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Il Caso.it, Sez. Articoli e Saggi - Data pubblicazione 23/04/2008 Scarica PDF
Dopo le Sezioni Unite: l'intermediario che non si astiene restituisce al cliente il denaro investito
Daniele Maffeis, Professore Ordinario di Diritto PrivatoTribunale di Venezia, 28 febbraio 2008 - Pres. Zacco - est. Fidanzia
Obbligazioni e contratti - Servizi di investimento - Operazioni inadeguate -
Conflitto di interessi - Violazione da parte dell'intermediario dell'obbligo di
astensione - Sussistenza in re ipsa del nesso di causalità
In generale grava specificamente sull'investitore l'onere di dimostrare il
nesso di causalità tra l'inadempimento degli obblighi comportamentali
dell'intermediario ed il danno. Tuttavia, il nesso di causalità in questione
deve ritenersi in re ipsa allorché l'intermediario abbia violato l'obbligo di
astensione, come nel conflitto di interessi e nelle operazioni inadeguate.
1 - La fonte dell'obbligazione risarcitoria secondo le Sezioni Unite
Le sentenze delle Sezioni Unite in materia di rimedi nella prestazione dei servizi di investimento nn. 26724 e 26725 in data 19 dicembre 2007 (Primo Pres. V. Carbone - Rel. R. Rordorf) [1], da più parti accolte favorevolmente [2], si prestano ad una critica per avere escluso il rimedio della nullità per il caso di violazione da parte dell'intermediario dell'obbligo di astenersi, in difetto dei necessari requisiti di forma e di contenuto, dal compiere un'operazione in situazione di conflitto di interessi, o inadeguata [3].
La critica si incentra sulla constatazione che il divieto legale di compiere
operazioni inadeguate o in conflitto di interessi manifesta la disapprovazione
dell'ordinamento per le operazioni compiute in situazioni di pericolo (presenza
di un interesse in conflitto; inadeguatezza), che, contrariamente a quanto
statuito dalle Sezioni Unite, trova la sanzione appropriata nella nullità per
illiceità, in omaggio all'esigenza di ordine pubblico di garantire l'integrità
dei mercati contro la diffusione di operazioni pericolose (e molto
probabilmente dannose) [4]. Si pensi alle conseguenze in termini di integrità
dei mercati dell'esecuzione su larga scala di ordini per conto di clienti che
siano inadeguati sotto il profilo finanziario e così al pericolo di fallimento
del mercato connesso a perdite insostenibili, su larga scala.
Tuttavia, le Sezioni Unite hanno correttamente ricostruito, come già aveva
fatto Cass. n. 19024/2005, la fattispecie del conflitto di interessi,
identificandola non già nel risultato dell'azione, bensì nella situazione [5]
e, per conseguenza, individuando la patologia non già nel fatto che in una
situazione di conflitto di interessi sia compiuta un'operazione che comporti un
risultato contrario agli interessi del cliente (o nel fatto che l'operazione
inadeguata comporti un risultato contrario agli interessi del cliente), bensì
nel mero fatto che in situazione di conflitto di interessi l'operazione sia
compiuta (o che sia compiuta un'operazione inadeguata).
Le Sezioni Unite, dunque, hanno escluso - criticabilmente - che (sotto il
vigore della legge n. 1 del 1991) il rimedio per la violazione delle discipline
preventive del conflitto di interessi e dell'adeguatezza - laddove esse
consistono di requisiti di forma e di contenuto e di obblighi di astensione -
sia rappresentato dalla nullità; ma hanno lasciato margine per applicare
l'obbligo d'astensione, invece che adottarne un'interpretazione del tutto
abrogante.
2 - (segue) Il nesso di causalità secondo le Sezioni Unite
Le Sezioni Unite hanno statuito che la responsabilità per la violazione
dell'obbligo di astensione sussiste ««per il fatto che (l')obbligo di
astensione (...) sia stato violato»».
Il principio di diritto enunciato dalle Sezioni Unite involge il nesso di
causalità, laddove è statuito che ««assumono rilievo le conseguenze del fatto
che l'intermediario non si sia astenuto dal compiere un'operazione dalla quale,
in quelle circostanze, avrebbe dovuto astenersi (...), non quelle derivanti
dalle modalità con cui l'operazione è stata in concreto realizzata o avrebbe
potuto esserlo ipoteticamente da altro intermediario»».
Alla luce della statuizione delle Sezioni Unite, il danno che il cliente può
lamentare consiste (almeno) nella perdita integrale o parziale del capitale e,
sul piano del nesso causale, l'andamento del mercato costituisce il rischio
tipico di qualsiasi investimento che l'obbligo di astensione - che opera in
difetto dei requisiti di forma e di contenuto - deve prevenire ed il cui
rischio quindi grava sull'intermediario, che viola il divieto [6].
3 - L'applicazione in sede di merito del principio di diritto affermato dalle
Sezioni Unite
Il margine per applicare l'obbligo di astensione è stato felicemente colto e
valorizzato dalla sentenza in commento, la quale è stata chiamata a fare
applicazione dei principi di diritto da poco pronunciati dalle Sezioni Unite.
Il Tribunale di Venezia afferma che ««se in generale grava specificamente
sull'investitore l'onere di dimostrare il nesso di causalità tra inadempimento
degli obblighi comportamentali e danno, onere che può essere assolto
eventualmente anche attraverso il ricorso a presunzioni a norma dell'art. 2727
e ss. cod. civ. (...) vi sono, tuttavia, talune ipotesi nelle quali, come
emerge inequivocabilmente dalla lettura della sentenza n. 27624/07 delle S.U.
della Suprema Corte, il nesso di causalità in questione deve ritenersi in re
ipsa (...), come nel conflitto di interessi e nelle operazioni inadeguate,
nelle quali (...) l'intermediario può legittimamente dar attuazione all'ordine
di investimento solo in presenza di determinate condizioni non ricorrendo le
quali lo stesso ha l'obbligo di astenersi. Ove l'intermediario non sia astenuto
dal compiere un'operazione dalla quale avrebbe dovuto necessariamente astenersi
- abbia, ad esempio, dato corso ad un'operazione in conflitto di interessi
senza comunicare per iscritto l'esistenza di tale conflitto e senza ottenere la
preventiva autorizzazione scritta del cliente oppure abbia eseguito
un'operazione inadeguata pur in mancanza di un ordine impartito per
iscritto(...) - deve ritenersi che l'intermediario abbia concorso casualmente
alla determinazione del danno»».
4 - La correttezza della statuizione del Tribunale di Venezia
La statuizione del Tribunale di Venezia è a mio avviso ineccepibile, perché una
volta riconosciuto che opera un divieto di agire e che l'illecito consiste nel
semplice fatto di agire in violazione del divieto, appare assai arduo ravvisare
un'interruzione del nesso causale e comunque un concorso di colpa del cliente
nella causazione del danno.
In particolare, non è configurabile una causa alternativa ipotetica del danno
dipendente dalla perdita del capitale seguita al compimento dell'operazione.
Se, infatti, quella operazione non fosse stata compiuta, non vi è dubbio che
quel danno non si sarebbe mai prodotto. Né può valere quale causa alternativa
ipotetica che il cliente avrebbe potuto fare eseguire l'operazione da un altro
intermediario. Ed è proprio qui che assume rilievo la statuizione delle Sezioni
Unite, che ho richiamato, secondo cui ««non (assumono rilievo le conseguenze)
derivanti dalle modalità con cui l'operazione (...) avrebbe potuto esser(e
realizzata) ipoteticamente da altro intermediario»».
Altrettanto ineccepibile è il rilievo dei giudici di Venezia secondo cui ««Non
vi è dubbio che quanto ritenuto dal giudice di legittimità nella sua
composizione a sezioni unite non possa essere circoscritto alle operazioni in
conflitto di interesse ma sia espressione di un principio generale che deve
trovare applicazione ogni qualvolta l'intermediario dia corso ad un'operazione
dalla quale, secondo quanto disposto dal regolamento Consob, avrebbe dovuto
astenersi. Ne consegue che il nesso di causalità deve ritenersi sussistente in
re ipsa anche nel caso in cui l'intermediario dia esecuzione ad un'operazione
inadeguata senza rispettare le prescrizioni di cui all'art. 29 regolamento
Consob»».
In giurisprudenza vi sono diverse ipotesi in cui il nesso di causalità è
considerato in re ipsa [7].
Quanto alla dottrina, ho già segnalato [8] l'insegnamento secondo cui, quando
l'agente ««abbia violato (non) il generale precetto di condotta prudente
(bensì) un precetto specifico e precostituito (...), sembra opportuna l'estensione
della responsabilità a tutti gli eventi che siano realizzazione del pericolo in
relazione al quale la regola è stata posta, indipendentemente da ciò che
l'agente abbia previsto o potesse prevedere»» [9].
L'obbligo di astensione, quando è posto a carico dell'intermediario, fa di lui
un guardiano dell'integrità dei mercati, che ha la precipua funzione di evitare
che si verifichino situazioni di pericolo per l'integrità dei mercati quali
sono quelle che seguono alla stipulazione di contratti conclusi in situazioni
di conflitto di interessi o di contratti inadeguati. La discussione se questa
funzione sia rispondente ai principi e conforme alle esigenze dei mercati
finanziari riguarda l'individuazione dell'obbligo di astensione, non le
conseguenze della sua violazione: se l'obbligo di astensione sussiste, la
sanzione è il risarcimento delle perdite comunque seguite al compimento
dell'operazione.
Principi analoghi si rinvengono in giurisprudenza quando si tratta di
determinare il danno prodotto dalla cattiva gestione degli amministratori di
società di capitali. La giurisprudenza, a ragione, distingue, e nega che di per
sé il risultato negativo della gestione coincida col danno risarcibile
dall'amministratore, tranne ««quando (i) poteri, nei rapporti (tra società ed
amministratore) risultano espressamente limitati, come nel caso particolare»»
del dovere dell'amministratore di astenersi dal compimento di operazioni
successivamente al verificarsi della causa di scioglimento [10]. Qui il modello
è quello al quale si ispira la sentenza in commento sulla scia delle Sezioni
Unite: chi agisce per conto altrui risarcisce il danno che dipende causalmente
dalla sua condotta, e così innanzitutto - e molto linearmente - il danno che si
è prodotto perché il gestore non si è astenuto.
Non vale osservare che il danno dipenderebbe dal carattere aleatorio delle
operazioni di investimento.
Difatti, sostenere che la verificazione dello stesso evento, che attribuisce al
contratto il carattere dell'aleatorietà, interrompe il nesso causale significa,
di nuovo, dare un'interpretazione che abroga il divieto di compiere l'atto.
In altre parole, la sola circostanza della conclusione del contratto da parte
dell'intermediario non modifica il patrimonio del cliente, la violazione del
cui interesse è solo sulla carta; ad integrare il danno attuale è, come sempre,
la circostanza dell'esecuzione del contratto; il che significa innanzitutto,
per i contratti aleatori, la verificazione dell'evento da cui l'alea dipende.
5 - (segue). Pericolo di danno presunto o astratto e pericolo di danno
concreto
La correttezza della statuizione del Tribunale di Venezia in ordine alla
sussistenza del nesso causale (salvo il temperamento, su cui mi soffermerò nel
paragrafo seguente) risulta confortata da una constatazione che riguarda da
vicino i principi che governano i rapporti di gestione.
Il divieto legale, posto a carico del cooperatore, di agire - in particolare,
di contrattare per conto - in situazioni di pericolo per l'interesse del
dominus può riguardare, alternativamente, situazioni riconducibili a tipi
astratti di pericolo, e in cui quindi può anche accadere che il pericolo non vi
sia (pericolo di danno presunto o astratto), ovvero situazioni di pericolo da
accertare volta per volta e in cui, dunque, il pericolo effettivamente sussiste
(pericolo di danno concreto).
Ad esempio, se si considerano le situazioni di pericolo variamente
riconducibili alla presenza di un interesse in conflitto, bisogna distinguere
tra i casi in cui il legislatore detta un divieto di contrattare in
considerazione di una situazione di pericolo tipizzata, come accade per il
divieto posto al mandatario con rappresentanza di contrattare con se stesso in
proprio o nella qualità di doppio rappresentante (art. 1395 cod.civ.) ed i casi
in cui il divieto dipende dall'accertamento della effettiva ricorrenza di un
pericolo derivante dalla presenza di un interesse in conflitto, come accade per
il divieto di contrattare posto a carico del rappresentante legale (artt. 320,
comma 6, 347, 360, 394, comma 4, 424 cod.civ.).
In entrambi i casi, se il dominus subisce un danno a causa della conclusione
del contratto, o della vicenda esecutiva che segue, può difettare, sul piano
materiale, lo stesso antecedente del danno. Difatti può darsi che il contratto
del doppio rappresentante sia vantaggiosissimo per entrambi i mandanti ma poi
accada che uno dei due si rende inadempiente, danneggiando l'altro; oppure può
darsi che il rappresentante violi il divieto di agire e contratti in situazione
di conflitto di interessi stipulando un contratto contrario agli interessi
dell'incapace, ma non per l'incidenza di un interesse in conflitto (caso non
infrequente del gestore più incapace che infedele).
Eppure, escludere che in questi casi sussista il nesso di causalità (e quindi
escludere l'operatività del rimedio) significherebbe cancellare il divieto;
mentre qui il gestore non sta rispondendo per la violazione del rapporto
gestorio, bensì sta rispondendo per la violazione di un divieto legale di
agire. Diverso (e ulteriore) è il precetto, diversa e autonoma la sanzione.
6 - La possibile interruzione del nesso causale
Sia chiaro: una volta intrapresa (e sia pure criticabilmente) la strada del
risarcimento del danno, non della nullità, bisogna riconoscere che il fatto che
la perdita dipenda - ai sensi e per gli effetti dell'art. 1223 cod.civ. - dalla
violazione del dovere di astensione non può significare che, una volta compiuta
l'operazione, non si possano dare comportamenti dell'intermediario idonei ad
interrompere il nesso causale - o almeno a determinare un concorso della colpa
del cliente -, come nel caso in cui l'intermediario, invece di astenersi, abbia
compiuto l'atto, ma poi abbia consigliato prontamente al cliente di
disinvestire.
7 - Gli obblighi di astensione nella disciplina precedente e successiva al
recepimento della Mifid
La forte differenza di disciplina, in punto di nesso causale e quindi in
definitiva di responsabilità tout court [11], fra ««inadempimento degli
obblighi comportamentali»» e ««violazione di un obbligo di astensione»» induce
ad una sia pur sommaria ricognizione degli obblighi di astensione.
Alla luce della disciplina precedente al recepimento della Mifid, applicabile
ratione temporis a moltissime controversie presenti e future, l'intermediario è
tenuto ad astenersi se, nella prestazione di qualsiasi servizio di
investimento, viola il dovere di astenersi dall'eseguire operazioni in
conflitto di interessi o inadeguate in difetto delle forme e dei contenuti
informativi imposti dagli artt. 27 e 29 del Regolamento Intermediari 11522 del
1998.
Nella disciplina successiva al recepimento della Mifid, l'intermediario è
tenuto ad astenersi se, nella prestazione dei servizi di gestione o consulenza,
dopo avere fornito le informazioni richieste dall'art. 39 del Nuovo Regolamento
Intermediari 16190 del 2007, viola il dovere di astenersi dall'eseguire o
suggerire operazioni in difetto della possibilità di valutare l'adeguatezza
[12].
Dunque, il dovere di astensione è testuale per l'adeguatezza nei servizi di
consulenza e gestione (art. 39, comma 6 NRI), benché si renda necessaria
un'attenta attività di interpretazione del dettato normativo, per stabilire in
particolare la reale estensione dell'obbligo di astensione, con riguardo ai diversi
possibili casi di (i) mancanza di informazioni necessarie per valutare
l'adeguatezza e di (ii) consapevolezza dell'inadeguatezza.
È, invece, dubbio se sia ricostruibile un obbligo di astensione anche nelle
situazioni conflitto di interessi nella prestazione di qualsiasi servizio di
investimento e per l'ipotesi di inappropriatezza dell'operazione nei servizi di
investimento diversi da consulenza e gestione (negoziazione per conto proprio,
esecuzione di ordini per conto e così via). Per il conflitto di interessi,
l'art. 23 del Regolamento Congiunto Consob/Banca d'Italia in data 29 ottobre
2007 dispone che l'intermediario, a certe condizioni, e ««prima di agire»»,
««informa chiaramente (su supporto duraturo) il cliente della natura e/o delle
fonti dei conflitti (...) affinché il cliente possa assumere una decisione
informata sui servizi prestati»». Si tratta di riflettere se da siffatta
previsione possa ricavarsi in via interpretativa che dopo l'informazione sia
richiesta una ««decisione informata»» del cliente e dunque che in difetto della
decisione informata l'intermediario debba astenersi dal compiere l'operazione,
analogamente a quanto accade in applicazione dell'art. 27 del Regolamento
Consob 11522 del 1998 [13]. Quanto all'appropriatezza, l'intermediario che
consideri l'operazione inappropriata non è testualmente tenuto ad astenersi
(come accade per l'adeguatezza) bensì è tenuto ad informare il cliente [14]; in
una prima lettura è già stato ipotizzato che l'intermediario possa eseguire
l'operazione solo dopo che il cliente, avvertito, abbia confermato l'ordine.
Ciò che dischiuderebbe, di nuovo, la ricostruzione in via interpretativa di un
obbligo di astensione, destinato ad operare in difetto di conferma dell'ordine.
1) In questa rivista, 2008, V. SANGIOVANNI, Inosservanza delle norme di
comportamento: la cassazione esclude la nullità, 231 ss.
2) Si consulti G. COTTINO, La responsabilità degli intermediari finanziari e il
verdetto delle Sezioni Unite: chiose, considerazioni e un elogio dei giudici,
in Giur.it., 2008, 347 ss.
3) In questa rivista, 2008, D. MAFFEIS, Discipline preventive nei servizi di
investimento: le sezioni unite e la notte (degli investitori) in cui tutte le
vacche sono nere, 403 ss.
4) Ampia dimostrazione in D. MAFFEIS, Contro l'interpretazione abrogante della
disciplina preventiva del conflitto di interessi (e di altri pericoli) nella
prestazione dei servizi di investimento, in Riv.dir.civ., 2007, II, 71 ss.;
aderisce F. SARTORI, La (ri)vincita, cit., 10. In giurisprudenza, Trib. Milano,
9 marzo 2005 in www.ilcaso.it ha affermato che ««appare dubbia la
praticabilità di una azione di nullità con riferimento all'ipotesi di conflitto
di interessi non segnalato»».
5) Cass. SS.UU. n. 26724 in questa rivista, 2008, 229 ss. rileva correttamente
che ««La corte d'appello non si è soffermata a valutare se sussistesse o meno
la situazione di conflitto di interessi (...) poiché ha escluso che, comunque,
vi fosse la prova della dannosità dell'eventuale conflitto. E lo ha escluso
sulla base della considerazione che le operazioni in questione, se anche
compiute con un diverso intermediario, non avrebbero dato risultati
differenti»» e chiarisce condivisibilmente che ««se la situazione di conflitto
(è) configurabile, non (sono) le concrete e specifiche modalità esecutive a
venire in questione, ma il compimento stesso dell'operazione che non avrebbe
dovuto affatto aver luogo»».
6) D. MAFFEIS, Discipline preventive, cit., 407.
7) Cass., 6 luglio 2000, n. 9032, in Foro it., Rep. 2001, voce "Lavoro
(rapporto)", n. 1509 e Cass., 12 gennaio 1991, n. 267 in Foro it., Rep.
1991, voce "Lavoro (rapporto)", n. 1610 in ipotesi di licenziamento
intimato non appena superata la soglia del comporto; Trib. Milano, 13 ottobre
1988, in Dir. fallim., 1989, II, 442 in materia di omissione di controllo del
collegio sindacale ed illecito degli amministratori.
8) D. MAFFEIS, Discipline preventive, cit., 408.
9) P. TRIMARCHI, Causalità e danno, Milano, 1967, 161.
10) Cass., 5 gennaio 1972, n. 21, in Foro pad., 1972, I, 664. La severità della
soluzione offerta dalla giurisprudenza è oggetto dlele riflessioni di P.G.
JAEGER, La responsabilità degli amministratori e dei sindaci nelle procedure
concorsuali: una valutazione critica, in Giur.comm., 1988, I, 552.
11) Presupponiamo sempre che la domanda di risarcimento del danno dell'attore
abbia ad oggetto in via esclusiva o comunque principale la restituzione del
denaro investito e perduto, non il maggior danno cui pure il cliente ha diritto
a fronte dell'inadempimento dell'intermediario. La stessa sentenza in commento
del Tribunale di Venezia ha cura di precisare che ««il danno (...) normalmente
coincide(...) nelle cause di intermediazioni finanziaria con la perdita
dell'investimento)»».
12) F. SARTORI, Le regole di adeguatezza e i contratti di borsa: tecniche
normative, tutele e prospettive MiFID, in Riv.dir.priv., 2008, 42.
13) Non è questa, naturalmente, la prima lettura della normativa: si veda A. A.
RINALDI, Il decreto Mifid e i regolamenti attuativi: principali cambiamenti, in
Società, 2008, 21 e il primo commento di F. ANNUNZIATA, Recepita in Italia la
Direttiva Mifid, in Riv.soc., 2007, 1479.
14) L'art. 42, comma 3 del Regolamento 16190 utilizza l'espressione
««avvertire»», anche in maniera standardizzata.
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