CrisiImpresa
Il Caso.it, Sez. Articoli e Saggi - Data pubblicazione 18/03/2006 Scarica PDF
La rilevanza della distinzione tra conto scoperto e conto passivo nella nuova disciplina della revocatoria di rimesse in conto corrente bancario
Franco Benassi, Direttore della Rivista IL CASO.it. Co-Direttore della Rivista Ristrutturazioni aziendali. Avvocato1. Premessa
Con specifico riferimento all'azione revocatoria delle rimesse in conto
corrente, il legislatore ha introdotto numerose novità di rilievo, tra le quali
l'abbreviazione da un anno a sei mesi del periodo sospetto, l'introduzione
della esenzione dalla revocatoria delle "rimesse che non abbiano ridotto
in modo consistente e durevole l'esposizione debitoria del fallito nei
confronti della banca"[1] e la disposizione contenuta nel nuovo art. 70
l.f. che, con riguardo agli atti estintivi dei rapporti continuativi e
reiterati, limita l'importo revocabile alla differenza tra l'ammontare massimo
delle pretese del terzo e l'ammontare residuo delle stesse alla data di
apertura del concorso. [2]
Le nuove disposizioni intervengono in una materia in buona parte elaborata da
una copiosa produzione giurisprudenziale che, ai fine dell'applicazione del
principio generale della revocabilità degli atti a carattere solutorio di cui
all'art. 67, II comma l.f., aveva individuato i criteri per stabilire se i
versamenti confluiti sul conto corrente avessero o meno natura solutoria e
fossero quindi assoggettabili a revocatoria. [3]
L'intervento del legislatore non ha toccato (se non per l'abbreviazione del
termine di cui si è detto) il secondo comma dell'art. 67, per cui il principio
generale che regola la revoca dei pagamenti con natura solutoria è rimasto
intatto ed è tuttora vigente. [4]
E poiché la fattispecie della rimessa in conto corrente è compresa nel più
ampio genere dei pagamenti di debiti liquidi ed esigibili,[5] l'interprete
dovrà affrontare il compito di coordinare le nuove norme con quelle
preesistenti e di vagliare la compatibilità e l'eventuale sopravvivenza ed
utilità dei principi elaborati dalla giurisprudenza prima della riforma.
2. La tesi della distinzione tra conto passivo e conto scoperto: critica
Tra i molti interrogativi che si pongono allorché si cerchi di coordinare le
norme sulla revocatoria delle rimesse in conto corrente bancario vi è
sicuramente quello che riguarda la rilevanza o meno della distinzione tra conto
passivo e conto scoperto. [6]
Ci si chiede in sostanza se, allo scopo di valutare la revocabilità di una
rimessa, dopo aver fatto applicazione delle regole dettate dalla lettera b) del
nuovo terzo comma dell'art. 67 (riduzione consistente e durevole della
esposizione debitoria), si debba anche tener conto dell'esistenza di eventuali
affidamenti e limitare quindi l'importo revocabile alla parte di esso che attua
il rientro del correntista entro i limiti del fido o che, in assenza di
affidamenti, lo riporta in attivo.
In tale ipotesi, dovranno essere individuate le rimesse che hanno ridotto in
modo consistente e durevole l'esposizione debitoria e successivamente
sottoporre ognuna di esse al vaglio dell'effetto solutorio secondo la ben nota
logica dell'oscillazione dei saldi rispetto agli affidamenti concessi.
A sostegno di questa tesi depone la considerazione per la quale ogni singola
rimessa (consistente o durevole che sia), per essere revocabile, deve comunque
sortire l'effetto di pagare un debito, situazione questa che si verifica solo
quando il conto è scoperto.[7] Questa soluzione si presta tuttavia ad alcune
critiche di notevole rilievo, in quanto sembrerebbe non tener conto del fatto
che la norma contenuta nella lettera b) del III comma dell'art. 67 l.f. tende a
porsi in rapporto di specialità rispetto alla norma generale dettata dal II
comma dello stesso articolo. [8]
Con l'introduzione della lett. b) , infatti, il legislatore ha dettato una
nuova regola di carattere generale espressamente riferita alle sole rimesse in
conto corrente bancario, secondo la quale dette rimesse non possono essere
comunque assoggettate a revocatoria. [9]
La norma contiene però un'eccezione a tale regola generale, eccezione in forza
della quale sono soggette a revocatoria le rimesse che hanno ridotto
l'esposizione debitoria in modo consistente e durevole.
Specificando le condizioni alle quali le rimesse sono revocabili, il
legislatore ha inteso dettare il criterio da seguire per stabilire se una
rimessa abbia o meno carattere solutorio; il legislatore, in sostanza, ha
dettato una regola che si sostituisce a quella di elaborazione giurisprudenziale
sino ad oggi adottata per definire la natura solutoria delle rimesse.
I due criteri, pertanto, quello elaborato dalla giurisprudenza, che si fonda
sulla distinzione tra conto scoperto e conto passivo, e quello ora dettato dal
legislatore hanno carattere alternativo e non possono sommarsi, avendo entrambi
il medesimo scopo di stabilire quando una rimessa in conto corrente possa
essere revocata.
La tecnica di redazione della norma di creare un'esenzione per le rimesse che
costituisce un'eccezione alla regola generale e quindi un'eccezione
all'esenzione sortisce da un lato l'effetto di mantenere l'azione de qua
nell'ambito di operatività del secondo comma dell'art. 67 e dall'altro quello
di delimitare le ipotesi di revocabilità a quelle dettate ex novo dal
legislatore (riduzione consistente e durevole).
Se così è, non dovrebbero esserci dubbi sul fatto che il criterio introdotto
dal legislatore, dettato con specifico riferimento alla revocatoria di rimesse
in conto corrente, assuma carattere di specialità rispetto ad ogni altro.[10]
3. Ulteriori elementi
E' opportuno ora svolgere una breve e sintetica indagine sul concetto di
"esposizione debitoria del fallito nei confronti della banca"
soprattutto al fine di verificarne la compatibilità con le tesi sopra esposte.
Le nuove norme sulla revocatoria bancaria hanno lo scopo di innovare il regime
previgente riducendo in modo drastico la possibilità di promuovere questo
genere di azioni. Per comprendere il significato dei termini utilizzati dal
legislatore può pertanto essere utile partire da un confronto con la situazione
sulla quale le nuove norme hanno inteso incidere.
Come si è già detto, prima della riforma, la rimessa in conto corrente poteva
essere revocata se aveva l'effetto di ridurre il saldo debitore del conto
corrente.
A ben vedere, il legislatore del 2005 non ha riprodotto nelle nuove norme un
analogo concetto, non ha cioè parlato di saldo debitore del conto corrente
bancario, ma ha utilizzato una espressione, da alcuni definita generica, che ha
una portata di sicuro più ampia. Nella esposizione debitoria è certamente
compreso il debito del correntista nei confronti della banca provocato da un
eventuale sconfinamento sul conto corrente, ma vi è compreso anche ogni altro
debito.
Se così è, occorre chiedersi quali altri elementi il legislatore abbia inteso
prendere in considerazione per formare l'esposizione debitoria.
Autorevole dottrina ha già affermato che la definizione di riduzione
"durevole" della esposizione comporta l'assunzione di un giudizio a
posteriori,[11] nel senso, che richiedendosi la valutazione di un effetto che
dura nel tempo, il giudizio definitivo su tale effetto potrà essere dato solo
alla chiusura del conto corrente. Pertanto, solo alla conclusione di tale
rapporto potrà dirsi se determinate rimesse abbiano o meno sortito l'effetto di
ridurre in modo consistente e durevole l'esposizione.
Questo elemento è fortemente significativo per i fini che ci interessano. Nella
teoria tradizionale della revocatoria delle rimesse in conto corrente,
l'effetto della riduzione del debito doveva essere valutato all'istante, con
esclusivo riferimento al saldo del conto corrente che, come sappiamo, poteva
oscillare e riportarsi successivamente in zona "scoperta" per essere
di nuovo ridotto da altra rimessa pure revocabile. Ora, invece, il fatto che la
valutazione dell'effetto della riduzione possa essere effettuata solo a
posteriori, alla conclusione del rapporto, implica che l'effetto conto
scoperto-conto passivo non sia più preso in considerazione dalla norma.
Se quindi la necessità di valutare la durevolezza impone un giudizio che si
sposta nel tempo sino a giungere alla chiusura del rapporto, è possibile
affermare che l'esposizione debitoria che si riduce è solo quella ricavabile
alla conclusione dei rapporti tra banca e cliente.
Il termine ampio di esposizione debitoria, utilizzato in luogo di quello più
tecnico ma di diverso significato di saldo debitore del conto, indica che il
giudizio sulla riduzione dell'esposizione può e deve essere formulato con
riferimento a tutti i rapporti tra banca e cliente e non solo con riferimento
ad un singolo rapporto di conto corrente. [12]
Ulteriore argomento a sostegno di siffatta ipotesi interpretativa può essere
dedotto dall'utilizzo, in questo specifico contesto, del termine fallito in
luogo di altro termine quale quello di imprenditore peraltro utilizzato alla
lettera d) dello stesso comma per definire una diversa causa di esclusione.
L'uso del termine fallito assume particolare significato in questo contesto in
quanto, in sintonia con gli altri elementi testè indicati, tende a rafforzare
il concetto di esposizione debitoria complessiva dell'impresa insolvente
quantificata in un momento conclusivo dei rapporti con la banca, momento che
coincide o comunque è sicuramente prossimo all'apertura del concorso tra i
creditori.
Ancora. Il nuovo art. 70 l.f. disciplina gli effetti della revocatoria e, con
riferimento ai rapporti continuativi o reiterati, fa propria la tesi, peraltro
rimasta isolata in giurisprudenza, della revocabilità del rientro effettivo,
risultante dalla differenza tra il massimo scoperto e il saldo alla chiusura
del conto. 13[13]
La norma, benché faccia riferimento ai "rapporti continuativi o
reiterati" in genere, appare dettata esplicitamente allo scopo di regolare
gli effetti della revocazione delle rimesse in conto corrente bancario.
La formulazione di questa norma può offrire ulteriori elementi a conforto della
tesi che si intende sostenere della impossibilità di applicare alla nuova
revocatoria bancaria la distinzione tra conto scoperto e conto passivo.
Allorché, infatti, la norma pone i due termini iniziale e finale per il computo
della differenza che dovrebbe costituire il tetto massimo dell'importo
revocabile, ancora una volta non utilizza i concetti di saldo massimo debitore
o di saldo finale del rapporto, ma semplicemente quello di "pretese".
[14]
Questo vocabolo, definito da alcuni autori atecnico,[15] non esprime il
significato di saldo, significato che dovrebbe per sua natura intendersi
limitato ad un determinato rapporto, volendo invece riferirsi ancora una volta
al complesso di tutte le possibili richieste che il terzo avrebbe potuto
avanzare nei confronti dell'imprenditore.
Il legislatore ha quindi volutamente omesso di richiamare il concetti di saldo
debitore e di saldo finale proprio allo scopo di evitare che il computo della
differenza fosse limitato all'ambito di un singolo e determinato rapporto.
L'intenzione parrebbe, in sostanza, quella di voler valutare l'effetto
solutorio dei pagamenti con riferimento a tutti i rapporti intercorsi tra
impresa e terzo, al fine di quantificare il rientro effettivo del debito
complessivo maturato alla data dell'apertura del concorso.
Anche questo ulteriore elemento dovrebbe quindi deporre a favore della
irrilevanza della distinzione tra conto scoperto e conto passivo elaborata
dalla giurisprudenza nel regime revocatorio previgente.
Il fatto che nel giudizio di revocabilità debbano essere presi in
considerazione tutti i rapporti tra imprenditore e terzo, che la valutazione
debba essere compiuta alla conclusione di tali rapporti in sostanziale
coincidenza dell'apertura del concorso dei creditori e che la fissazione del
tetto massimo dell'importo revocabile faccia espresso riferimento al coacervo
delle pretese del terzo, depone a favore del definitivo tramonto della tecnica
tradizionale cui si è più volte fatto cenno e dovrebbe sicuramente consentire
la valutazione delle rimesse non come singole entità a sé stanti, delimitate
dall'effetto istantaneo della variazione dei saldi, ma nel loro insieme, e
quindi nella loro pluralità, non essendo più possibile la valutazione isolata
dell'effetto provocato da ognuna di esse. [16]
[1] "Non sono soggetti all'azione revocatoria: b) le rimesse effettuate su
un conto corrente bancario, purchè non abbiano ridotto in maniera consistente e
durevole l'esposizione debitoria del fallito nei confronti della banca".
[2] "Qualora la revoca abbia ad oggetto atti estintivi di rapporti
continuativi o reiterati, il terzo deve restituire una somma pari alla
differenza tra l'ammontare massimo raggiunto dalle sue pretese, nel periodo per
il quale è provata la conoscenza dello stato d'insolvenza, e l'ammontare
residuo delle stesse, alla data in cui si è aperto il concorso. Resta salvo il
diritto del convenuto d'insinuare al passivo un credito d'importo
corrispondente a quanto restituito".
[3] La distinzione tra conto scoperto (ove il correntista è realmente "a
debito" nei confronti della banca perché il saldo del conto è negativo e
non dispone di affidamenti o, pur disponendo di affidamenti, perchè il saldo è
andato oltre il fido concesso) e conto passivo (ove il saldo è negativo ma
entro i limiti dell'affidamento) è stata inaugurata dalla nota sentenza Cass.
18 ottobre 1982, n. 5413, in Giur. Comm., 1983, II, 179 e quindi ripresa da altre
sentenze e mai contraddetta da tutte le successive della S.C.
[4] Così M. Fabiani, L'alfabeto della nuova revocatoria, in Il Fallimento,
2005, 579, il quale afferma che deve essere rifiutata una interpretazione
rovesciata secondo cui nell'impianto revocatorio le eccezioni siano diventate
la regola ed i casi in cui l'istituto trova applicazione l'eccezione, in quanto
nella costruzione della norma è rimasta inalterata la scansione dei commi e
soprattutto perché le stesse esenzioni vanno necessariamente collegate alle
fattispecie di cui al primo e al secondo comma.
[5] In questo senso S. Bonfatti, La nuova disciplina dell'azione revocatoria,
Milano, 2005, pag. 130. L'A. sostiene che, in caso di rimesse effettuate a
riduzione di esposizioni bancarie registrate su conti correnti accesi a nome
del correntista, sarebbe applicabile la disciplina generale della revocabilità
degli atti a titolo oneroso, mentre, nel caso le rimesse producano la riduzione
di esposizioni registrate su conti altrui, sarebbe applicabile la disciplina
generale della revocabilità degli atti a titolo gratuito.
[6] Della tematica si sono occupati: F. Guglielmucci, La nuova normativa sulla
revocatoria delle rimesse in conto corrente, Dir. Fall., I, 805; M. Arato,
Fallimento, Le nuove norme introdotte con la l. 80/2005, Dir. Fall., 2006, I,
157; S. Bonfatti, La nuova disciplina dell'azione revocatoria, cit.; G. Tarzia,
Le esenzioni (vecchie e nuove) dall'azione revocatoria fallimentare nella
recente riforma, Il Fallimento, 2005, 835; A. Patti, L'esenzione da revocatoria
delle rimesse bancarie, Il Fallimento, 2006, 238; M. Fabiani, La revocatoria
fallimentare "bonsai" delle rimesse in conto corrente, Foro It.,
2005, I, 3297.
[7] In presenza di apertura di credito, il saldo passivo di un conto corrente
regolarmente funzionante non può propriamente definirsi un debito in quanto
rappresenta l'utilizzo della liquidità messa a disposizione dalla banca.
[8] Anche G. Tarzia, cit., 841, parla del 67, III comma lett. b) come di una
norma speciale, ma allo scopo di distinguerne l'ambito operativo dall'art. 70,
formulando l'ipotesi che tra le due norme "vi sia un rapporto di genus
(tutti i rapporti continuativi e reiterati) a species (il rapporto di conto
corrente bancario)".
[9] Che l'esenzione in parola si ponga come regola generale per le rimesse in
conto corrente bancario: G. Tarzia, cit., 841; A. Patti, cit, 239; A. Fabiani,
cit., 3298, il quale evidenzia che "... la regola, per le rimesse in conto
corrente, è data dall'esonero dalla revocatoria, talchè l'onere di provare
l'esistenza delle condizioni che fanno rivivere l'inefficacia
dell'atto-rimessa, grava sicuramente sul curatore."
[10] In questo senso, anche se in termini dubitativi, S. Bonfatti, cit., 123.
L'A. però, nel suggerire una lettura coordinata degli artt. 67 e 70 l.f. parla
di presupposti generali di revocabilità che dovrebbero preesistere
all'applicazione del criterio della riduzione consistente e durevole.
[11] M. Fabiani, cit., 3301, afferma la necessità di "indagare su ciò che
è avvenuto sul conto dopo il versamento"; M. Arato, cit., 182.
[12] L. Guglielmucci, cit., 807, sostiene che l'esposizione debitoria deve
essere valutata alla data della dichiarazione di fallimento quando il rapporto
si scioglie; l'A. afferma, però, che costituisce un problema solo apparente la
distinzione tra esposizione debitoria complessiva ed esposizione debitoria del
conto corrente. S. Bonfatti, cit., 123, richiama l'attenzione sul carattere
"volutamente atecnico" dell'espressione "esposizione debitoria"
compatibile sia con la situazione di saldo debitore di conto passivo, sia con
quella di saldo di conto scoperto. G. Tarzia, cit., 841, afferma che la nuova
norma di cui alla lett. b) dell'art. 67, III comma, allorché richiede il
requisito della durevolezza delle rimesse, importa il passaggio dalla visiona
"atomistica" dello svolgimento del rapporto di conto corrente
bancario adottata dalla prevalente giurisprudenza, ad una visione "di
durata" o "complessiva". A. Patti, cit., 240, si esprime negli stessi
termini in favore di una considerazione complessiva o di durata dell'andamento
del rapporto di conto corrente.
[13] Tesi accolta da App. Firenze 28 gennaio 2004, in Foro it., 2004, I, 1713.
[14] M. Arato, cit., 184, secondo l'A. il termine esprime un "concetto
economico" che prescinde dalla presenza di una apertura di credito.
[15] M. Arato, cit., 184.
[16] M. Fabiani, cit., 3299, nel definire il significato del termine
consistente sostiene che può essere considerata tale anche la sommatoria di più
rimesse singolarmente marginali ma chiaramente estintive del debito" e che
pertanto anche una serie di rimesse di modesta entità possa divenire revocabile
se con valutazione ex post è possibile affermare che hanno posto in essere il
rientro.
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