CrisiImpresa
Il Caso.it, Sez. Articoli e Saggi - Data pubblicazione 23/07/2005 Scarica PDF
Brevi cenni sulla incostituzionalità dell'art. 1853 c.c. in relazione agli artt. 67 e 56 l.f.
Franco Benassi, Direttore della Rivista IL CASO.it. Co-Direttore della Rivista Ristrutturazioni aziendali. AvvocatoLo scritto è stato pubblicato ed è dunque reperibile anche in "Il diritto fallimentare e delle società commerciali", 2006, I, 992.
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Nell'ambito di alcuni giudizi per revocatoria di rimesse in conto corrente
bancario è stata sostenuta la tesi della irrevocabilità delle rimesse in base
ad una lettura del tutto particolare degli artt. 1852, 1853 del codice civile e
56 della legge fallimentare.
Benché, a parere dello scrivente, detta tesi non appaia condivisibile, la sua
prospettazione costituisce l'occasione per svolgere alcune riflessioni.
Si sostiene che l'art. 1853 c.c., il quale consente alla banca di operare la
compensazione tra i saldi dei vari rapporti e dei conti esistenti tra banca e
cliente, dovrebbe essere applicabile anche all'interno di un unico conto
corrente bancario.
Si vorrebbe in sostanza che la compensazione, attuabile in base all'art. 1853
c.c. esclusivamente tra saldi di distinti ed autonomi conti correnti, fosse
operante anche tra le contrapposte partite di uno stesso conto corrente
bancario.
Secondo questa interpretazione, i movimenti in dare e in avere del conto
corrente dovrebbero compensarsi in continuazione, con la conseguenza che
l'automatica compensazione così operata renderebbe applicabile alla fattispecie
l'art. 56 della legge fallimentare ed escluderebbe la revocabilità delle
rimesse a carattere solutorio.
E' infatti noto che l'applicazione della compensazione prevista dall'art. 1853
c.c. per i saldi di diversi rapporti estingue le reciproche partite di
debito/credito, impedendo la revocabilità della compensazione stessa qualora
l'effetto estintivo si produca prima della dichiarazione di fallimento.
I sostenitori della tesi in esame sostengono quindi che l'art. 1853 c.c.
dovrebbe essere ritenuto applicabile, nel senso ora descritto, anche al conto
corrente bancario ed affermano che qualora ciò non fosse possibile, ci si
troverebbe di fronte ad una violazione degli artt. 3 e 4 della Costituzione con
riferimento agli artt. 56 e 67 della legge fallimentare, violazione consistente
in una ingiustificata disparità di trattamento di situazioni identiche.
L'impostazione che per brevi cenni si è cercato di riassumere si presta
tuttavia ad alcune critiche.
La fattispecie regolata dall'art. 1853 c.c. è assolutamente differente dalla
compensazione che si verifica all'interno di uno stesso conto corrente bancario
e ciò nel senso che mentre la norma citata regola una vera e propria ipotesi di
compensazione legale, le vicende delle poste che interessano i versamenti ed i
prelievi di uno stesso conto corrente danno luogo ad una compensazione solo in
senso tecnico contabile.
Con il rapporto di conto corrente la banca provvede ad annotare le partite a
debito e/o a credito derivanti dalle diverse operazioni intervenute tra
l'istituto di credito ed il titolare del conto.
In ogni momento le parti possono determinare il saldo del rapporto ed al
cliente -in forza dell'art. 1852 c.c.- è sempre garantita la disponibilità
delle somme risultanti a proprio credito. Le riscossioni ed i pagamenti
annotati sul conto non configurano un'ipotesi di compensazione legale delle
partite di dare ed avere, ma semplicemente rappresentano un effetto contabile
del rapporto medesimo.
Perché si abbia compensazione, è, infatti, necessario che i debiti ed i crediti
reciproci abbiano un'autonoma giustificazione causale e, quindi, derivino da
distinti rapporti giuridici intercorrenti, tuttavia, tra le medesime parti.[1]
Pertanto, nel conto corrente bancario non si ha compensazione in senso
tecnico-giuridico in quanto si è in presenza di un unico rapporto che nel corso
del suo svolgimento subisce modificazioni quantitative. Il saldo che ne deriva
altro non è che il risultato contabile dei movimenti del conto operati dal
correntista nell'ambito della sua disponibilità. [2]
Ad ogni prelievo per cassa, così come ad ogni ordine di pagamento a terzi,
corrisponde un addebitamento, vale a dire una variazione contabile di segno
negativo. Ad ogni versamento di contanti o di titoli bancari, così come ad ogni
rimessa di terzi, corrisponde un accreditamento, vale a dire una variazione
contabile di segno positivo. [3]
Risolutivo, a favore della tesi secondo la quale nel conto corrente bancario
non opera la compensazione, è il concetto stesso di disponibilità cui si
riferisce l'art. 1852 c.c.: quando il cliente opera sulla disponibilità presso
la banca opera allo stesso modo di quando dispone del denaro che ha nella
propria tasca, nel senso che, essendo l'utilità del denaro limitata alla
facoltà di trasferirlo, di tale facoltà il soggetto gode sia relativamente alla
carta moneta che alla moneta bancaria. [4]
L'art. 1853 c.c. regola, invece, una situazione molto differente. La norma
autorizza, come abbiamo detto, la compensazione tra banca e cliente dei saldi
attivi e passivi derivanti da più rapporti o conti differenti: solo in questo
caso e non nel precedente opera una vera e propria compensazione legale e lo
scopo di tale disposizione è quello di garantire la banca contro ogni scoperto
non specificamente pattuito che risulti a debito del cliente. La compensazione,
in questa particolare ipotesi, si attua mediante annotazioni ed attraverso
l'immissione del saldo passivo presente in un conto corrente in altro conto
ancora aperto.[5]
E' poi noto che la compensazione prevista dall'art. 1853 c.c. opera solo se
eccepita dalla banca (non automaticamente quindi) in seguito alla chiusura dei
conti ed è efficace dal momento in cui è portata a conoscenza dell'altra parte:
in definitiva -e questo è ciò che rileva- i conti rimangono estranei l'uno
all'altro fino alla chiusura di uno di essi.
Ecco quindi che appare delineata -ai fini che qui interessano- la differenza
delle due situazioni:
-nel conto corrente bancario la compensazione è solo un effetto contabile,
frutto dell'annotazione delle contrapposte partite e le somme che vi
confluiscono non hanno carattere di debiti liquidi ed esigibili tra le parti
del rapporto, il saldo è esigibile solo alla chiusura del conto (artt.
1823-1831);
-nell'ipotesi prevista dall'art. 1853 c.c. ci si trova invece di fronte ad una
vera e propria compensazione in senso tecnico-giuridico attuabile tra somme che
nel rapporto tra banca e cliente costituiscono veri e propri crediti liquidi ed
esigibili in quando rappresentano il saldo finale e definitivo dei conti
correnti e di altri rapporti in essere tra le parti.
Le due fattispecie prese in considerazione sono quindi radicalmente diverse e
la diversa disciplina loro applicata è la logica e ragionevole conseguenza di
questa loro fondamentale diversità.
Il voler applicare la compensazione prevista dall'art. 1853 c.c. alle
operazioni in conto corrente bancario significa, a parere di chi scrive,
snaturare completamente tale tipo di rapporto.
La questione è stata affrontata in più occasioni dalla Corte di Cassazione, la
quale, in tema di versamenti di terzi sul conto corrente del fallito ha
affermato che «il versamento da parte di una banca sul conto corrente del
cliente di somme rimesse da terzi per effetto di un "bonifico"
costituisce pur sempre, secondo la consolidata giurisprudenza di questa Corte,
un'operazione che, salvo patto contrario, si inserisce nell'ambito
dell'unitario rapporto di conto corrente e non realizza un'autonoma
obbligazione da parte della banca di rimettere al cliente medesimo le somme
riscosse, le quali non sono suscettibili pertanto di compensazione legale, ma
determinano una semplice variazione quantitativa del debito del correntista.
Pertanto, vertendosi nel caso in esame nell'ambito di un unico rapporto di
conto corrente, deve ritenersi esclusa, per ciò solo ed anche sotto tale
profilo, ogni possibilità di compensazione».[6]
Non è pertanto possibile procedere ad alcuna forma di comparazione tra le
situazioni sottoposte dalle convenute al vaglio di costituzionalità per difetto
di omogeneità tra le stesse.
La proposta questione di incostituzionalità è quindi manifestamente infondata
non potendosi ritenere violato l'art. 3 cost. in presenza di situazioni
disomogenee che giustificano una differente disciplina.
[1] Cass. N. 3236/1975, 3519/1975, 5836/1978, App. Milano 16 gennaio 1979, in
Banca, borsa, tit. cred., 1979, II, 444; App. Milano 19 luglio 1983, ivi, 1985,
II, 59; App. Torino 14 settembre 1985, in Fallimento, 1986, 423; App. Roma 11
aprile 1986, in Giust. Civ., 1986, I, 1749.
[2] Greco, Le operazioni di borsa, Padova, 1931, p 24 e ss; Foschini, La
compensazione nel fallimento, Napoli, 1965, p. 263; Terranova, Conti correnti
bancari e revocatoria fallimentare, Milano, 1982.
[3] Santoro, Il conto corrente bancario, Milano, 1992.
[4] 4 Santoro, cit.
[5] Cass. n. 4735/1998.
[6] Cass. n. 3519/2000; conforme Cass. n. 6943/2004.
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