Bancario
Il Caso.it, Sez. Articoli e Saggi - Data pubblicazione 02/10/2008 Scarica PDF
Sostanza e rigore nella disciplina Mifid del conflitto di interessi
Daniele Maffeis, Professore Ordinario di Diritto Privato* Il presente saggio è redatto per la rivista Diritto della banca e del mercato finanziario ed è ivi in corso di pubblicazione, con il corredo di note.
Indice sommario: 1. Il carattere centrale della patologia del conflitto di
interessi nei contratti di investimento. 2. La continuità tra regole vecchie e
nuove; l'applicazione della disciplina del conflitto di interessi anche ai
clienti professionali (ed alle controparti qualificate). 3. Il precetto di
informazione a carico dell'intermediario e la necessità del consenso del
cliente. 4. Forma e contenuto dell'informazione dell'intermediario e del
consenso del cliente. 4.1. Forma e contenuto dell'informazione. 4.2. Natura,
forma e contenuto del consenso. 5. La responsabilità dell'intermediario per la
mancata cura <
Quando si dice che un'operazione di investimento è inadeguata o (oggi, dopo il
recepimento della Mifid) anche solo inappropriata, si dice - spesso
inconsapevolmente - che essa è contraria, sotto diversi profili, all'interesse
del cliente: perché non rispondente alla sua capacità finanziaria, o alle sue
prospettive di rischio o alla sua capacità di comprendere opportunità e rischi.
La contrarietà all'interesse del cliente può dipendere dall'incidenza
sull'operazione di un interesse dell'intermediario in conflitto con quello del
cliente, in relazione al compimento della singola operazione. E questo si
chiama conflitto di interessi. Più specificamente, il risultato dell'azione
dell'intermediario è svantaggioso per il cliente in dipendenza dell'incidenza
sui termini dell'operazione di un interesse dell'intermediario concomitante al
suo compimento (situazione di conflitto di interessi). L'esperienza (e la
copiosissima giurisprudenza) degli ultimi anni mostrano che, nella stragrande
maggioranza dei casi, è proprio così: se l'intermediario compie un'operazione
che, per le condizioni a cui viene compiuta, è inadeguata al profilo di rischio
del cliente per conto del quale è compiuta, o è inappropriata, non è
semplicemente perché è stato poco diligente, bensì è proprio perché
l'intermediario al momento del compimento dell'operazione era portatore di un
interesse in conflitto (situazione di conflitto di interessi), che ha finito
per incidere sul modo come egli ha proceduto ed informare e ad informarsi
(azione in conflitto di interessi) e, di lì, sui termini a cui l'operazione è
stata conclusa (risultato dell'azione inciso dal conflitto di interessi) ad
esempio, sulla scelta come eseguire l'ordine, in quali tempi, con quali
modalità, quali strumenti finanziari acquistare, se negoziare per conto proprio,
come strutturare il derivato o.t.c., se prevedere un effetto leva, e quale; e
così via.
Non è sempre così, ripeto - cioè, non sempre la ragione della contrarietà
all'interesse del cliente sub specie di inadeguatezza o di inappropriatezza
dipende dall'incidenza di un interesse in conflitto concomitante al compimento
dell'operazione -, ma è spesso così ed è precisamente questo il motivo per cui
da più parti ed incessantemente si proclama che il problema del conflitto di
interessi è il problema dei problemi nella materia dell'intermediazione
finanziaria.
Ora siccome dopo il recepimento della Mifid assistiamo ad una riduzione
dell'ambito di operatività del precetto di adeguatezza a favore
dell'inappropriatezza (una riduzione probabilmente meno intensa di quanto ad
un'osservazione superficiale si possa pensare, se si ravvisa - ed il cliente
riesce a provare - una consulenza spontanea in moltissime raccomandazioni
personalizzate fornite spontaneamente dall'intermediario), bisogna che, oltre
che fare chiarezza sui nuovi precetti di adeguatezza e di appropriatezza,
cerchiamo di verificare se per avventura proprio la disciplina del conflitto di
interessi - articolata, dopo la Mifid, come prima, in un dovere di
organizzazione, in un divieto di agire in situazione di conflitto di interessi,
derogabile solo a certe precise condizioni, ed in un regime risarcitorio per la
violazione sostanziale del dovere di cura dell'interesse - non sia, anche dopo
il recepimento della Mifid, di portata tale da ridurre, e di parecchio, la
diffusa aspettativa di alleggerimento delle responsabilità degli intermediari
che sta accompagnando la ridefinizione della nozione di adeguatezza e
l'introduzione di quella di appropriatezza e del modello c.d. execution only. E
ciò, si badi, anche e soprattutto tenuto conto che la disciplina del conflitto
di interessi - come delineata sia dall'art. 21, comma 1 bis del TUF sia dagli
art. 23 e seguenti del Regolamento Congiunto - si applica, sia ai contratti con
i clienti al dettaglio sia ai contratti con i clienti professionali (tra cui le
controparti qualificate).
Di seguito cercherò di dimostrare, sia pure sinteticamente, che, in effetti, la
disciplina del conflitto di interessi post Mifid è caratterizzata da sostanza e
rigore, e ciò è un bene, posto che, se funziona, essa è destinata a proteggere
il cliente e, prima e più, rappresenta una tutela del mercato e della sua <
La nuova disciplina speciale del conflitto di interessi nella prestazione dei
servizi di investimento si articola in diversi precetti, che sono in larga
parte previsti testualmente dalla fonte primaria e secondaria (e che potranno
essere integrati dalle disposizioni c.d. di livello 3). I rimedi che assistono
ciascuno dei precetti debbono essere, come per il passato, individuati
dall'interprete.
Una lettura in chiave di compliance e di ricerca del safe harbour mette al
centro il problema della policy e così i profili di organizzazione e di
trasparenza che, ad una prima lettura della disciplina speciale post Mifid,
sono certamente i più evidenti, anche per lo sforzo di lettura e di
inquadramento richiesto dal carattere estremamente analitico della maggior
parte di essi. Il dato è notevole perché un dovere di organizzazione preventiva
di situazioni di conflitto di interessi esisteva anche prima della Mifid, come
primo dovere dell'intermediario, sicché la conferma del ruolo
dell'organizzazione rivela coerenza con il dato sistematico più generale per
cui misure di tipo preventivo si accompagnano, tipicamente, a situazioni di
pericolo (qual è la situazione di conflitto di interessi) in cui - per
esprimersi come la relazione al re a commento dell'art. 2050 cod.civ. - <
Peraltro, proprio perché la disciplina speciale continua a battere sulle misure
organizzative, bisogna registrare in chiave critica e problematica un dato in
aperta controtendenza, e cioè che, fino ad oggi, nell'applicazione della
disciplina speciale, nessuna sentenza civile ha attribuito rilevanza ad esse.
In realtà, nell'ottica civilistica dell'individuazione dei rimedi destinati ad
operare nel rapporto tra intermediario e cliente, il grado di analiticità dei
diversi precetti, che richiede un correlativo sforzo di lettura e di
inquadramento, non sempre è direttamente proporzionale all'importanza di
ciascuno di essi; il compito dell'interprete è di identificare, se possibile in
maniera chiara, armonica e coerente e nella loro corretta articolazione, l'effettiva
portata dei singoli precetti (anche in vista della ricostruzione in via
interpretativa dei rimedi).
Al riguardo, la ratio legis che ispira l'intiera disciplina risponde certamente
alla logica di fondo che il conflitto di interessi è una patologia grave, che
concerne un mercato al tempo stesso cruciale per l'economia di mercato e (in
misura più o meno marcata) pericoloso sicché l'ordinamento giuridico, con
l'opera dell'interprete, appresta precetti e rimedi adeguati, posti a presidio
di un'esigenza di ordine pubblico, prima e più che di interessi privati.
In questa prospettiva, la Mifid non rappresenta una soluzione di continuità,
bensì una conferma, delle norme, severe, che sono emerse e che si sono
delineate nella giurisprudenza degli ultimi anni ed in particolare delle norme,
elaborate dalle Sezioni Unite a fine 2007, secondo cui (i) l'intermediario, a
prescindere dall'adozione di misure organizzative e dal rispetto delle regole
di trasparenza, risarcisce il danno dipendente dal compimento di un'operazione
svantaggiosa per il cliente perché incisa da un interesse in conflitto (dunque
perché e quando, appunto, il carattere svantaggioso dell'operazione dipende
secondo il giudizio ordinario di causalità dall'incidenza dell'interesse in
conflitto che caratterizzava la situazione) e (ii) risarcisce altresì il danno
- da considerarsi invece in re ipsa, secondo un regime della prova severo per
l'intermediario - verificatosi a seguito della violazione da parte
dell'intermediario di un obbligo di astensione (e così risponde del compimento
di un'operazione in situazione di conflitto di interessi, in presenza della
quale avrebbe dovuto astenersi, anche quando sia astrattamente possibile o
risulti che il carattere svantaggioso dell'operazione non sia dipeso dall'incidenza
dell'interesse in conflitto bensì, ad esempio ed in particolare, dall'andamento
del mercato).
La norma sub (i) è incentrata sopra un giudizio in termini di diligenza
professionale dell'intermediario (in cui è destinato ad assumere un ruolo
rilevante il rispetto dei precetti di gestione ed in particolare di
organizzazione) e sull'utilizzo della regola ordinaria del nesso di causalità;
la norma sub (ii) è invece incentrata sopra un giudizio più secco in termini di
violazione di un obbligo di astensione e di conseguente responsabilità
dell'intermediario per il conseguente pregiudizio economico del cliente, che è
considerato danno in re ipsa.
Il modello, oggi come ieri, è quello del divieto derogabile di agire, che
consente di considerare non vietata l'operazione quando vi sia stata una
espressa manifestazione di volontà del cliente che sia seguita ad un'adeguata
informazione. La ricostruzione più corretta, dato che si tratta di un divieto
derogabile da una manifestazione di volontà, è che la mancanza della
manifestazione di volontà comporta la nullità (e le conseguenti restituzioni).
La ricostruzione data dalle Sezioni Unite è che la mancanza della
manifestazione di volontà importa violazione di un obbligo di astensione e così
risarcimento del danno (da considerarsi però in re ipsa, e dunque salvo
eccezioni con lo stesso esito cui condurrebbe la regola restitutoria).
Resta inoltre la responsabilità, operante secondo le regole generali, per il
compimento da parte dell'intermediario di operazioni che seguono ad una
corretta informazione e che sono state validamente consentite dal cliente ma
che ciononostante si rivelano contrarie all'interesse del cliente per
l'incidenza di un interesse in conflitto.
Questa essendo in sintesi la disciplina speciale - che di seguito cercherò di
esaminare più in dettaglio - non si può dire che si tratti di una disciplina
particolarmente severa, posto che non risulta accolto, oggi come ieri, il
modello del divieto assoluto di agire in situazioni di conflitto di interessi -
anzi con l'introduzione della figura dell'internalizzatore sistematico viene
ora espressamente disciplinata una figura di professionista del conflitto di
interessi (perché, professionalmente, l'internalizzatore sistematico negozia
per conto proprio, cioè in una tipica situazione di conflitto di interessi) -
né si impone agli intermediari l'abbandono del modello polifunzionale.
La disciplina si segnala semmai per un carattere di rilevante novità, già
anticipato, consistente nel fatto che essa si applica tanto ai clienti al
dettaglio quanto ai clienti professionali (ed alle controparti qualificate);
viene dunque meno, con la Mifid, qualsiasi margine perché l'intermediario
persegua l'obbiettivo della disapplicazione della disciplina del conflitto di
interessi ai rapporti con determinate categorie di clienti (come accadeva per
l'operatore qualificato, nella disciplina ante Mifid, segnatamente in base
all'art. 31 del Regolamento 11522 del 1998).
Questa novità è apprezzabile, posto che tra le regole che caratterizzano la
prestazione dei servizi di investimento quelle inerenti al conflitto di
interessi nulla hanno a che fare con la maggiore o minore conoscenza da parte
dei clienti delle caratteristiche dei prodotti e dei servizi (e così con quella
maggiore o minore asimmetria informativa che, sola, può giustificare ai sensi
dell'art. 6 del TUF una diversità di disciplina in termini di protezione fra
diverse categorie di clienti): fuori da qualsiasi logica di graduazione della
tutela, il conflitto di interessi rappresenta la principale patologia
dipendente dalla natura di cooperazione (attività prestata per conto altrui)
dei rapporti tra intermediari e clienti, quale che sia il grado di conoscenza,
esperienza o professionalità di ciascuno di essi.
In breve, con il cliente esperto può giustificarsi che l'intermediario sia
vincolato da minori obblighi di informazione, ma non avrebbe alcun significato
sancire che, dato che il cliente è esperto, l'intermediario potrebbe agire in
situazioni sospette (per la presenza di un interesse in conflitto) o essere
senz'altro infedele (per l'incidenza dell'interesse in conflitto sui termini
dell'operazione di investimento).
È utile, a mio avviso, esaminare la disciplina speciale invertendo l'ordine in
cui i precetti sono delineati, e così esaminando dapprima l'obbligo di
informazione e la necessità del consenso del cliente, che fondano obblighi di
astensione dell'intermediario autonomamente sanzionati, e successivamente il
più generale obbligo di individuazione e di gestione, segnatamente mediante
misure organizzative, delle situazioni di conflitto di interessi (aspetto,
questo secondo, che, come anticipavo, tende invece ad essere posto in primo
piano ad una prima lettura in chiave di mera compliance degli intermediari).
Il Regolamento congiunto Consob Banca d'Italia dispone (art. 23, comma 3) che <
Allo stesso modo l'art. 23, comma 3 del Regolamento congiunto Consob Banca
d'Italia, dopo avere disposto che <
Il richiamo al consenso del cliente è il frutto di una scelta consapevole: esso
è il frutto, che era stato auspicato dalla dottrina interna, del recepimento
delle indicazioni contenute nel documento di consultazione del CESR, prodromico
all'adozione della Direttiva di secondo livello 2006/73/CE. Difatti l'art. 22,
comma 4 della Direttiva 2006/73/CE così dispone: <
È vero che l'art. 23, comma 3 del Regolamento congiunto Consob Banca d'Italia
si differenzia dagli artt. 27 e 29 del Regolamento 11522 del 1998 perché non
contiene la previsione secondo cui gli intermediari, in difetto della
successiva decisione informata del cliente (come, in passato, della specifica
autorizzazione o dell'ordine), <
Dunque, l'informazione non è sufficiente, perché occorre che il cliente,
informato, <
Se il cliente presta il consenso al compimento dell'operazione, dopo essere
stato adeguatamente informato, l'operazione può essere compiuta. In difetto del
consenso del cliente, così come in difetto dell'informazione o in presenza di
un'informazione non adeguata, l'intermediario ha l'obbligo di astenersi. Se non
si astiene, sussiste un vizio della fattispecie, non una violazione di una
(inesistente, qui) regola di condotta, sicché - come abbiamo anticipato - il
rimedio correttamente applicabile sarebbe quello della nullità seguita dalle
restituzioni ma, seguendo le Sezioni Unite, si riterrà che l'intermediario
risarcisca il danno, tuttavia secondo lo schema rigoroso del danno in re ipsa,
e quindi anche se il carattere svantaggioso dell'operazione non risulti poi
essere dipeso dall'incidenza dell'interesse in conflitto, bensì dall'andamento
del mercato.
Una differenza tra la vecchia e la nuova disciplina concerne il requisito di
forma-contenuto dell'informazione dell'intermediario e del consenso del
cliente.
L'art. 23, comma 4 del Regolamento congiunto, laddove dispone che <
L'art. 23, comma 3 del Regolamento congiunto non fa riferimento ad alcuna
prescrizione intorno alla forma o al contenuto del consenso del cliente né
richiede che esso sia prestato i via specifica ed autonoma rispetto al compenso
al compimento dell'operazione, ove richiesto dalla natura del servizio di
negoziazione. Dunque è possibile - ove l'informazione sul conflitto di
interessi abbia preceduto l'ordine o una qualsiasi manifestazione di volontà
del cliente - che la <
Invece, fino a ieri, l'art. 27 del Regolamento 11522 disponeva che il cliente
dovesse avere <
Alla stregua del nuovo regime, la forma del consenso richiesto dall'art. 23 del
Regolamento congiunto può essere quella indicata nel contratto normativo.
In difetto, nessuna forma per la validità o particolare contenuto sono
prescritti per il consenso richiesto dall'art. 23 del Regolamento congiunto,
non solo per i clienti professionali, ma anche per i clienti al dettaglio.
La mancanza di un requisito di forma, tuttavia, non rappresenta di per sé un
sicuro vantaggio operativo per l'intermediario, posto che, in difetto di adozione
della forma, sarà più difficile per lo stesso intermediario fornire la prova,
che gli spetta, che il cliente abbia manifestato un consenso al compimento
dell'operazione in conflitto di interessi , dovendosi escludere che la prova
per presunzioni del consenso possa ricavarsi in virtù della semplice
circostanza che il cliente non abbia manifestato alcuna volontà, di segno
positivo o negativo, dopo essere stato (adeguatamente) informato.
A conferma che l'agire dell'intermediario in una situazione di conflitto di
interessi, non scongiurata con misure preventive e dunque esistente, è sempre
vincolato al dovere di diligenza che è proprio del cooperatore professionale,
basta osservare che la stessa negoziazione per conto proprio rappresenta una
tipica situazione di conflitto di interessi, posto che l'intermediario è, qui,
al tempo stesso cooperatore del cliente e sua controparte; ed è da ritenersi
pacifico che anche nell'esercizio dell'attività di negoziazione per conto
proprio l'intermediario debba <
A mio avviso, il carattere estremamente analitico ed articolato del precetto di
organizzazione - segnatamente dell'obbligo di <
Ed invero l'intermediario, una volta che si sia dato un'organizzazione
ragionevolmente idonea, non è libero per ciò stesso di violare con i suoi
comportamenti il precetto primario che gli incombe quale gestore di un
interesse altrui e così, di curare nella sostanza prima e più che nella forma
l'interesse del cliente. Così, l'intermediario, da un lato, non andrà esente da
responsabilità per il solo fatto di essersi organizzato - anche se
l'organizzazione sarà rilevante nel giudizio di responsabilità in termini di
diligenza professionale -, dall'altro, non sarà responsabile se il danno non
dipende dalla mancata organizzazione.
Si consideri innanzitutto che le misure organizzative e di gestione possono
essere violate dallo stesso intermediario che le ha predisposte; ed in tal caso
la sua responsabilità è fuori discussione. Così se la misura organizzativa per
evitare l'<
Nell'ipotesi in cui, invece, le misure siano state rispettate, la
responsabilità sussiste ogniqualvolta risulti che l'intermediario ha posto in
essere comportamenti che, a prescindere dalle misure organizzative e di
gestione, hanno danneggiato il cliente in ragione dell'incidenza di un
interesse in conflitto. Trattandosi di comportamenti indipendenti dalle misure
preventive adottate, la loro idoneità a fondare una responsabilità dell'intermediario
dovrà essere valutata caso per caso secondo il canone della diligenza
professionale, non diversamente da quanto accade per le misure preventive nelle
attività pericolose ai sensi dell'art. 2050 cod.civ., in cui la giurisprudenza,
correttamente, statuisce che operano i canoni ordinari di responsabilità quando
il danno si verifica <
Più in generale, per situazioni quali quelle in cui l'intermediario <
L'organizzazione sarà dunque soltanto uno degli elementi del giudizio
complessivo di responsabilità, come suggeriscono pure, da un lato,
l'osservazione dei mercati finanziari, in cui questo genere di pesanti
discipline burocratiche resta spesso inoperante, dall'altro, l'esperienza di
discipline minuziose rivelatesi sovente assai distanti dalla realtà che pure
intendevano disciplinare. È appena il caso di ricordare che il pericolo che le
misure organizzative si rivelino poco incisive appare più che concreto, se si
considerano ad esempio alcune delle misure organizzative che si stanno
diffondendo nella politica di gestione di diversi intermediari e che misure
organizzative, certamente, non sono: così per il rinvio alla predisposizione di
un sistema di gestione dei reclami o per il mero richiamo alla separata
adozione di ulteriori misure organizzative, non identificate o per il rinvio a
codici etici interni all'azienda o per la dichiarazione che gli avanzamenti di
carriera all'interno dell'azienda non sono legati a specifiche operazioni; e
così via.
Deve respingersi la tesi, che è stata affacciata in prima lettura, secondo cui
ad escludere la responsabilità dell'intermediario sarebbe comunque sufficiente
l'adozione di misure organizzative; a maggior ragione, deve respingersi la tesi
secondo cui non si dovrebbe procedere ad un giudizio oggettivo sull'adozione di
misure organizzative bensì sarebbe sufficiente il giudizio dello stesso
intermediario sul carattere soddisfacente delle misure organizzative adottate,
quasi si trattasse di una - inedita - fattispecie risarcitoria ad effetto
opzionale, in cui la sussistenza della responsabilità sarebbe rimessa
all'apprezzamento dello stesso danneggiante.
Queste tesi sono state formulate nel corso dei lavori che hanno condotto nelle
diverse sedi all'adozione delle discipline di primo e di secondo livello sia,
prima, comunitarie sia, successivamente, interne e sembrano rispondere alla
volontà dichiarata del legislatore storico, che è incentrata sulla <
Ma scelta del modello aziendale non significa scelta del regime giuridico di
responsabilità; di nuovo, altra è la prospettiva in chiave di compliance, altra
è la dimensione del rapporto giuridico tra intermediario e cliente.
Del resto, non è per nulla anomalo che la disciplina del conflitto di
interessi, sebbene percepita di primo acchito come blanda, in omaggio allo
spirito che ha accompagnato l'elaborazione degli analiticissimi precetti della
Mifid, si riveli in realtà, una volta ricostruita dall'interprete al livello
del diritto interno col dovuto corredo di rimedi, anche e soprattutto alla luce
delle regole che già si sono venute consolidando in giurisprudenza - che
ignorano il dovere di organizzazione preventiva, già presente ante Mifid - di
altro spessore, cioè caratterizzata da sostanza e rigore.
A ben vedere, la stessa espressa risultanza del testo della disciplina speciale
prevede, a certe condizioni, sia l'obbligo di informazione da parte
dell'intermediario, sia la necessità del consenso del cliente (con i
conseguenti rimedi, che ho evidenziato nei paragrafi precedenti, per il caso in
cui i precetti non risultino rispettati) e lo stesso quadro d'insieme che fa da
sfondo al recepimento della Mifid mostra come tutti i commentatori lamentino,
giustamente, che un arretramento di efficienza della disciplina del conflitto
di interessi, in termini di enforcement, sarebbe oggi, né più né meno, una
stravaganza, data l'esigenza unanimemente condivisa di contrastare fenomeni ben
noti e tutti sanno che la Mifid si propone bensì di contrastare l'arbitraggio
normativo mediante la tecnica dell'<
Pertanto, la responsabilità dell'intermediario per essersi organizzato in
maniera non adeguata dipenderà certamente da un giudizio di carattere
oggettivo. Ad esempio, per ciò che attiene agli strumenti finanziari emessi da
soggetti terzi cui l'intermediario abbia concesso finanziamenti, dovrà essere
oggettivo il giudizio intorno alla soglia di rilevanza del finanziamento che
l'intermediario si sia assegnato al fine di far scattare l'adozione di
opportune cautele. Così pure, l'intermediario sarà responsabile in caso di
inversione dell'ordine cronologico degli ordini di diversi clienti, anche se
risulti che avesse adottato misure severe di carattere disciplinare per
disincentivare casi di inversione dell'ordine cronologico degli ordini di
diversi clienti. Più in generale, il giudice che ravvisi carenze organizzative
sarà indotto ad identificare la colpa dell'intermediario rilevante ai fini del
risarcimento dell'eventuale danno: e l'onere della prova di avere adottato
un'adeguata organizzazione - come pure di non aver potuto identificare una
possibile situazione di conflitto di interessi - grava sull'intermediario. Non
vi è dubbio che il giudice dovrà tenere conto della dimensione e dei vincoli di
costi di regolazione del singolo intermediario, così evitando di accertare la
responsabilità per il solo fatto che non sia stata adottata una misura efficace
sulla carta ma costosa; ma neppure vi è dubbio che, in simili casi,
l'accertamento della responsabilità dovrà essere fatto dipendere dalla verifica
- con un giudizio opportunamente elastico - circa l'adozione della più efficace
misura alternativa compatibile con le dimensioni ed i vincoli di costo
dell'intermediario.
Non ogni ipotesi di azione in conflitto di interessi si accompagna ad una
preesistente situazione di conflitto di interessi riconducibile ad una delle
ipotesi esemplificativamente riportate nell'art. 24 del Regolamento congiunto o
in altre e diverse ipotesi suscettibili di essere gestite dall'intermediario o
se del caso fatte oggetto di informazione.
Può darsi, infatti, che l'intermediario si faccia guidare da un intento
infedele, che finisce per incidere sulla sua azione, ancorché non fosse
concomitante al compimento dell'operazione.
Così, la domanda di strumenti illiquidi da parte del cliente dipende
essenzialmente da una sottostima dell'alea, mentre l'offerta da parte
dell'intermediario dipende dalla <
Nulla impedirebbe ad un intermediario di organizzarsi per prevenire
l'offerta di strumenti illiquidi e di farlo sub specie di rispetto della disciplina del Regolamento congiunto sul conflitto di interessi, se del caso con una (imbarazzante) informazione, nella quale egli dovrebbe comunicare che avendo interesse ad una <>
È tempo di tornare - per approfondirne significato e disciplina - alle misure
organizzative.
Vorrei premettere che la pretesa novità della Mifid, per cui l'intermediario
avrebbe innanzitutto il dovere di organizzarsi, e solo in estrema ipotesi
doveri informativi e di raccolta del consenso, non è, a dire il vero, una
novità, dato che già nel regime previgente l'art. 21, comma 1 lett. c)
disponeva che l'intermediario dovesse <
Semmai, la circostanza - già anticipata - che nella copiosissima giurisprudenza
alla quale assistiamo, e che applica la disciplina previgente, la soluzione dei
singoli casi di conflitto di interessi sia, pressoché senza eccezioni,
facilitata dal ricorso alla circostanza più agevolmente verificabile della
violazione delle forme informative e dei requisiti strutturali dell'atto,
richiesti dall'art. 27 del Regolamento 11522, dovrebbe suggerire di osservare
che, allo stato, le misure organizzative hanno fallito.
Questa constatazione può aiutare l'interprete a ripartire con il dovuto
realismo con l'opera di ricostruzione del significato e della natura del dovere
di organizzazione dell'impresa di investimento, che è imposta non solo dalla
Mifid ed in particolare dalle norme qui in commento ma, più in generale, e
sotto più profili, dalla nuova disciplina della governance della società di
capitali, che costituisce un vero e proprio indice di sistema; basti pensare ai
precetti di adeguatezza dell'assetto organizzativo, amministrativo e contabile
disciplinati dall'art. 2381, comma 3 e comma 5 cod.civ. ed ai riflessi sulla
disciplina della responsabilità dell'impresa.
Nella sequenza disegnata dalla nuova disciplina speciale il precetto di
informare il cliente e la previsione del consenso dello stesso al compimento
dell'operazione sono destinati ad operare soltanto <
Può accadere quindi che l'intermediario non informi, data la <
Si è osservato che la lettera del TUF e del Regolamento congiunto non
consentirebbero di ricavare da una simile sequenza dei precetti una soluzione
diversa dalla esclusione della responsabilità dell'intermediario.
A mio avviso, non è così: se l'intermediario non è tenuto ad informare il
cliente, non è perché una situazione di pericolo dipendente dalla presenza di
un interesse in conflitto c'è, ma non dev'essere comunicata, bensì è perché (e
solo se) le misure organizzative hanno sortito l'effetto di prevenire la stessa
insorgenza della situazione di conflitto di interessi (nel novero di quelle
esemplificativamente indicate nell'art. 24 del Regolamento congiunto o in altre
e diverse, suscettibili di c.d. <
È vero che la sussistenza di misure organizzative <
L'art. 23, comma 2 del Regolamento congiunto dispone che l'intermediario debba <
Poiché la <
In tali casi l'intermediario, che pure adotti le misure di informazione e di raccolta del consenso del cliente, sarà responsabile del danno patito dal cliente, in occasione di un'operazione compiuta per
suo conto in una situazione di conflitto di interessi, e risponderà
alla stregua del regime, più severo, del divieto di agire (obbligo di
astensione), che comporta che il danno sia considerato in re ipsa.
Difatti prima della previa informazione e del consenso del cliente,
l'intermediario deve organizzarsi. Sicché, in difetto di organizzazione, l'intermediario si deve astenere. È vero che l'argomento apagogico va sempre preso con le molle, ma neppure si può sottacere che, interpretata altrimenti, la disciplina sarebbe assurda, perché l'intermediario
potrebbe impedire l'insorgenza dell'obbligo di informazione e della
necessità del consenso del cliente (e quindi della sanzione più severa
per la violazione dell'obbligo di astensione, che è il risarcimento dell'intiera perdita del cliente, da considerarsi danno in re ipsa),
semplicemente non organizzandosi, rispondendo in questo caso non già per
la violazione di un obbligo di astensione bensì alla stregua della
regola ordinaria sul nesso di causalità.
Invece, l'intermediario risponde alla stregua della regola ordinaria sul nesso di causalità laddove (i) si sia organizzato o comunque abbia individuato e gestito in maniera idonea la situazione di conflitto di interessi ovvero (ii) abbia correttamente informato il cliente e raccolto da lui il consenso; in tali casi, il giudizio concerne il perseguimento del migliore interesse del cliente alla stregua del dovere di diligenza professionale. >Può
darsi inoltre una leggera variante, nella condotta dell'intermediario, rispetto
al caso appena prospettato.
Sempre nell'ottica del risparmio di costi di organizzazione, può accadere che
l'intermediario predisponga un sistema di gestione delle situazioni di
conflitto di interessi (che dovrebbe comportare l'inoperatività dell'obbligo di
informazione) incentrandolo sulla previsione di un vincolo a rendere per
ciascuna operazione un'informazione al cliente. Si assiste così al passaggio
dall'obbligo legale di informazione condizionato alla mancata organizzazione
all'obbligo convenzionale di informazione come metodo volontario di gestione
delle situazioni di conflitto di interessi. In breve, l'intermediario evita o
riduce i costi di organizzazione (ad esempio, assunzione di più dipendenti
destinati a funzioni diverse per evitare cumuli di funzioni quali verifica,
controllo, internal audit), ed informa, senz'altro. Ma la previsione è di
informare, non, di informare e raccogliere il consenso.
Anche in questi casi, l'intermediario che manchi di informare risponderà alla
stregua del regime, più severo, del divieto di agire (obbligo di astensione),
che comporta che il danno sia considerato in re ipsa.
In chiave di deterrence, la previsione della sanzione del risarcimento
dell'intiero danno per violazione dell'obbligo di astensione in caso di mancata
organizzazione dovrebbe rappresentare un incentivo a che gli intermediari
impossibilitati a sostenere i costi di un'organizzazione adeguata adottino, più
in generale, la politica aziendale di astenersi senz'altro dal compiere
operazioni particolarmente pericolose per i clienti.
L'art. 25 del Regolamento congiunto riduce l'ambito di applicazione del
precetto che impone di gestire i conflitti di interessi, perché dispone che la
politica di gestione deve riguardare le situazioni di conflitto di interessi <
Dunque, le misure organizzative sono volte a prevenire l'insorgenza di
situazioni di conflitto idonee a ledere gravemente l'interesse del cliente.
Che il Regolamento congiunto, in conformità alla disciplina di secondo livello,
non esiga dagli intermediari l'adozione di misure organizzative per prevenire
situazioni di conflitto di interessi non idonee ad arrecare lesioni gravi,
conferma, a ben vedere, quanto siamo venuti più volte evidenziando, e cioè che,
a dispetto di quanto potrebbe suggerire una lettura superficiale, anche in
materia di conflitto di interessi le semplici misure organizzative ed
informative non esauriscono gli obblighi dell'intermediario. Per le situazioni
di conflitto di interessi non idonee ad arrecare lesioni gravi il giudizio intorno
alla responsabilità dell'intermediario (e se del caso alla risoluzione)
prescinderà del tutto dall'accertamento dell'intervenuta individuazione e
dell'adozione di misure preventive di gestione.
Costituisce principio pacifico e risalente nella materia dei rapporti di
cooperazione che l'interesse del cooperatore al compenso - da corrispondersi da
parte del cliente - non è mai in conflitto con l'interesse del cliente, posto
che la situazione è da far risalire alla scelta del cliente di impegnarsi a
corrispondere il compenso all'interno di un rapporto a titolo oneroso.
Anche le Sezioni Unite, con le sentenze nn. 26724 e 26725 del 19 dicembre 2007,
hanno precisato, con un importante obiter dictum, che in materia di
intermediazione finanziaria l'interesse in conflitto <
La Mifid ribadisce il principio, disponendo, all'art. 52 del Regolamento Consob n. 16190 del 2007, che <>
Per converso, una situazione di conflitto di interessi sussiste se il compenso
è corrisposto da un terzo: perché il cooperatore può essere interessato a
percepire il compenso dal terzo, alle condizioni con questo pattuite nei soft
commission agreements, e comunque il compenso del terzo può incidere
sull'azione del cooperatore e, ove incida, può determinare un risultato
dell'azione contrario all'interesse del cliente per l'incidenza dell'interesse
al compenso.
Per questa ragione, l'art. 52 del Regolamento n. 16190 detta una disciplina del
conflitto di interessi, riconducibile ai c.d. inducements provenienti da
soggetti diversi dal cliente, senza preindividuare i tratti caratterizzanti
della situazione, bensì rinviando ad un accertamento da svolgersi caso per
caso.
Così l'art. 52 del Regolamento n. 16190 dispone che <
La formulazione, in verità tutt'altro che felice, va intesa nel senso che l'interprete deve accertare caso per caso se gli inducements
danno luogo o meno ad una situazione di conflitto di interessi (la
situazione di conflitto di interessi essendo da ravvisare allorché
risulti che gli inducements non <
Si tratta di un obbligo di informazione al quale, a differenza dell'obbligo di
informazione previsto dal Regolamento congiunto per le diverse situazioni di
conflitto di interessi (che non si siano potute gestire in maniera idonea), non
è previsto che debba seguire un consenso del cliente. Pertanto, non sussistendo
alcun obbligo di astensione, ove non abbia dato adeguata informazione,
l'intermediario risponde alla stregua delle regole ordinarie sul nesso di
causalità (e non del regime più severo incentrato sul danno in re ipsa).
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