sede che all'interno del codice civile la
teoria degli obblighi di informazione fa perno - fondamentalmente - sugli artt.
1337 e 1338 c.c. riguardanti la fase delle trattative, nonché sull'art. 1375
c.c. riguardante l'esecuzione del contratto.
Ad una attenta valutazione della disciplina codicistica non può sfuggire la
mancanza da parte del legislatore di una previsione tassativa delle
comunicazioni da effettuare; né è dato scorgere la fissazione di schemi rigidi.
E' evidente che la scarsa attenzione del legislatore del 1942 a questi aspetti
trova la sua spiegazione nel fatto che la scelta legislativa sottovaluta le
vicende di differente forza contrattuale tra soggetto e soggetto.
Fatta questa premessa può evidenziarsi come - già con riferimento alla
disciplina dei contratti del consumatore in senso stretto (tralasciando per un
momento quelli dell'intermediazione finanziaria) - il riferimento all'art. 1337
c.c., in virtù del quale le parti devono comportarsi secondo buona fede nella
formazione del contratto e l'obbligo ex art. 1338 c.c. di dare notizia alla
controparte della cause di invalidità note ad un solo contraente, manifestino
la loro inadeguatezza tanto da essere ritenuti insufficienti ad impedire che la
diffusione della contrattazione standardizzata e seriale tra professionista e
consumatore sommasse un significativo squilibrio di conoscenza e di
consapevolezza allo squilibrio di forze economiche e di poteri contrattuali.
E' del tutto evidente che - a maggior ragione - nel settore
dell'intermediazione finanziaria la regola dell'informazione assume ancor più
rilevanza posto che il consumatore-investitore può effettuare la valutazione
della rispondenza al proprio interesse dell'acquisto del prodotto o servizio
finanziario, solo attraverso le informazioni che sono in possesso
dell'intermediario ovvero attraverso coloro che sono i soli ad avere un maggior
accesso alla conoscenza del bene ed al contempo anche il maggior interesse alla
conclusione dell'affare.
E' proprio l'inafferrabilità del bene a giustificare il forte impulso del
legislatore verso la regola dell'informazione e ciò, come è stato affermato in
dottrina, in armonia con una policy di più ampio respiro, caratterizzante i
sistemi giuridici occidentali favorevoli all'espansione del dovere di informare
(duty of disclosure).
L'obiettivo cui sembra ambire il legislatore è quello della chiarezza e
dell'esaustività dell'informazione e ciò al fine di "riscattare" il
risparmiatore dalla sua naturale posizione di debolezza contrattuale.
Parte della dottrina ha poi evidenziato come nel settore indagato assuma più
rilevanza all'interno dello scambio la componente fiduciaria piuttosto che
l'informazione che, invece, tende a perdere di importanza. Più precisamente si
osserva che tanto più il bene è inafferrabile, tanto minore deve essere
l'importanza o meglio l'utilità dell'informazione precontrattuale, mentre
maggiore deve essere l'importanza della fiducia nell'intermediario finanziario
cui di fatto delegare le scelte valutative.
Tale tesi non convince appieno. Al di là del rapporto fiduciario, indubbiamente
rilevante data la peculiarità dell'ambito settoriale, devesi ritenere che solo
l'informazione possa rappresentare la garanzia dell'adesione consapevole del
risparmiatore, consentendogli di avere in dotazione un bagaglio di notizie
utili a porre in essere una scelta razionale. Sarebbe illogico aderire alla
contrattazione confidando - esclusivamente o prevalentemente - sulla
fiduciarietà del rapporto e attribuendo un ruolo marginale ad una completa ed
esaustiva informazione.
Così ragionando può senz'altro ritenersi che l'obbligo di informazione sia
finalizzato all'unico obiettivo - ripetutamente dichiarato dal legislatore - di
assicurare al risparmiatore il massimo di conoscenze qualificate utili e
rilevanti possibili, che valgano a porlo nella condizione ideale di effettuare
consapevoli e ragionate scelte.
Con ciò, evidentemente, non si deve sminuire il ruolo che la componente
fiduciaria svolge in questo contesto, ma non può autorizzare ad identificare
quale migliore via d'uscita, alla quale fare sempre ricorso, il rapporto
fiduciario intermediario/investitore.
E' proprio tale componente a svolgere un ruolo ancor più incisivo nell'ambito
dell'obbligo di informare dato che la conoscenza più approfondita
dell'interlocutore "debole" dovrebbe indurre l'intermediario a
modulare l'attività informativa in considerazione delle sue effettive qualità.
A conferma di questo dato basti guardare alla disciplina contenuta nel TUF ove
all'art. 21 lett. b) vi è un chiaro riferimento all'adeguatezza informativa.
Tale requisito è inserito subito dopo l'obbligo posto a carico
dell'intermediario di acquisire le informazioni necessarie dai clienti. Il
tenore della norma richiamata implica, inevitabilmente, che l'obbligo di
informare non può ritenersi standardizzato ma dovrà necessariamente essere
"tarato" in base al profilo individuale del cliente-risparmiatore. E'
dato dunque riscontrare la necessità di una maggiore attenzione alla
flessibilità dell'informazione.
Stando alla lettura dell'art. 21 TUF non può parlarsi, dunque, di informazione
all'investitore tout court, ma piuttosto di informazione adeguata che implica
la necessità di valorizzare la specificità di ciascuna contrattazione.
Si promuove, dunque, una modulazione dell'attività informativa in relazione
all'esperienza dell'investitore, tanto più elevandola quanto minore dovesse
manifestarsi tale esperienza.
Così ragionando, l'informazione precontrattuale nella disciplina
dell'intermediazione sembra emanciparsi da una logica di standardizzazione in
senso stretto e sembra non porsi l'obiettivo di informare il risparmiatore
"medio" ma, piuttosto, appare ispirata al soddisfacimento del
particolare e singolo investitore interessato alla contrattazione.
Chiara conferma di questo dato si traeva già nel Regolamento Consob 11522/1998
del 1° luglio 1998, relativamente allo svolgimento dell'attività di prestazione
dei servizi di investimento. In particolare, disponeva l'art. 28 (che aveva
recepito la c.d. know Your customer rule di origine anglosassone) che prima
della stipulazione del contratto di gestione e di consulenza in materia di
investimenti, e prima dell'inizio della prestazione dei servizi di investimento
e dei servizi accessori a questi collegati, gli intermediari devono chiedere
all'investitore notizie circa la sua esperienza in materia di investimenti in
strumenti finanziari, la sua situazione finanziaria, i suoi obiettivi di
investimento nonché la sua propensione al rischio.
Inoltre - stabiliva la norma - gli intermediari hanno l'obbligo di consegnare
all'investitore il documento sui rischi generali degli investimenti in
strumenti finanziari.
L'articolo dianzi richiamato imponeva - necessariamente - all'intermediario la
necessità di valorizzare la specificità di ciascuna contrattazione, al fine di
"mitigare gli effetti di una valutazione, del rischio, svolta su un
campione di situazioni ampio e differenziato".
Il recente regolamento Consob n. 16190/2007 sembra avere privilegiato - quanto
meno in prima battuta - un'altra via eleggendo a modello cui riferirsi
l'investitore medio.
Più nel dettaglio l'art. 28 - riferentesi alle condizioni per le informazioni
corrette, chiare e non fuorvianti - dispone espressamente al comma 2°, lett.
C), che le informazioni debbano avere un contenuto e siano con ogni probabilità
comprensibili per l'investitore "medio" del gruppo al quale sono
dirette o dal quale saranno ricevute.
Pertanto se ci si riferisce al "cliente al dettaglio" - ovvero alla
categoria dei normali investitori individuali - dovrà prendersi a parametro
l'investitore medio appartenente a tale gruppo.
La nuova regolamentazione sembra voler privilegiare un procedimento di
astrazione. Si tratta, probabilmente, di una precisa scelta politica mirata ad
individuare misure omogenee nella disciplina dell'intermediazione, anche al
fine di evitare che l'investitore possa sulla base di una valutazione
giudiziale - più o meno discrezionale - accedere alla tutela privilegiata.
Tuttavia tale opzione non sembra in linea di tendenza con il successivo art. 39
Reg. Consob 16190/2007 che - recependo le indicazioni contenute nella direttiva
Mifid - ribadisce e rafforza l'ambito delle informazioni che l'intermediario
deve acquisire dal cliente, tant'è che proprio al fine di
"raccomandare" i servizi di investimento e gli strumenti finanziari
adatti al cliente o al potenziale cliente nella prestazione di servizi di
consulenza in materia di investimenti o di gestione del portafoglio, gli
intermediari devono ottenere dal cliente alcune "necessarie"
informazioni. Trattasi di informazioni attinenti alla conoscenza ed alla
esperienza del risparmiatore nel settore di investimento rilevante per il tipo
di strumento o servizio, alla sua situazione finanziaria, ai suoi obiettivi di
investimento. Quanto basta per affermare che non si può identificare un
cliente-tipo, ma occorre considerare la peculiarità del singolo investitore.
Il ruolo fondamentale della informazione "da ricevere" dal cliente è
poi rafforzato dall'ultimo comma dell'art. 39 Regolamento 16190/2007, che vieta
all'intermediario di incoraggiare il risparmiatore a non fornire le
informazioni richieste.
Ad adiuvandum, si contrappone alla scelta di individuare un modello identico
per calibrare le informazioni anche l'art. 27 del nuovo regolamento che -
nell'individuare i requisiti generali delle informazioni - dispone che gli
intermediari "forniscono (...) in forma comprensibile informazioni
appropriate". E' ovvio che ha un senso discutere di appropriatezza laddove
questa sia riferibile allo specifico risparmiatore; ragionando diversamente
l'aggettivo appropriato nel contesto appena richiamato non avrebbe alcun
significato, a meno che non si voglia intendere l'appropriatezza come stretta
connessione dell'informazione al servizio di investimento. Ma, ad un attento
esame, non sembra questo l'obiettivo della disposizione posto che quest'ultima
collega l'appropriatezza al dato che l'investiore possa "ragionevolmente
comprendere la natura dei servizi di investimento e del tipo specifico di
strumenti finanziari interessati e dei rischi ad essi connessi (...)" .
Dunque, non mancano nel nuovo regolamento Consob talune contraddizioni che
sembrano, in qualche modo, ancora "salvaguardare" una modulazione
dell'attività informativa in relazione all'esperienza dell'investitore, tanto
più elevandola quanto minore dovesse manifestarsi tale esperienza.
Resta poi discutere in ordine alla qualificazione giuridica della richiesta
delle informazioni dai clienti per valutare l'adeguatezza del servizio a chi lo
sta per ricevere; devesi ritenere che - sotto un profilo giuridico - tale
richiesta più che qualificarsi come obbligo in senso tecnico-giuridico, pare
configurare un onere, il cui inadempimento comporta come conseguenza negativa
per l'onerato (l'intermediario) l'impossibilità di potersi giustificare di
fronte ad eventuali pretese risarcitorie o invalidanti di un risparmiatore che
abbia subito un danno e che, diversamente, non avrebbe subito qualora il
professionista ne avesse accertato accuratamente la posizione.
Si è già detto che strettamente connesso all'accertamento della situazione
finanziaria del cliente è, poi, l'obbligo dell'intermediario di far luce
tramite richiesta all'investitore con il quale contratta, sui suoi obiettivi.
In questo modo, è agevole comprenderlo, i motivi fuoriescono dalla sfera
interna del cliente ed hanno accesso nel rapporto negoziale, ragion per cui non
potrà non tenersene conto in sede di valutazione della responsabilità
dell'intermediario di fronte a scelte che si rivelino penalizzanti per il
cliente.
Del resto già nel precedente regolamento Consob, uno dei principali doveri
degli intermediari nella prestazione dei servizi di investimento e accessori
era proprio quello di astenersi dall'effettuare con o per conto degli
investitori operazioni non adeguate per tipologia, oggetto, frequenza e
dimensione (art. 29, 1° e 2° comma, Reg. Consob 11522/1998). E' chiaro che una
valutazione di questo tipo poteva essere effettuata solo ove l'intermediario
avesse
correttamente assolto alla prescrizione dell'art. 28 Reg. Consob.
Nella recente regolamentazione è espressamente stabilito che l'intermediario
debba - sulla scorta delle informazioni ricevute dal cliente - valutare che la
specifica operazione - consigliata o realizzata nel quadro della prestazione
del servizio di gestione dei portafogli - corrisponda effettivamente agli
obiettivi di investimento del cliente (art. 40, comma 1°, lett. A), sia di
natura tale che il cliente sia finanziariamente in grado di sopportare
qualsiasi rischio connesso all'investimento compatibilmente con i suoi
obiettivi e sia di natura tale per cui il cliente possieda la necessaria
esperienza e conoscenza per comprendere i rischi inerenti all'operazione o alla
gestione del suo portafoglio.
Dalle notazioni svolte è agevole comprendere come si attribuisca
all'informazione precontrattuale (da fonire e da ricevere) uno spessore diverso
e, se vogliamo, per molti versi inedito rispetto alla disciplina codicistica ed
alla normativa più generale dei contratti dei consumatori.
La logica dei flussi normativi bidirezionali e la loro interazione reciproca
caratterizza la disciplina in tema di intermediazione e si discosta dal diritto
comune proprio in relazione alla peculiarità della contrattazione.
Dal dato normativo, lo si è visto, emerge come l'intermediario debba richiedere
al cliente determinate informazioni, proprio al fine di adempiere con
diligenza, correttezza e trasparenza la sua prestazione, al punto che sembra
doversi far ricadere in capo al primo la responsabilità per le evenienze
negative conseguenti a mancante o lacunosa informazione sugli indici di
riferimento non richiesti al cliente, eccezion fatta per le ipotesi in cui sia
stato quest'ultimo a non voler fornire le informazioni richieste.
Anche quest'ultima eventualità richiede qualche cenno. In primis è il caso di
ricordare che nel regolamento Consob 11522/1998 l'art. 28, comma 1°, prevedeva
che l'eventuale rifiuto del risparmiatore di fornire le notizie richieste
doveva risultare dal contratto di cui all'art. 30 ovvero da apposita
dichiarazione sottoscritta dall'investitore.
Dunque, la banca poteva procedere con il compimento dell'operazione solo dopo
aver "raccolto" per iscritto il rifiuto dell'investitore di fornire
le informazioni.
Ciò tuttavia comportava una facile elusione della disciplina posto che il
rifiuto del risparmiatore poteva far ritenere esaurito l'obbligo di diligenza
previsto a carico dell'intermediario. In altre parole, il fatto che
l'investitore non avesse fornito le notizie richieste poteva costituire un
alibi per l'intermediario che avesse agito in violazione delle regole di
comportamento.
Tuttavia la giurisprudenza aveva già fissato alcuni paletti in ordine
all'interpretazione della disposizione richiamata. In una recente decisione il
Tribunale di Milano con particolare riferimento all'art. 29 reg. Consob
11522/1998, ha affermato che l'obbligo di valutazione e di eventuale
disincentivazione dall'investimento non è attenuato nell'ipotesi di rifiuto del
cliente di fornire informazioni circa la propensione al rischio e la situazione
finanziaria. Per dirla in altri termini, il rifiuto del risparmiatore non
rappresenta una "scriminante" per l'intermediario giacchè è proprio
il suo ruolo a doverlo comunque indurre a individuare - in ogni caso - un
profilo del cliente soprattutto ove si tratti di contraente già noto
all'intermediario.
Sulla scorta di tale indicazione poteva quindi condividersi l'opinione di chi
sottolineava che il rifiuto dell'investitore accresceva la responsabilità
dell'intermediario, facendo scattare quella soglia d'allarme oltre la quale la
diligenza professionale dell'intermediario doveva manifestarsi a pieno titolo.
Diversamente, la recente regolamentazione Consob obbliga l'intermediario ad
astenersi dal prestare il servizio di consulenza in materia di investimenti o
di gestione del portafoglio, tutte le volte in cui non ottenga le informazioni
dal cliente. La norma impone un chiaro obbligo di astensione in capo
all'intermediario, quando quest'ultimo non sia nella disponibilità delle
informazioni necessarie per prestare correttamente il suo servizio.
Per completezza devesi segnalare che la nuova regolamentazione secondaria
compie un passo in avanti rispetto alla direttiva Mifid; infatti, l'art. 19
della direttiva non chiariva se in difetto di informazione fosse vietata
(all'intermediario) qualsiasi attività propositiva o fosse preclusa la
prestazione del servizio.
La scelta contenuta nella regolamentazione Consob pare coerente. Nella difficoltà
di procedere al individuare le "qualità" del cliente, si è optato per
una soluzione più radicale che eliminando equivoci interpretativi - soprattutto
nella fase patologica del rapporto investitore-intermediario - preclude la
prestazione di qualsiasi attività di consulenza in materia di investimenti o di
gestione del portafoglio. Nel dubbio, dunque, l'intermediario pur di non
esporre a pregiudizio - sia pur solo ipoteticamente - il capitale del cliente
dovrà astenersi dal prestare la sua attività, pur in presenza di un rifiuto
volutamente dichiarato dal risparmiatore.
Sarà quindi interesse dell'intermediario essere diligente nello stimolare il
cliente a fornire le informazioni richieste posto che - val la pena ribadirlo -
diversamente non potrebbe prestare la propria attività.
2. Segue: adeguatezza, appropriatezza e connessioni con l'informazione
Si è già fatto cenno al concetto di adeguatezza. Quello che occorre comprendere
è che cosa significhi adeguatezza e quali siano le sue implicazioni con
l'informazione.
In primis, va rilevato che con un recente intervento legislativo, era stato
modificato l'art. 21, comma 1°, lett. a) del D.lgs. 58/1998, stabilendo che i
soggetti abilitati debbano classificare sulla base dei criteri generali minimi
definiti con regolamento della Consob, il grado di rischiosità dei prodotti
finanziari e delle gestioni di portafogli di investimento e debbano rispettare
il principio dell'adeguatezza tra le operazioni consigliate agli investitori, o
effettuate per conto di essi, e il profilo di ciascun cliente, determinato
sulla base della sua esperienza in materia di investimenti in prodotti
finanziari, della sua situazione finanziaria, dei suoi obiettivi di
investimento e della sua propensione al rischio, salve le diverse disposizioni
espressamente impartite dall'investitore medesimo in forma scritta, ovvero
anche mediante comunicazione telefonica o con l'uso di strumenti telematici,
purchè siano adottate procedure che assicurino l'accertamento della provenienza
e la conservazione della documentazione dell'ordine.
V'è da segnalare, al proposito, che la normativa si poneva l'obiettivo di
elevare il "principio" di adeguatezza al rango di norma primaria,
ponendosi il linea di continuità con la suitability rule contenuto all'art. 29,
comma 3° del Regolamento Consob 11522/1998. Gli operatori - sin dalla sua
entrata in vigore - avevano manifestato perplessità in ordine al tenore della
disposizione soprattutto avendo riguardo alla classificazione delle operazioni.
Ciò ha, successivamente, indotto il legislatore con l'art. 10 della legge 6
febbraio 2007 n. 13, comma 6°, ad abrogare le disposizioni che la legge sul
risparmio aveva inserito all'art. 21 Tuf.
Un primo dato che merita di essere evidenziato è che la direttiva Mifid
distingue la valutazione dell'adeguatezza da quella di appropriatezza. Più nel
dettaglio, l'art. 35 della direttiva, recepito all'art. 40 della
regolamentazione secondaria (intitolato valutazione dell'adeguatezza) prevede
che sulla scorta delle informazioni ricevute dal cliente e tenuto conto della
natura e delle caratteristiche del servizio fornito, gli intermediari debbano
valutare che la specifica operazione consigliata o realizzata nel quadro della
prestazione del servizio di gestione del portafoglio corrisponda: a) agli
obiettivi di investimento del cliente; b) sia di natura tale per cui il cliente
possieda la necessaria esperienza e conoscenza per comprendere i rischi
inerenti all'operazione o alla gestione del suo portafoglio.
Differente è il discorso in ordine alla valutazione dell'appropriatezza che si
riferisce - specificamente - alle ipotesi in cui gli intermediari prestino
servizi di investimento diversi dalla consulenza in materia di investimento e
dalla gestione di portafogli che, come detto, sono soggette alla regola
dell'adeguatezza.
Va segnalato che l'art. 43 del nuovo regolamento Consob (recependo le
indicazioni contenute all'art. 19, par. 6 della direttiva) precisa che il
giudizio di appropriatezza non si applichi nella prestazione dei servizi di
esecuzione di ordini per conto dei clienti o di ricezione e trasmissione di
ordini.
In questa ipotesi, gli intermediari devono richiedere al cliente o potenziale
cliente di fornire informazioni in merito alla conoscenza ed esperienza nel
settore d'investimento rilevante per il tipo di strumento o di servizio
proposto o chiesto. Gli intermediari devono verificare che il cliente abbia il
livello di esperienza e conoscenza necessario per comprendere i rischi che lo
strumento o il servizio di investimento offerto comporta (art.41, comma 1°,
Reg. Consob).
Il giudizio di appropriatezza, dunque, al pari di quello di adeguatezza
consiste in una operazione logico/deduttiva che consente all'impresa di
investimento di valutare se gli strumenti finanziari e i servizi di
investimento siano o meno adatti al cliente.
E' chiaro che la valutazione dell'appropriatezza si fonda - essenzialmente -
sulle conoscenze ed esperienze in materia di investimento relativamente allo
specifico prodotto o servizio.
La differenza tra il giudizio di adeguatezza e di appropriatezza può quindi
cogliersi essenzialmente nel dato che, nel primo caso, al positivo riscontro
dell'appropriatezza, si aggiungono la valutazione della situazione patrimoniale
e degli obiettivi di investimento del cliente.
Riepilogando, il giudizio di appropriatezza (art. 42, nuovo regolamento Consob)
consiste essenzialmente nel verificare che l'investitore abbia il livello di
conoscenze ed esperienze necessari per comprendere i rischi che lo strumento o il
servizio offerto o richiesto comporti.
La disciplina prevede, poi, la possibilità per l'intermediario di presumere
l'appropriatezza prescindendo da un giudizio ad hoc. Più dettagliatamente,
dispone il comma 2° dell'art. 42 del nuovo regolamento Consob che
l'intermediario possa presumere che un cliente professionale abbia il livello
di esperienze e conoscenze necessari per comprendere i rischi connessi ai
servizi di investimento o alle operazioni o ai tipi di operazioni o strumenti
per i quali il cliente sia classificato come professionale.
L'art. 41 della nuova regolamentazione Consob ai fini della valutazione
dell'appropriatezza rinvia all'art. 39, commi 2°, 5° e 7°. Le informazioni da
richiedere al cliente includono i tipi di servizi, operazioni e strumenti
finanziari con i quali il cliente ha dimestichezza; la natura, il volume e la
frequenza delle operazioni su strumenti finanziari realizzate dal cliente,
nonché il periodo durante il quale queste operazioni sono state eseguite; il
livello di istruzione, la professione o, se rilevante, la precedente
professione dal cliente.
Devesi precisare che gli intermediari hanno l'obbligo di informare il cliente
qualora ritengano inappropriato lo strumento o il servizio.
A differenza di quanto accade nella ipotesi di inadeguatezza (ove è impedita
l'erogazione del servizio di consulenza e di gestione del portafoglio) qualora
il cliente ritenga di non fornire informazioni o qualora le informazioni non
siano sufficienti, gli intermediari - onde esonerarsi da responsabilità - lo
avvertono che tale decisione impedirà loro di determinare se il servizio o lo
strumento sia per lui appropriato. La peculiarità della disciplina è data dalla
circostanza che tale avvertenza può essere fornita attraverso un formato standardizzato.
Dall'analisi della normativa emerge come il più elevato livello di protezione
sia, dunque, previsto per i servizi di consulenza e di gestione di portafogli
di investimento. Il dato pare trovare la sua giustificazione nel fatto che il
risparmiatore meno esperto si indirizzi - naturalmente - in questa direzione.
Non si è mancato di osservare in dottrina come le nuove regole abbiano
attenuato gli strumenti di tutela degli investitori, cercando un nuovo
bilanciamento tra le esigenze di rendere il mercato efficiente e competitivo e
di tutelare il contraente debole e disinformato.
Infatti, non v'è, nel caso dell'appropriatezza, alcuna modulazione
dell'investimento alle qualità del cliente, ma v'è soltanto una valutazione di
rispondenza di quella operazione al profilo del singolo investitore.
Ben diverso è il discorso in ordine all'adeguatezza che sembra, piuttosto,
esprimere la volontà - da parte del legislatore - di favorire
l'"educazione" del risparmiatore.
Del resto, come si è già accennato, è lo stesso art. 39, comma 2°,del
regolamento Consob a precisare che le informazioni utili al fine di
"raccomandare" i servizi di investimento e gli strumenti finanziari
adatti al risparmiatore debbano tenere conto delle informazioni ricevute dai
clienti.
3. Segue: la selezione delle informazioni
Resta, poi, da analizzare la problematica relativa alla "selezione"
delle informazioni. E' indispensabile, al fine, evidenziare un primo aspetto e
cioè che il concetto di adeguatezza non conduce a favorire un sovraeccesso
informativo. Va dunque scongiurato il tentativo di considerare esaustivo
l'obbligo di informare sotto un profilo meramente quantitativo.
Ciò implica che debbano essere fornite - sic et simpliciter - le informazioni
effettivamente utili, eliminando tutto il superfluo che, in qualche modo, possa
distogliere il risparmiatore dalle indicazioni effettivamente rilevanti in
ordine alla sua scelta. Significativo, al fine, è l'art. 27 del recente
regolamento Consob ove è stabilito che le informazione debbano essere, tra
l'altro, non fuorvianti.
L'intermediario finanziario, quindi, proprio al fine di attenuare le asimmetrie
informative deve procedere attraverso un efficiente processo di screening
(valutazione e selezione), che è il solo in grado di produrre ed elaborare un
livello di informazione affidabile più elevato relativamente ai soggetti
richiedenti i servizi.
In altre parole è necessario che le informazioni consentano al cliente - sulla
scorta della sua conoscenza ed esperienza - di comprendere effettivamente i
termini del rapporto in itinere.
In questa prospettiva può essere condivisa l'opinione di chi osserva come ad un
aumento di tipo quantitativo delle informazioni possa non corrispondere una
effettiva maggiore consapevolezza dell'operazione. In effetti, nell'eccesso di
informazione si nasconde un pericolo. Il risparmiatore, a fronte del numero
assai elevato di informazioni ricevute potrebbe far fatica ad assimilare i
contenuti e potrebbe, dunque, essere indotto ad operare una selezione indiscriminata
tra le stesse con risultato - ovviamente pregiudizievole - di non acquisire
conoscenza di elementi e profili essenziali dell'affare.
L'attività di selezione spetta, dunque, all'intermediario in quanto operatore
specializzato perfettamente in grado - in relazione alla sua funzione - di una
maggiore efficacia nell'accesso alle informazioni ed alla loro elaborazione e
selezione senza considerare, poi, la capacità di accertare la credibilità delle
informazioni fornite e, quindi, di valutarne l'attendibilità.
Ciò che va evitato è che l'eccessiva comunicazione di dati da parte
dell'intermediario possa - paradossalmente - tramutarsi per il risparmiatore in
fonte di ulteriore confusione o ambiguità.
Va escluso - in ogni caso - l'adempimento dell'obbligo di informazione tutte le
volte in cui l'intermediario si limiti a segnalare all'investitore in modo
generico ed approssimativo la natura dell'investimento. Devesi quindi ritenere
adeguata l'informazione e, pertanto, considerarsi adempiuti gli obblighi
informativi solo quando l'investitore abbia pienamente compreso le
caratteristiche dell'operazione, "atteso che la conoscenza deve essere una
conoscenza effettiva e l'intermediario o il promotore devono verificare che il
cliente abbia compreso le caratteristiche essenziali dell'operazione proposta
non solo con riguardo ai relativi costi e rischi patrimoniali ma anche con
riferimento alla sua adeguatezza".
4. Segue: la trasparenza
Grande attenzione, poi, viene attributa alla "regola" della
trasparenza nella nuova regolamentazione Consob, strettamente correlata anche
alle informazioni che il cliente deve rendere. In via esemplificativa può
richiamarsi l'art. 40 del nuovo regolamento Consob che al comma 1°, lett. C)
prevede espressamente che il cliente possieda la necessaria esperienza e
conoscenza per "comprendere" i rischi inerenti all'operazione o alla
gestione del suo portafoglio. Ma anche l'art. 27 dispone che le informazioni -
ivi comprese le comunicazioni pubblicitarie e promozionali indirizzate ai
clienti o potenziali clienti debbano essere corrette e chiare.
I riferimenti alla comprensibilità ed alla chiarezza devono indurre
l'intermediario a far sì che l'informazione renda effettivamente edotto il
risparmiatore degli obblighi e dei diritti derivanti dall'operazione.
E' evidente che l'impiego di locuzioni eccessivamente tecniche e, quindi,
difficilmente intelligibili, potrebbero determinare l'impossibilità per un
risparmiatore di accedere alla conoscenza del concreto significato delle stesse
informazioni, con la conseguenza di rendere incomprensibili i termini esatti
dell'operazione. E' ovvio che il difetto di comprensibilità impedisce
all'informazione di raggiungere il suo obiettivo. La trasparenza è connaturale
all'informazione e vi si identifica, nel senso che è lecito dubitare che
un'informazione non trasparente sia un'informazione. Ciò conduce a ritenere
giuridicamente irrilevante distinguere tra un'informazione non resa o
un'informazione resa in modo opaco ed incomprensibile.
Sulla scorta delle notazioni svolte può essere apprezzata la clausola generale
di buona fede che vede consacrato - proprio con riferimento al profilo
dell'informazione e della sua chiarezza e comprensibilità, - quello che attenta
dottrina ha qualificato come ruolo di strumento volto ad assicurare la
complessiva "razionalità" dell'operazione economica.
Oltretutto, è agevole comprenderlo, l'esigenza di comprensibilità è ancor più
avvertita nell'ambito della intermediazione finanziaria dato proprio il
tecnicismo della relazione negoziale, che presenta alti margini di opacità o di
imprevedibilità per i risparmiatori.
In quest'ottica - si è affermato - il principio di buona fede diviene strumento
di tutela giacchè assicura alla controparte più debole un'effettiva consapevolezza
dei termini dell'operazione e della sue implicazioni limitando i rischi di
recriminazioni e di strascichi giudiziari.
* Relazione al convegno "La tutela del risparmio tra evoluzione normativa
e giurisprudenziale" svoltosi a Lecce, il 16 novembre 2007, organizzato
dal Consiglio Superiore della Magistratura - Ufficio dei Referenti per la
formazione decentrata Corte d'Appello di Lecce e la Scuola di Specializzazione
per le professioni legali - Univ. Del Salento.
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