CrisiImpresa
Il Caso.it, Sez. Articoli e Saggi - Data pubblicazione 24/07/2014 Scarica PDF
Per un superamento delle reciproche diffidenze fra giudice e parti nel concordato preventivo
Massimo Fabiani, Professore1. Preambolo
Nel corso del 2014 e segnatamente fra maggio e giugno, sono esponenzialmente aumentate le pronunce del Giudice di legittimità sul concordato preventivo[1], sì da rappresentare un campione significativo del difficile rapporto venutosi a formare dopo una lunga stagione di riforme e controriforme del particolare segmento del diritto concorsuale costituito dal concordato preventivo.
È ben noto che le disposizioni sul concordato preventivo hanno subito un primo importante intervento nel 2005, ma da allora quasi ogni anno si è assistito a continui assestamenti con il provvisorio epilogo intrecciato fra la primavera e l’estate 2014. Con la legge n. 9/2014, il legislatore aveva inserito una norma (definita di interpretazione autentica) originata da un caso concreto e diretta a disciplinare gli effetti della mancata ammissione al concordato, ma poi il d.l. n. 91/2014 ha smentito quella interpretazione autentica e si è, così, tornati alle regole fissate, da ultimo, nel 2012-2013[2].
In un tessuto normativo così provvisorio e frastagliato, l’interprete fatica a muoversi, specie perché l’approccio non è quello sistematico ma quello volto a sopravvalutare formule lessicali talora stravaganti e comunque, spesso, decettive.
Per questa ragione ho provato ad invertire la rotta e ad offrire qualche tentativo di sistematizzare il concordato preventivo in modo da costituire delle fondamenta ideali che possano sorreggere anche novità estemporanee[3].
Orbene, con queste brevi (e caleidoscopiche) riflessioni, di certo non risolutive, vorrei cercare di offrire un contributo per lo sviluppo di un fervido e fecondo dialogo fra giudici e operatori. Questa frase potrà risultare stonata per quanti, in varie sedi, predicano (e praticano) da anni un confronto fra i vari protagonisti delle crisi; ma la ragione è molto semplice: a me pare che nessuna associazione, nessun gruppo, nessun forum, nessuna mailing list[4] siano riusciti, sino ad ora, a smarcare il nodo delle reciproche diffidenze.
Da una parte i giudici, specie quelli di merito, diffidano del concordato preventivo perché ritengono che tale procedimento non sia adeguato a risolvere la crisi e sia, anzi, troppo spesso strumentalizzato dal debitore per perseguire secondi fini. Dall’altra parte gli operatori pratici e teorici diffidano del fatto che il giudice prediliga la soluzione del fallimento per poter esercitare un più pervasivo controllo sull’attività economica esercitata.
Se queste reciproche diffidenze non si dovessero sciogliere, si può pronosticare che la conflittualità si perpetuerà proprio attorno a quella figura, la revoca del concordato ai sensi dell’art. 173 l.fall. che è la protagonista di molte decisioni anche dei giudici di legittimità.
Proviamo, allora, a selezionare alcuni snodi critici del concordato per poi, in sintesi, valutare se possano trovare una ricomposizione unitaria ed equilibrata.
2. Flessibilità, autonomia negoziale e fattibilità
Vi è sostanziale condivisione in letteratura sul fatto che uno dei “valori” del concordato preventivo sia rappresentato dalla flessibilità del piano e della proposta concordataria. Si assume che il debitore possa costruire un piano di azione molto variabile e che su questo possa fondare una proposta nella quale i paletti da rispettare siano davvero limitati. Si tratta di una lettura che coglie effettivamente i tratti caratterizzanti del nuovo concordato[5].
Il debitore può proporre ai creditori un trattamento molto differenziato che deve rispettare solo la regola di comparazione fra valore del bene ed entità del credito garantito, la regola del divieto di alterazione delle disposizioni in tema di graduazione dei crediti, la regola dell’offerta a tutti i creditori almeno di una utilità. Questo “valore” non sempre è considerato tale dai giudici perché si postula che ai creditori debba essere attribuito un minimo di soddisfacimento e che se questo non viene conseguito o, prima ancora, appare che non possa essere conseguito, il concordato non è ammissibile[6] e se ciò accade dopo, non è fattibile.
Che cosa significhi fattibilità del piano concordatario (art. 161 l.fall.) è quesito posto innumerevoli volte e ancora ampiamente discusso, nonostante una pronuncia della Suprema Corte, non smentita da successive decisioni[7]. Sul tema della fattibilità mi permetto i) di ribadire che l’argomento è stato enfatizzato assai più di quanto meritasse trattarne e ii) di osservare che non raramente è la specificità del caso concreto che giustifica un diverso approccio del giudice.
La Corte di Cassazione con la citata decisione 1521/2013 ha cercato di mettere ordine nel tema del giudizio di fattibilità innervando la materia con l’inserzione della formula della causa concreta quale figura idonea a spiegare l’essenza del concordato e il perimetro dell’intervento del giudice. Pur se con luci ed ombre mi era parso[8] che il percorso argomentativo fosse apprezzabile, occorre prendere atto che così non è stato vissuto dalla letteratura che ha svolto critiche serrate alla decisione sia per i riflessi processuali che ne sortiscono[9], sia, proprio, per la declamazione della nozione, per vero controversa, della causa in concreto[10]. I giudici di merito hanno pescato da quella pronuncia ciò che, di volta in volta, poteva servire per la decisione del caso concreto e da questo punto di vista vanno, forse, smorzate le critiche sul versante dello jus litigatoris, fermo restando che un poco di jus constitutionis e di maggiori certezze non sarebbero invise agli operatori.
3. Trattamenti “anomali” dei crediti privilegiati
Un argomento meno stimolante dal punto di vista ideologico ma assai più interessante dal punto di vista dell’applicazione del diritto è quello che pertiene al soddisfacimento dei creditori privilegiati. Sappiamo che la materia è molto dibattuta ed è terreno di scontro fra i “puristi” ed i “sostanzialisti”, nel senso che il rigore del diritto delle garanzie non tollera, per taluno, che il soddisfacimento possa realizzarsi in forme diverse dal pagamento e in tempi non immediati; mentre, per altri, il trattamento dei crediti privilegiati sconta le nuove tendenze della flessibilità della proposta, fermo restando il principio della graduazione dei diritti di credito.
Optare per l’una o l’altra tesi è, in fondo, il frutto di una scelta di politica del diritto visto che occorre, preliminarmente, chiedersi quale incentivo si voglia offrire alla concessione di garanzie.
Pur con prudenza, reputo preferibile la tesi meno rigorosa e cioè quella che acconsente a che il credito privilegiato possa essere soddisfatto non in denaro e non immediatamente ma, alla ineludibile condizione, che in ambedue i casi si debba procedere alla perizia di cui all’art. 160, 2° comma, l.fall. e che al creditore debba essere riconosciuto il diritto di voto.
Infatti, in ordine alla possibilità di soddisfare i creditori privilegiati con strumenti diversi dal denaro, occorre considerare che la previsione di una datio in solutum, espressamente voluta nell’art. 160 l.fall., non contiene alcuna riserva in ragione del rango del credito e non a caso, il legislatore utilizza il lemma “soddisfazione” in luogo di pagamento, ad avvalorare la tesi che ciò che conta è che al creditore sia promesso “qualcosa”[11]. Tuttavia si assume, in contrario[12], che il volere della maggioranza non potrebbe imporsi, modificandola, sul contenuto della garanzia, perché il contenuto della garanzia può essere alterato solo quando il valore del bene sia inferiore al credito garantito[13].
Se il diritto del creditore garantito è commisurato alla tutela di un valore, l’attribuzione di una utilità diversa dal denaro è giustificabile[14], in quanto le parti possono derogare alla regola dell’esatto adempimento e lo possono fare in concreto perché in tal caso i creditori privilegiati debbono non solo essere ammessi al voto[15] ma anche collocati in apposita classe. Questa soluzione offre al creditore privilegiato la possibilità di esprimere un dissenso e farlo valere nel giudizio di omologazione, anche se il dissenso nella classe potrebbe risultare “annacquato” nella formazione di una maggioranza assoluta che vincola pure la minoranza dissenziente. Il risultato sarebbe, allora, quello per cui il creditore privilegiato perde il diritto al pagamento in denaro per volere di una maggioranza espressa da creditori non omogenei. È un risultato tollerabile se il creditore non si oppone al concordato ed è un risultato tollerabile quando il creditore si oppone perché ben può far valere il difetto di convenienza, sì che, al fondo, il suo diritto non viene conculcato dalla maggioranza ma sottoposto alla decisione del giudice[16].
Per ciò che pertiene alla modifica del diritto del creditore prelatizio sul piano della tempistica nel pagamento, il tema che si pone è simile ma è supportato da qualche argomento di diritto positivo in più.
In base all’art. 186 bis l.fall., la proposta di concordato con continuità può prevedere la cessione di cespiti ed è naturale che così sia per acquisire risorse utili sia per finanziare l’impresa sia per soddisfare i creditori concorsuali. Tuttavia la proposta può prevedere che i creditori muniti di prelazione sui cespiti oggetto di dismissione possano essere soddisfatti dopo una moratoria annuale nel senso che ove sia prevista una liquidazione non immediata è consentito al debitore di soddisfare i creditori prelatizi a far data da un anno dopo l’omologazione; questo ritardo nel pagamento non genera il diritto di voto per i creditori.
Postulare che in questo caso i creditori privilegiati non votano, può voler dire alternativamente, più cose: i) può voler dire che queste sono le uniche ipotesi in cui è consentito non pagare subito i creditori privilegiati; ii) può voler dire che i creditori privilegiati possono essere pagati nel corso del tempo e che allora votano solo se il pagamento è previsto oltre l’anno; iii) ma può voler dire, ed è a questa soluzione cui si dovrebbe giungere per coerenza, che i creditori privilegiati debbono essere pagati subito, e non maturano diritto di voto, quando la liquidazione concordataria è temporalmente comparabile con la liquidazione fallimentare[17], talché non vantano un interesse all’una soluzione rispetto all’altra, mentre quando si assiste ad un disallineamento, allora il voto va riconosciuto[18].
Il creditore che vanta una causa di prelazione su di un bene specifico ha diritto ad essere soddisfatto in misura integrale nel momento in cui interviene la liquidazione del bene gravato dalla garanzia ed il valore del bene deve garantire la corresponsione degli interessi posto che l’art. 55 è richiamato dall’art. 169 l. fall.; ove il valore del bene coprisse il capitale, ma non gli interessi, sarebbe necessaria una perizia di stima che stimi il “disavanzo”[19]. Per quanto attiene ai crediti assistiti da privilegio generale è egualmente predicato il soddisfacimento integrale; anche in questo caso le risorse dovrebbero consentire un pagamento comprensivo degli interessi da corrispondere di volta in volta in relazione alle singole attività liquidatorie. Dunque, in questi limiti, una proposta può contemplare la dilazione nel pagamento del creditore privilegiato.
Diverso è il discorso là dove sia il proponente a stabilire ex ante, a prescindere dalla liquidabilità immediata del bene, che questo sarà alienato ad un certo tempo data; in questo caso e pur ipotizzando la corresponsione degli interessi, è naturale che il creditore possa esprimere il voto[20] (considerando che il voto sembra escluso in caso di pagamento integrale ma non in caso di soddisfacimento integrale)[21], anche se non è semplice stabilire in che misura ciò avvenga. Infatti il possibile pregiudizio non è tanto monetario quanto finanziario, posto che il fallimento potrebbe assicurargli un tempo di acquisizione della liquidità che non sarà quello del concordato[22]; il creditore sa che non percepirà la somma per un lungo periodo anche se poi quando la percepirà riceverà anche gli interessi. Si dovrebbe ipotizzare che il pregiudizio sia pari alla differenza tra il saggio di remunerazione del capitale e il saggio degli interessi (legali e convenzionali) che deriva dalla mancata disponibilità delle somme per il periodo per il quale è stabilito il differimento del pagamento[23] e tuttavia poiché il tema dell’ammissione al voto è tema che riguarda la legalità del procedimento, la cognizione anticipata e più facilmente determinabile della misura del credito porta a reputare preferibile, sul piano operativo, che il creditore privilegiato sia ammesso al voto per l’intero quando viene soddisfatto in modo diverso dal denaro[24] e per il saggio differenziale quando il pagamento è dilazionato[25].
4. Detipizzazione della cessione dei beni ai creditori
Non meno dibattuta è la questione che verte sull’effettività del soddisfacimento dei creditori e, in particolare, sui limiti alla risoluzione del concordato (e, se si vuole, alla anticipazione della risoluzione al momento della omologazione, quando risulti che il piano concordatario non sia attuabile in modo da soddisfare i creditori come promesso).
Anche qui, esiste una rilevante biforcazione interpretativa che, però, credo sia un poco inquinata dal modo in cui sono conformate le proposte di concordato.
Cass., 6022/2014 ci dice (e ci conferma) che nel concordato con cessione dei beni, ovverosia la figura ancora più diffusa fra i vari modelli di concordato, non si può pronunciare la risoluzione quando il ricavato della liquidazione non consente di soddisfare i creditori nella misura prevista nella proposta concordataria in quanto l’obbligazione assunta è solo quella di mettere i beni a disposizione dei creditori. Si tratta di una affermazione che può essere esatta (ma anche errata) se così prevede la proposta, ma la proposta può prevedere tante cose diverse fra loro.
Tuttavia occorre essere, subito, molto chiari. Non esiste più lo schema unico della cessione dei beni ai creditori tramite lo strumento del mandato affidato ad un liquidatore giudiziale nominato dal tribunale[26], ma tanti diversi schemi che si possono più o meno significativamente distaccare dall’esperienza del passato[27].
In tal senso, proporre che vengano ceduti i beni poco significa se non si stabilisce qual è precisamente l’obbligazione che il debitore si assume[28], e ciò non senza ricordare come già nel previgente assetto normativo fosse molto discussa la natura della cessione[29]. Orbene, non è revocabile in dubbio che una classificazione del procedimento di liquidazione dei beni sia ancora esercizio attuale perché necessario per risolvere alcuni temi concreti (si pensi alla cancellazione dei pesi ipotecari sui beni), ma occorre essere molto attenti nel precisare che quelle classificazioni sono utili nella misura in cui sia chiaro qual è il contenuto della proposta del debitore. Infatti, se il contenuto della proposta corrisponde a quello che si poteva formulare prima della riforma, le argomentazioni del passato possono essere ancora utilizzate, ma se la cessione non assomiglia più a quel modello, quelle catalogazioni sono divenute quanto meno insufficienti.
Vero è che la detipizzazione della proposta consente, oggi, di formulare ipotesi assai variegate[30], a condizione che vengano esplicitate nella domanda alla luce della nuova formulazione dell’art. 161 l.fall. Infatti il debitore, in via alternativa e se si vuole anche cumulativa rispetto a diverse classi di creditori, può assumersi l’obbligazione: i) di trasferire i beni ai creditori in una sorta di comunione pro-indiviso[31]; ii) di offrire di pagare i creditori in una certa misura con il ricavato della vendita dei beni; iii) di impegnarsi a cedere i beni distribuendo il ricavato ai creditori ma senza assumere alcuna obbligazione sulla misura del soddisfacimento[32]. Ed ancora, pur se non praticate allo stato, non si può escludere che vengano prospettate soluzioni come quella di trasferire i beni ad un terzo che provveda poi a soddisfare i creditori, come pure quella di attribuire ai creditori la gestione dell’impresa e cioè un trasferimento di poteri gestori senza passaggio nella titolarità dei beni[33].
La prima ipotesi, quasi mai praticata in passato, si traduce, nella sostanza, in una datio in solutum, posto che ai creditori in luogo di denaro viene offerto un valore diverso (la quota di comproprietà su beni o addirittura su un patrimonio). Questa modalità, pur non espressamente prevista, la si deve intendere certamente ammissibile posto che l’art. 160 della l.fall. consente che ai creditori sia attribuito in pagamento una quantità di titoli di partecipazione al capitale sociale, ciò che conferma che la soddisfazione del credito non deve avvenire esclusivamente in denaro[34]. Se al singolo creditore può essere offerto una azione o un altro strumento partecipativo di una società e dunque una porzione di un patrimonio mediante la costituzione di un ente interposto, non v’è ragione di escludere che a quel creditore sia direttamente attribuita una porzione del patrimonio, individualmente o pro-quota. Non va trascurato che questa modalità di soddisfacimento non è affatto anomala nella cornice dei procedimenti di attuazione della garanzia patrimoniale, posto che il processo espropriativo si può concludere con l’assegnazione del bene espropriato al creditore procedente.
La seconda ipotesi replica quella di cui all’art. 160 della l.fall. prima della riforma ed è tuttora sicuramente possibile, ma con la rilevante differenza che il debitore non ha una soglia minima di remunerazione che deve per forza osservare. Quando il debitore confeziona la proposta non deve preoccuparsi che l’attivo disponibile e ceduto abbia un valore tale da garantire il pagamento dei creditori chirografari almeno nella misura del quaranta per cento, ma deve invece preoccuparsi di fornire ai creditori una attestazione che li convinca in ordine alla fattibilità del piano concordatario.
Ciò che risulta decisivo è prendere atto che nel contesto di una ampliata autonomia negoziale nel concordato, anche la gestione della liquidazione può essere articolata con modalità così eterogenee (e se si vuole, così eterodosse) che ciascuna fattispecie va partitamente trattata.
5. “Frode soggettiva” e “frode oggettiva”
Come accennato supra al § I, negli ultimi tempi la massima concentrazione di attenzione si è rivolta verso la figura della revoca del concordato preventivo (art. 173 l.fall.).
Il compimento di atti pregiudizievoli da parte del debitore prima del deposito della domanda di concordato preventivo non comporta effetti diretti perché le azioni revocatorie non sono coerenti col concorso concordatario, e tuttavia non è, però, neutrale rispetto al procedimento concordatario.
Occorre, infatti, valutare se gli atti compiuti che abbiano prodotto un effetto pregiudizievole per i creditori possano essere considerati quali atti di frode e quindi se possano inibire l’apertura del concordato o, se scoperti successivamente, se possano determinare la revoca del concordato ai sensi dell’art. 173 l.fall.
Così, una volta appurato che nel periodo sospetto sono stati compiuti atti pregiudizievoli che, nel caso del fallimento, potrebbero essere oggetto di azione revocatoria, occorre stabilire se quegli atti possano reputarsi compiuti in frode dei creditori. Ove così si ritenesse, l’accertamento di tali atti dovrebbe portare alla revoca del concordato ai sensi dell’art. 173 l.fall.
In passato e cioè prima della riforma del 2005, al concordato potevano accedere solo gli imprenditori meritevoli; il lato etico dell’impresa[35] non aveva confini ben precisi e tuttavia poteva fondatamente affermarsi che l’imprenditore che aveva posto in essere atti pregiudizievoli dovesse essere considerato non meritevole del concordato.
Ecco, allora, che la nozione di frode, lemma che compare nell’art. 173 l.fall., poteva essere intesa come connotativa del disvalore di un comportamento. Una volta, però, che di meritevolezza non si discute più[36], diviene necessario procedere ad una riqualificazione della nozione di frode[37].
Quando si usa il termine frode a proposito dell’azione revocatoria fallimentare ci si vuole riferire a quell’elemento di disvalore che è costituito non già dall’inganno, dalla truffa, dalla dolosa volontà di sottrarre risorse ai creditori, ma dalla alterazione del principio di tendenziale parità di trattamento fra creditori. Non si può, infatti, trascurare il valore interpretativo offerto dalla previsione secondo la quale è revocabile l’ipoteca giudiziale. L’iscrizione di ipoteca giudiziale non è atto del debitore ma del creditore ed è atto che discende da un preciso diritto attribuito al creditore quando questi conquista un titolo esecutivo qualificato (ad esempio, la sentenza di condanna o il decreto ingiuntivo).
Questo caso dimostra, in modo non controvertibile, che l’azione revocatoria fallimentare non mira a reprimere un atto illecito ma a restaurare un maggior equilibrio fra le posizioni dei creditori. Certo, ben può accadere che la rottura dell’equilibrio e della parità di trattamento dipendano da un atto consapevole e finanche doloso del debitore ma ciò impatta sull’eventuale concorrente responsabilità penale[38], non sul significato più profondo dell’azione revocatoria fallimentare.
Pertanto, mentre in passato ben si poteva sostenere che l’imprenditore che avesse posto in essere atti revocabili poteva essere reputato immeritevole del concordato per aver compiuto atti idonei ad alterare la par condicio creditorum, ora quel tipo di postulazione non è più riproducibile.
Svincolata dalla meritevolezza, la frode va vista, piuttosto, come difetto di buona fede[39] nella condotta di un contraente – il proponente il concordato – nei confronti degli altri contraenti e cioè della massa dei creditori. La frode è una condotta del debitore idonea ad alterare la percezione dei fatti e dunque tale da condurre i creditori ad una rappresentazione infedele[40], con conseguente, possibile, espressione di un voto inconsapevole. I soggetti tutelati sono direttamente i creditori, specie quando l’allarme si crea prima dell’adunanza.
A questa conclusione si può più che ragionevolmente pervenire in forza della novella connotazione contrattualistica del concordato (frutto dell’esaltazione del valore dell’autonomia privata), che pur ampiamente discussa e controversa, appare largamente condivisa sia nella letteratura, sia (forse un poco in controluce) in diverse importanti decisioni del giudice di legittimità[41].
In tale precisa proiezione vanno calibrati i fatti che il commissario segnala onde valutare se siano rilevanti per il promovimento del procedimento.
Fra le indagini che il commissario può svolgere e che, secondo talune letture, potrebbero tradursi nella segnalazione di cui all’art. 173 l.fall., potrebbero, dunque, rientrarvi quelle che afferiscono ad atti e fatti compiuti prima della domanda e che assertivamente potrebbero concretare gli estremi per l’esercizio di azioni revocatorie o altre azioni recuperatorie.
Or non è dubbio che gli atti compiuti nel periodo sospetto anteriore al decreto di ammissione possano essere revocati in caso di fallimento consecutivo e che pertanto il commissario debba diligentemente esporli nella relazione ex art. 172 l.fall., ma la revocabilità degli atti è elemento che può supportare un giudizio di non convenienza[42]; un giudizio di convenienza che non è oggetto né del provvedimento di ammissione[43], né del provvedimento di revoca ai sensi dell’art. 173 l.fall.[44]
In tale contesto, fermo restando che la rappresentazione degli atti revocabili deve essere svolta dal commissario giudiziale nella relazione ai sensi dell’art. 172 l.fall. e ciò in funzione di consentire ai creditori una completa informazione in modo che costoro si determinino consapevolmente al voto, non pare, invece, che l’enunciazione di tali fatti debba essere contenuta nella relazione che il commissario può predisporre nel procedimento ex art. 173 l.fall.
In questa, diversa, relazione vanno esposti tutti i comportamenti non disvelati dal debitore e tali da inquinare, se portati a conoscenza, la genuinità del voto che è il vero valore che deve essere tutelato. In ciò si concreta la frode[45]; frode non c’è rispetto ad atti compiuti prima del fallimento che siano stati rappresentati e che potrebbero però, in caso di fallimento, essere esposti al rischio revocatorio[46].
Va, infatti, opportunamente segnalato che là dove si parla di atti di frode nell’art. 173 l.fall., ove si abbia riguardo ad alcune delle ipotesi tipicamente considerate dalla legge, si avverte che questi atti rilevano in quanto diretti ad ingannare i creditori[47], posto che altrimenti verrebbe recuperato quello spirito etico espresso nel giudizio di meritevolezza che il legislatore ha inequivocabilmente espunto. Né avrebbe alcun senso non aver previsto che gli atti di frode conosciuti debbano costituire causa di inammissibilità della domanda[48].
Questa è quella che potremmo definire “frode soggettiva”. I fatti vanno narrati, non già perché di per sé riprovevoli, ma perché il bagaglio informativo offerto ai creditori deve essere completo.
Assai diverso è il tema della “frode oggettiva”. L’ostensione dei fatti compiuti prima della domanda non può giovare ad escludere la frode le quante volte un atto sia stato posto in essere, deliberatamente, per frodare i creditori e cioè per far loro apprezzare lo strumento concordatario come l’unica soluzione per regolare la crisi dell’impresa[49].
Si vuol cioè sostenere che un conto è l’accertamento di un atto che ha alterato la par condicio creditorum e che il debitore ha denunciato nella domanda di concordato, tutt’altro conto è il compimento da parte del debitore di uno o più atti dolosamente realizzati per sottrarre risorse ai creditori in funzione di presentare loro una situazione talmente compromessa da far risaltare la proposta di concordato come l’unica via di uscita dalla crisi. Vanno, dunque, sanzionate le strumentalizzazioni dell’istituto del concordato per piegarlo ad interessi diversi da quello di regolazione della crisi.
Nell’ormai condivisa valutazione di difficoltà di governare la pluralità degli interessi coinvolti nella crisi di un’impresa in modo prudente ed equilibrato[50], è coerente che tanto più si spinge l’acceleratore nella direzione della negozialità, quanto più occorre essere vigili in modo che questa non faccia premio sulla tutela dei diritti. È in questo, limitato, contesto che, se si vuole, pare possa trovare uno spazio la teoria dell’abuso del diritto[51].
L’imprenditore che si trova già in stato di dissesto e che compie atti volti a depauperare la garanzia patrimoniale nei confronti dei creditori occultandoli ai creditori per ottenere un consenso fondato su di una alterata percezione dei fatti, può sì conquistare l’accesso al concordato ma quando questi fatti vengono disvelati, la sanzione della revoca del concordato dovrebbe invocarsi inesorabilmente.
Pertanto, di condotta abusiva si potrà discutere tutte le volte in cui si dimostri (e la prova non sarà, certo, agevole) che l’imprenditore ha compiuto determinati atti non solo per avvantaggiare sé o altri, ma già con la consapevolezza di alterare scientemente le condizioni dell’impresa in modo da rappresentare ai creditori il concordato come soluzione obbligata per regolare la crisi.
Non è, dunque, l’esistenza di atti revocabili in caso di fallimento che prova l’abuso, non fosse altro perché la revocatoria fallimentare non è sorretta dal dolo, ma dalla mera consapevolezza nel terzo della lesività dell’atto; ciò che rileva è la diversa condotta che si traduce in una lucida pianificazione del dissesto, tutta orientata a precostituire determinate situazioni volte a convincere i creditori della preferibilità della soluzione concordataria. Ecco, allora, che l’abuso non attiene alla proposta, ma se mai, proprio, alla stessa soluzione concordataria[52].
Se a questa conclusione si può, sebbene con cautela, pervenire ove si vogliano evitare i rischi di una deriva “privatistica”, occorre però offrire anche un contenitore nel quale raccogliere gli strumenti di repressione dell’abuso e, considerando la vastità dell’argomento, si può qui soltanto menzionare la circostanza per cui attenendo, al fondo, la questione alla prestazione genuina del consenso, potrebbe non essere eterodosso riconoscere al giudice il potere di negare l’omologazione per difetto di (reale) consenso[53].
Né a questa conclusione si potrebbe obiettare che così facendo si viola l’autonomia contrattuale espressa dalla volontà dei creditori di aderire alla proposta[54], perché qui si contesta, proprio, che una adesione vi sia stata. In tale proiezione può essere compresa la recente Cass. n. 14552/2014 ad avviso della quale il consenso prestato dai creditori non può obliare la frode compiuta.
Il legislatore ha voluto dare fiducia al debitore consentendogli di formulare una proposta molto flessibile; gli ha dato fiducia snellendo l'istruttoria con l'attestazione, ma vuole che le regole del gioco siano
rispettate. E le regole del gioco sono costituite (anche) dalla completa rappresentazione degli eventi che hanno condotto l'impresa al dissesto, visto che ai creditori è chiesto un sacrificio. I creditori debbono sapere cosa è successo e solo dopo averlo saputo possono giudicare e scegliere se approvare o no la proposta ma con un limite: le regole del gioco vanno rispettate anche se i creditori "perdonano" il debitore, non già perché è reintrodotto un giudizio di meritevolezza ma perché la legge fissa un perimetro di regolarità come è fissato un perimetro per il rispetto del pagamento dei creditori.
Il debitore non si deve "pentire" ma deve consentire ai creditori di sapere tutto, fermo restando che talora il sapere non è sufficiente perché certe condotte non giustificano che si debba chiedere ai creditori cosa ne pensano. Questa è la ragione per la quale i tribunali negano il c.d. ravvedimento operoso nel 173 (specie quello correlato alla violazione dell’art. 167 l.fall.).
Se il debitore non chiede una autorizzazione quando prevista la sanzione dell'art. 173 l.fall. scatta anche se ai creditori quella violazione potrebbe non interessare. Ma la necessità di chiedere una autorizzazione è una delle regole del gioco che vanno rispettate.
In questo senso Cass. n. 14552/2014 non sorprende perché non fa che applicare questo principio lasciando, ovviamente, aperto il discorso sui fatti che possono concretare la frode ma questo è un tema più da jus litigatoris che da jus constitutionis.
Non sono gli atti revocabili che costituiscono frode, ma lo sono quelle condotte che possono avere ingannato i creditori e quelle che hanno posto il concordato preventivo su un binario, apparentemente, obbligato. Qui c'è frode.
Se il contenuto della relazione ex art. 172 l.fall. ha per oggetto la rappresentazione della frode, non credo proprio possa negarsi al tribunale il potere-dovere di aprire il procedimento ex art. 173.
Ma se così non accade e si giunge prima alla votazione (con approvazione) e poi al giudizio di omologazione, mi pare evidente che non vi sia alcuna sanatoria né con l'approvazione né per il fatto che il tema della frode emerge in occasione dell'omologazione.
Se la frode è materia di regole del gioco, è evidente che si verte in tema di legittimità del procedimento e in sede di omologazione tutte le condizioni di legittimità vanno riesaminate (a partire dalla ...competenza), ovviamente nel rispetto del contraddittorio ai sensi dell’art. 101, comma 2°, c.p.c.
In sede di omologazione non serve, invece, il rispetto delle regole del procedimento ex art. 15 l.fall., per il semplice fatto che il contenitore è ampiamente in grado di offrire al debitore le più ampie facoltà di garanzia del contraddittorio.
6. Conclusioni
La rappresentazione di alcune criticità del concordato è utile per far emergere come tante volte le discussioni aperte siano state condizionate da pregiudizi ideologici, equamente distribuiti fra i liberisti, i fautori della privatizzazione, i negozialisti, i pubblicisti e per finire ai “complottisti”.
È sin troppo evidente che la ragione non può stare da una sola parte; come vi sono esigenze che impongono che il diritto dei contratti sia l’orizzonte cui guardare per una lettura sistematica del concordato, così pure l’insorgenza della crisi di un’impresa provoca un coinvolgimento di più soggetti, portatori di istanze differenziate, che debbono trovare tutela al riparo di un controllo del giudice quale mediatore/risolutore dei conflitti.
Il concordato preventivo è il crocevia del diritto civile e commerciale col diritto processuale civile, là dove alle regole dei contratti e ai principi di diritto dell’impresa che reggono la formazione della proposta concordataria si accompagnano le regole del procedimento e del processo quali luoghi dove, prima, si forma la volontà delle parti con l’approvazione dei creditori e dove, poi, si esercita un controllo sul modo con il quale le parti hanno regolato la crisi dell’impresa. Ed il concordato è, anche, strumento di attuazione, su base pattizia, della garanzia patrimoniale; ma strumento non ottuso e necessariamente dissolutivo/liquidatorio perché la tutela dei creditori può realizzarsi anche con la conservazione di valori imprenditoriali.
Ciò spiega la presenza di più “anime” del concordato e la difficoltà di tutti (e proprio tutti) di cogliere i profili dominanti della materia.
Queste obiettive difficoltà non debbono, però, far premio sull’impegno di tutti coloro che per un verso o l’altro sono i protagonisti coinvolti nella (e dalla) crisi dell’impresa nel cercare di pervenire a soluzioni interpretative dirette a consentire al debitore di offrire ai propri creditori la proposta più adeguata al caso concreto, senza eccessivi rigorismi, spesso formalistici, e senza che chi presenta una domanda di concordato si senta sotto inquisizione e, se supera lo scoglio dell’ammissione, sotto il costante rischio della revoca del concordato come se vi fosse una competizione fra il debitore e il commissario giudiziale. Un ruolo difficile quello del commissario giudiziale perché troppe volte si ha l’impressione che le spinte verso la revoca del concordato (e il successivo, quasi sempre necessitato fallimento) siano condizionate dall’intendimento di compiacere un giudice che, forse, non vorrebbe essere compiaciuto. La revoca del concordato non deve essere una sorta di ammissione “.2”, ma un procedimento posto a presidio della trasparenza della procedura.
Per contro il debitore ed i suoi professionisti debbono prendere consapevolezza che il concordato non è una scorciatoia né per evitare la bancarotta[55], né per evitare le azioni di responsabilità endosocietarie[56]. Un uso virtuoso del concordato dovrebbe consistere nell’offrire ai creditori la migliore regolazione della crisi, anche se a questo proposito è difficile negare che la soppressione (nei fatti) dell’azione revocatoria fallimentare può riflettersi nel confezionamento di proposte meno interessanti per i creditori perché non può, più, essere agitato lo spauracchio (se non in casi marginali) delle azioni revocatorie.
Il Paese continua a trovarsi in una situazione economica molto disagiata e la crisi della giustizia civile ne è un rilevante corollario. Occorrerebbe, allora, rendersi conto che non ci si può permettere di restare schiacciati dall’ideologia e dalla sfiducia preconcetta nell’altra parte; un dialogo più diffuso è indispensabile e lo si può cercare anche con una maggiore interlocuzione fra giudice e parti, traendo spunto dal potere che la legge riconosce al tribunale nell’art. 162 l.fall. a proposito della richiesta di integrazioni, anche informative. È inutile (e a mio avviso perdente per il sistema) “difendersi” dalle domande di concordato preventivo con atteggiamenti formalistici e di sospetto; assai più congruo e coerente con le aspettative dei protagonisti è un controllo serio, incisivo e penetrante che il tribunale disponga sin dalla fase di ammissione sulla realità dell’operazione economica che il debitore ha avviato. E si risponda, poi, quando ve ne è ragione, con azioni di responsabilità verso chi abbia amministrato (tergiversando) nel crepuscolo dell’impresa, una fase molto delicata nella quale vanno messe in campo le più elevate professionalità[57].
[1] Reperibili su questo sito www.ilcaso.it.; le decisioni che costituiscono lo sfondo delle considerazioni che seguono, sono: Cass. 24 giungo 2014, n. 14552, secondo la quale L’accertamento, ad opera del commissario giudiziale, di fatti integranti le fattispecie previste nell’art. 173 l.fall. determina la revoca dell’ammissione al concordato, indipendentemente dal voto espresso in adunanza, e quindi anche nelle ipotesi in cui i creditori medesimi siano stati resi edotti di quell’accertamento. Cass., 4 giugno 2014, n. 12533, che ha stabilito che Il tribunale, anche in assenza di opposizioni, è titolare del potere di negare l’omologazione di un concordato preventivo laddove rilevi l’esistenza di atti in frode ai creditori che, ai sensi dell’art. 173 l.fall., implicano la revoca dell’ammissione. Cass., 23 maggio 2014, n. 11497, là dove si è affermato che L’incapacità della proponente di formalizzare l’acquisto dei cespiti immobiliari e delle garanzie promesse da terzi, o anche la ritenuta inattendibilità della valutazione degli immobili costituiscono ragioni di probabile insuccesso del concordato, il cui esame spetta in via esclusiva ai creditori, e non configurano, quindi, ragioni di incompatibilità con norme inderogabili. Cass., 9 maggio 2014, n. 10112, secondo la quale Il pagamento dei creditori privilegiati in un tempo superiore a quello imposto dai tempi tecnici della procedura equivale a soddisfazione non integrale dei medesimi. Cass., 18 aprile 2014, n. 9050, che ha affermato che La formulazione dell'articolo 173, secondo comma, l. fall., conferma la distinzione tra la fase della revoca e quella successiva ed eventuale di dichiarazione di fallimento, che necessita dell'iniziativa del creditore o del pubblico ministero. Cass., 14 marzo 2014, n. 6022, per cui Nel concordato con cessione dei beni i creditori consenzienti non possono chiederne la risoluzione nella ipotesi in cui la somma ricavata dalla liquidazione si discosti, anche notevolmente, da quella necessaria a garantire il pagamento dei loro crediti nella percentuale indicata, in ragione del fatto che oggetto dell’obbligazione concordataria è unicamente l’impegno a mettere a disposizione i beni dei creditori liberi da vincoli che ne impediscano la cessione o ne diminuiscano il valore.
[2] Si è trattato di un intervento diretto a contenere gli effetti dell’esplosione della prededuzione quando ad una prima domanda di concordato non faccia seguito l’apertura del procedimento; con il d.l. n. 91/2014 si è tornati alla regola precedente stabilendosi che i crediti che sorgono durante la fase del c.d. pre-concordato, conservano, comunque, il rango prededucibile; v., Vella, L’interpretazione autentica dell’art. 111, co. 2,l.fall. e i nuovi orizzonti della prededuzione pre-concordataria, in www.ilcaso.it.
[3] Sia consentito il rinvio ai miei contributi, Concordato preventivo (sub art. 2221), in Commentario Scialoja-Branca al codice civile, Bologna, 2014; Id., Causa del concordato preventivo e oggetto dell’omologazione, in Nuove leggi civ.comm., 2014, I, 579.
[4] Alcuni di questi “luoghi” poi, esprimono un “pensiero unico” non utile alla discussione.
[5] La letteratura è vastissima; in luogo di molti, Bonfatti-Censoni, Manuale di diritto fallimentare, Padova, 2011, 523; Pacchi, La valutazione del piano del concordato preventivo, in Dir.fallim., 2011, I, 95; Racugno, Concordato preventivo, accordi di ristrutturazione e transazione fiscale, in Trattato di diritto fallimentare, diretto da Buonocore-Bassi, I, Padova, 2010, 487 ; Zanichelli, I concordati giudiziali, Torino, 2010, 148 ; Santangeli, Auto ed eterotutela dei creditori nelle soluzioni concordate delle crisi d’impresa (il piano di risanamento, l’accordo di ristrutturazione, il concordato preventivo) - Le tutele giudiziali dei crediti nelle procedure ante crisi, in Dir. fallim., 2009, I, 616.
[6] La linea più rigorosa secondo la quale sarebbe acausale un concordato che offrisse ai creditori una soddisfazione irrisoria (v., Trib. Milano, 28 ottobre 2011, Foro it., 2012, I, 136 ; Trib. Roma, 18 aprile 2008, id., Rep., 2009, voce Concordato preventivo, n. 108; Trib. Rovigo, 3 dicembre 2013, www.ilcaso.it; Trib. Siracusa, 13 novembre 2013, ibid.; in dottrina, Macario, Nuovo concordato preventivo e (antiche) tecniche di controllo degli atti di autonomia: l’inammissibilità della proposta per mancanza di causa, in Banca, borsa, ecc., 2008, II, 732), è contraddetta da quanti assumono che così si reintroduce un controllo di convenienza che più non spetta al giudice (Montalenti, La fattibilità del piano nel concordato prventivo tra giurisprudenza della Suprema Corte e nuove clausole generali, in Il nuovo diritto delle società, 3/2012, 13 ; Censoni, Sull’ammissibilità di un concordato preventivo non conveniente in Fallimento, 2010, 988; Canale, Il concordato preventivo a cinque anni dalla riforma, in Giur.comm., 2011, I, 366; Jorio, Il concordato preventivo: struttura e fase introduttiva, in Il nuovo diritto fallimentare. Novità ed esperienze applicative a cinque anni dalla riforma, diretto da Jorio e Fabiani,Bologna, 2010, 974; Trib. La Spezia, 19 settembre 2013, www.ilcaso.it.).
[7] Cass., 23 gennaio 2013,n. 1521, Foro it., 2013, I, 1534; Cass., 9 maggio 2013, n. 11014, id., Rep. 2013, voce cit., n. 82 ; Cass., 22 maggio 2014, n. 11423, www.ilcaso.it; Cass., 4 giugno 2014, n. 12549, ibid.
[8] Si vis, Concordato preventivo e giudizio di fattibilità: le sezioni unite un po’ oltre la metà del guado, in Foro it., 2013, I, 1573.
[9] Pagni, Il controllo di fattibilità del piano di concordato dopo la sentenza 23 gennaio 2013, n. 1521: la prospettiva ‘‘funzionale’’ aperta dal richiamo alla ‘‘causa concreta’’ , in Fallimento, 2013, 287; De Santis, Nota a Cass. 1521/2013, in Società, 2013, 447.
[10] Balestra, Brevi riflessioni sulla fattibilita' del piano concordatario: sulla pertinenza del richiamo da parte delle sezioni unite alla causa in concreto, in Corriere giur., 2013, 383 ; Ad. Di Majo, Il percorso ‘‘lungo’’ della fattibilità del piano proposto nel concordato, in Fallimento, 2013, 292.
[11] Benedetti, Il trattamento dei creditori con diritto di prelazione nel nuovo concordato preventivo, in Giur.comm., 2013, I, 1067.
[12] Di Marzio, Il diritto negoziale della crisi d’impresa, Milano, 2011, 215.
[13] Bottai, Crediti prelatizi dilazionati e diritto di voto nel concordato: un falso problema, in Fallimento, 2011, 624.
[14] Benedetti, Il trattamento dei creditori con diritto di prelazione nel nuovo concordato preventivo, cit., 1071, rileva opportunamente che il bene offerto deve avere una quotazione o un valore facilmente determinabile.
[15] Benedetti, Il trattamento dei creditori con diritto di prelazione nel nuovo concordato preventivo, cit., 1073.
[16] Benedetti, Il trattamento dei creditori con diritto di prelazione nel nuovo concordato preventivo, cit., 1077.
[17] Stanghellini, Il concordato con continuità aziendale, in Fallimento, 2013, 1240.
[18] Se la proposta prevede che per assicurare la continuità aziendale l’immobile destinato a stabilimento vada venduto dopo tre anni, ciò è legittimo ma al creditore deve essere riconosciuto il diritto di voto.
[19]Se un bene è stimato 100 e il credito ipotecario è di 100, ma il bene viene venduto dopo un anno, parrebbe necessaria la perizia di stima per affermare che il credito in linea capitale e per interessi non potrebbe essere soddisfatto integralmente e per la quota degli interessi dovrebbe essere assicurato il diritto di voto.
[20]Benedetti, Il trattamento dei creditori con diritto di prelazione nel nuovo concordato preventivo, cit., 1081; Trib. Catania 27 luglio 2007, in Giur. comm., 2008, II, 677; Trib. Modena 27 febbraio 2009, in Fallimento, 2009, 1003; Trib. Pescara 16 ottobre 2008, in Giur. merito, 2009, I, 125; contr., Trib. Roma 20 aprile 2010, in Dir. fallim., 2011, II, 297.
[21] Guerrera, Struttura finanziaria, classi dei creditori e ordine delle prelazioni nei concordati delle società, in Dir.fallim., 2009, I, 718.
[22] Non è un’ipotesi di scuola: basti pensare al concordato con continuità rispetto al quale il piano preveda la dismissione dell’immobile aziendale a cinque anni dal concordato in modo da consentire una certa misura di cash flow.
[23] Bonfatti, Il trattamento dei creditori privilegiati nelle diverse forme di regolazione della crisi, in Il ruolo del professionista nei risanamenti aziendali, a cura di Fabiani e Guiotto, Torino, 2012, 325. Soluzione simile è stata adottata da Trib. Mantova 16 settembre 2010, www.ilcaso.it; per la negazione del diritto di voto quando la dilazione viene compensata dalla corresponsione di interessi, v. Trib. Sulmona 2 novembre 2010, in Fallimento, 2011, 615.
[24] Anche se con cautela, v’è da ritenere possibile una soddisfazione con mezzi diversi dal denaro, ma volendo marcare come interesse al voto sussista ogniqualvolta il trattamento di un regime concorsuale (concordatario) si ponga come alternativo ad un altro (fallimentare, ove è ammesso solo il pagamento in denaro), non v’è motivo di rifiutare il diritto di voto e, in questa ipotesi, il creditore dovrebbe essere ammesso al voto per l’intero importo del credito.
[25] Contr., Stanghellini, Il concordato con continuità aziendale, cit., 1242, per il quale il voto va espresso sull’intero ammontare.
[26] V, per tutti, Lo Cascio, Il concordato preventivo, Milano, 2011. 655; Canale, Il procedimento di liquidazione dei beni ceduti nel concordato preventivo, Padova, 1996, 47; Cass., 13 aprile 2005, n. 7661, in Foro it., Rep. 2005, voce Concordato preventivo, n. 67.
[27] Filocamo, sub art. 182, in La legge fallimentare, a cura di Ferro, Padova, 2011, 2084; Guglielmucci, Diritto fallimentare, Torino, 2013, 345; M. Perrino, La liquidazione dei beni nel fallimento e nel concordato mediante cessione , in Giur. comm., 2009, I, 699; Peracin, Concordato preventivo e cessio bonorum con classi. Trattamento dei creditori privilegiati generali e inquadramento giuridico dei «vantaggi differenziali», in Dir.fallim., 2011, I, 40. Ad esempio, Trib. Palermo, 18 maggio 2007, in Fallimento, 2008, 75, ha ritenuto compatibile il concordato con cessione dei beni con la continuazione dell’attività d’impresa.
[28] Sull’atipicità assoluta della cessione, vedi M. Perrino, La liquidazione dei beni nel fallimento e nei concordati mediante cessione, cit., 699. L’effetto di esdebitazione si consegue con il trasferimento dei beni, se cessione traslativa (Cavallini e Armeli, sub art. 182, in Commentario alla legge fallimentare, diretto da Cavallini, III, Milano, 2010, 744), o con il pagamento se cessione dispositiva, ma poiché è prevista la salvezza del patto contrario (vedi art. 1984 cod. civ.) non si può escludere che il debitore proponga ai creditori che l’effetto esdebitatorio si consegua con l’omologazione e la messa a disposizione dei beni, trasferendo sui creditori il rischio di una liquidazione non coerente con le attese, vedi Censoni, Il concordato preventivo»: organi, effetti, procedimento, Il nuovo diritto fallimentare. Novità ed esperienze applicative a cinque anni dalla riforma, diretto da Jorio e Fabiani, Bologna, 2010, 1016; Ambrosini, Il concordato preventivo e gli accordi di ristrutturazione dei debiti, padova, 2008, 34; Racugno, Concordato preventivo, cit., 501.
[29] V., per una sintesi, Canale, Il procedimento di liquidazione dei beni ceduti nel concordato preventivo, cit., 31.
[30] Cavallini e Armeli, sub art. 182, cit., 746.
[31] Trib. Firenze, 21 maggio 2009, in Foro toscano, 2010, fasc. 1, 89.
[32] Bozza, La fase esecutiva del concordato preventivo con cessione dei beni, in Fallimento, 2012, 767; Cass., 23 giugno 2011, n. 13817, in Foro it., 2011, I, 2308; contr., Trib. Milano, 21 gennaio 2010 (Fallimento, 2010, 1315). Censoni, Il concordato preventivo: organi, effetti, procedimento, cit., 1016; Ambrosini, Il concordato preventivo e gli accordi di ristrutturazione dei debiti, cit., 34; Racugno, Concordato preventivo, cit., 501. Per Galletti, La revoca dell’ammissione al concordato preventivo, in Giur. comm., 2009, I, 742, è obbligatoria la previsione di un limite minimo e impegnativo di soddisfo; così anche Trib. Milano 21 gennaio 2010, in Fallimento, 2010, 1315, che non ha omologato un concordato nel quale non era stabilita la percentuale di soddisfacimento dei creditori derivante da una cessione dei beni; mentre App. Milano 20 marzo 2009, in Fallimento, 2010, 340 ha rigettato un reclamo in cui si chiedeva di revocare provvedimenti del giudice diretti a integrare le modalità della liquidazione.
[33] Lo Cascio, Il concordato preventivo, cit., 188; Guglielmucci, Diritto fallimentare, cit., 345.
[34] Mandrioli, sub art. 160, in La legge fallimentare, a cura di Ferro, Padova, 2011, 1761; Pacchi, La valutazione del piano del concordato preventivo, in Dir.fallim., 2011, I, 97; Cavallini e Armeli, sub art. 182, cit., 745; Filocamo, sub art. 182, cit., 2088.
[35] Cass., 23 maggio 2008, n. 13419, in Foro it., Rep. 2008, voce Concordato preventivo, n. 104; Cass., 10 febbraio 2006, n. 2972, in Giust. civ., 2007, I, 1735; Cass., 7 agosto 1989, n. 3614, in Fallimento, 1990, 365.
[36] Cass., 24 ottobre 2012, n. 18190, in Foro it., 2013, I, 1534; Cass. 23 giugno 2011, n. 13817, in Foro it., 2011, I, 2308.
[37]Gaboardi, sub art. 173, in Commentario alla legge fallimentare, diretto da Cavallini, III, Milano, 2010, 652; Racugno, Concordato preventivo, cit.,476.
[38] Ambrosini, Il sindacato in itinere sulla fattibilità del piano concordatario nel dialogo tra dottrina e giurisprudenza, in Fallimento, 2011, 947.
[39] Liccardo, sub art. 173, in La legge fallimentare dopo la riforma, a cura di Nigro, Sandlli e Santoro, III, Torino, 2010, 2170; A.M. Perrino, sub art. 173, in Codice commentato del fallimento, diretto da Lo Cascio, Milano, 2013, 2035 segg.; Galletti, La revoca dell’ammissione al concordato preventivo, in Giur.comm., 2009, I, 748.
[40] Cass., 14 febbraio 2014, n. 3543, cit.; Gaboardi, sub art. 173, cit., 652; Fauceglia, Revoca dell’ammissione al concordato e dichiarazione di fallimento in corso di procedura, in Fallimento e altre procedure concorsuali, diretto da Fauceglia e Panzani, Torino, 2009, 1700; Racugno, Concordato preventivo, cit., 477; Bosticco, La «resurrezione giurisprudenziale» dell’art. 173 l. fall. e la difficile distinzione tra atti in frode e sopravvenienze inattese, in Fallimento, 2007, 1443.
[41] Cass., 25 ottobre 2010, n. 21860, in Foro it., 2011, I, 105; Cass., 16 settembre 2011, n. 18987, in Foro it., 2012, I, 135; in dottrina, Zanichelli, I concordati giudiziali, cit., 122; Patti, Crisi d’impresa e ruolo del giudice, Milano, 2009, 121; Fauceglia e Rocco di Torrepadula, Diritto dell’impresa in crisi, Bologna, 2010, 320; Ambrosini, Il concordato preventivo e gli accordi di ristrutturazione, cit., 2; Nisivoccia, Concordato preventivo e continuazione dell’attività aziendale: due decisioni dal contenuto vario e molteplice, in Fallimento, 2011, 228.
[42] Liccardo, sub art. 173, cit., 2170.
[43] Jorio, Il concordato preventivo: struttura e fase introduttiva, cit., 973; Censoni, Sull’ammissibilità di un concordato preventivo non conveniente, cit., 988.
[44] Gaboardi, sub art. 173, cit., 655.
[45] Schiano di Pepe, È possibile rifondare l’art. 173 legge fallimentare?, in Dir.fallim., 2008, II, 451.
[46] Trib. Cagliari, 12 marzo 2009, in Dir.fall., 2010, II, 304; Trib. Piacenza, 4 dicembre 2008, in Fallimento, 2009,1464; Schiano di Pepe, Alcune considerazioni sui poteri dell’autorità giudiziaria con riguardo al concordato preventivo, in Dir.fallim., 2010, II, 324; Censoni, Il concordato preventivo: organi, effetti, procedimento, cit., 1010; Ambrosini, Il concordato preventivo e gli accordi di ristrutturazione, cit., 81; Racugno, Concordato preventivo, cit., 477; Filocamo, L’art. 173, primo comma l.fall. nel «sistema» del nuovo concordato preventivo, in Fallimento, 2009, 1467; Galletti, La revoca dell’ammissione al concordato preventivo, cit., 748.
[47] Attanasio, La revoca del concordato preventivo con cessione dei beni in presenza di atti in frode ai creditori, in Dir.fall., 2013, II, 589; Bosticco, La «resurrezione giurisprudenziale» dell’art. 173 l. fall. e la difficile distinzione tra atti in frode e sopravvenienze inattese, in Fallimento, 2007, 1443; Trib. Napoli, 4 gennaio 2012, in Dir.fallim., 2013, II, 588; Trib. Mantova, 12 luglio 2012, in Fallimento, 2013, 450, si spinge a richiedere una dolosa preordinazione. La tesi della irrilevanza dell’atto (asseritamente) depauperatorio in sé e della decisività, invece, del profilo dell’inganno è compitamente rappresentata in App. Milano, 10 gennaio 2014, in www.ilcaso.it.
[48] Zanichelli, I concordati giudiziali, cit., 230. Per la rilevanza quali atti di frode di atti che abbiano “manomesso” il patrimonio del debitore, v. App. Firenze, 19 marzo 2009, in Dir.fallim., 2011, II, 129.
[49] Pacchi, D’Orazio e Coppola, Il concordato preventivo, in Le riforme della legge fallimentare, a cura di Didone, II, Torino, 2009, 1831.
[50] Bertacchini, I creditori sono gli unici «giudici» della fattibilità della proposta... con il limite dell’abuso dello strumento concordatario in violazione del principio di buona fede, in Dir.fallim., 2012, I, 640, parla di un “quadro di controlli” per temperare l’autonomia negoziale.
[51]Forti perplessità sull’inserzione della teoria dell’abuso sono esposte da Censoni, Sull’ammissibilità di un concordato preventivo non conveniente, cit., 993; Costanza, Perché ricorrere alle clausole generali quando è sufficiente l’applicazione della norma positiva?, in Fallimento, 2009, 465.
[52] È sin troppo ovvio che la prova di un siffatto comportamento appare assai complicata, come si ricava anche da App. Milano 20 gennaio 2012, Soc. sanità Varesina, ined., là dove si è predicata l’astratta configurabilità dell’abuso dello strumento concordatario per poi negarne in concreto l’esistenza; si veda, anche Trib. Napoli 22 ottobre 2008, in Fallimento, 2009, 458.
[53]Il controllo officioso è affermato, già dalla fase di ammissione, da Trib. Perugia 17 novembre 2011, www.ilcaso.it.
[54] Bertacchini, I creditori sono gli unici giudici della fattibilità della proposta, cit., 630.
[55]Cass. pen., Valsecchi, 18 maggio 2012, n. 33230, Foro it., 2013, II, 19.
[56] Fabiani, Concordato preventivo, cit., 545.
[57] La varietà degli strumenti che la legge ha posto a disposizione dell’imprenditore per cercare di risolvere la crisi della sua impresa può rivelarsi oltre che un beneficio anche un ulteriore carico di responsabilità nelle società di persone sui soci e in quelle di capitale sull’organo amministrativo. Si consideri, infatti, che l’assenza di misure di allerta e prevenzione e dunque l’inconsistenza di stimoli esterni all’apertura della crisi conduce a responsabilizzare ulteriormente il debitore (Abriani, La crisi dell’organizzazione societaria tra riforma delle società di capitali e riforma delle procedure concorsuali, in Fallimento, 2010, 392; Vicari, I finanziamenti delle banche a fini ristrutturativi, in Giur.comm., 2008, I, 499), pur potendosi contare, ma solo in talune società, sugli allarmi segnalati dai sindaci (Sandulli, I controlli delle società come strumenti di tempestiva rilevazione della crisi d’impresa, in Fallimento, 2009, 1100).
Gli amministratori debbono reagire senza indugio quando la crisi dell’impresa non può essere gestita, soltanto, con gli strumenti del diritto societario; se l’organizzazione dell’assetto societario non è incisa dall’insolvenza, è tanto meno incisa in una situazione di crisi una volta che si rivendichi il monopolio decisionale del debitore (Guerrera, Le competenze degli organi sociali nelle procedure di regolazione negoziale della crisi, in Riv. soc., 2013, 1117, ma è, influenzata dal pericolo del venir meno della continuità (A. Rossi, Il valore dell’organizzazione nell’esercizio provvisorio dell’impresa, Milano, 2013, 132). Tuttavia, proprio dall’affermata autonomia gestionale consegue una maggiore responsabilizzazione e, dunque, rileva decisivamente che si vigili sulla continuità aziendale (Rosapepe, La responsabilità degli organi di controllo nella crisi d’impresa, in Giur.comm., 2013, I, 896; Tronci, Perdita della continuità aziendale e strategie di risanamento, in Giur.comm., 2013, I 1269; cfr., Cincotti e Nieddu Arrica, La gestione del risanamento nelle procedure di concordato preventivo, in Giur.comm., 2013, I, 1241, sui rapporti frequenti - ma non osmotici - fra difetto di continuità e crisi) e cioè sul fatto che la società sia in grado, da una parte di conseguire il proprio oggetto sociale e, dall’altra sul fatto che la prosecuzione dell’attività non intacchi il patrimonio depauperandolo; la conservazione del patrimonio quale garanzia della società verso gli amministratori è un obbligo preciso degli amministratori (Munari, Crisi d’impresa e autonomia contrattuale nei piani attestati e negli accordi di ristrutturazione, Milano, 2012, 84 segg.; Macario, Insolvenza, crisi d’impresa e autonomia contrattuale - Appunti per una ricostruzione sistematica delle tutele, cit., 116; Mazzoni, Capitale sociale, indebitamento e circolazione atipica del controllo in Aa.Vv., La società per azioni oggi, Milano, 2006, 524).
Nella situazione crepuscolare, quando si manifesta la crisi, ma una crisi davvero prospettica e diversa dall’insolvenza, ci si chiede, allora, se continui a valere la regola della business judgement rule (in luogo di altri, Vicari, I doveri degli organi sociali e dei revisori in situazioni di crisi di impresa, in Giur.comm., 2013, I, 131; Guizzi, Responsabilità degli amministratori e insolvenza: spunti per una comparazione tra esperienza giuridica italiana e spagnola, in Riv.dir.impresa, 2010, 227) ovvero se l’amministratore non sia tenuto a intraprendere un percorso guidato di regolazione della crisi, con la conseguenza che poi questa scelta possa essere sindacata quando, invece, la crisi è tracimata in insolvenza (Mazzoni, La responsabilità gestoria per scorretto esercizio dell’impresa priva della prospettiva di continuità aziendale, in Aa.Vv., Amministrazione e controllo nel diritto delle società. Liber Amicorum Antonio Piras, Torino, 2010, 813; Montalenti, La gestione dell’impresa di fronte alla crisi tra diritto societario e diritto concorsuale, in Riv.dir.soc., 2011, 820; Briolini, La gestione dell’impresa azienda e la conduzione delle società nelle procedure di composizione negoziale delle crisi, in Le procedure di composizione negoziale delle crisi e del sovraindebitamento, a cura di Bonfatti e Falcone, Milano, 2014, 76; Brizzi, Responsabilità gestorie in prossimità dello stato di insolvenza e tutela dei creditori , in Riv. dir. comm., 2008, I, 1040; Ariani, Disciplina della riduzione del capitale per perdite in caso di presentazione di domanda di concordato preventivo, in Fallimento, 2013, 12). Questa seconda soluzione appare preferibile proprio perché la legge offre, oggi, una serie di strumenti per aggredire la crisi e pone quindi l’organo amministrativo al cospetto di rimedi tecnici che debbono costituire un nuovo bagaglio di conoscenze da valutare nel quadro del principio dell’agire informato di cui all’art. 2381 c.c.
Ed allora se tutti e tre gli strumenti di regolazione della crisi possono essere sperimentati dal debitore, è pur vero che in relazione a ciascuna situazione di crisi l’uno non è surrogabile con l’altro (basti pensare al fatto che per il piano attestato non è prevista la causa di sospensione di cui all’art. 182 sexies l.fall., v., Briolini, La gestione dell’impresa azienda e la conduzione delle società nelle procedure di composizione negoziale delle crisi, cit., 85). Gli amministratori (se si guarda alla loro responsabilità) o il debitore, debbono reagire alla crisi con lo strumento più adeguato per regolarla, non con un rimedio qualunque esso sia. Ogni volta che l’ordinamento attribuisce poteri, corrispondentemente si ampliano anche le responsabilità (Rordorf, Doveri e responsabilità degli amministratori di società di capitali in crisi, in Società, 2013, 675). Fra queste oltre a dover essere sindacata la condotta dell’amministratore che tarda a reagire (Strampelli, Capitale sociale e struttura finanziaria nella società in crisi, in Riv. soc., 2012, 628; come osservato da Panzani, I nuovi poteri autorizzatori del Tribunale e il sindacato di fattibilità nel concordato, in Società, 2013, 567, si assiste ad una naturale ritrosia ad aprire con tempestività la crisi è dovuta anche alla circostanza che in Italia nella gran parte delle imprese non v’è separazione fra proprietà e management) ed a quella dell’amministratore che artificiosamente pone in essere un percorso con il celato fine di ritardare il fallimento, non può escludersi una responsabilità per l’inadeguatezza della scelta dello strumento prescelto se tale inadeguatezza fosse valutabile ex ante (Sacchi, La responsabilità gestionale nella crisi dell’impresa societaria, in Giur. comm., 2014, I, 304)
Nello stesso contesto vanno valutate le scelte gestorie con riguardo alla contrazione di nuovi finanziamenti che, nella cornice di una situazione di crisi, vanno gestiti con le regole del diritto concorsuale (Cincotti e Nieddu Arrica, La gestione del risanamento nelle procedure di concordato preventivo, cit., 1262; Nieddu Arrica, Riorganizzazione societaria, risanamento dell’impresa e tutela dei creditori, in Riv. soc., 2012, 736) e non più con quelle del diritto commerciale.
Ed infine, neppure va trascurata la possibile responsabilità per aver lasciato che la società venga dichiarata fallita senza avere intrapreso un percorso, possibile, di regolazione concordata della crisi (Rordorf, Doveri e responsabilità degli amministratori di società di capitali in crisi, cit., 676; Vicari, I finanziamenti delle banche a fini ristrutturativi, cit., 503; Guerrera, Le competenze degli organi sociali nelle procedure di regolazione negoziale della crisi, cit., 1122).
All’organo amministrativo (nonché ad i suoi advisors) è quindi affidata la scelta delicata su quale strumento prediligere (Cincotti e Nieddu Arrica, La gestione del risanamento nelle procedure di concordato preventivo, cit., 1268; per una ampia indagine comparatistica v., Miola, La tutela dei creditori ed il capitale sociale: realtà e prospettive, in Riv. soc., 2012, 237), specie se si condivide la tesi per la quale i tre strumenti non sono esattamente rispondenti a diversi gradi di intensità della crisi, ma a diverse tipologie, per qualità, della crisi.
Scarica Articolo PDF