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Il Caso.it, Sez. Articoli e Saggi - Data pubblicazione 21/01/2009 Scarica PDF
Operatore qualificato e obbligo di informazione: interpretazione integrativa dell'art. 31 del regolamento e dubbi di costituzionalità
Franco Benassi, Direttore della Rivista IL CASO.it. Co-Direttore della Rivista Ristrutturazioni aziendali. AvvocatoSommario: 1. Il caso; 2. Nullità e inadempimento: qualificazione della domanda e giusto processo; 3. L'applicazione dell'art. 31 del Regolamento all'operatore qualificato persona giuridica: il dibattito di dottrina e giurisprudenza; 4. segue: la scelta interpretativa operata dalla sentenza in commento; 5. Doveri informativi, integrazione delle norme regolamentari e ipotesi di incostituzionalità dell'art. 31 del Regolamento n. 11522/98; 6. Conclusioni.
1. Il caso
Nonostante la questione dell'operatore qualificato sia stata ampiamente
approfondita da dottrina e giurisprudenza e benché i problemi posti
dall'interpretazione della speciale normativa di settore siano stati sviscerati
da molteplici angolazioni, è possibile affermare che questa decisione1 apre una
prospettiva inedita sulla quale val la pena soffermarsi.
Una società immobiliare, dopo aver stipulato un contratto di locazione
finanziaria a tasso variabile su di un immobile di rilevante valore, concede il
bene in locazione a terzi e pattuisce canoni di entità pari alla rata di
leasing, oltre ad una maggiorazione per remunerare l'operazione. Al fine di
cautelarsi dal rischio d'aumento dei tassi di interesse, e quindi di aumento
della rata del leasing, l'immobiliare stipula vari contratti di interest rate
swap2 con la banca al cui gruppo appartiene l'istituto di leasing.
Purtroppo, l'esito dei contratti di swap, via via rinnovati nell'arco di un
biennio, non è stato quello prospettato dalla banca, di avere cioè un andamento
di segno contrario all'eventuale aumento del tasso applicato alla rata di
leasing. I contratti avevano, infatti, generato una ingente perdita a carico
della società.
L'immobiliare citava, quindi, in giudizio la banca sostenendo di non essere
stata adeguatamente informata dei forti rischi connessi all'uso dei contratti
di swap e, con riguardo alla specifiche operazioni impugnate, deducendo che la
banca aveva garantito che quei contratti erano stati concepiti in modo tale da
assicurare la copertura dal rischio di variazione dei tassi e che mai avrebbero
potuto generare una perdita tanto rilevante e del tutto slegata dallo scopo
dichiarato.
La cliente, sulla base di questi presupposti, impugnava i contratti affermando
l'invalidità della dichiarazione di operatore qualificato resa ai sensi
dell'art. 31 del reg. Consob n. 11522/1998 e sostenendo che tale dichiarazione,
per essere valida, presuppone in capo alla società dichiarante una reale ed
effettiva conoscenza ed esperienza in strumenti finanziari che l'intermediario
ha il dovere di verificare in concreto. In mancanza di tale verifica
l'intermediario non avrebbe potuto inquadrare la cliente nella categoria degli
operatori qualificati e non avrebbe potuto ritenersi esonerato
dall'applicazione della normativa di protezione prevista per i normali
investitori.
2. Nullità e inadempimento: qualificazione della domanda e giusto processo
La corte milanese, prima di affrontare le specifiche questioni interpretative
dell'art. 31 del Regolamento intermediari3, si sofferma sul problema
dell'esatta qualificazione giuridica della domanda proposta dalla società
rilevando che, nonostante questa abbia chiesto la dichiarazione di nullità
degli swap, i fatti allegati consistono in specifici inadempimenti ai doveri
informativi posti dalla legge a carico degli intermediari, inadempimenti che,
anche alla luce dei chiarimenti forniti sul punto dalla recente sentenza delle
Sezioni Unite, avrebbero potuto portare alla risoluzione del contratto e non
alla dichiarazione di nullità.4
Il giudice, quindi, avvalendosi del potere di dare qualificazione giuridica
alle domande, ha ritenuto che quella avanti a lui proposta fosse in realtà una
domanda di risoluzione per inadempimento. 5
La precisazione si rivela quanto mai opportuna, in quanto, in sede di prima
applicazione dei principi dettati dal TUF e dal regolamento, non sono mancate
decisioni che hanno respinto le istanze degli investitori solo perché le
richieste di risarcimento o di restituzione sono state proposte come
conseguenza della domanda di nullità anziché di quella di inadempimento
contrattuale.
Sul punto, nonostante non sia questa la sede per approfondire un argomento di
tale portata, è interessante notare che il Tribunale, nel caso di specie, basa
la qualificazione della domanda sulle censure mosse all'intermediario che, come
si è detto, afferiscono alla mancata informazione sul rischio specifico degli
swap, al mancato raggiungimento dello scopo di copertura dal rischio di
variazione dei tassi ed infine al fatto che la sola dichiarazione prevista
dall'ultima parte dell'art. 31 del regolamento non sarebbe sufficiente per
classificare l'investitore nella categoria degli operatori qualificati.
E poiché le contestazioni in parola attengono ai doveri di comportamento
dell'intermediario, la cui violazione, come hanno chiarito le Sezioni unite
civili della Suprema Corte,6 non incide direttamente sulla validità del
rapporto di intermediazione ma rileva quale fonte di responsabilità
contrattuale, la domanda non può che essere intesa quale azione di
inadempimento.
Nell'optare per questa soluzione, il giudice ha quindi ritenuto che la parte,
nonostante le espressioni usate, invocasse nella sostanza un rimedio tendente
ad invalidare il contratto ed a porre rimedio al pregiudizio subito per
eliminare le conseguenze dannose causate dal comportamento della banca.
Benché, quindi, i rimedi della nullità, del risarcimento del danno e della
risoluzione siano tra loro assolutamente differenti sul piano giuridico ed in
parte anche su quello degli effetti, il Tribunale, nell'interpretare la
domanda, ha evidentemente avuto riguardo all'effetto invocato in concreto
dall'attore e quindi alla sostanza più che alla forma utilizzata per la
formulazione della sua pretesa.
Seguendo l'orientamento più volte ribadito dalla Corte di Cassazione,7 il
Tribunale ha, dunque, fatto uso del suo potere di qualificazione ricercando la
effettiva volontà della parte e ha dato rilievo al contenuto sostanziale della
richiesta ed alle finalità perseguite, desumendole, oltre che dal tenore
letterale della domanda, anche dalle vicende in essa dedotte e rappresentate.8
Pare quindi possibile sostenere che la pronuncia ha fatto proprio il principio
secondo il quale "non sono necessarie formule sacramentali per proporre la
domanda e che questa può essere formulata anche per implicito ed emergere
allora piuttosto da considerazioni obiettivamente funzionali che da ricerche
dell'«interna volontà» dell'interessato."9
Nella ricerca del cd. petitum sostanziale10, il giudice ha preso quindi in
considerazione l'intrinseca natura della posizione dedotta in giudizio e l'ha
individuata con riguardo alla protezione ad essa accordata dall'ordinamento.11
La scelta operata costituisce allora applicazione del generale principio della
prevalenza della sostanza sulla forma, che ha una notevole rilevanza anche al
fine di stabilire il mezzo di impugnazione esperibile nei confronti di un
determinato provvedimento giudiziale12 e che, mi pare, sia stato ancora
ribadito in seguito alla modifica dell'art. 111 della Costituzione che ha iato
il principio del giusto processo.13
Le Sezioni Unite Civili della Corte di Cassazione, nella recente sentenza 18
dicembre 2007, n. 26619,14 nel risolvere il problema degli effetti della
sentenza dichiarativa di fallimento pronunziata da giudice incompetente per
territorio, hanno optato per la conservazione degli effetti sostanziali della
sentenza anche se resa da giudice incompetente.15 Ma ciò che preme evidenziare
è che la S.C., richiamando espressamente l'art. 111 Cost., ha affermato che per
giusto processo si deve "intendere quello articolato in modo da garantire
una risposta coerente ed adeguata alle esigenze di tutela fatte valere con
l'atto di suo impulso".
L'affermazione, sintetica ma densa di significato, pone senza dubbio l'accento
sul contenuto sostanziale della domanda.
Come ha affermato autorevole dottrina, è noto come sempre più la giurisprudenza
tenda ad un superamento dei concetti di petitum e causa petendi e sposti
l'attenzione su quelli di petitum sostanziale16 e di ambito della lite.
La S.C., nell'affermare che è giusto quel processo che garantisce una risposta
coerente ed adeguata alle esigenze di tutela fatte valere, ribadisce ancora una
volta la necessità che il giudice, nell'interpretare la domanda, ne individui
l'oggetto svincolando la ricerca da ogni formalismo ed indagando sulle finalità
che la parte intende ottenere e che devono essere
necessariamente raccordate con gli strumenti di tutela effettivamente offerti
dall'ordinamento.
«Ciò che conta è quindi l'esigenza di un certo avere»17, esigenza che deve
essere posta in relazione alla parte ed al tipo di tutela ottenibile.
Per raggiungere questo scopo, il giudice può allora procedere autonomamente
alla ricostruzione dei fatti di causa in modo diverso da quello prospettato
dalla parte ed applicare una norma giuridica diversa da quella dalla stessa
invocata.18
Tornando alla decisione in commento, ci pare di poter condividere il
procedimento seguito dal Tribunale di Milano, il quale, dopo aver rilevato che
ai fatti allegati a fondamento della domanda l'ordinamento ricollega non la
nullità ma la risoluzione ed il risarcimento del danno, ha anche osservato che
la domanda formulata era comunque tesa ad invalidare il contratto e che gli
effetti della dichiarazione di nullità presentavano notevoli analogie con
quelli della risoluzione per inadempimento.
A ben vedere, nella maggior parte dei casi in cui l'investitore agisce in
giudizio contro l'intermediario deducendo la violazione di norme di condotta,
con particolare riferimento a quelle che prescrivono doveri informativi le
esigenze di tutela fatte valere con la domanda consistono nel diritto alla
eliminazione degli effetti patrimoniali negativi provocati dal comportamento
antigiuridico dell'intermediario. Se queste considerazioni sono corrette, riesce difficile
credere che per la parte possa avere rilevanza la qualificazione della fattispecie oggetto di giudizio in termini di nullità
piuttosto che di inadempimento.
Unica ipotesi in cui tale qualificazione potrebbe incidere sull'interpretazione
della domanda è forse quella in cui le esigenze di tutela fatte valere siano
strettamente ed indissolubilmente legate ad un determinato titolo giuridico
piuttosto che ad un altro.
In concreto, a mero titolo di esempio, e senza volerci addentrare in un
indagine piuttosto complessa, si potrebbe ipotizzare il caso in cui si chieda
la dichiarazione di nullità di un determinato negozio perché la nullità è
l'unico mezzo cui l'ordinamento ricollega l'effetto voluto: ove l'azione di
risoluzione fosse per qualche motivo prescritta o la parte voglia far
dichiarare la nullità del contratto quadro per estendere gli effetti della
pronuncia anche ad altre operazioni o rapporti in qualche modo ad esso
collegati.19 Altra ipotesi, per rimanere in tema di questioni aventi attinenza
con l'intermediazione finanziaria, potrebbe essere quella in cui la parte
intenda chiaramente evitare gli oneri probatori connessi all'azione
contrattuale o risarcitoria, in considerazione del fatto che la dichiarazione
di nullità apre le porte alle restituzioni.
3. L'applicazione dell'art. 31 del Regolamento all'operatore qualificato
persona giuridica: il dibattito di dottrina e giurisprudenza
La problematica di maggior interesse affrontata dalla decisione in commento è
tuttavia quella relativa all'interpretazione dell'art. 31 del reg. Consob n.
11522/98, ove dispone che, ai fini dell'applicazione dello speciale regime ad
essi riservato dal primo comma del citato articolo, sono considerati operatori
qualificati, oltre a quelli cd. di diritto, anche le società e le persone
giuridiche in possesso di una specifica competenza ed esperienza in materia di
operazioni in strumenti finanziari espressamente dichiarata per iscritto dal
legale rappresentante.20
Il dibattito giurisprudenziale e dottrinale sull'interpretazione di questa
norma è ancor oggi molto acceso e contrastato. L'applicazione della
disposizione comporta invero effetti di notevole rilievo sul piano della tutela
dell'investitore, in quanto consente all'intermediario di interagire con gli
operatori qualificati senza applicare buona parte delle norme poste dal
regolamento a tutela degli investitori, norme di pregnante rilevanza quali
quelle che regolano i doveri informativi e di comportamento che di fatto
caratterizzano l'essenza dello speciale statuto di tutela del cliente.21
Mentre, infatti, la Consob, nell'emanare la normativa di dettaglio, ha ritenuto
ragionevole che SGR, SICAV, fondi pensione, compagnie di assicurazione,
emittenti di strumenti finanziari quotati, promotori finanziari, amministratori
e sindaci di società di intermediazione mobiliare e fondazioni bancarie non
necessitassero, in considerazione della loro effettiva esperienza,
di alcuna tutela, notevoli perplessità ha suscitato la norma in esame nella
parte in cui tende ad equiparare ai soggetti di cui sopra anche qualsiasi
società o persona giuridica che semplicemente dichiari di avere esperienza in
strumenti finanziari.
La soluzione dei problemi posti da questa scelta operata dall'organo di
vigilanza ha diviso la dottrina e la giurisprudenza. Da una parte troviamo
coloro i quali affermano che la dichiarazione resa per iscritto dal legale
rappresentante della società o persona giuridica è di per sé sufficiente ad
inquadrare il cliente come operatore qualificato ed a sollevare quindi
l'intermediario da ogni ulteriore indagine al riguardo.22 Dall'altra parte vi è
chi ritiene che l'intermediario che riceve la dichiarazione debba invece
verificare se la società sia effettivamente in possesso della conoscenza ed
esperienza dichiarate dal suo legale rappresentante.23
I primi fondano la propria opinione essenzialmente su due elementi: i) il
tenore letterale dell'art. 31, secondo il quale l'intermediario può
classificare la persona giuridica cliente come operatore qualificato sulla base
della dichiarazione in tal senso resa dal legale rappresentante (...specifica
competenza ed esperienza in materia di operazioni in strumenti finanziari
espressamente dichiarata per iscritto dal legale rappresentante); ii) la
considerazione che non appare ragionevole onerare l'intermediario dell'indagine
volta ad appurare caso per caso il reale possesso ed il livello della
conoscenza ed esperienza dichiarate.24 Alla base della scelta effettuata
dall'organo di vigilanza di sollevare l'intermediario da tale onere vi sarebbe
la constatazione che chi rappresenta la società è un soggetto che «si presenta
oggettivamente (per la carica) e soggettivamente (per la dichiarazione in sé)
come del tutto consapevole dei rischi insiti nell'operazione».25 Ed è proprio
su questa presunta consapevolezza che la Consob si sarebbe basata allorché,
mediante l'art. 31 del regolamento, ha graduato i doveri degli intermediari in
modo tale da tener conto delle differenti esigenze di tutela degli investitori
e della loro esperienza professionale.26
A questa linea di pensiero si contrappone quella di chi non accetta di
soffermarsi alla lettera della norma ed afferma che la disposizione deve essere
letta ed interpretata nel contesto dei principi che ispirano il TUF, quali
quelli di buona fede e correttezza, che impongono di evitare dichiarazioni
formali che non corrispondono ad una effettiva condizione del soggetto,27 e
quello per cui l'intermediario deve operare «sempre e comunque nella piena
consapevolezza delle caratteristiche dell'investitore».28 L'intermediario sarà
quindi tenuto a verificare che il cliente sia veramente in possesso di quella
conoscenza ed esperienza che consentono di catalogarlo come operatore
qualificato e non potrà ritenersi esonerato dall' effettuare tale verifica per
il solo fatto che il legale rappresentante della società ha rilasciato quella
che è stata definita una dichiarazione "autoreferenziale".29 Questa
dichiarazione non potrà, quindi, limitarsi a ripercorrere il testo dell'art. 31
del regolamento, dovendo invece allegare e riportare elementi circostanziati
dai quali sia possibile dedurre che il contraente sia effettivamente in grado
di comprendere la natura del negozio sottoscritto.30
E' stato anche osservato che la pura e semplice affermazione di essere in
possesso della specifica esperienza, così come concepita dalla norma, non è in
alcun modo idonea a fornire all'intermediario le informazione necessarie per
classificare l'investitore. Una simile dichiarazione non contiene, infatti,
alcun elemento che consenta di valutare l'esperienza del cliente. Essa contiene
solo un "giudizio", una mera valutazione espressa dal legale
rappresentante, il quale afferma che, a suo parere, la società è esperta. Un
simile atto non solo non è in grado di fornire elementi utili alla
classificazione del cliente ma neppure può produrre alcun effetto giuridico e
tanto meno negoziale. Secondo questa opinione, la dichiarazione si risolve
allora in una rinuncia implicita alle tutele previste dalla legislazione
speciale, rinuncia che il cliente non è in grado di effettuare perché non
dispone delle conoscenze che gli permettono di valutarne gli effetti e perché
l'intermediario non «accompagna la sua richiesta con una adeguata indicazione
della effettiva portata delle conseguenze» che ne derivano sul piano della
tutela. 31
4. segue: la scelta interpretativa operata dalla sentenza in commento
Il Tribunale affronta con decisione il problema dell'interpretazione dell'art.
31 del Regolamento affermando, in primo luogo, che la formulazione della norma
è tale per cui la qualifica di operatore qualificato deve essere applicata a
coloro che posseggono effettivamente una specifica conoscenza ed esperienza.
Osservano infatti i giudici che tutte e tre le categorie di soggetti presi in
considerazione dalla disposizione si caratterizzano per il possesso di una
esperienza effettiva. Ad un primo livello si collocano coloro che operano
professionalmente nel settore finanziario ed assicurativo (intermediari, SICAV,
SGR ecc.), ai quali la qualifica di operatore qualificato si applica "in
automatico". Ad secondo livello vi sono le persone fisiche, promotori
finanziari e coloro che hanno svolto funzioni di amministrazione e controllo in
società di intermediazione mobiliare: a questi soggetti la definizione di
operatore qualificato può applicarsi solo ove i suddetti requisiti siano
adeguatamente documentati. In entrambi i casi «la competenza in materia finanziaria
è derivazione della loro attività professionale nel settore finanziario».32
Per quanto riguarda il terzo gruppo, la sentenza afferma che si tratta di
soggetti per i quali la qualifica in questione discende non dalla professione
svolta, bensì dal fatto di avere già una determinata, specifica, competenza ed
esperienza in materia finanziaria; si tratta, dice il collegio, di «un elemento
qualificante la persona giuridica o la società che deriva dalla sua
esperienza». Il Tribunale afferma poi che, come nei primi due casi esaminati,
anche in quest'ultimo l'elemento qualificante l'investitore deve «evidentemente
preesistere» e poiché si tratta di un elemento che rientra nella sfera di
conoscenza del soggetto che si accinge ad operare, la dimostrazione della sua
esistenza viene data con un dichiarazione scritta del legale rappresentante.
In conclusione, la dichiarazione avrebbe la funzione di sollevare
l'intermediario dall'onere della prova in ordine alla sussistenza dei requisiti
richiesti per la qualifica di cui si discute. Sul punto, il Tribunale ribadisce
che la valutazione della specifica conoscenza ed esperienza è rimessa dalla
legge espressamente al legale rappresentante della società e giammai
all'intermediario, il quale non potrà di certo essere chiamato ad indagare
sull'effettiva esistenza dell'esperienza dichiarata, non prescrivendo la legge
in alcun modo tale onere.
Ma è proprio su questo delicato punto che la sentenza introduce un elemento di
assoluta novità, un elemento che concorre a formare nel legale rappresentante,
nella persona fisica che rilascia a nome dell'ente rappresentato la
dichiarazione, un fattore di maggiore consapevolezza in ordine al contenuto e
soprattutto agli effetti che la dichiarazione comporta.
La sentenza afferma infatti che, nel caso specifico sottoposto al suo giudizio,
la società, anziché basare la censura al comportamento dell'intermediario
sull'omessa verifica dell'esperienza dichiarata, avrebbe invece dovuto dedurre
di non essere stata adeguatamente informata «del significato della
dichiarazione e delle conseguenze che da essa ... derivano in termini di minore
protezione ...».
Si legge nella decisione che l'art. 21, comma 1, lett a) del TUF prescrive a
carico dell'intermediario doveri di carattere generale che devono essere
osservati anche quando la controparte è un operatore qualificato.
La pronuncia, poi, definisce con precisione il contenuto dell'informazione ed
il tipo di diligenza che in questa particolare situazione deve essere prestata
dall'intermediario: questi deve, come detto, informare il cliente delle
conseguenze in termini di protezione e di informazione che la dichiarazione
comporta e deve altresì accertarsi che la controparte abbia compreso
l'avvertimento.
L'intermediario, in sostanza, in questa prima fase del rapporto, deve informare
la controparte che si appresta ad essere trattata come operatore qualificato
che questa sua condizione la priva delle informazioni e delle protezioni
previste dalla legge a tutela dei normali investitori, e tale informazione,
sottolinea la sentenza, deve essere data «in termini di assoluta trasparenza e
correttezza».
I principi affermati in questa parte della decisione sono, a mio modesto
parere, di notevole rilievo. Affermare che l'informazione deve essere data in
termini di assoluta trasparenza e correttezza e che l'intermediario deve
accertarsi che la controparte abbia ben compreso la portata e le conseguenze
della dichiarazione che lo porta ad essere trattato come controparte
qualificata, significa affermare e tradurre in concreto, in un momento cruciale
del rapporto, un principio che costituisce uno dei cardini sui quali si
impernia la legislazione in materia finanziaria.
Trasparenza e correttezza dovranno quindi essere reali e non solo formali.
L'intermediario non potrà accontentarsi di informare il cliente mediante moduli
standardizzati ma dovrà accertarsi che questi abbia compreso l'avvertimento e
le conseguenze che derivano dalla sua scelta. E per meglio definire un criterio
di concreta e reale trasparenza e correttezza, la decisione afferma che ove
l'intermediario sia convinto che il cliente abbia compreso l'avvertimento,
potrà fare a meno di verificare la reale esistenza della specifica competenza
ed esperienza.
Ciò che in sostanza rileva in questa delicata fase informativa non è la
corrispondenza tra il contenuto della dichiarazione e l'esperienza posseduta
dal cliente ma la consapevolezza in capo a questi della portata della
dichiarazione, così che egli, nel caso non possegga l'esperienza dichiarata,
sia almeno conscio del fatto che la sua condizione di ignoranza lo espone a
rischi
rilevanti dovuti al fatto che l'intermediario con cui interagisce non sarà
tenuto a proteggerlo ed a sorvegliare gli effetti della scelta operata.
Ulteriore elemento di rilievo ci pare poi l'affermazione per cui
l'intermediario che abbia agito nel modo descritto non è tenuto a verificare la
reale esperienza del cliente a meno che «non fosse del tutto evidente che la
società o persona giuridica ignorava completamente il settore finanziario».
Anche questa affermazione non è priva di conseguenze.
Ciò cui la decisione pare fare riferimento con la locuzione ignorava
completamente il settore finanziario è cosa diversa dalla mancanza di specifica
competenza ed esperienza in strumenti finanziari dell'art. 31. L'elemento
indicato dalla norma, utilizzato per equiparare la società o persona giuridica
ai professionisti del settore presi in esame dalla prima parte dell'articolo,
è, infatti, molto di più una qualsiasi generica conoscenza del settore
finanziario.
La locuzione si riferisce espressamente e distintamente a conoscenza e ad
esperienza e riferendosi al primo di essi (o forse ad entrambi?) la norma
aggiunge l'aggettivo specifica. Anche ad una analisi superficiale dei termini
utilizzati, appare evidente che non viene presa in considerazione una semplice
conoscenza di strumenti finanziari bensì il fatto che il cliente abbia con essi
una concreta esperienza, abbia cioè già posto in essere operazioni con
strumenti analoghi a quelli con i quali si accinge ad operare dopo aver
informato l'intermediario delle proprie capacità. A questo, infatti, ci pare
possa essere riferito il termine «specifica», ad una conoscenza ed esperienza
di strumenti finanziari che non potrà essere soltanto generica ma particolare
appunto perché riferita ad un determinato strumento o quanto meno ad una
determinata tipologia di strumenti.
Ecco allora che, ci pare correttamente, il Tribunale afferma che
l'intermediario non è tenuto a verificare l'effettiva conoscenza ed esperienza
«sempre che non fosse del tutto evidente che la società o persona giuridica
ignorava completamente il settore finanziario». Appare evidente infatti che
qualora l'intermediario, che, lo ricordiamo, deve agire con reale e non solo
formale trasparenza e correttezza, disponga di informazioni che contraddicano
in modo palese il contenuto della dichiarazione e facciano pensare che il
soggetto, che si appresta ad essere classificato come operatore qualificato al
pari di SIM e promotori finanziari, addirittura ignori completamente il settore
finanziario, ecco allora che l'intermediario avrà il dovere di non tenere in
considerazione la dichiarazione e dovrà invece approfondire la reale
consapevolezza del soggetto che si accinge ad assumere rischi del tutto
particolari.
Fermo restando che, come regola generale, l'intermediario non è tenuto a
verificare l'esperienza del cliente, pur tuttavia egli non potrà ignorare
segnali che siano fortemente indicativi di una condizione di ignoranza del
settore finanziario tale da impedire al cliente di capire che quella condizione
non gli consente di comprendere gli effetti dell'opzione ed i rischi cui si
espone.
A completare il quadro di questa impostazione, la sentenza, nel ribadire che,
nel caso specifico, la società avrebbe dovuto dedurre di non essere stata
informata, sottolinea che tale deduzione doveva essere accompagnata dalla
indicazione di elementi tali da far ritenere che «la banca non avrebbe potuto
fare affidamento sulla sua dichiarazione».
Ci pare quindi di poter affermare che, secondo la sentenza in commento, la
dichiarazione prevista dall'ultima parte dell'art. 31 del regolamento, con la
quale una società o persona giuridica dichiara di avere specifica conoscenza ed
esperienza dei mercati finanziari, è idonea a sollevare l'intermediario
dall'onere di verificare l'effettiva esistenza dell'esperienza dichiarata a
condizione che: i) l'intermediario abbia prima informato il legale
rappresentante che la società non godrà delle tutele informative che spettano ai
normali investitori e dell'entità dei rischi che conseguono a tale rinuncia;
ii) l'intermediario, usando la correttezza, la diligenza e la trasparenza cui è
tenuto in base ai principi generali che informano il TUF e la legislazione in
materia di intermediazione finanziaria, si sia accertato che la persona che
rappresenta la società abbia ben compreso le conseguenze in termini di minore
informazione e protezione che derivano dalla dichiarazione e dall'essere
classificato quale operatore qualificato; iii) da elementi a disposizione
dell'intermediario non appaia evidente l'incapacità della persona che rilascia
la dichiarazione a comprenderne la portata e non sia quindi consapevole degli
effetti che comporta: in questo caso, e solo in questo, l'intermediario sarà
tenuto ad indagare sulla effettiva esperienza del cliente.
A conclusione di questo paragrafo, ci pare di poter affermare che la soluzione
adottata dai giudici milanesi è coerente con la premessa dagli stessi posta
prima di affrontare la questione, ben espressa dall'affermazione che «pur non
condividendo l'interpretazione più formalistica data alla norma in esame [art.
31 reg.] ... [il Tribunale] non ritiene neanche che l'intermediario debba
procedere a penetranti verifiche sulla sussistenza della specifica competenza
ed esperienza nel settore finanziario».
Riposta dunque ogni interpretazione che tende a far discendere dalla
dichiarazione ex art. 31 l'applicazione automatica della qualifica di operatore
qualificato in capo a qualsiasi società, il baricentro dell'attenzione si
sposta sull'effettività e l'efficacia dell'informazione che l'intermediario
deve dare al cliente per porlo in condizione di comprendere le conseguenze
della sua scelta.
5. Doveri informativi, integrazione delle norme regolamentari e ipotesi di
incostituzionalità dell'art. 31 del Regolamento n. 11522/98
Viene da chiedersi se l'operazione ermeneutica operata dall'interessante
pronuncia milanese possa essere spiegata con un diverso modo di interpretare la
disposizione dell'art. 31, alla luce dei principi generali che informano la
materia, o se la strada imboccata presupponga piuttosto la disapplicazione di
quella parte della norma che esonera l'intermediario dall'informare il cliente
che si dichiari esperto in strumenti finanziari.
Non si deve, infatti, dimenticare che l'art. 31 espressamente dispone che agli
operatori qualificati non deve essere applicata la maggior parte delle norme
poste dal regolamento a tutela degli investitori, tra le quali spicca l'art. 28
che detta nel dettaglio la modalità di scambio di informazioni tra intermediari
e investitori.
Una prima ipotesi interpretativa potrebbe essere quella secondo la quale i
particolari doveri informativi indicati dalla sentenza - quelli aventi ad
oggetto l'avvertimento al legale rappresentante in ordine agli effetti
dell'attribuzione della qualifica di operatore qualificato - siano del tutto
peculiari e limitati alla fase del rapporto nella quale l'intermediario opera
la classificazione del cliente società o persona giuridica.
Seguendo questa via, si potrebbe affermare che, una volta riconosciuto e
classificato il cliente come soggetto qualificato, nelle fasi successive del
rapporto potranno essere legittimamente applicate le altre disposizioni del
regolamento che esonerano l'intermediario dai doveri informativi e di
protezione.
L'informazione che deve essere data al legale rappresentante opererebbe quindi
su un piano diverso e in momento precedente a quello che caratterizza
l'operatività vera e propria, in un momento quindi anteriore anche alla stipula
del contratto quadro, con la conseguenza che le disposizioni dell'art. 31 del
regolamento seguiterebbero ad applicarsi una volta che il soggetto sia stato
inquadrato tra gli operatori qualificati.
La regola indicata dalla sentenza riguarderebbe quindi solo il metodo che
l'intermediario deve seguire per classificare il cliente. E tale regola
informativa trarrebbe fondamento e legittimazione dai principi generali in
materia finanziaria, tra i quali primeggia quello contenuto nell'art. 21 lett.
b) che impone all'intermediario di «operare in modo che i clienti siano sempre
adeguatamente informati».
Se gli intermediari devono far sì che i clienti siano sempre adeguatamente
informati, allora, parrebbe logico e ragionevole sostenere che essi debbano
essere informati anche e soprattutto quando, per effetto di una dichiarazione
il cui rilascio dipende da un loro atto di volontà, si apprestano ad operare in
una condizione che la normativa speciale di settore considera assolutamente
eccezionale perché potenzialmente molto rischiosa.
La soluzione sui approda la decisione in commento, è, a mio parere, la più
equilibrata e rispettosa del dettato normativo perché consente di fare
applicazione dei principi generali di correttezza e trasparenza mediante
l'informazione data anche in questo particolare momento, nel quale
intermediario e persona giuridica si apprestano a derogare allo statuto
dell'investitore.
La correttezza di questa impostazione potrebbe tuttavia poggiare anche sulla
considerazione che ove si procedesse ad una interpretazione puramente letterale
dell'art. 31, si finirebbe per equiparare le persone giuridiche agli
investitori qualificati semplicemente sulla scorta di una dichiarazione resa
dal legale rappresentante, con la conseguenza che con una semplice clausola
contrattuale tutte le società indistintamente verrebbero private di ogni tutela
informativa.
La soluzione adottata permette di porre rimedio, almeno parzialmente, a questo
problema.
Se l'art. 31 venisse applicato senza questa cautela informativa, senza cioè
l'avvertenza relativa alle conseguenze ed agli effetti della dichiarazione,
dovremmo concludere che l'organo di vigilanza, allorché ha emanato la norma in
questione, ha considerato che società ed enti siano sempre investitori esperti
per il solo fatto di avere una struttura con personalità giuridica e siano
anche in grado di comprendere le conseguenze derivanti dalla classificazione
nella categoria degli operatori qualificati.
Se tuttavia un simile ragionamento può essere valido per società che dispongono
di un servizio di tesoreria paragonabile a quello previsto per le SIM,
altrettanto non può dirsi per tutte le altre società che operano in settori che
non richiedono una complessa struttura organizzativa e contabile e che comunque
non operano professionalmente nel settore finanziario. Affermare che un cliente
non ha diritto di essere informato per il solo fatto di essere una società ed
indipendentemente dal possesso dei requisiti che caratterizzano i soggetti
presi in considerazione dalla prima parte dell'art. 31 del Regolamento, espone
l'assunto alla critica di illogicità e irragionevolezza, con tutte le
conseguenze che ne possono derivare in termini di probabile incostituzionalità
della norma.
Appare infatti illogico, irragionevole e contrario all'art. 3 della
Costituzione prevedere una tutela informativa ed in genere uno statuto di
protezione dell'investitore da applicarsi in modo generalizzato a tutti i
soggetti ed escludere da tale protezione le società e le persone giuridiche
indipendentemente dal tipo di attività svolta e da qualsiasi considerazione
sulla loro conoscenza dei mercati finanziari.
Una simile norma si baserebbe, infatti, su un dato di fatto errato e cioè sulla
considerazione che tutte le società ed i soggetti con personalità giuridica
sono per ciò solo muniti di cognizioni superiori a quelle degli altri
investitori ed in grado pertanto di comprendere le conseguenze dell'opzione che
li colloca tra gli operatori qualificati.
Quel che in pratica si vuol sostenere è che non corrisponde al vero che alla
personalità giuridica corrisponda sempre e necessariamente una conoscenza dei
mercati finanziari adeguata ad effettuare la scelta di essere trattati come
operatori qualificati e che una tale scelta, per poter essere definita
consapevole, deve essere preceduta quanto meno da una informazione data con
correttezza e trasparenza da chi, come l'intermediario, dispone delle
conoscenza e degli strumenti necessari per informare il cliente e, come
giustamente afferma la sentenza di Milano, di rendersi conto se questi abbia
adeguatamente compreso l'avvertimento.
Se non è vera l'equazione persona giuridica uguale a soggetto esperto in
mercati finanziari, allora la norma contenuta nell'art. 31 è viziata da un
errore logico ed è pertanto irragionevole e contraria al principio
costituzionale di eguaglianza perché non assicura a molti soggetti che
sicuramente esperti non sono la stessa protezione che prevede invece come
regola generale per gli altri investitori.
6. Conclusioni
Dal punto di vista sistematico, mi pare dunque che la scelta del Tribunale di
Milano possa essere valorizzata sotto due profili.
Il primo si fonda sull'applicazione della clausola generale contenuta nell'art.
21 del TUF, secondo la quale gli investitori, tutti gli investitori, devono
essere sempre adeguatamente informati.
L'art. 31 è stato emanato dalla Consob in forza della deroga alla riserva
relativa di legge contenuta nell'art. 6, comma 2 del T.U.F.33, per cui la
normativa primaria (il T.U.F.) e quella secondaria (il Regolamento) hanno
entrambe efficacia di norme di legge e devono essere considerate un corpus
unicum e configurano un regime multiforme sempre aperto alla concreta
regolamentazione di funzionamento del mercato deliberata dalla Consob tenendo
conto delle differenti esigenze di tutela degli investitori connesse con la
qualità e l'esperienza dei medesimi.34
Le norme del T.U.F. sono, poi, immediatamente e direttamente applicabili anche
nelle parti in cui si presentano come generiche ed anche in presenza di
disposizioni regolamentari emanate dalla Consob.35 Dal che si deduce - e sul
punto la dottrina appare concorde - che le regole di condotta elaborate
dall'organo di vigilanza completano e non esauriscono la disciplina normativa,
così che principi di carattere generale quali i doveri di informazione,
trasparenza, correttezza e buona fede possono essere di volta in volta adattati
al caso concreto.
E' stato pure sostenuto che, in caso di contrasto tra le norme del TUF e quelle
del regolamento, le prime dovranno prevalere sulle seconde36 e che l'interprete
di queste dovrà fare in modo che la loro applicazione sia conforme alle
disposizioni di rango legislativo alla cui esecuzione le stesse sono
preordinate.37
Se quindi le regole di dettaglio dettate dalla Consob mediante i regolamenti
non esauriscono il catalogo delle misure informative che gli intermediari
devono adottare a tutela degli investitori, possiamo sostenere la correttezza
dell'operazione ermeneutica del Tribunale milanese che, in applicazione dei
principi generali più volte ricordati, tra i quali primeggia il dovere
dell'intermediario di informare l'investitore, ha individuato una carenza del
regolamento n. 11522/98 ove, all'art. 31, non prevede che il cliente società o
persona giuridica, prima di optare per il trattamento riservato agli operatori
qualificati, debba essere adeguatamente informato.
In secondo luogo, ci pare sia opportuno osservare che se ci si dovesse limitare
ad una interpretazione eccessivamente formale dell'art. 31 del regolamento e
non si dovesse ritenere necessaria o comunque possibile l'integrazione delle
norme del regolamento con quelle del TUF, o si affermasse addirittura che la
disposizione dell'art. 31, così come formulata, esclude la necessità che
l'intermediario dia l'informazione preliminare di cui si è detto, il giudice
potrebbe allora disapplicare la norma perché viziata da incostituzionalità.
Nonostante in dottrina ed anche in giurisprudenza vi sia divergenza di opinioni
sulla possibilità di sottoporre a sindacato di costituzionalità i regolamenti
aventi forza pari a quella delle leggi ordinarie,38 non sembra infatti vi siano
dubbi sul fatto che il giudice ordinario possa (debba) limitarsi a disapplicare
la norma regolamentare che ritenga incostituzionale39, essendo il controllo di
legittimità, in tale ipotesi, esercitato in forma «diffusa» dai giudici comuni
in via incidentale e con effetti circoscritti al caso deciso.40
1) Trib. Milano 15 ottobre 2008, in www.ilcaso.it, I, 1413.
2) L'interest rate swap - IRS è un contratto che prevede lo scambio periodico,
tra due operatori, di flussi di cassa aventi la natura di "interesse"
calcolati sulla base dei tassi di interesse predefiniti e differenti e di un
capitale teorico di riferimento. Il compratore del contratto swap versa gli
interessi al tasso fisso, mentre il venditore versa quelli con tasso variabile.
L'esito del contratto è dato dalla differenza dei flussi interesse. Quindi, se
i tassi di interesse aumentano rispetto al tasso fisso pattuito, trarrà un
guadagno colui che è tenuto a versare gli interessi al tasso fisso (compratore,
versa interessi a tasso fisso ma riceve quelli a tasso variabile nel frattempo
cresciuti); viceversa, se i tassi diminuiscono trarrà un guadagno colui che è
tenuto a versare l'interesse a tasso variabile (venditore). L'incognita che
determina il rischio è quindi costituita dalla futura variazione dei tassi: il
compratore di swap scommette e prevede che i tassi aumentino, mentre il
venditore prevede che diminuiscano. I contratti prevedono normalmente uno
spread che fissa la differenza tra i due tassi.
3) Si tratta del regolamento n. 11522/1998, applicabile ratione temporis alla
fattispecie. In seguito all'avvento della MIFID la Consob, con delibera del 29
ottobre 2007, n. 16190, in vigore dal 2 novembre 2007, ha varato il cd.
"Nuovo Regolamento Intermediari".
4) Sulle conseguenze della violazione degli oneri informativi e di
comportamento da parte dell'intermediario si segnalano Cass. civ.. 29 settembre
2005, n. 19024; in Giust. Civ. 2006, 1526; Foro It. 2006, 1105, con nota di
E.SCODITTI; Giur. comm., 2006, 426, con nota di SALODINI; ROPPO, La tutela del
risparmiatore tra nullità, risoluzione e risarcimento, in Cont. e imp., 2005,
296. Sul tema sono quindi intervenute le Sezioni Unite Civili della Corte di
Cassazione con la sentenza 19 dicembre 2007, n. 26724, la quale ha affermato
che alla violazione dei doveri di comportamento dell'intermediario non possa
essere applicata la sanzione della nullità bensì quella dell'inadempimento. La
decisione è reperibile in Foro it., 2008, I, 784, con nota di E.SCODITTI, La
violazione delle regole di comportamento dell'intermediario finanziario e le
sezioni unite; in Giust. Civ. 2008, 1175, con nota di NAPPI; in Giur. Comm.,
2008, 604, con nota di BRUNO-ROZZI. Sull'argomento si segnalano anche:
D.MAFFEIS, Discipline preventive nei servizi di investimento: Le sezioni unite
e la notte (degli investitori) In cui tutte le vacche sono nere, in www.ilcaso.it,
II, 97; F.SARTORI, La (ri)vincita dei rimedi risarcitori: note critiche a
Cassazione, (S.u.) 19 dicembre 2007, n. 26725, Ivi, II, 97; A.A.DOLMETTA,
Strutture rimediali per la violazione di «obblighi di fattispecie» da parte di
intermediari finanziari (con peculiare riferimento a quelli di informazione e
di adeguatezza operativa) Ivi, II, 83; D.MAFFEIS, Contro l'interpretazione
abrogante della disciplina preventiva del conflitto di interessi (e di altri
pericoli) nella prestazione dei servizi di investimento, Ivi, II, 80.
5) Nella sentenza milanese si cita Cass. Civ., Sez. II, 12 ottobre 2007, n.
21487. Sul punto v. anche Cass. Civ., 20 giugno 2008, n. 16809: "Il
principio di corrispondenza fra il chiesto ed il pronunciato, fissato dall'art.
112 c.p.c., implica unicamente il divieto per il giudice di attribuire alla
parte un bene non richiesto o comunque di emettere una statuizione che non
trovi corrispondenza nella domanda, ma non osta a che il giudice renda la
pronuncia richiesta in base ad una ricostruzione dei fatti di causa - alla
stregua delle risultanze istruttorie - autonoma rispetto a quella prospettata
dalle parti nonché in base all'applicazione di una norma giuridica diversa da
quella invocata dall'istante". Nello stesso senso Cass. civ., sez. lav.,
16 aprile 2008, n. 9988; Cass. civ., sez. III, 17 dicembre 2007, n. 26514;
Cass. civ., sez. II, 20 novembre 2007, n. 24141; Cass. civ., sez. lav., 17
settembre 2007, n. 19331; Cass. civ., sez. I, 11 settembre 2007, n. 19090, con
nota di RENDA, in Foro it., 2008, 1966; Cass. civ., sez. I, 12 aprile 2006, n.
8519, in Foro it., 2007, 3228.
6) Cass. sez. un. civ. 19 dicembre 2007, n. 26724, cit.
7) Cass. civ., sez. II, 3 marzo 2008, n. 5743, in Juris data, la quale ha
ricordato che "...questa Corte ha ripetutamente affermato che la domanda
giudiziale deve essere interpretata non solo nella sua formulazione letterale,
ma anche, e soprattutto, nel suo sostanziale contenuto e con riguardo alle
finalità che la parte intende perseguire..."
8) Per un rinvio ai canoni interpretativi degli artt. 1362 ss. c.c., C.CONSOLO,
Domanda giudiziale, in Digesto, Disc. priv., sez. civile, VII, Torino, 1991, p.
53; C.MANDRIOLI, Corso di diritto processuale civile, Torino, 1998, I, p. 93.
9) C.CONSOLO, Domanda giudiziale, in Digesto, Disc. priv., sez. civile, VII,
Torino, 1991, p. 53
ass. 3 aprile 1985, n. 2274, in Rep. giur. it., 1985, v. Procedimento civile,
n. 208, ivi citata.
10) Cfr. Cass. 30 giugno 1999, n. 379; Cass. 8 luglio 1998, n. 6626, in Foro
it., 1998, I, 3571.
11) Cass. civ., sez. un., 16 maggio 2008, n. 12378.
12) L'importanza del principio generale e consolidato della prevalenza della
sostanza sulla forma spiega i suoi effetti anche nella individuazione del
provvedimento impugnabile, nel senso che l'impugnabilità della pronuncia
dipende anche dalla qualificazione della domanda operata dal giudice, così
Cass. 11 dicembre 2007, n. 25837; App. Bari, 15 settembre 2006, n. 818, in www.giurisprudenzabarese.it; Cass. 27 luglio
2006, n. 17098; Cass. 22 marzo 1999, n. 2675; Cass. 3 dicembre 1996, n. 10771;
Cass. 13 agosto 1996, n. 7503; Cass. 1 febbraio 1996, n. 848, in Giust. Civ.,
1997, I, 1, 218; Cass. 30 maggio 1995, n. 6072; Cass. 22 ottobre 1992, n.
11531, in Giur. it., 1994, I, 1, 310; Cass. 28 giugno 1989, n. 3138; Cass. 14
maggio 1991, n. 5370, in Foro it. 1992, I, 1868; Cass. 6 giugno 1988, n. 3802;
Cass. 22 novembre 1984, n. 6019, in Giust. Civ., 1985, I, 1714; Foro it. 1985,
I, 748; Cass. 13 gennaio 1981, n. 289; Cass. 4 dicembre 1981, n. 6428; Cass. 8
giugno 1981, n. 3678, in Giust. Civ. 1981, I, 1899; Foro it. 1981, I, 2738.
13) L'art. 1 della legge costituzionale 23 novembre 1999, n. 2 ha modificato
l'art. 111 della Costituzione introducendo i commi primo e secondo: Art. 111.
La giurisdizione si attua mediante il giusto processo regolato dalla legge./
Ogni processo si svolge nel contraddittorio tra le parti, in condizioni di
parità, davanti a giudice terzo e imparziale. La legge ne assicura la ragionevole
durata. (omissis).
14) Corte di Cassazione, Sez. Unite Civili 18 dicembre 2007, n. 26619 - Pres.
Carbone, Rel. Morelli, in Foro it., 2008, 803, con osservazione di PERRINO e in
www.ilcaso.it,
I, 1089: "La conservazione degli effetti sostanziali della dichiarazione
di fallimento proveniente da giudice incompetente si rivela più
"adeguata" sia in relazione all'obiettivo della "ragionevole
durata del processo" - con il quale sarebbe meno compatibile la
prospettiva della riapertura ex novo della procedura innanzi al secondo
tribunale -, sia in relazione alla garanzia del processo "giusto",
quale è quello articolato in modo da garantire una risposta coerente ed
adeguata alle esigenze di tutela fatte valere con l'atto che vi ha dato
impulso."
15) La Corte è giunta a questa conclusione dopo aver constatato che la
soluzione contraria, quella cioè dell'azzeramento della procedura fallimentare
iniziata a seguito della dichiarazione di fallimento resa da giudice
incompetente, avrebbe privato di ogni tutela i creditori, sterilizzando gli
effetti delle azioni revocatorie, ed avrebbe perciò evidenziato una stortura
dei meccanismi processuali ed in definitiva una inefficienza del sistema che si
sarebbe rivelato inadeguato a dare una risposta alle esigenze di tutela e ad
interessi tutelati dall'ordinamento fatti valere con l'atto che ha dato impulso
al procedimento. Per una approfondita disamina delle questioni trattate nel
processo si rimanda a B.INZITARI, Dichiarazione di fallimento, incompetenza,
decorrenza degli effetti sostanziali e giusto processo, in www.ilcaso.it,
II, 89; sul punto anche F.BENASSI, Conservazione degli effetti della sentenza
di fallimento emessa da tribunale incompetente e giusto processo, Ivi, II, 93.
16) cit
17) S.SATTA, Domanda giudiziale, in Enc. Dir., XIII, Milano, p. 825.
18) Cass. Civ., 20 giugno 2008, n. 16809, cit.
19) S.SATTA, Domanda giudiziale, in Enc. Dir., cit., il quale afferma appunto
che «rilevantissimo diventa il titolo giuridico quando esso sia il solo che
giustifichi una determinata domanda. Ogni richiamo ad altro titolo diventa
allora mutamento di domanda anche perché necessariamente si accompagna a
mutamento del petitum»
20) Art. 31 (Rapporti tra intermediari e speciali categorie di investitori)
1. A eccezione di quanto previsto da specifiche disposizioni di legge e salvo
diverso accordo tra le parti, nei rapporti tra intermediari autorizzati e
operatori qualificati non si applicano le disposizioni di cui agli articoli 27,
28, 29, 30, comma 1, fatta eccezione per il servizio di gestione, e commi 2 e
3, 32, commi 3, 4 e 5, 37, fatta eccezione per il comma 1, lettera d), 38, 39,
40, 41, 42, 43, comma 5, lettera b), comma 6, primo periodo, e comma 7, lettere
b) e c), 44, 45, 47, comma 1, 60, 61 e 62.
2. Per operatori qualificati si intendono gli intermediari autorizzati, le
società di gestione del risparmio, le SICAV, i fondi pensione, le compagnie di
assicurazione, i soggetti esteri che svolgono in forza della normativa in
vigore nel proprio Stato d'origine le attività svolte dai soggetti di cui
sopra, le società e gli enti emittenti strumenti finanziari negoziati in
mercati regolamentati, le società iscritte negli elenchi di cui agli articoli
106, 107 e 113 del decreto legislativo 1° settembre 1993, n. 385, i promotori
finanziari, le persone fisiche che documentino il possesso dei requisiti di
professionalità stabiliti dal Testo Unico per i soggetti che svolgono funzioni
di amministrazione, direzione e controllo presso società di intermediazione
mobiliare, le fondazioni bancarie, nonché ogni società o persona giuridica in
possesso di una specifica competenza ed esperienza in materia di operazioni in
strumenti finanziari espressamente dichiarata per iscritto dal legale
rappresentante.
21) Tra le norme del Regolamento che non trovano applicazione nei rapporti
dell'intermediario con le controparti qualificate spiccano quelle relative al
conflitto di interessi (art. 27), alle informazioni tra gli intermediari e gli
investitori (art. 28), alle operazioni non adeguate (art. 29), alla forma
scritta dei contratti con gli investitori (art. 30, co. 1), al contenuto
obbligatorio dei contratti (art. 30, co. 2) e molte altre sulla gestione dei
portafogli.
22) Si sono pronunciati per l'autosufficienza della dichiarazione resa dal
legale rappresentante: Trib. Milano 3 aprile 2004, in Banca, borsa, tit. cred.,
2005, I, 36; App. Milano, 12 ottobre 2007, in Giur. It., 2008, 1164 e in www.ilcaso.it,
I, 1013; Trib. Forlì 11 luglio 2008, ivi, 1390; Trib. Venezia 25 ottobre 2007,
ivi, I, 1120; Trib. Milano 2 aprile 2004, ivi, I, 668; Trib. Milano, 20 luglio
2006, ivi, I, 1014; Trib. Isernia 22 maggio 2005, ivi, 1394; Trib. Rimini, 25
marzo 2005, ivi, I, 200; Trib. Milano, 6 aprile 2005, ivi, I, 56; Trib.
Mantova, 12 luglio 2004, ivi, I, 681. In dottrina, sulla stessa linea: F.BRUNO,
Derivati OTC e incomprensibile svalutazione dell'autocertificazione del legale
rappresentante della società acquirente, in Corr. del merito, 2008 e in www.ilcaso.it,
II, 129; BOCHICCHIO, Operatività in strumenti derivati con investitore
professionale: i limiti apportati dalla normativa di settore e dall'oggetto
sociale dell'investitore, in Dir. banca int. fin., 2005, 249 e segg.
23) App. Milano, 13 novembre 2008, in www.ilcaso.it, I, 1451;
App. Venezia, 16 luglio 2008, in ivi, I, 1329; Trib. Vicenza, 12 febbraio 2008,
in Giur. It., 2008, 2235; Trib. Rovigo, 3 gennaio 2008, in Giur. It., 2008,
2235; Trib. Torino, 18 settembre 2007, in Giur. It., 2008, con nota di MOTTI,
L'attestazione della qualità di operatore qualificato nelle operazioni in
strumenti derivati fra banche e società non quotate; Trib. Novara, 18 gennaio
2007, in Banca, borsa e tit. cred., 2008, II, 57, con nota di LEMMA,
L'operatore qualificato nelle operazioni in derivati; Trib. Verona, 22 giugno
2007, in Contratti, 2007, 1093. In dottrina, sulla stessa linea: CHIONNA,
L'accertamento della natura di «operatore qualificato» del mercato finanziario
rispetto ad una società, in Banca, borsa, tit. cred., 2005, II, 36; INZITARI-PICCININI,
La tutela del cliente nella negoziazione di strumenti finanziari, in Il diritto
degli affari, a cura di B.INZITARI, 2008, Padova, p. 85 ss.; SARTORI, Le regole
di condotta degli intermediari finanziari. Disciplina e forme di tutela, Milano,
2004, 168; Id. Gli swap, i clienti corporate e la nozione di operatore
qualificato, in www.ilcaso.it, II, 33; P.FIORIO, La nozione di
investitore qualificato per l'investitore persona giuridica, in Giur. It.,
2008, 2241; Gabrielli-Lener, Mercati, strumenti finanziari e contratti di
investimento, in AA. VV.; I contratti del mercato finanziario, a cura di
Gabrielli, Lener, I, Milano, 45-49.
24) Trib. Venezia 25 ottobre 2007, in www.ilcaso.it, I, 1120.
25) F.BRUNO, Derivati OTC e incomprensibile svalutazione
dell'autocertificazione del legale rappresentante della società acquirente,
cit., p. 9.
26) Art. 6, comma 2, TUF: La CONSOB, sentita la Banca d'Italia, tenuto conto
delle differenti esigenze di tutela degli investitori connesse con la qualità e
l'esperienza professionale dei medesimi, disciplina con regolamento: a) le
procedure, anche di controllo interno,... b) il comportamento da osservare nei
rapporti con gli investitori...c) gli obblighi informativi... . F.BRUNO,
Derivati OTC e incomprensibile svalutazione dell'autocertificazione del legale
rappresentante della società acquirente, cit., p. 8.
27) Così SARTORI, Le regole di condotta degli intermediari finanziari.
Disciplina e forme di tutela, cit., p. 168; Trib. Milano, 21 febbraio 1995;
CHIONNA, L'accertamento della natura di «operatore qualificato» del mercato
finanziario rispetto ad una società, cit., il quale afferma che l'attenersi
alla interpretazione letterale della norma comporta il rischio di vedere
attribuita l'importante qualifica di operatore qualificato (con tutte le
conseguenze che comporta) a qualsiasi socie commerciale solo e soltanto sulla
base di un dato astratto e formale, senza l'effettiva verifica di alcun
elemento sostanziale e ciò sulla scorta di una generica dichiarazione del
legale rappresentante resa su un documento predisposto in via unilaterale e
standardizzata dalla banca.
28) INZITARI-PICCININI, La tutela del cliente nella negoziazione di strumenti
finanziari, in Il diritto degli affari, a cura di B.INZITARI, cit., p. 100.
29) SARTORI, Le regole di condotta degli intermediari finanziari. Disciplina e
forme di tutela, cit., p. 168; INZITARI-PICCININI, La tutela del cliente nella
negoziazione di strumenti finanziari, in Il diritto degli affari, a cura di
B.INZITARI, cit., p. 101; nello stesso senso Trib. Novara, 18 gennaio 2007,
cit.:«La dichiarazione attestante la qualifica di operatore qualificato, resa
ai sensi dell'art. 31 reg. Consob, deve essere corroborata da elementi di
positivo ed obiettivo riscontro e non è di per sé sola sufficiente ad esonerare
l'intermediario dal rispetto dei doveri di informazione e di protezione
dell'investitore. Diversamente opinando, si verrebbe ad ammettere che i diversi
standard di comportamento degli intermediari e l'eventuale applicazione di uno
statuto protezionistico in favore degli operatori non qualificati sia fondata
non sulla "qualità ed esperienza professionale dell'investitore"
bensì su di un giudizio reso da colui le cui qualità dovrebbero invece essere
verificate.» così massimata in www.ilcaso.it, I, 483.
30) Trib. Rovigo, 3 gennaio 2008, est. Ghedini, cit.: «...gli obblighi
informativi hanno la principale finalità di assicurare una effettiva, e non
presuntiva consapevolezza delle caratteristiche dello strumento acquistato,
...la dichiarazione di cui all'art. 31 del citato regolamento non può essere
intesa come una mera autocertificazione, dovendo per contro ricorrere in
concreto il possesso di una conoscenza specifica che consenta al giudice di
ritenere il consenso prestato come pienamente consapevole.» così massimata in www.ilcaso.it,
I, 1094.
31) INZITARI-PICCININI, La tutela del cliente nella negoziazione di strumenti
finanziari, in Il diritto degli affari, a cura di B.INZITARI, cit., p. 101.
32) Trib. Milano 15 ottobre 2008, cit.
33) D.MAFFEIS, Forme informative e cura sostanziale dell'interesse del cliente,
in Riv. dir. privato, 2005, 587.
34) Trib. Roma 8 ottobre 2004, in www.ilcaso.it, I, 702;
G.GRECO, Intermediazione finanziaria: la "nullità virtuale" per
violazione degli obblighi di informazione, in www.ilcaso.it.
35) ALPA, Commento all'art. 21, in Alpa e Capriglione (a cura di), Commentario
al testo unico delle disposizioni in materia di intermediazione finanziaria,
cit.; F.SARTORI, Le regole di condotta degli intermediari finanziari, cit. p.
139.
36) Di notevole rilievo appare sul punto Trib. Roma 24 maggio 2007, in www.ilcaso.it,
I, 1338, che affronta il problema del rapporto tra la legge primaria ed i
regolamenti indipendenti. Il contenuto della decisione - a quanto ci risulta la
prima sul tema - è di particolare rilevanza perché afferma che i regolamenti
delle autorità indipendenti non possono assurgere al rango di atti normativi
primari e che i regolamenti Consob in particolare sono legittimi in quanto
emanati in virtù della riserva relativa di legge contenuta nell'art. 41 Cost.,
secondo il quale "la legge determina i programmi e i controlli opportuni
perché l'attività economica pubblica e privata possa essere indirizzata e
coordinata a fini sociali"; In argomento anche D.MAFFEIS, Forme
informative e cura sostanziale dell'interesse del cliente, cit. 2005, 587.
37) R.GUASTINI, Teoria e dogmatica delle fonti, Milano 1998, p. 224. Sui
rapporti tra autorità indipendenti e giudici si veda L.ENRIQUES, Il ruolo delle
Autorità di vigilanza sui mercati mobiliari nelle controversie economiche,
intervento al convegno "Il contenzioso in Italia e in Europa" Roma 26
settembre 2008, in www.consob.it; F.ANNUNZIATA, Regole di
comportamento degli intermediari e riforme dei mercati mobiliari, Milano, 1993.
38) P.G. DEMARCHI, L'eccezione di incostituzionalità: profili processuali,
Delli PriscoliDemarchi, Bologna, 2008, p. 58, il quale evidenzia che si è
espressa a favore della sindacabilità dei regolamenti parlamentari Cass. Sez.
un. 23 marzo 1981, in Foro It., 1981, I, 1331, ma che Corte Cost. 23 maggio
1985, n. 154, in Foro It., 1985, I, 2173, ha affermato il contrario. Lo stesso
autore sostiene poi che, per quanto riguarda le norme emanate in sede di
delegificazione, il controllo di costituzionalità deve essere individuato nella
legge di abilitazione all'emanazione del regolamento o nel controllo di
legittimità del regolamento stesso operabile dai giudici ordinari e
amministrativi.
39) P.G. DEMARCHI, L'eccezione di incostituzionalità, cit.
40) R.GUASTINI, Teoria e dogmatica delle fonti, cit., p. 583.
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