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Il Caso.it, Sez. Articoli e Saggi - Data pubblicazione 08/11/2009 Scarica PDF
I doveri informativi dell'intermediario relativi alla singola operazione
Franco Benassi, Direttore della Rivista IL CASO.it. Co-Direttore della Rivista Ristrutturazioni aziendali. AvvocatoCommento a Trib. Mantova 31 marzo 2009, in questa Rivista, I, 1737
Sommario: 1. Il caso; 2. Informazione sulla specifica operazione e informazione
in presenza di operazioni inadeguate: distinzione ed autonomia dell'ambito
operativo delle due disposizioni; 3. Il compimento di scelte consapevoli come
scopo dei doveri informativi relativi alla singola operazione e Cass. n.
17340/2008; 4. La forma dell'informazione relativa alla singola operazione; 5.
L'onere della prova; 6. L'informazione specifica nella MIFID e la
consapevolezza delle scelte di investimento.
1. Il caso
Un risparmiatore che ha accusato la banca di non averlo informato delle
specifiche caratteristiche delle obbligazioni argentine e dell'inadeguatezza
del relativo acquisto. L'istituto di credito si è difeso affermando che il
cliente aveva effettuato l'operazione mediante il servizio di phone banking,
ordinando il titolo in completa autonomia grazie all'inserimento di un codice
identificativo dello strumento finanziario prescelto e che, pertanto, nella
specie, l'operazione era stata decisa dal cliente in piena consapevolezza.
Secondo la banca, la conoscenza del codice del titolo stava ad indicare che
l'investitore aveva ottenuto le debite informazioni dall'operatore addetto al
servizio telefonico o da un promotore finanziario.
L'istruttoria orale, svoltasi mediante l'audizione di un dipendente
dell'intermediario, non ha, però, consentito di accertare come il cliente si
sia procurato il codice e, soprattutto, non ha chiarito se e quali informazioni
gli fossero state date. Il Tribunale ha, quindi, accolto la domanda
dell'investitore.
Ciò che rende la decisione senza dubbio interessante - e per certi versi unica
- è che la domanda sia stata accolta per il solo fatto che l'intermediario
aveva omesso di fornire al cliente le informazioni relative alla specifica
operazione indipendentemente dall'aspetto dell'adeguatezza dell'operazione che
nemmeno viene preso in considerazione.
Benché gli ordini potessero, nel caso di specie, essere validamente impartiti
mediante il phone banking, la banca avrebbe dovuto comunque fornire al cliente
le informazioni sulle caratteristiche dei titoli negoziati ed eventualmente
sull'inadeguatezza dell'operazione e dette informazioni avrebbero dovuto essere
date o da un operatore o da un messaggio preregistrato. In ogni caso, afferma
la sentenza, le modalità di esecuzione dell'operazione avrebbero dovuto essere
tali da impedire l'acquisto ove l'investitore non avesse prima ascoltato le
informazioni.
L'onere informativo sulla specifica operazione serve a rendere edotto
l'investitore delle caratteristiche del singolo strumento finanziario, così che
egli possa conoscere l'oggetto dell'investimento che sta compiendo. Nel caso di
specie, secondo il Tribunale, il mancato assolvimento di tale onere ha impedito
al cliente di porre in essere un investimento consapevole che si presume non
avrebbe effettuato se ne avesse conosciuto i rischi e le implicazioni.
2. Informazione sulla specifica operazione e informazione in presenza di
operazioni inadeguate: distinzione ed autonomia dell'ambito operativo delle due
disposizioni
Questa decisione del Foro virgiliano offre l'occasione per svolgere una breve
riflessione su di un aspetto dei doveri informativi dell'intermediario che ci
pare sia rimasto ai margini del dibattito dottrinale e giurisprudenziale di
questi ultimi tempi.
L'art. 28, comma 2, del regolamento approvato dalla Consob con la delibera 1
luglio 1998, n. 11522, stabilisce che: "Gli intermediari autorizzati non
possono effettuare o consigliare operazioni o prestare il servizio di gestione
se non dopo aver fornito all' investitore informazioni adeguate sulla natura,
sui rischi e sulle implicazioni della specifica operazione o del servizio, la
cui conoscenza sia necessaria per effettuare consapevoli scelte di investimento
o disinvestimento."
L'art. 29 dello stesso regolamento, dopo aver precisato, al primo comma, che
gli intermediari devono astenersi dall'eseguire operazioni inadeguate per
tipologia, frequenza e dimensione, e che per operare la valutazione di
adeguatezza devono tener conto di ogni informazione in loro possesso, al terzo
comma, prescrive che gli stessi possono comunque dar corso ad un'operazione
inadeguata solo sulla base di un ordine scritto nel quale l'investitore dia
atto di essere stato avvertito delle ragioni dell'inadeguatezza.2
L'informazione relativa alla singola operazione o servizio è stata presa in
esame dalla giurisprudenza in molteplici occasioni e non si corre il rischio di
sbagliare se si afferma che la maggior parte delle cause tra investitori ed
intermediari attengono alla violazione dei doveri informativi di questi ultimi.
Quasi tutte le decisioni sono però basate sull'indagine volta ad accertare
l'adeguatezza dell'operazione impugnata dal cliente e l'assolvimento degli
obblighi informativi previsti dall'art. 29 del regolamento, norma che, come
abbiamo visto, disciplina in modo specifico gli obblighi di comportamento
dell'intermediario a fronte di un'operazione inadeguata.3
Quasi mai, in tali decisioni, è stato dato opportuno risalto all'art. 28, comma
2, alla norma cioè che regola l'informazione dovuta in relazione alla singola
operazione o servizio e che non contempla affatto l'ipotesi dell'operazione
inadeguata.
Le decisioni che abbiano sino ad oggi avuto modo di leggere hanno esplorato ed
indagato i doveri informativi dell'intermediario previsti dagli artt. 28, comma
2, e 29 del citato regolamento, senza mai approfondire la distinzione
dell'ambito operativo di ciascuna norma e senza mai basarsi soltanto sul
criterio della violazione dei doveri previsti dal secondo comma dell'art. 28.
In quasi tutti i casi in cui è stata ritenuta sussistente la responsabilità
dell'intermediario per violazione degli oneri informativi a suo carico
l'indagine del giudice è transitata attraverso la valutazione dell'adeguatezza
dell'operazione e la responsabilità dell'intermediario è stata riconosciuta
sussistente solo quando è risultato che l'operazione impugnata fosse comunque
inadeguata al profilo di rischio dell'investitore.
Eppure, a mio modesto parere, è necessario distinguere le fattispecie
disciplinate dalle norme in questione e valutare se ed in che misura la regola
contenuta nella prima possa assumere distinta ed autonoma rilevanza.
Una distinzione tra le due disposizioni è rintracciabile mediante l'esame di un
aspetto comune ad entrambe e che consiste nello scopo di far sì che
l'investitore sia messo in condizioni di effettuare scelte consapevoli, così
come espressamente prescrive l'art. 28, ove sta scritto che le informazioni
relative alla specifica operazione o servizio che l'intermediario deve dare al
cliente sono quelle la cui conoscenza sia necessaria per effettuare consapevoli
scelte di investimento o di disinvestimento.
L'art. 29, dal canto suo, non enuncia espressamente la finalità perseguita, ma
impone all'intermediario una specifica modalità di esecuzione delle operazioni
inadeguate, prescrivendo che tali operazioni possano essere eseguite solo ove
il cliente dia atto per iscritto di essere stato avvertito delle ragioni
dell'inadeguatezza.
E' pertanto evidente che quest'ultima norma ha lo scopo di indurre il cliente a
riflettere ed a ben ponderare la scelta di effettuare un'operazione inadatta al
suo profilo di rischio, aumentando così la sua attenzione e quindi la sua
consapevolezza.
Ma se entrambe le norme esaminate si prefiggono lo scopo di fornire al cliente
informazioni tali da porlo in condizioni di raggiungere un'idonea
consapevolezza in ordine alla specifica operazione, credo che notevolmente
diverse - anche se parzialmente coincidenti - siano le aree nelle quali le
stesse sono destinate ad operare.
Mentre, infatti l'art. 29 si riferisce solo all'ipotesi dell'operazione
inadeguata, l'art. 28 comma 2, è destinato a regolare l'informazione prima del
compimento di qualsiasi operazione.
L'informazione prescritta dall'art. 28 è dovuta sempre e comunque, tutte le
volte che l'investitore che non sia operatore qualificato si accinge a compiere
un'operazione in strumenti finanziari o a fruire di un servizio fianziario.
Ritengo allora si possa affermare che l'art. 28, da un lato enuncia il
principio di carattere generale secondo il quale l'informazione sulla specifica
operazione o servizio deve essere quella ritenuta necessaria per effettuare
scelte consapevoli e, dall'altro lato, prescrive un onere di comportamento, una
regola di condotta suscettibile di essere applicata a tutti i tipi di
operazioni, anche a quelle che siano in linea con il profilo del cliente e
quindi adeguate.
L'informazione di cui stiamo parlando costituisce, dunque, a mio modesto
parere, un momento piuttosto importante e rilevante nell'economia del rapporto.
In presenza di operazioni inadeguate e quindi nell'ipotesi contemplata
dall'art. 29, l'intermediario dovrà, infatti, dare al cliente sia
l'informazione prevista dall'art. 28 (che, come detto, deve essere adatta e
modulata al fine di porre il cliente in condizioni di effettuare scelte
consapevoli), sia l'avvertimento scritto sulle specifiche ragioni
dell'inadeguatezza previsto dall'art. 29.
Ne deriva che l'informazione relativa alla singola operazione dovrà essere
sempre data con le modalità previste dall'art. 28, comma 2, del Regolamento n.
11522/98, che detta, sia pure sinteticamente, le modalità di attuazione di
quello che ben può essere considerato uno dei principi cardine della normativa
di settore, normativa che si prefigge di ridurre l'asimmetria informativa tra
intermediario ed investitore per consentire a quest'ultimo di avere piena
coscienza delle proprie scelte.4
Il fine della consapevolezza della scelta è un valore che costituisce un
fondamentale obiettivo non solo della legislazione dei mercati finanziari, ma
in genere delle norme che regolano gli atti di autonomia privata dando il
massimo rilievo alla volontà dell'agente. Ben si comprende allora come la disposizione
in esame assuma un'importanza del tutto peculiare, posto che la stessa fissa il
principio secondo il quale la consapevolezza deve caratterizzare tutte le
scelte dell'investitore e non solo quelle relative ad operazioni inadeguate.5
Altro aspetto comune alle due norme riguarda il concetto di adeguatezza
dell'operazione. Benché, infatti, l'informazione imposta dal secondo comma
dell'art. 28 non faccia riferimento all'adeguatezza dell'operazione, ma solo
all'adeguatezza dell'informazione, ci pare opportuno ricordare che il primo dei
due parametri dovrà comunque essere tenuto presente dall'intermediario nel
momento in cui darà l'informazione prevista dell'art. 28, perché solo
attraverso la valutazione di tale aspetto l'intermediario potrà modulare ed
adattare l'informazione al caso concreto ed alla capacità di comprensione del
cliente.6
L'importante funzione svolta dal principio di adeguatezza dell'operazione è
stata da tempo messa in evidenza: «...il riferimento alle informazioni adeguate
può essere utilizzato come strumento per rafforzare le regole informative
previste a livello regolamentare e allo stesso tempo per attenuarne la
rigidità. Il concetto di adeguatezza costituisce, dunque, nel settore in esame,
il momento di congiunzione con i principi generali, così che gli obblighi
informativi possono far leva sul principio di buona fede oggettiva e di
professionalità ed essere applicati con gradazioni e intensità diverse in tutte
le fasi del rapporto tra le parti».7
I precedenti giurisprudenziali citati, che hanno fatto applicazione del
principio dell'adeguatezza dell'operazione,8 testimoniano come questo aspetto
costituisca il punto centrale dell'attività interpretativa delle norme
sull'informazione e si risolva di fatto in una modalità di graduazione degli
obblighi informativi rimessa all'intermediario nella fase di operatività ed al
giudice nella fase contenziosa.9
Ulteriore aspetto comune alle due norme è costituito dal fatto che entrambe non
si limitano a prevedere gli obblighi informativi in termini di semplice dovere
di diligenza dell'intermediario. Entrambe hanno, infatti, accompagnato la
prescrizione di questi obblighi con un esplicito divieto di operare. L'art. 28,
comma 2, prevede che gli intermediari non possono effettuare o consigliare operazioni
se non dopo aver informato il cliente; l'art. 29 che, in mancanza di specifica
autorizzazione scritta, l'intermediario si debba astenere dall'effettuare
l'operazione.
Non è questa la sede per soffermarsi su tale peculiare ed importante aspetto
della normativa; ciò che vorrei tuttavia evidenziare è che il dovere di
informazione è in entrambi i casi presidiato, rafforzato da un divieto di
operare, elemento, questo, che consente di affermare che i doveri informativi
contenuti negli articoli 28 e 29 sono di cruciale importanza, posto che il
legislatore ne ha voluto assicurare e tutelare l'osservanza in modo sicuramente
diverso e più rigoroso di quanto abbia con altri doveri previsti dal TUF e dal
relativo regolamento di attuazione.
3. Il compimento di scelte consapevoli come scopo dei doveri informativi
relativi alla singola operazione e Cass. n. 17340/2008
Se il primo dei due momenti informativi che abbiamo esaminato è così rilevante,
soprattutto perché si prefigge l'obiettivo di far sì che il risparmiatore ponga
in essere decisioni consapevoli, viene allora spontaneo chiedersi se la sua
violazione sia tale, di per sé sola, da obbligare l'intermediario al
risarcimento dei danni subiti dall'investitore e se sia possibile condannare
l'intermediario a risarcire al cliente la perdita derivante da una determinata
operazione solo perché sia stata omessa o non sia stata raggiunta la prova
dell'informazione di cui stiamo parlando. Viene altresì da domandarsi se la
condanna dell'intermediario possa essere pronunciata anche nel caso in cui
l'operazione venga ritenuta adeguata al profilo di rischio del cliente.
Il fatto è che quasi tutte le decisioni che in questi anni abbiamo avuto di
leggere si basano su un'impostazione che solo in casi assai rari e molto recenti
ha preso in considerazione il dovere informativo previsto dall'art. 28, comma
2, come autonomo elemento fondante la decisione.
Nella stragrande maggioranza dei casi, infatti, la soluzione delle controversie
tra investitore ed intermediario che implicano la valutazione dell'adempimento
a doveri informativi sono incentrate sulla violazione della regola prescritta
dall'art. 29 per le operazioni inadeguate e la responsabilità
dell'intermediario è stata ritenuta sussistente solo in presenza di
un'operazione inadeguata e non segnalata con le particolari modalità di cui si
è detto.
E questa impostazione seguita dalla giurisprudenza di merito appare, ai fini
che ci interessano, ancor più significativa perché è capitato di frequente che
le domande degli investitori sono state respinte in virtù della constatazione
che l'operazione era comunque adeguata al loro profilo di rischio, senza alcuna
verifica in ordine all'adempimento del dovere informativo previsto dall'art.
28.
Ma se sono corrette le osservazioni che abbiamo svolto in ordine all'ambito
operativo delle norme in esame, ci pare giusto affermare che la valutazione del
giudice non può prescindere dalla verifica dell'informazione prevista dall'art.
28, comma 2.
Se il cliente deve poter essere in grado di compiere scelte di investimento
consapevoli, egli subirebbe certamente un danno qualora fosse convinto che il
prodotto acquistato abbia caratteristiche in realtà inesistenti o differenti da
quelle auspicate. Ed in questo caso, il danno che potrebbe riportare sarebbe la
conseguenza non di una operazione inadeguata ma del fatto che il prodotto
oggetto dell'operazione non è quello voluto o non ha le caratteristiche
desiderate, e ciò indipendentemente dalla circostanza che quella determinata
operazione sia o meno compatibile con il suo profilo di rischio.
L'eventualità che tale inconveniente si possa verificare ci consente di
comprendere come la possibilità di effettuare scelte consapevoli sia un valore
che l'ordinamento si preoccupa di tutelare prima ed indipendentemente dal fatto
che l'operazione sia allineata con gli obiettivi di investimento dichiarati dal
cliente o ricavabili dalle informazioni che lo riguardano.
Il pericolo che un'operazione non sia quella che l'investitore ha voluto
eseguire è, a mio parere, più grave di quello insito nel compimento di
un'operazione inadeguata, poichè implica l'accettazione del rischio di una
distorsione della volontà dell'investitore e la conseguente violazione di uno
dei principali precetti enunciati dall'art. 21 del TUF, il quale impone agli
intermediari di comportarsi con diligenza, correttezza e trasparenza
nell'interesse dei clienti e per l'integrità dei mercati.
La mancanza di consapevolezza dell'investitore in ordine al tipo di prodotto
negoziato, e quindi riguardo agli effetti dell'operazione da lui posta in
essere, lede in primo luogo l'interesse dello stesso investitore, che compie
atti di rilevante contenuto economico con il pericolo che la scelta non
corrisponda alla sua volontà10, e lede altresì l'integrità dei mercati, i quali
non trarrebbero di certo alcun beneficio, soprattutto in termini di fiducia11,
se gli investitori fossero strumenti inconsapevoli pilotati dagli operatori
professionali.
Il momento informativo contemplato ed imposto dal secondo comma dell'art. 28
realizza perciò uno degli scopi principali della legislazione in materia di
mercati finanziari, che è quello di ridurre il gap informativo tra investitori
ed operatori professionali e di imporre all'intermediario di collaborare con
l'investitore.12
Tuttavia, come si è detto, in casi molto rari e piuttosto recenti, la
giurisprudenza ha fondato la decisione in merito alla sussistenza della
responsabilità dell'intermediario solo ed esclusivamente sull'omissione
dell'informazione dell'art. 28, comma 2.
La sentenza in commento del Tribunale di Mantova e quella del medesimo
Tribunale che di poco l'ha preceduta13 sono state emesse in casi in cui
l'investitore aveva impartito gli ordini di negoziazione tramite il servizio di
phone banking, avvalendosi dunque del telefono ed operando mediante
l'inserimento dei propri dati identificativi e di un codice corrispondente al
titolo negoziato.
Il Tribunale ha accolto le domande degli investitori perché la banca convenuta
in giudizio non ha provato di avere dato loro l'informazione prevista dall'art.
28, comma 2, relativa alla specifica operazione ed ha affermato che tale
obbligo informativo deve sempre essere assolto, anche nel caso di utilizzo del
phone banking ed a prescindere dalle effettive conoscenze in possesso
dell'investitore nonchè dalle modalità in cui in precedenti occasioni lo steso
abbia operato.
Le due decisioni non prendono affatto in esame l'aspetto dell'adeguatezza
dell'operazione, sul quale non effettuano alcuna indagine, e condannano
l'intermediario al risarcimento del danno.
Questi significativi arresti giurisprudenziali del Tribunale di Mantova
costituiscono, a mio parere, il logico completamento di un percorso
interpretativo caratterizzato da una graduale presa d'atto da parte dei giudici
di merito della rilevanza dell'informazione come momento di verifica della
consapevolezza della scelta del cliente e del notevole rilievo che questa può
assumere nel compimento delle singole operazioni.14
I precedenti che connotano il percorso interpretativo della giurisprudenza
possono essere indicati in due pronunce della Corte di Appello di Milano e in
una successiva, di fondamentale importanza, della Corte di Cassazione. La Corte
milanese ha dapprima affermato che le operazioni con rischio superiore a quello
consigliabile per un profilo conservativo devono essere sempre evidenziate,
anche quando vengano eseguite da investitori con adeguato profilo di rischio.15
Con una decisione di poco successiva, compiendo un ulteriore passo nel dar
rilievo all'informazione di cui ci stiamo occupando, la Corte ambrosiana ha
statuito che il fatto che l'investitore possa considerarsi esperto di strumenti
finanziari, perché aduso ad operazioni caratterizzate dalla ricerca di alti
rendimenti, non esime l'intermediario dall'adempimento degli obblighi
informativi, ancorché diversamente calibrati a seconda della tipologia del
cliente, giacchè l'esigenza di conoscere le caratteristiche dell'investimento
offerto è propria di qualsiasi investitore, anche di quello più disposto ad affrontare
rischi.16
Ma il cammino della giurisprudenza su questo sentiero ha trovato un decisivo
riconoscimento nella recente sentenza della Prima Sezione della Corte di
Cassazione,17 la quale, dopo aver sostenuto che i doveri informativi previsti
dall'art. 21 del TUF assoggettano la prestazione dei servizi di investimento ad
una disciplina diversa e più intensa rispetto a quella discendente
dall'applicazione delle regole di correttezza previste dal codice civile,18 ha
espressamente posto l'accento sul fatto che siffatti doveri hanno lo scopo di
porre il risparmiatore nella condizione di effettuare consapevoli e ragionate
scelte di investimento o di disinvestimento.19
La Corte ha, poi, fatto esplicito richiamo al precetto contenuto nell'art. 28,
comma 2, del reg. 11522/98, secondo il quale le informazioni devono essere
adeguate e necessarie (al fine della consapevolezza) ed ha ribadito che le
stesse debbono «essere modellate alla luce della particolarità del rapporto con
l'investitore, in modo da soddisfare le esigenze proprie di quel singolo
rapporto».
Questo punto della decisione merita particolare attenzione perché spiega che
l'informazione relativa alla singola operazione deve essere adeguata, tale cioè
da soddisfare le esigenze del singolo rapporto e deve quindi essere adattata
alle caratteristiche del cliente in modo che questi la comprenda e possa,
questo è lo scopo che la norma si propone, effettuare scelte consapevoli.
E la Corte, ritengo, giunge ancor più a valorizzare il dettato della norma in
esame ove afferma che il giudice di merito non ha dato conto di quali concrete
avvertenze e specifiche indicazioni sul «tipo di rischio sotteso all'operazione
siano state date agli investitori», consacrando così il momento informativo
oggetto di questa nostra riflessione come basilare ed indefettibile.20
La Corte, inoltre, dopo aver precisato che l'obbligo di fornire informazioni
appropriate deve essere assolto anche nel caso in cui il cliente abbia in
precedenza acquistato altro titolo a rischio, perché ciò non basta a renderlo
un operatore qualificato,21 chiarisce, in via definitiva, la distinzione tra
l'informazione dell'art. 28 e quella dell'art. 29. Il quesito di diritto al
quale il giudice del rinvio si dovrà attenere, è, infatti, distinto in due
parti: la prima interpreta la regola dell'informazione dovuta in occasione di
ogni singola operazione, precisando che la stessa deve essere adeguata in
concreto al fine di soddisfare le esigenze del singolo rapporto; la seconda
ricorda che, a fronte di un'operazione inadeguata, è necessaria
l'autorizzazione scritta del cliente in cui sia fatto specifico riferimento
alle informazioni ricevute. 22
La formulazione del quesito con queste modalità costituisce l'ulteriore
conferma che le norme in esame impongono una netta distinzione tra i doveri
informativi cui l'intermediario è tenuto prima di effettuare ogni operazione e
quelli, ulteriori e specifici, che sul medesimo incombono solo in presenza di
un'operazione inadeguata.
E l'autonomia di questi due precetti normativi consente di pervenire, come ha
fatto il Tribunale di Mantova con la decisione in commento, a ritenere
sussistente la responsabilità dell'intermediario che abbia violato i doveri
previsti dall'art. 28, comma 2, anche ed indipendentemente dal fatto che l'operazione
impugnata dall'investitore non sia inadeguata al suo profilo di rischio.23
4. La forma dell'informazione relativa alla singola operazione
Una volta sottolineata l'autonomia del dovere informativo imposto dall'art. 28,
comma 2 del reg. Consob n. 11522/98, al quale l'intermediario deve adempiere
con riferimento alla singola operazione, occorre accennare, sia pur brevemente,
al problema della forma e verificare se le norme prevedano, per quest'onere,
particolari requisiti.
Ebbene, il secondo comma dell'art. 28 non contiene alcun riferimento alla forma
dell'informazione sui rischi e le implicazioni della specifica operazione o
servizio, né ci sembra che un particolare tipo di forma sia previsto da altre
norme.
L'art. 23 del TUF richiede la forma scritta ad substantiam per il solo
contratto di negoziazione e la giurisprudenza prevalente è ormai orientata nel
senso che questa prescrizione debba essere applicata al solo contratto quadro e
non ai singoli ordini di negoziazione.24
Se, poi, si tien conto della circostanza che il legislatore, quando ha voluto
che determinate informazioni fossero fornite per iscritto, l'ha prescritto in
modo esplicito (come nel caso dell'obbligo di consegna del documento sui rischi
di investimento,25 dell'avvertimento relativo alle operazioni inadeguate,26
della perdita in strumenti derivati e warrant pari o superiore al 50%,27 delle
perdite della gestione pari o superiori al 30%,28) mi pare si possa
tranquillamente concludere che per l'informativa di cui stiamo parlando non vi
sia l'obbligo della forma scritta.
Lo stesso art. 30, comma 1, reg. Consob n. 11522/98, attuativo dell'art. 6,
comma 2 del TUF, che indica il contenuto obbligatorio del contratto con
l'investitore, nulla dispone in ordine alla forma dell'informazione di cui si
tratta, per cui credo sia condivisibile che tale forma rimane sostanzialmente
libera e può anche essere oggetto di specifica pattuizione tra intermediario ed
investitore, i quali, così come avviene per le modalità con cui vengono
impartiti gli ordini, avranno la facoltà di concordare l'adozione di una
determinata forma, con il solo onere, in tal caso, di farne menzione nel
contratto quadro.29
La prova dell'adempimento di questo obbligo potrà, quindi, essere data
dall'intermediario anche mediante testimoni. In tale ipotesi, ove i testi
dedotti siano i dipendenti o i funzionari che hanno eseguito l'operazione,
occorrerà essere particolarmente attenti alla valutazione della prova, anche in
considerazione delle oscillazioni che si sono avute in giurisprudenza in ordine
alla ammissibilità della testimonianza del dipendente della banca.30
Le Sezioni Unite Civili della Corte di Cassazione, con la sentenza che ha di
recente composto il contrasto giurisprudenziale sulla sanzione applicabile alla
violazione delle norme di condotta degli intermediari - questione risolta, come
noto, a favore dell'inadempimento31 - hanno affermato, pur senza esercitare su
questo specifico problema la funzione dirimente, che i dipendenti o funzionari
dell'intermediario i quali hanno intrattenuto rapporti con il cliente da cui
sono scaturite le pretese risarcitorie non sono per ciò solo titolari di un
interesse che ne giustifichi la personale partecipazione al giudizio e non sono
pertanto incapaci a testimoniare.32 Mi sembra tuttavia da condividere la
raccomandazione che, in ogni caso, tale deposizione dovrà essere valutata con
la dovuta cautela e non potrà comunque consentire di superare l'ostacolo
dell'eventuale mancanza di forma scritta delle raccomandazioni relative al rischio
di un'operazione inadeguata.33
5. L'onere della prova
Per quanto riguarda la distribuzione dell'onere della prova di aver ottemperato
alla disposizione dell'art. 28, comma 2 del regolamento, la soluzione dovrà a
mio parere essere rintracciata nello speciale regime probatorio dell'art. 23
del TUF, nella parte ove dispone che "nei giudizi di risarcimento dei
danni cagionati al cliente nello svolgimento dei servizi di investimento e di
quelli accessori, spetta ai soggetti abilitati l'onere della prova di aver
agito con la specifica diligenza richiesta."34
Benchè in dottrina non vi sia uniformità di consensi in ordine al fatto che la
regola contenuta nell'art. 23 comporti una vera e propria inversione dell'onere
della prova,35 la giurisprudenza è sostanzialmente concorde nel ritenere che,
nelle cause in cui l'investitore deduca la negligenza dell'intermediario
nell'adempimento ai propri doveri informativi e comportamentali, spetti a
quest'ultimo l'onere di provare di aver agito con la specifica diligenza richiesta.36
In particolare, sul punto, è stato affermato che attesa l'inversione dell'onere
probatorio di cui all'art. 23 del TUF e comunque in ragione del fatto che gli
artt. 26 e ss. del reg. Consob impongono ai soggetti abilitati precisi obblighi
positivi della cui violazione non può essere addossata la prova ai singoli
risparmiatori (in ossequio alla regola generale secondo cui sull'attore non può
incombere la prova di circostanze negative), l'intermediario dovrà provare: di
aver assunto adeguate informazioni sul rischio dei titoli negoziati; di aver
adottato idonee procedure interne di controllo per trasmettere tali
informazioni alla propria rete di vendita; di aver informato gli investitori
dei rischi connessi con le specifiche operazioni di investimento; di aver
segnalato per iscritto la non adeguatezza delle singole operazioni e
l'esistenza di un interesse in conflitto, indicandone in entrambi i casi le
ragioni.37
L'intermediario dovrà pertanto dimostrare di aver fornito l'informazione
relativa alla singola operazione e, per consentire al giudice di dare ingresso
alla prova, dovrà altresì allegare la relativa circostanza. E l'onere di
allegazione e della prova graveranno sull'intermediario indipendentemente dal
fatto che l'operazione sia o meno inadeguata poiché, come è accaduto nel caso
deciso dalla sentenza in commento, non è escluso che il giudice accolga la
domanda del risparmiatore anche in presenza di un'operazione adeguata, per il
solo fatto che sia stata omessa l'informazione specifica ad essa relativa.
Se la giurisprudenza è abbastanza concorde nel ritenere che spetti
all'intermediario la prova di aver agito con la dovuta diligenza e, quindi, di
aver dato al cliente l'informazione relativa alla specifica operazione, lo
stesso non può dirsi per quanto riguarda la prova del nesso di causalità tra
l'omissione informativa ed il danno subito dall'investitore.
Molti tribunali, sia pur con qualche rara eccezione,38 hanno sostenuto che, una
volta accertata la responsabilità dell'intermediario per aver omesso
l'informazione prescritta dalla legge, spetta comunque al cliente l'onere di
provare che, se fosse stato correttamente informato, egli avrebbe indirizzato
altrove i propri investimenti e non avrebbe subito danno alcuno o lo avrebbe
subito in misura diversa.39
Questa linea di pensiero si fonda sulla considerazione che, in mancanza di
specifiche disposizioni di legge che prevedano un regime probatorio differente
e più favorevole all'investitore, la prova del nesso causale tra condotta
omissiva e danno dovrà essere regolata dalle norme generali in materia di
obbligazioni, secondo le quali è il creditore che deve provare il danno
conseguente all'inadempimento.
In una posizione che può essere definita intermedia si collocano alcune
decisioni40 che, prendendo atto dell'obiettiva difficoltà per il cliente di
fornire un tal genere di prova, specialmente nell'ambito di un mercato
caratterizzato da notevole alea, hanno affermato che la prova in questione può
essere raggiunta anche tramite presunzioni. Si è quindi ritenuto verosimile che
un investitore con profilo di rischio conservativo avrebbe, se correttamente
informato, posto in essere operazioni in linea con il proprio profilo e si è
determinata l'entità del danno per differenza tra l'esito dell'operazione
impugnata e quella che il cliente avrebbe effettuato in coerenza con la propria
propensione al rischio.
La questione è stata anche esaminata dalle Sezioni Unite della Corte di
Cassazione, le quali, in tema di conflitto di interessi, hanno sancito che ai fini
di un eventuale danno risarcibile subito dal cliente e del nesso di causalità
tra detto danno e l'illegittimo comportamento dell'intermediario, assumono
rilievo le conseguenze del fatto che l'intermediario medesimo non si sia
astenuto dal compiere un'operazione dalla quale, in quelle circostanze, avrebbe
dovuto astenersi.41
La S.C., ha dunque censurato la valutazione del giudice di merito che, in
presenza di un conflitto di interessi non segnalato ed in mancanza della
autorizzazione ad operare da parte del cliente, ha negato la sussistenza del
nesso di causalità tra condotta e danno.
Il principio per cui, in presenza di un divieto di operare, non è necessaria la
prova del nesso di causalità perché il danno è la conseguenza della violazione
del divieto di astensione, è stato prontamente recepito da alcuni giudici di
merito.42
Il Tribunale di Milano,43 prendendo spunto dalle Sezioni Unite, ha ribadito
l'irrilevanza dell'indagine sul nesso di causalità in tutte quelle situazioni
in cui la legge non si limita a richiedere all'intermediario di agire con
diligenza, ma addirittura gli impone un obbligo di astensione superabile solo a
determinate condizioni. La sentenza milanese sostiene che, proprio in questa
specifica materia, ove la perdita di valore di uno strumento finanziario può
dipendere dall'andamento sfavorevole del mercato, la previsione di un divieto
legale di agire ha la precipua funzione di prevenire e, in caso di violazione,
trasferire il rischio sul soggetto che viola il divieto e che il dovere di
fedeltà e di diligenza dell'intermediario deve atteggiarsi in modo ancor più
stringente laddove si consideri che le operazioni di investimento sono
intrinsecamente pericolose.
Tornando al tema della riflessione, vorrei ricordare44 che anche la norma che
regola i doveri informativi dell'intermediario in relazione alla singola
operazione o servizio prevede un divieto di operare che, come nel caso delle
operazioni inadeguate e di quelle in conflitto di interessi, ha lo scopo di
rafforzare il dovere informativo per prevenirne la violazione.
Ritengo perciò che meritino adesione le proposte di coloro i quali, sollevando
l'investitore da una prova non certo semplice, tendono a valorizzare il divieto
di operare posto dal legislatore a tutela di particolari e delicate situazioni
e che anche nel caso della violazione dell'informazione relativa alla singola
operazione possa presumersi sussistente - ovviamente salvo prova contraria45 -
il nesso di causalità tra la violazione del divieto di operare ed il danno
subito dall'investitore.
6. L'informazione specifica nella MIFID e la consapevolezza delle scelte di
investimento
Se nel reg. Consob n. 11522/98 le norme sull'informazione relativa alla singola
operazione sono molto sintetiche, altrettanto non può dirsi di quelle
introdotte dalla MIFID46 e quindi dalla normativa regolamentare emanata dalla
Consob con il Regolamento Intermediari approvato con delibera 29 ottobre 2007,
n. 16190, che ha dato attuazione al TUF riformato dal d.lgs. 17 settembre 2007,
n. 164 ed abrogato, con effetto dal 2 novembre 2007, il precedente regolamento
n. 11522/9847.
Le disposizioni volte a disciplinare l'informazione di cui stiamo trattando
sono contenute sia in norme di carattere generale, che in norme più dettagliate
dirette a regolare specifici servizi.
Così, il secondo comma dell'art. 27 del Nuovo Regolamento Intermediari48, con
una formulazione molto simile a quella del secondo comma dell'art. 28 che
abbiamo esaminato, prescrive che gli intermediari debbono fornire informazioni
appropriate affinchè i clienti possano ragionevolmente comprendere la natura
del servizio di investimento e del tipo specifico di strumenti finanziari
interessati ed i rischi ad essi connessi.
Il successivo nuovo art. 28 detta, poi, le modalità che devono essere
rispettate perché le informazioni siano corrette, chiare e non fuorvianti,
precisando, tra le altre cose, che non devono essere sottolineati i vantaggi di
un servizio o strumento finanziario senza fornire un'informazione corretta ed
evidente anche sui rischi; che il raffronto tra servizi di investimento e tra i
vari strumenti finanziari deve essere corretto ed equilibrato ed indicare le
fonti delle informazioni; che quando le informazioni contengono un'indicazione
sui risultati passati di uno strumento, di un indice finanziario o di un
servizio di investimento, i dati devono riferirsi ad almeno cinque anni
precedenti e specificare che, essendo riferiti al passato, non sono indicativi
dell'andamento futuro.
Particolarmente rilevanti, ai fini che ci interessato, sono le disposizioni
contenute nel nuovo art. 31, anch'esso ricco di norme di dettaglio,
specificamente dettate con riguardo all'informativa sugli strumenti finanziari.
L'articolo indica, in primo luogo, che le informazioni devono tener conto della
classificazione del cliente come cliente al dettaglio o professionale e che la
descrizione deve illustrare le caratteristiche del tipo specifico di strumento
interessato ed i relativi rischi in modo sufficientemente dettagliato così da
consentire al cliente di adottare decisioni di investimento informate. Il
secondo comma prescrive il contenuto minimo dell'informazione sui rischi,
sull'effetto leva, sulla liquidabilità, sulla volatilità ed anche sul rischio
connesso alla combinazione di due o più strumenti.
Il nuovo art. 36 stabilisce, poi, la forma con la quale devono essere date le
informazioni, distinguendo i casi di utilizzo del cd. supporto duraturo e dei
siti internet.
Le norme di dettaglio si presentano molto minuziose, tanto che non pare
semplice il compito di ricondurre le singole disposizioni a principi guida ed a
clausole generali che consentano all'interprete di enucleare principi di
riferimento in grado di adattare la normativa alle molteplici sfaccettature che
caratterizzano i singoli casi concreti.49
Con riferimento al tipo di informazione di cui discutiamo, sono dell'avviso che
sia tuttavia possibile affermare che anche nella normativa introdotta con la
MIFID l'informazione relativa allo specifico strumento o servizio finanziario
debba essere tale da consentire all'investitore di effettuare scelte
consapevoli.
Come, infatti, si è avuto modo si evidenziare nei paragrafi precedenti, la
consapevolezza della scelta da parte dell'investitore in ordine alle
caratteristiche, ai rischi ed alle implicazioni della singola operazione
costituisce un elemento essenziale per la protezione dello stesso investitore,
dell'integrità dei mercati ed in definitiva del risparmio come valore tutelato
dall'art. 47 della Costituzione.50
Se il secondo comma dell'art. 28 del regolamento n. 11522/98 vietava di dar
corso a qualsiasi operazione in difetto di un'informazione adeguata, allo
stesso modo, l'art. 27, comma 1, del Nuovo Regolamento richiede che le
informazioni inerenti il tipo specifico di strumenti finanziari siano idonee a
consentire ai clienti di prendere decisioni in modo consapevole. E analoga
disposizione è contenuta nel nuovo art. 31, comma 1, il quale prescrive che le
informazioni relative allo specifico strumento interessato devono essere
sufficientemente dettagliate da consentire al cliente di adottare decisioni di
investimento informate.
Anche nel nuovo regolamento, così come nel precedente, viene quindi ribadito,
in più punti, che il fine che l'informazione si propone è quello di metterlo
l'investitore in condizioni di agire in modo informato e consapevole.
Non solo, il nuovo art. 34 detta un'ulteriore regola che va nella direzione di
garantire la consapevolezza: quella che impone di fornire l'informazione in
tempo utile prima della sottoscrizione dei contratti e soprattutto (terzo
comma) prima della prestazione dei servizi di investimento ed accessori.
La nozione di "tempo utile" è contenuta nell'art. 48 della direttiva,
la quale prevede che si debba "tenere conto, in funzione dell'urgenza
della situazione e del tempo necessario perché il cliente assimili e reagisca,
del periodo di tempo di cui il cliente necessita per poter leggere e
comprendere tali informazioni prima di adottare una decisione di
investimento"
Credo allora che la necessità di consentire all'investitore di operare in
condizioni di reale consapevolezza sia un principio di riferimento basilare cui
l'interprete potrà rifarsi al fine di valutare se le informazioni date
dall'intermediario siano quelle adeguate e necessarie allo scopo o se si
risolvano invece in una congerie di dati formalmente rispettosi del precetto
normativo, ma di fatto incomprensibili o comunque inefficaci.
1) Relazione tenuta al convegno "Risparmiatori e imprese: criticità nei
rapporti bancari" che ha avuto luogo a Salerno il 3 luglio 2009.
2) Art. 29 reg. Consob approvato con delibera n. 11522 del 1 luglio 1998:
(Operazioni non adeguate) 1. Gli intermediari autorizzati si astengono
dall'effettuare con o per conto degli investitori operazioni non adeguate per
tipologia, oggetto, frequenza o dimensione. 2. Ai fini di cui al comma 1, gli
intermediari autorizzati tengono conto delle informazioni di cui all'articolo
28 e di ogni altra informazione disponibile in relazione ai servizi prestati.
3. Gli intermediari autorizzati, quando ricevono da un investitore disposizioni
relative ad una operazione non adeguata, lo informano di tale circostanza e
delle ragioni per cui non è opportuno procedere alla sua esecuzione. Qualora
l'investitore intenda comunque dare corso all'operazione, gli intermediari
autorizzati possono eseguire l'operazione stessa solo sulla base di un ordine
impartito per iscritto ovvero, nel caso di ordini telefonici, registrato su
nastro magnetico o su altro supporto equivalente, in cui sia fatto esplicito
riferimento alle avvertenze ricevute.
3) Tra le decisioni che hanno ritenuto adeguate le operazioni di investimento
si segnalano: Trib. Milano, 25 luglio 2005, in Danno e resp., 2005, 1227; Trib.
Vasto, 9 novembre 2006, in IL CASO.it, I, 420; Trib. Massa, 21 giugno 2007,
ivi, I, 978; Trib. Milano, 24 settembre 2008, ivi, I, 1343; Trib. Savona, 11
luglio 2007, ivi, I, 1042; Trib. Savona, 9 maggio 2007, ivi, I, 1079; Trib.
Monza, 16 dicembre 2004, ivi, I, 699; Trib. Torre Annunziata, 27 giugno 2007,
ivi, I, 986; Trib. Ancona, 2 marzo 2007, ivi, I, 986; Trib. Vigevano, 7 agosto
2006, ivi, I, 586; Trib. Padova, 17 maggio 2007, ivi, I, 351; Trib. Catania, 5
maggio 2006, ivi, I, 319; Trib. Mantova, 11 aprile 2006, ivi, I, 290; Trib.
Milano, 15 marzo 2006, ivi, I, 324; Hanno invece ritenuto non adeguate le
operazioni: Trib. Torino, 7 novembre 2005, in Giur. it., 2006, 521; Trib.
Livorno, 21 novembre 2007, in IL CASO.it, I, 1118; Trib. Padova 31 ottobre
2007, ivi, I, 1128; App. Torino, 19 ottobre 2007, ivi, I, 1075; Trib. Roma, 20
agosto 2007, ivi, I, 1081, la quale afferma che qualora l'intermediario non
abbia provveduto ad assumere informazioni sulla situazione economica e
sull'esperienza dell'investitore, si deve presumere che l'operazione di
negoziazione posta in essere costituisca l'intero patrimonio dell'investitore;
Trib. Barcellona Pozzo di Gotto, 21 giugno 2007, ivi, I, 1046; Trib. Vicenza,
15 giugno 2007, ivi, I, 1050; Trib. Mantova, 8 febbraio 2007, ivi, I, 541.
4) Trib. Firenze, 6 luglio 2007, in IL CASO.it, I, 1102/2008, secondo la quale
"gli obblighi informativi dell'intermediario possono dirsi concretamente
adempiuti solo quando l'investitore abbia pienamente compreso le
caratteristiche dell'operazione, atteso che la conoscenza deve essere una
conoscenza effettiva e l'intermediario o il promotore devono verificare che il
cliente abbia compreso le caratteristiche essenziali dell'operazione proposta
non solo con riguardo ai relativi costi e rischi patrimoniali ma anche con
riferimento alla sua adeguatezza."
5) F.SARTORI, Le regole di condotta degli intermediari finanziari, Milano,
2004, p. 192 ss. Il quale evidenzia come il consentire all'investitore di
effettuare investimenti consapevoli caratterizzasse, già prima della normativa
più recente, le scelte dei sistemi giuridici occidentali, fosse stato inserito
tra le business rules elaborate dal CESR ed inserito nei principi IOSCO (www.iosco.org).
Ma sul punto deve essere evidenziato quanto l'autorevole Autore afferma in
Autodeterminazione e formazione eteronoma del regolamento negoziale. Il
problema dell'effettività delle regole di condotta, in Riv. Dir. Privato
3/2009e in IL CASO.it, II, 159/2009, ove, attraverso un percorso che evidenzia
la necessità adottare il criterio interpretativo della simmetria informativa al
fine di «creare un contratto giusto, efficiente, ove una parte non può
approfittare della propria posizione di vantaggio conoscitivo», l'Autore
afferma che la legislazione speciale di recente emanazione, anche con
riferimento al problema dell'operatore qualificato, ha «scelto apertamente la
strada eterodeterminata dell'effettività della conoscenza, soppiantando
definitivamente il principio dell'autoresponsabilità che giustificava la
rilevanza giuridico-sociale della dichiarazione».
6) L'intermediario dovrà quindi adempiere ai propri obblighi informativi in
modo che gli stessi possano essere «diversamente calibrati ... soddisfando le specifiche
esigenze informative proprie del singolo rapporto», così G.ALPA, Commento
all'art. 21, in ALPA-CAPRIGLIONE, Commentario al testo unico delle disposizioni
in materia di intermediazione finanziaria, p. 225, Padova, 1998.
7) F.SARTORI, Le regole di condotta degli intermediari finanziari, Milano,
cit., p. 199; INZITARIPICCININI, La tutela del cliente nella negoziazione di
strumenti finanziari, p. 71, 2008, Padova.
8) Vedi nota 3.
9) Per una approfondita disamina del concetto di adeguatezza dell'operazione si
rimanda a F.SARTORI, Le regole di condotta, cit, p. 198, cui va aggiunto il
recente contributo dello stesso Autore Autodeterminazione e formazione
eteronoma del regolamento negoziale. Il problema dell'effettività delle regole
di condotta, in Riv. Dir. Privato, 3/2009 e in IL CASO.it, II, 159/2009, per il
quale la regola dell'adeguatezza dell'informazione da regola informativa,
essenziale perché l'investitore possa autodeterminarsi, nell'ambito del mercato
finanziario diviene regola di solidarietà. Sempre sull'adeguatezza
dell'operazione: P.FIORIO, La non adeguatezza delle operazioni di investimento,
in Il CASO.it, II, 71; F.BENASSI, Il direttore di banca investitore retail e
l'"inadeguatezza" dell'art. 31 del reg. Consob 11522/98, in Banche,
Consumatori e tutela del risparmio, a cura di AMBROSINI-DEMARCHI, Milano, 2009;
Trib. Venezia, 28 febbraio 2008, in IL CASO.it, I, 1169, la quale evidenzia che
il profilo di rischio dell'investitore può variare nel corso del rapporto, per
cui l'adeguatezza di ogni singola operazione deve tener conto dei mutamenti del
profilo dell'investitore ricavabili dagli acquisti dallo stesso mano a mano
posti in essere.
10) D.MAFFEIS, La natura e la struttura dei contratti di investimento, in Riv.
Dir. Privato, 3/2009 e in IL CASO.it, II, 158/2009, il quale afferma che
l'esecuzione dell'ordine del cliente debba attuare la volontà del cliente
stesso e non il suo profilo di rischio.
11) D.MAFFEIS, La natura e la struttura dei contratti di investimento, cit., la
disciplina dei mercati avrebbe come obiettivo la massima espansione dei mercati
finanziari e quindi della loro liquidità, fattore, questo, che presuppone la
fiducia degli investitori; l'Autore afferma altresì che l'integrità dei mercati
deve essere considerata un «limite di ordine pubblico all'autonomia
contrattuale». G.LA ROCCA, Autonomia privata e mercato dei capitali, La nozione
civilistica di "Strumento finanziario", Torino, 2009, p. 151: valori
come "impresa" e "libera iniziativa" rischiano di essere
compromessi se non si tutela il risparmio, in quanto è un dato oramai
indiscusso che il risparmiatore che non si ritiene adeguatamente tutelato nella
sua azione sul mercato finanziario, si astiene dallo scambio, facendo così
venir meno la fonte degli investimenti.
12) F.SARTORI, Autodeterminazione e formazione eteronoma del regolamento
negoziale. Il problema dell'effettività delle regole di condotta, cit.
13) Dello stesso Tribunale si segnala anche la sentenza 5 febbraio 2009, Est.
Venturini, di analogo contenuto.
14) Particolarmente efficace è in proposito l'affermazione contenuta nella
sentenza in commento secondo la quale «..l'onere di informazione che si assume
violato ..serve a rendere edotto l'investitore delle caratteristiche del
singolo strumento finanziario in modo da conoscere l'oggetto dell'investimento
che sta compiendo, a prescindere dalle sue generali conoscenze e da quanto
avvenuto in altre occasioni.» (sottolineatura nostra); l'espressione
"oggetto dell'investimento" conferisce concretezza all'esigenza che
l'investitore abbia piena contezza del significato e degli effetti del proprio
atto negoziale, atto che senza la necessaria consapevolezza rischia di essere
viziato, contrario ai principi del TUF (art. 21) e più in generale a quelli
dell'ordinamento giuridico che tutela in vari modi l'effettiva volontà delle
parti di un negozio.
15) App. Milano, 26 aprile 2006, in IL CASO.it, I, 287.
16) App. Milano, 19 dicembre 2006, in IL CASO.it, I, 602.
17) Cass., 25 giugno 2008, n. 17340, in Foro It., 2009, I, 189.
18) Sul punto si veda G.LA ROCCA, Sezione Prima vs. Sezioni Unite: differenti
visioni del diritto dei contratti del mercato finanziario in Cassazione, in IL
CASO.it, II, 150/2009, il quale osserva come, con questa affermazione, la
Cassazione abbia posto gli obblighi di informazione a carico dell'intermediario
fuori dai doveri di correttezza e buona fede previsti dal codice civile.
19) Cass., 25 giugno 2008, n. 17340, cit., testualmente «Questa regola -
nell'assoggettare la prestazione dei servizi di investimento ad una disciplina
diversa e più intensa rispetto a quella discendente dall'applicazione delle
regole di correttezza previste dal c.c., impone all'operatore il dovere sia di
farsi parte attiva nella richiesta all'investitore di notizie circa la sua
esperienza e la sua situazione finanziaria, gli obiettivi di investimento e la
propensione al rischio, sia di informare adeguatamente il cliente, al fine di
porre il risparmiatore nella condizione di effettuare consapevoli e ragionate
scelte di investimento o disinvestimento.»
20) Cass., 25 giugno 2008, n. 17340, cit., «..l'argomentazione dei Giudici del
gravame, nella sua genericità, non da conto di quali concrete avvertenze e
specifiche indicazioni sul tipo di rischio sotteso all'operazione siano state
date agli investitori e nulla dice circa l'adeguatezza dell'informazione
fornita dall'intermediario, se cioè essa sia stata tale da soddisfare le
esigenze del singolo rapporto, in relazione alle caratteristiche personali e
alla situazione finanziaria dei clienti; e, soprattutto, non indica se, a
fronte di un'operazione ritenuta dalla stessa Banca non adeguata, questa abbia
osservato la norma che consente di darvi corso soltanto a seguito di un ordine
impartito per iscritto in cui sia fatto esplicito riferimento alle avvertenze
ricevute.»
21) Cass., 25 giugno 2008, n. 17340, cit.:«il dovere di fornire informazioni
appropriate e l'obbligo di astenersi dall'effettuare operazioni non adeguate
per tipologia, oggetto, frequenza o dimensioni, se non sulla base di un ordine
impartito dall'investitore per iscritto contenente l'esplicito riferimento alle
avvertenze ricevute, sussiste in tutti i rapporti con operatori non
qualificati, e tale è anche chi - non rientrante in una delle speciali
categorie di investitori menzionate nei regolamenti Consob (Delib. n. 10943,
art. 8, comma 2; Delib. n. 11522, art. 31, comma 2), abbia in precedenza
occasionalmente investito in titoli a rischio.»
22) Cass., 25 giugno 2008, n. 17340, cit.: «Il Giudice del rinvio (omissis) si
adeguerà al seguente principio di diritto: "In tema di servizi di
investimento, la banca intermediaria, prima di effettuare operazioni, ha
l'obbligo di fornire all'investitore una informazione adeguata in concreto,
tale cioè da soddisfare le specifiche esigenze del singolo rapporto, in
relazione alle caratteristiche personali e alla situazione finanziaria del
cliente; e, a fronte di un'operazione non adeguata (nella specie, avente ad
oggetto obbligazioni Mexico 10%), può darvi corso soltanto a seguito di un ordine
impartito per iscritto dall'investitore in cui sia fatto esplicito riferimento
alle avvertenze ricevute. All'operatività di detta regola - applicabile anche
quando il servizio fornito dall'intermediario consista nella esecuzione di
ordini - non è di ostacolo il fatto che il cliente abbia in precedenza
acquistato un altro titolo a rischio (nel caso: obbligazioni Telecom
Argentina), perché ciò non basta a renderlo operatore qualificato ai sensi
della normativa regolamentare dettata dalla Consob".»
23) Alla sentenza della Cassazione hanno fatto seguito le decisioni di alcuni
tribunali, i quali hanno iniziato a dare rilevo al momento informativo di cui
stiamo trattando. Trib. Pisa, Sez. Dist. Pontedera, 13 ottobre 2008, in IL
CASO.it, I, 1693/2009 ha affermato che, prima del compimento della singola
operazione di negoziazione, debba essere comunicato al cliente il rating del
titolo, posizione, questa, rintracciabile anche in alcuni precedenti che hanno
cercato di dar contenuto agli obblighi informativi relativi alla singola
operazione con particolare riferimento alla comunicazione del rating: Trib.
Gorizia, 30 gennaio 2009, ivi, I, 1739/2009; Trib. Milano, 26 aprile 2006, ivi,
I, 287/2006; Trib. Catania, 5 maggio 2006, ivi, I, 319/2006; Trib. Prato, 11 maggio
2007, ivi, I, 584/2007; Trib. Parma, 24 maggio 2007, ivi, I, 601/2007; Trib.
Firenze, 6 luglio 2007, ivi, I, 1102/2008, la quale ha precisato che «Il rating
costituisce un'informazione se non determinante, quanto meno indicativa del
tipo di investimento che si è in procinto di effettuare e la sua mancata
indicazione rappresenta la violazione dei più elementari obblighi informativi.
L'intermediario pertanto ha il preciso obbligo di segnalare al risparmiatore in
modo non generico ed approssimativo la natura dell'investimento alla stregua
della valutazione operata dalle maggiori agenzie di rating, trattandosi di dato
che costituisce fattore idoneo ad influenzare in modo rilevante il processo
decisionale dell'investitore»; Trib. Palermo, 13 febbraio 2008, ivi, I,
1203/2008. La linea tracciata dalla Corte di Cassazione con la decisione n.
17340/2008 è stata seguita anche da App. Torino, 31 marzo 2009, ivi, I,
1710/2009 e da App. Milano, 15 aprile 2009, ivi, I, 1730/2009, le quali hanno
ribadito l'irrilevanza, ai fini dell'obbligo informativo in questione, della
pregressa operatività del cliente ed altresì che la spontaneità dell'iniziativa
del cliente medesimo non esonera l'intermediario dall'adempimento degli
obblighi informativi relativi ad un determinato titolo, anche nel caso in cui
sia il cliente stesso a richiedere l'esecuzione di una determinata operazione.
24) In senso conforme Trib. Venezia, 22 novembre 2004, in IL CASO.it, I, 705;
Trib. Milano, 25 luglio 2005, ivi, I, 55; Trib. Genova, 2 agosto 2005, ivi, I,
309/2005; Trib. Milano, 15 marzo 2006, ivi, I, 324/2006; Trib. Milano, 26
aprile 2007, ivi, I, 546/2007; Trib. Santa Maria Capua Vetere, ivi, I,
1019/2007. Affermano, invece, la necessità della forma scritta anche per i
singoli ordini di negoziazione App. Venezia, 19 novembre 2007, ivi, I,
1108/2008; Trib. Lodi, 30 ottobre 2008, ivi, I, 1365/2008. Per una puntuale
disamina della questione si veda INZITARI-PICCININI, La tutela del cliente
nella negoziazione di strumenti finanziari, in Il diritto degli affari, a cura
di B.INZITARI, 2008, Padova, p. 2 ss.
25) Art. 28, comma 1, lett. b) reg. Consob n. 11522/98.
26) Art. 29, reg. Consob n. 11522, cit.
27) Art. 28, comma 3, reg. Consob n. 11522, cit.
28) Art. 28, comma 4, reg. Consob n. 11522, cit.
29) Nel caso le parti concordino una forma convenzionale, la relativa clausola
dovrà risultare dal contratto quadro ai sensi dell'art. 30, comma 1, reg.
Consob n. 11522/98, attuativo dell'art. 6, comma 2 del TUF, il quale indica il
contenuto obbligatorio del contratto con l'investitore e prevede, alla lettera
f), l'indicazione delle altre condizioni contrattuali eventualmente convenute
con l'investitore per la prestazione del servizio.
30) Si sono espressi per l'incapacità a deporre dei dipendenti dell'intermediario
che hanno partecipato all'operazione Trib. Mantova, 16 novembre 2002, in IL
CASO.it, I, 759/2002; Trib. Mantova, 18 marzo 2004, ivi, I, 686; Trib. Genova,
15 marzo 2005, ivi, I, 39/2005; Trib. Genova, 12 aprile 2005, ivi, I, 38/2005;
Trib. Genova, 22 aprile 2005, ivi, I, 40/2005; Trib. Bologna, 27 novembre 2006,
ivi, I, 1030/2007; Trib. Bologna, 23 maggio 2007, ivi, I, 1031/2007; Trib.
Forlì, 5 settembre 2007, ivi, I, 1205/2008; Trib. Bologna, 18 ottobre 2007,
ivi, I, 1029/2007. Si sono invece espressi a favore della testimonianza, oltre
a Cass. Sez. Un. di cui infra, Trib. Parma, 3 marzo 2006, ivi, I, 281/2006;
Trib. Mantova, 11 aprile 2006, ivi, I, 290/2006; App. Brescia, 10 gennaio 2007,
ivi, I, 534/2007; Trib. Parma, 18 marzo 2008, ivi, I, 1263/2008; App. Milano,
15 aprile 2009, ivi, I, 1730/2009.
31) Cass., Sez. Un. Civ., 19 dicembre 2007, n. 26724 e n. 26725, le quali hanno
sostenuto che alla violazione dei doveri di comportamento dell'intermediario
non debba essere applicata la sanzione della nullità bensì quella
dell'inadempimento. La decisione è reperibile in Foro it., 2008, I, 784, con
nota di E.SCODITTI, La violazione delle regole di comportamento
dell'intermediario finanziario e le sezioni unite; in Giust. Civ. 2008, 1175,
con nota di A.NAPPI; in Giur. Comm., 2008, 604, con nota di BRUNO- ROZZI.
Sull'argomento si segnalano anche: D.MAFFEIS, Discipline preventive nei servizi
di investimento: Le sezioni unite e la notte (degli investitori) In cui tutte
le vacche sono nere, in IL CASO.it, II, 97; F.SARTORI, La (ri)vincita dei
rimedi risarcitori: note critiche a Cassazione, (S.u.) 19 dicembre 2007, n.
26725, ivi, II, 97; A.A.DOLMETTA, Strutture rimediali per la violazione di
«obblighi di fattispecie» da parte di intermediari finanziari (con peculiare
riferimento a quelli di informazione e di adeguatezza operativa) ivi, II, 83;
D.MAFFEIS, Contro l'interpretazione abrogante della disciplina preventiva del
conflitto di interessi (e di altri pericoli) nella prestazione dei servizi di
investimento, ivi, II, 80.
32) Cass., Sez. Un. Civ., 19 dicembre 2007, n. 26725, cit.
33) App. Milano, 15 aprile 2009, cit.
34) Art. 23, comma 6, d.lgs. 24 febbraio 1998, n. 58.
35) Si sono espressi a favore dell'inversione dell'onere della prova: M.TOPINI,
L'onere della prova nei giudizi di responsabilità per danni cagionati nello
svolgimento di servizi di investimento, in Giur. Comm., 1991, I, 701 ss.;
P.FIORIO, Gli obblighi di comportamento al vaglio della giurisprudenza di
merito, in Giur. It., I, 2, 769. In senso contrario: F.ANNUNZIATA, Regole di
comportamento degli intermediari e riforme dei mercati mobiliari, Milano, 1993,
381 ss.
36) Così Trib. Roma, 8 ottobre 2004, in IL CASO.it, I, 702; Trib. Palermo, 17
gennaio 2005, ivi, I, 76; Trib. Genova, 15 marzo 2005, ivi, I, 39/2005; Trib.
Mantova, 15 marzo 2005, ivi, 57/2005; Trib. Mantova, 5 aprile 2005, ivi, I, 64.
In senso contrario Trib. Milano, 9 marzo 2005, ivi, I, 53.
37) App. Torino, 19 ottobre 2007, in IL CASO.it, I, 1075/2007.
38) Trib. Genova, 15 marzo 2005, in IL CASO.it, I, 39/2005.
39) In questo senso Trib. Milano, 9 marzo 2005, in IL CASO.it, I, 53; Trib.
Milano, 9 novembre 2005, ivi, I, 213/2005; Trib. Mantova, 15 marzo 2005, ivi,
I, 57/2005; Trib. Milano, 5 gennaio 2006, ivi, I, 229/2006; Trib. Palermo, 17
febbraio 2005, ivi, I, 405; Trib. Palermo, 24 novembre 2006, ivi, I, 427/2005;
Trib. Milano, 10 gennaio 2007, ivi, I, 459/2007; Trib. Milano, 27 marzo 2007,
ivi, I, 540/2007; Trib. Pisa, 9 marzo 2008, ivi, I, 1428/2008; Trib. Rovigo, 31
marzo 2008, ivi, I, 1247/2008; Trib. Lucca, 23 settembre 2008, ivi, I,
1417/2008; Trib. Bergamo, 27 aprile 2009, ivi, I, 1741/2009; Trib. Ferrara, 26
maggio 2009, ivi, I, 1786/2009.
40) Trib. Milano, 18 aprile 2007, in IL CASO.it, I, 608/2007; Trib. Torino, 18
settembre 2007, ivi, I, 998/2007; Trib. Milano, 7 febbraio 2008, ivi, I,
1194/2008; Trib. Parma, 18 marzo 2008, ivi, I, 1272/2008; Trib. Catania, 19
giugno 2008, ivi, I, 1380/2008.
41) Cass. Sez. Un. Civ. 19 dicembre 2007, n. 26724, cit.
42) Trib. Venezia, 28 febbraio 2008, in IL CASO.it, I, 1169/2008 «Ove
l'intermediario non si sia astenuto dal compiere un'operazione dalla quale
avrebbe dovuto necessariamente astenersi - abbia, ad esempio, dato corso ad
un'operazione in conflitto di interessi senza comunicare per iscritto
l'esistenza di tale conflitto e senza ottenere la preventiva autorizzazione
scritta del cliente oppure abbia eseguito un'operazione inadeguata in mancanza
di un ordine impartito per iscritto ovvero, nel caso di ordine telefonico,
registrato su nastro magnetico o su altro supporto equivalente, in cui fosse
fatto esplicito riferimento alle avvertenze ricevute - deve ritenersi che
l'intermediario abbia concorso alla determinazione del danno. In tali ipotesi
il nesso di causalità tra condotta dell'intermediario e danno subito
dall'investitore è in re ipsa, mentre al di fuori delle ipotesi tassativamente
previste dal legislatore delegato in cui sussiste a carico dell'intermediario
un esplicito divieto di astensione, l'inadempimento degli obblighi comportamentali
non è sufficiente, di per sé, a dar luogo ad una pronuncia risarcitoria,
essendo necessario che il risparmiatore dimostri l'esistenza del nesso di
causalità tra la violazione dell'obbligo informativo (omessa consegna del
documento sui rischi generali, omessa raccolta delle informazioni sul profilo
di rischio, omessa o carente informazione sulle caratteristiche e sui rischi
dell'operazione, etc.) ed il danno.»; Trib. Biella, 17 luglio 2008, ivi, I,
1719/2009; Trib. Mantova, 5 febbraio 2009, ivi, I, 1771/2009; Trib. Milano, 14
febbraio 2009, ivi, I, 1510/2009; Trib. Milano, 18 febbraio 2009, ivi, I,
1681/2009.
43) Trib. Milano, 14 febbraio 2009 e 18 febbraio 2009, cit., la prima con
commento di D.MAFFEIS, La natura e la struttura dei contratti di investimento,
cit.
44) Vedi il paragrafo dedicato alla definizione dei reciproci ambiti operativi
dell'art. 28, comma 2, e dell'art. 29 reg. Consob 11522/1998.
45) Trib. Milano, 14 febbraio 2009, cit., precisa che una volta escluso il
rimedio della nullità ed intrapresa la strada del risarcimento del danno, il
fatto che la perdita dipenda dalla violazione del dovere di astensione non
esclude che non si possano prendere in considerazione circostanze idonee ad
interrompere il nesso di causalità o a configurare un concorso di colpa del
cliente nella produzione o nell'aggravamento del danno; App. Milano, 24 aprile
2009, in IL CASO.it, I, 1779/2009 «L'inadempimento ai doveri informativi
relativi alla rischiosità dell'investimento ed all'inadeguatezza dell'operazione
è causa efficiente non solo del minor valore dell'investimento ma anche delle
perdite conseguenti al mancato incasso delle cedole programmate.»
46) Dall'acronimo inglese "Marked in Financial Instrument Directive",
è la direttiva n. 2004/39/CE del 21 aprile 2004 sui Mercati di Strumenti
Finanziari che rientra nel Piano d'azione degli strumenti finanziari (FSAP
dall'inglese Financial Services Action Plan) adottato dalla Commissione Europea
nel maggio 1999. Il FSAP è un insieme di 42 direttive finalizzate alla
creazione di un mercato europeo dei capitali integrato, che dovrebbe in certo
senso contrapporsi, in termini concorrenziali, con i mercati statunitensi e
nell'ambito del quale la Direttiva MiFID è considerata l'intervento di maggiore
rilevanza.
47) Alla direttiva 2004/39/CE del 21 aprile 2004 hanno fatto seguito il
regolamento attuativo n. 1287/2006/CE e la direttiva «di secondo livello»
2006/73/CE del 10 agosto 2006, quindi l'art. 10 della l. 6 febbraio 2007, n.
13, che contiene la delega al Governo per il recepimento della direttiva
2004/39/CE. La delega è stata poi attuata con il d.lgs. 17 settembre 2007, n.
164, che ha apportato rilevanti modifiche al T.U.F. (d. lgs. 24 febbraio 1998,
n. 58). Sono poi seguiti i regolamenti Consob di attuazione del d.lgs. n.
58/1998, e precisamente il regolamento n. 16190 ed il regolamento n. 16191 (cd.
Nuovo Regolamento Mercati), che contiene le innovazioni di maggior rilievo in
materia di mercati finanziari. La nuova normativa è entrata in vigore dal 1 novembre
2007 (il reg. 16191 il 2 novembre 2007) e sostituisce la precedente
legislazione comunitaria che ha la sua fonte nella direttiva n. 93/22/CEE sui
"Servizi di investimento nel settore degli strumenti finanziari"
(Investment Services Directive - ISD), in vigore dal 10 maggio 1993. L'ISD era
stata recepita nell'ordinamento italiano dal d.lgs 415/1996 poi confluito nel
d.Lgs. n. 58/1998 (Testo Unico della Finanza - TUF), nonché dalla
regolamentazione attuativa CONSOB (delibere n. 11522/1998, n. 11768/1998, e n.
11971/1999).
48) Reg. Consob approvato con delibera 29 ottobre 2007, n. 16190, cit.
49) Critico sull'eccesso di minuziosità della normativa secondaria che
«comporta fatalmente il rischio di una rigidezza eccessiva dei precetti» è
R.RORDORF, La tutela del risparmiatore: norme nuove e problemi vecchi, in
Distribuzione di prodotti finanziari bancari e assicurativi,
A.ANTONUCCI-M.T.PARACAMPO, a cura di, Bari, 2008, p. 95 ss., il quale ha
altresì evidenziato il rischio che la minuzia delle regole e degli adempimenti
formali non corrisponda ad una effettiva maggiore tutela del risparmiatore.
50) G.LA ROCCA, Autonomia privata e mercato dei capitali, La nozione
civilistica di "Strumento finanziario", Torino, 2009, cit., p. 146
ss.
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