Diritto Tributario


Il Caso.it, Sez. Giurisprudenza, 22538 - pubb. 18/10/2019

Alle Sezioni Unite la questione della assoggettabilità ad IVA della tariffa cd T.I.A.2

Cassazione civile, sez. III, 25 Settembre 2019, n. 23949. Pres. Amendola. Est. Positano.


Tariffa integrata ambientale, cd T.I.A.2 - Assoggettabilità ad Iva -  Rimessione alle Sezioni Unite



La questione relativa alla natura giuridica della tariffa integrata ambientale, cd T.I.A.2 e l'assoggettabilità ad Iva della stessa, esiga un pronunciamento della Corte nella sua più tipica espressione di organo della nomofilachia: si versa, invero, in questione di particolare importanza, in ragione degli assai incidenti (ed immediatamente percepibili) riverberi di natura pratico-applicativa che da essa scaturiscono, sia con riferimento alla predetta tariffa integrata ambientale, sia riguardo alla istituzione della (successiva) TARI, regolata dalla L. n. 147 del 2013, art. 1, commi 641 e seguenti che prevede che i Comuni, ove sia operante un sistema di misurazione puntuale dei rifiuti, possano applicare una tariffa corrispettiva in alternativa alla Tari classica. La nuova normativa -come si è precisato in premessa- è strutturata in maniera tale che si ripresenteranno le medesime problematiche affrontate a proposito della T.I.A.2 riguardo alla qualificazione tributaria o privatistica della stessa. Ricorrono pertanto le condizioni per la rimessione del ricorso al Primo Presidente perché valuti ex art. 374 c.p.c. l'opportunità di un'eventuale assegnazione alle Sezioni Unite. (Redazione IL CASO.it) (riproduzione riservata)


 


Svolgimento del processo

1. Il Tribunale di Venezia con sentenza del 20 dicembre 2016 - accogliendo parzialmente l'appello proposto dalla società Veneziana Energia Risorse Idriche Territorio Ambiente Servizi - V.E.R.I.T.A.S. s.p.a. nei confronti di A.B. - ha parzialmente modificato la sentenza del 25 novembre 2013 del Giudice di pace di Venezia; e, per l'effetto, in parziale accoglimento ha escluso il rimborso delle spese generali, liquidate nel decreto ingiuntivo a favore di C., ed ha condannato la società appellante alla rifusione delle spese processuali relative al giudizio di appello. Era accaduto che il Giudice di pace di Venezia, accogliendo la richiesta monitoria formulata dal C. nei confronti della società Veritas, aveva emesso decreto con il quale aveva ingiunto alla società Veritas di restituire gli importi pagati a titolo di Iva nelle bollette di utenza domestica sulla T.I.A. 1 sulla T.I.A. 2.

2. La società Veritas aveva proposto opposizione e C. si era costituito nel conseguente giudizio, che si era concluso con il rigetto dell'opposizione da parte del Giudice di pace.

3. Avverso la sentenza del giudice di primo grado aveva proposto appello la società Veritas, deducendo l'assoggettabilità all'Iva, anche in forza del diritto comunitario, non soltanto della Tariffa di Igiene Ambientale (c.c. T.I.A.1) ma anche della Tariffa Integrata Ambientale (c.d. T.I.A.2); l'insussistenza dell'indebito; la prescrizione della pretesa attorea; e l'erroneità della decisione in punto di spese. Nel giudizio di appello si era costituito C., che, in via principale, aveva chiesto la conferma della sentenza impugnata e, in via subordinata, aveva sollevato questione di legittimità costituzionale dell'art. 91 c.p.c., comma 4 ed aveva chiesto l'applicazione del disposto di cui all'art. 96 c.p.c. In sede di note conclusive la società appellante aveva rinunciato al primo motivo di appello, nonchè, in considerazione della sentenza n. 5078/2016 emessa nelle more dalle Sezioni Unite di questa Corte, alla domanda di rimessione alla Corte di Giustizia dell'Unione Europea della questione pregiudiziale.

4. Il Tribunale di Venezia con la impugnata sentenza, come sopra rilevato, ha parzialmente riformato la sentenza di primo grado nei termini sopra precisati.

5. Avverso la sentenza del Tribunale di Venezia ricorre la società Veritas. Resiste con controricorso A.B.. Entrambe le parti depositano memorie ex art. 380 bis c.p.c. 6.Con ordinanza interlocutoria del 18 aprile 2019 questa Corte ha disposto la trattazione del giudizio in pubblica udienza. La società Veritas deposita memoria ex art. 378 c.p.c.

 

Motivi della decisione

1. Il ricorso è affidato ad un solo motivo. Precisamente la società Veneziana Energia Risorse Idriche Territorio Ambiente Servizi - V.E.R.I.T.A.S. s.p.a. denuncia, in relazione all'art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3: violazione e/o falsa applicazione del D.P.R. n. 633 del 1972, artt. 1, 3 e art. 4, comma 2 e comma 3, del D.Lgs. n. 152 del 2006, art. 238 del D.L. n. 78 del 2000, art. 14, comma 33 convertito con modificazioni nella L. n. 122 del 2010, nella parte in cui il Tribunale, quale giudice di appello, ha erroneamente accomunato alla tariffa prevista dal D.Lgs. n. 22 del 1997, art. 49 (c.d. T.I.A.1) la tariffa prevista dal D.Lgs. n. 152 del 2006, art. 238 (c.d. T.I.A.2), nonchè nella parte in cui ha escluso la natura corrispettiva e comunque il suo assoggettamento ad IVA.

2. La società ricorrente ha precisato che oggetto del motivo è l'applicabilità dell'Iva alla tariffa integrata ambientale, prevista dal D.Lgs. n. 152 del 2006, art. 238 (c.d. T.I.A.2). Nella specie detta tariffa, succedendo alla Tariffa T.I.A.1, era stata applicata dal Comune di Venezia, nel quale sono ubicati i relativi immobili, a partire dal 2011 fino al 2013, anno nel quale era stata sostituita dapprima dalla TARES e poi dalla TARI. Le fatture, relative alla T.I.A.2, erano quelle indicate ai numeri da 32 a 39 nella tabella riportata nel ricorso per ingiunzione. Le Sezioni Unite di questa Corte con sentenza n. 5078/2006 hanno ritenuto non applicabile l'Iva alla TIA 1. Ciò posto, rileva l'esponente che il Tribunale avrebbe erroneamente ritenuto di assimilare la TIA 2 alla T.I.A.1, traendo anche per la prima le conclusioni raggiunte per la seconda dalle Sezioni Unite in tema di applicabilità dell'IVA. Sostiene che l'errore nel quale è incorso il decidente discende dalla diversa natura e dal diverso statuto della T.I.A.2 (avente natura corrispettiva, come affermato dal citato art. 238 e confermato dal citato art. 14, in quanto correlata alla effettiva produzione di rifiuti con conseguente obbligo di pagamento soltanto in presenza di tale produzione) rispetto alla T.I.A.1 (avente, invece, natura tributaria, come precisato dalle Sezioni Unite di questa Corte, in quanto correlata alla mera occupazione o detenzione di locali ed aree, con conseguente obbligo di pagamento anche in assenza di produzione di rifiuti), questioni che, per vero, avevano formato oggetto di appello e delle successive note conclusive. Aggiunge che anche la Corte Costituzionale, con sentenza n. 238 del 2009, ebbe a porre in evidenza le differenze tra la T.I.A.1 e la T.I.A.2. (cioè tra la tariffa di igiene ambientale e la tariffa integrata ambientale).

3. Per la rilevanza della questione e per la complessità della disciplina normativa di settore è opportuno ripercorrere brevemente l'evoluzione normativa e giurisprudenziale in materia.

4. Il D.Lgs. 5 febbraio 1997, n. 22, art. 49 (Attuazione delle direttive 91/156/CEE sui rifiuti, 91/689/CEE sui rifiuti pericolosi e 94/62/CE sugli imballaggi e sui rifiuti di imballaggio: il cosiddetto "decreto Ronchi"), successivamente modificato dalla L. 9 dicembre 1998, n. 426, art. 1, comma 28 e dalla L. 23 dicembre 1999, n. 488, art. 33 (finanziaria 2000), stabilì l'obbligo dei Comuni di effettuare, in regime di privativa, la gestione dei rifiuti urbani ed assimilati e, in particolare, di istituire una "tariffa" per la copertura integrale dei costi per i servizi relativi alla gestione dei rifiuti urbani e dei rifiuti di qualunque natura o provenienza giacenti sulle strade ed aree pubbliche e soggette ad uso pubblico, nelle zone del territorio comunale.

5. Tale tariffa - usualmente denominata "Tariffa di Igiene Ambientale" (di seguito anche T.I.A.1) - era composta "da una quota determinata in relazione alle componenti essenziali del costo del servizio, riferite in particolare agli investimenti per le opere e dai relativi ammortamenti, e da una quota rapportata alle quantità di rifiuti conferiti, al servizio fornito, e all'entità dei costi di gestione, in modo che sia assicurata la copertura integrale dei costi di investimento e di esercizio" (D.Lgs. n. 22 del 1997, art. 49, comma 4).

6. Con regolamento del Ministro dell'Ambiente e della Tutela del Territorio, venne elaborato il metodo normalizzato per definire le componenti dei costi e determinare la tariffa di riferimento. Il metodo normalizzato fu approvato con il regolamento di cui al D.P.R. 27 aprile 1999, n. 158 (Norme per la elaborazione del metodo normalizzato per definire la tariffa del servizio di gestione del ciclo dei rifiuti urbani).

7. Diversamente dalla normativa sulla TARSU, l'art. 49 del decreto Ronchi evitò di qualificare espressamente il prelievo come tributo o tassa, pur mantenendo il riferimento testuale alla "tariffa"; stabilì altresì che la TIA doveva sempre coprire l'intero costo del servizio di gestione dei rifiuti.

8. Peraltro, la completa soppressione della TARSU e la sua sostituzione con la T.I.A.1, inizialmente fissata a decorrere dal 1 gennaio 1999, venne differita dal legislatore, a partire dalla L. 9 dicembre 1998, n. 426, art. 1, comma 28, che spostò l'entrata in vigore della riforma al 1 gennaio 2000.

9. Per l'anno 1999 venne tuttavia prevista la facoltà per i Comuni di adottare in via sperimentale la T.I.A.1 (L. 23 dicembre 1998, n. 448, art. 31, comma 7).

10. Successivamente, con la L. n. 488 del 1999, art. 33 novellando il disposto del D.Lgs. n. 22 del 1997, art. 49 venne stabilito un articolato regime transitorio, disciplinato dal regolamento previsto dall'art. 49, comma 5 che concesse termini differenziati ai Comuni per sostituire la TARSU con la T.I.A.1, "entro i quali i Comuni devono provvedere alla integrale copertura dei costi del servizio di gestione dei rifiuti urbani attraverso la tariffa". In attuazione della detta disposizione, il citato D.P.R. n. 158 del 1999, art. 11 come modificato direttamente dalla L. n. 488 del 1999, art. 33, comma 6, dettò la disciplina transitoria tenendo conto sia del grado di copertura dei costi dei servizi raggiunto dai diversi Comuni sia della popolazione dei Comuni stessi.

11. Restò comunque ferma la possibilità, per tutti i Comuni, di deliberare l'applicazione della tariffa "in via sperimentale" in sostituzione della TARSU, anche prima della scadenza dei detti termini (D.Lgs. n. 22 del 1997, art. 49, commi 1-bis e 16).

12. Negli anni successivi il legislatore intervenne spostando periodicamente il termine per l'applicazione della tariffa. Con l'ultimo differimento, previsto dalla L. 23 dicembre 2005, n. 266, art. 1, comma 134, (finanziaria 2006), il passaggio definitivo dalla TARSU alla T.I.A.1 fu, per l'ultima volta, fissato tra il 1 gennaio 2007 e il 1 gennaio 2008.

13. il D.Lgs. n. 3 aprile 2006, n. 152, art. 238 (Norme in materia ambientale: cosiddetto Codice dell'ambiente), in vigore dal 23 aprile 2006, ha apportato una rilevante modifica alla disciplina applicabile in materia di tassazione sui rifiuti.

14. La tariffa di cui al D.Lgs. n. 22 del 1997, art. 49 è stata soppressa e sostituita con la diversa "Tariffa per la gestione dei rifiuti urbani" (come testualmente indicato nella rubrica dell'articolo), che una disposizione successiva (del D.L. 30 dicembre 2008, n. 208, art. 5, comma 2-quater, (Misure straordinarie in materia di risorse idriche e di protezione dell'ambiente), convertito, con modificazioni, dalla L. 27 febbraio 2009, n. 13, denominò "Tariffa Integrata Ambientale" (di seguito anche T.I.A.2).

15. La tariffa integrata, in particolare, restava "commisurata alle quantità e qualità medie ordinarie di rifiuti prodotti per unità di superficie, in relazione agli usi e alla tipologia di attività svolte, sulla base di parametri (...) che tengano anche conto di indici reddituali articolati per fasce di utenza e territoriali" (comma 2), e costituiva "il corrispettivo per lo svolgimento del servizio di raccolta, recupero e smaltimento dei rifiuti solidi urbani e ricomprende anche i costi indicati dal D.Lgs. 13 gennaio 2003, n. 36, art. 15" (D.Lgs. n. 152 del 2006, art. 238, comma 1, secondo periodo).

16. La soppressione della precedente T.I.A.1 avrebbe dovuto avere effetto dalla data di entrata in vigore dello stesso D.Lgs. n. 152 del 2006, art. 238. Tuttavia, fino alla completa attuazione della T.I.A.2, attraverso l'emanazione di un regolamento ministeriale ed il compimento dei successivi adempimenti per l'applicazione della tariffa, si stabilì che "continuano ad applicarsi le discipline regolamentari vigenti" (D.Lgs. n. 152 del 2006, art. 238, comma 10).

17. In attesa dell'adozione del detto regolamento ministeriale (invero mai avvenuta), la L. 27 dicembre 2006, n. 296, art. 1, comma 184 quale modificato dal cennato D.L. n. 208 del 2008, art. 5, commi da 1 a 2-quinquies convertito, con modificazioni, dalla L. n. 13 del 2009, stabilì che il regime di prelievo relativo al servizio di raccolta e smaltimento dei rifiuti adottato in ciascun Comune per l'anno 2006 restasse invariato anche per l'anno 2007.

18. Il blocco dei precedenti regimi TARSU e T.I.A.1, successivamente, venne esteso dal legislatore agli anni 2008 e 2009, prima con la L. 24 dicembre 2007, n. 244, art. 1, comma 166, (finanziaria 2008) e poi, con il ridetto D.L. n. 208 del 2008, art. 5, comma 1, convertito, con modificazioni, dalla L. n. 13 del 2009.

19. Si stabilì che, nel caso in cui il regolamento ministeriale non fosse stato adottato entro il 30 giugno 2009, i Comuni avrebbero potuto liberamente adottare la T.I.A.2 (D.L. n. 208 del 2008, art. 5, comma 2-quater); detto termine, peraltro, venne successivamente prorogato prima fino al 31 dicembre 2009 e poi fino al 30 giugno 2010.

20. Non essendo stato adottato alcun regolamento alla scadenza del termine del 30 giugno 2010, i Comuni che avevano applicato la TARSU continuarono a mantenere il detto regime, e parimenti, i Comuni che avevano già sperimentato la T.I.A.1, mantennero detta tariffa, ferma restando la facoltà per tutti i Comuni italiani di applicare la T.I.A.2 a partire dalla ridetta data.

21. Questa Corte decidendo a Sezioni Unite ha affermato che "spettano alla giurisdizione tributaria le controversie aventi ad oggetto la debenza della tariffa di igiene ambientale (TIA), in quanto, come evidenziato anche dall'ordinanza della Corte Costituzionale n. 64 del 2010, tale tariffa non costituisce una entrata patrimoniale di diritto privato, ma una mera variante della TARSU, disciplinata dal D.P.R. 15 novembre 1993, n. 507, di cui conserva la qualifica di tributo" (Cass. Sez. U, n. 23114 del 12/11/2015, Cass. Sez. U, n. 26268 del 20/12/2016).

22. il D.L. n. 78 del 2010, art. 14, comma 33 convertito in L. n. 122 del 2010, come già evidenziato, ha qualificato come "non tributaria" la T.I.A.2 istituita dal D.Lgs. 3 aprile 2006, n. 152, n. 238.

23. Tale norma ha creato una "seconda TIA", destinata a sostituire con il tempo la "prima TIA" nata dal D.Lgs. 5 febbraio 1997, n. 22, art. 49.

24. Il disposto del D.L. riguarda direttamente solo la T.I.A.2 e potrebbe essere esteso alla T.I.A.1 solo ove potesse sostenere il carattere sostanzialmente interpretativo e non innovativo della disposizione.

25. Poichè la giurisprudenza della Corte Costituzionale e della Cassazione era già al momento della entrata in vigore del D.L. n. 78 del 2010 pacificamente orientata nel senso di ritenere la natura tributaria e non di corrispettivo della T.I.A.1, si è posto il problema se la disposizione in tema di cd T.I.A.2 abbia o meno carattere innovativo e, quindi, in particolare, istituisca una tariffa che nell'intenzione del legislatore, dovrebbe essere ontologicamente e sostanzialmente diversa rispetto alla cd "T.I.A.1".

26. A decorrere dal 2013, ad opera del D.L. n. 201 del 2011, art. 14 sia la TIA 1, che la TIA 2 sono state soppresse. L'art. 12 ha stabilito che le disposizioni oggetto del D.Lgs. n. 152 del 2006, art. 238 si interpreta nel senso che la natura della tariffa non è tributaria e le relative controversie, successive alla entrata in vigore del decreto, rientrano nella giurisdizione dell'autorità giudiziaria ordinaria.

27. la L. n. 147 del 2013, art. 1 ha istituito la Tari, consentendo ai Comuni dove opera anche un sistema di misurazione puntuale dei rifiuti, di applicare la tariffa "corrispettivo" in alternativa alla Tari classica. Per definire la nozione di "misurazione puntuale dei rifiuti", il Decreto dell'Ambiente 29 aprile 2017 ha precisato che l'istituzione della tariffa corrispettiva è integrata con la misurazione puntuale dei soli rifiuti indifferenziati, consentendo che la quota variabile di tariffa puntuale possa essere attribuita sulla base "del numero dei servizi messi a disposizione della medesima" utenza, anche quando questa non li utilizzi (art. 9 del decreto). Viene riproposta, pertanto, la genericità letterale che legittima la prassi dell'addebito degli svuotamenti minimi dei raccoglitori dei rifiuti, anche laddove le utenze non se ne siano avvalse, con ciò reiterando le medesime problematiche affrontate a proposito della TIA (1 e 2).

28. Come innanzi esplicitato, il tema della natura tributaria o privatistica della tariffa oggetto del presente giudizio era stato preceduto da analoga questione relativa alla natura giuridica della cd T.I.A.1, introdotta al D.Lgs. n. 22 del 1997, art. 49 alternativa ed opzionale rispetto alla TARSU. La mancanza di elementi rappresentativi della qualificazione e l'utilizzo da parte del legislatore della parola "tariffa", in luogo di "tassa", lasciavano intendere una preferenza per il prelievo di natura corrispettiva.

29. In quel caso la Corte Costituzionale, nella decisione n. 238 del 2009 aveva ribadito che il profilo decisivo riguardava l'ambito sostanziale, e, quindi, le caratteristiche della tariffa, evidenziando che la natura tributaria del prelievo era legata ai tre consueti elementi: della obbligatorietà o doverosità della prestazione, della mancanza di un rapporto sinallagmatico tra le parti e del collegamento del prelievo ad una pubblica spesa.

30. Parametri che saranno ribaditi dalla Consulta nelle decisioni n. 89 e 168 del 2018 affermando che "una fattispecie deve ritenersi di natura tributaria, indipendentemente dalla qualificazione offerta dal legislatore, là dove si riscontrino tre requisiti: la disciplina legale deve essere diretta in via prevalente a procurare una definitiva decurtazione patrimoniale a carico del soggetto passivo; la decurtazione non deve integrare una modifica di un rapporto sinallagmatico; le risorse, connesse ad un presupposto economicamente rilevante e derivanti dalla suddetta decurtazione, devono essere destinate a sovvenire spese pubbliche".

31. Nel 2009 la Consulta aveva evidenziato che, indipendentemente dalla volontà del legislatore che si traduce nell'adozione di un nomen iuris, quella fattispecie deve corrispondere alla disciplina sostanziale del prelievo, affermando che, sia la TARSU che la T.I.A.1 erano caratterizzati da un soggetto passivo che non poteva sottrarsi alla prestazione in oggetto. I servizi concernenti lo smaltimento dovevano essere obbligatoriamente istituiti dai Comuni, che li gestivano in regime di privativa ed i soggetti tenuti al pagamento dei prelievi, salve tassative ipotesi di esclusione, non potevano sottrarsi a tale obbligo adducendo di non volersi avvalere dei suddetti servizi.

32. La legge, infine, non dava alcun sostanziale rilievo alla volontà delle parti nel rapporto tra gestore e utente. Sulla base di questi elementi evidenziava che, per entrambe le tariffe, non era consentita la assoggettabilità ad Iva, per difetto del presupposto oggettivo di tale imposta.

33. La Corte Costituzionale escludeva la sussistenza di un rapporto sinallagmatico, posto alla base della possibilità di assoggettare ad Iva la tariffa per l'inesistenza di un nesso diretto tra il servizio e l'entità del prelievo.

34. Quest'ultimo, infatti, era commisurato a mere presunzioni forfettarie di producibilità di rifiuti interni e al costo complessivo dello smaltimento, anche dei rifiuti esterni.

35. Il principio affermato dalla Consulta sarà poi ripreso dalla giurisprudenza di legittimità relativa al tema della natura giuridica della T.I.A.1 e tali considerazioni assumono rilievo, per quanto si dirà, anche con riferimento alla successiva tariffa denominata T.I.A.2.

36. Il tema della natura giuridica di tale ultima tariffa è stato affrontato da questa Sezione della Corte di Cassazione, nell'ordinanza 21 giugno 2018 n. 16332, con una corposa motivazione, rilevando che la tariffa integrata ambientale - la cosiddetta T.I.A.2-, disciplinata al D.Lgs. n. 152 del 2006, art. 238 a differenza della tariffa di igiene ambientale, che l'aveva preceduta (la cosiddetta T.I.A.1, disciplinata al D.Lgs. n. 22 del 1997, art. 49), non avrebbe natura tributaria, ma privatistica, e ciò sulla base del forte e chiaro disposto di interpretazione autentica (D.L. n. 78 del 2010, art. 14, comma 33, successivamente convertito dalla L. n. 122 del 2010), a seguito del quale non sussisterebbe alcun dubbio sulla natura di "corrispettivo", e non di tributo della T.I.A.2 e sulla conseguente assoggettabilità ad IVA, ai sensi del D.P.R. n. 633 del 1972, artt. 1, 3 e 4.

37. Questa Corte rilevava che l'evoluzione legislativa degli ultimi decenni avrebbe dato corpo ai tentativi reiterati del legislatore di sostituire la TARSU e il relativo finanziamento tributario dei servizi ambientali, per raggiungere la tariffa per la gestione dei rifiuti urbani, oggetto dell'originario art. 238 citato D.Lgs.. Entrata, poi, ulteriormente denominata, "tariffa integrata ambientale" (cosiddetta T.I.A.2), dal D.L. n. 208 del 2008, art. 5, comma 2 quater convertito nella L. n. 13 del 2009 e ciò in una prospettiva di modifica nominativa del regime tariffario.

38. Si precisava in quella decisione che l'orientamento di legittimità precedente si riferiva esclusivamente alle caratteristiche della T.I.A.1 e anche i riferimenti alla TIA2 contenuti nella citata sentenza della Corte Costituzionale 24 luglio 2009 n. 238 avevano la funzione di evidenziare la "portata innovativa e ontologicamente diversa" della novellata tariffa, rispetto alla precedente T.I.A.1, ma non anche di definire come tributaria quella oggetto della novella.

39. Pertanto - secondo quella decisione - già la Consulta avrebbe evidenziato la novità della T.I.A.2, riconoscendone in qualche modo una natura privatistica e di corrispettivo che sarebbe "desumibile dal tenore della norma istitutiva" che sarebbe stata poi "definitivamente confermata dall'enunciato normativo secondo cui "l'art. 238 si interpreta nel senso che la natura della tariffa ivi prevista non è tributaria"... e le controversie relative rientrerebbero nella giurisdizione dell'autorità giudiziaria ordinaria" (D.L. n. 78, art. 14, comma 33).

40. A fronte di un chiaro dato letterale conseguente all'utilizzo consapevole del termine "corrispettivo" nell'enunciato istitutivo della T.I.A.2, non sarebbe possibile dubitare sulla natura non tributaria della tariffa.

41. Dopo la predetta ordinanza, questa Corte (sia la Terza Sezione che, da ultimo, la Sezione Tributaria) ha adottato una serie di decisioni che hanno tutte ribadito tali principi (tra le ultime, Cass. n. 15529/2019, Cass. Sez. 6 - 3, Ordinanza n. 14753 del 31 gennaio 2019, Cass. Sez. 6 - 3, Ordinanza n. 12745 del 20 dicembre 2018; Cass. Sez. 6 - 3, Ordinanza n. 12744 del 2018; Cass. Sez. 6 - 3, Ordinanza n. 4876 del 2019 e, da ultimo, Cass. Sez. 5, n. 20972 del 20 giugno 2019).

42. La Corte ha dato seguito alla giurisprudenza precedente secondo cui "la tariffa di cui al D.Lgs. n. 152 del 2006, art. 238 come interpretata dal del D.L. n. 78 del 2010, art. 14, comma 33", quale convertito, "ha natura privatistica, ed è pertanto soggetta ad IVA ai sensi del D.P.R. n. 633 del 1972, artt. 1, 3 e art. 4, commi 2 e 3" (pagg. 16-17 di Cass. n. 16332/18).

43. Come chiarito nell'arresto in parola, con cui è stato deciso analogo ricorso della Veritas S.p.A., e in cui si ripercorre tutta l'evoluzione normativa e giurisprudenziale (pagg. 5-16), la disciplina della c.d. T.I.A.2 quale delineata nel citato art. 238, differenziandosi, per quanto qui importa, dal regime della c.d. T.I.A.1, da una lato individua il fatto generatore dell'obbligo del pagamento nella produzione di rifiuti, ancorando dunque il debito all'effettiva fruizione del servizio, nonchè parametrando l'entità del dovuto alla quantità e qualità dei rifiuti prodotti, e, dall'altro, afferma, in modo netto e innovativo insieme, la natura di "corrispettivo" della tariffa in parola (pag. 8); che non rileva in contrario la circostanza che il pagamento della c.d. T.I.A.2 (come quello della c.d. T.I.A.1) sia obbligatorio per legge, atteso che il D.P.R. n. 633 del 1972, art. 3 prevede che "le prestazioni verso corrispettivo dipendenti da contratti d'opera, appalto, trasporto, mandato, spedizione, agenzia, mediazione, deposito e in genere da obbligazioni di fare, di non fare e di permettere" costituiscono prestazioni di servizi (ai fini della assoggettabilità all'IVA ex art. 1 medesimo decreto) "quale ne sia la fonte" (cfr. pag. 8 del precedente di questa Corte appena richiamato); che la natura privatistica della c.d. T.I.A.2, e dunque la sua portata innovativa ed ontologicamente diversa rispetto alla precedente c.d. T.I.A.1, già desumibile dal tenore della norma istitutiva, è stata poi definitivamente confermata dal D.L. n. 78 del 2010, art. 14, comma 33, quale convertito, che ha previsto che "le disposizioni di cui al D.Lgs. 3 aprile 2006, n. 152, art. 238, si interpretano nel senso che la natura della tariffa ivi prevista non è tributaria.

44. "Le controversie relative alla predetta tariffa, sorte successivamente alla data di entrata in vigore del presente decreto -ribadisce la giurisprudenza di questa Corte- rientrano nella giurisdizione dell'autorità giudiziaria ordinaria", sicchè, a fronte del chiaro disposto di tale norma, è evidente che, a seguito della sua emanazione, non è più dato neppure interrogarsi sulla natura di corrispettivo, e non di tributo, della c.d. T.I.A.2, e sulla conseguente sua assoggettabilità ad IVA (cfr. a pag. 9 dell'arresto del 2018 di cui sopra); che nella prospettiva dell'opzione legislativa è cioè chiaro che l'individuazione del costo con componenti predeterminate o accessorie è del tutto compatibile trattandosi di contratti di massa, nella cornice dei quali trova idonea spiegazione anche la redistribuzione agevolativa dei costi con modalità che tengano conto anche di indici reddituali.

45. Le decisioni successive hanno preso atto che tale ricostruzione contrasterebbe con altra giurisprudenza di questa Corte, a Sezioni Unite, e in particolare con Cass., Sez. U., 15/03/2016, n. 5078 ritenendo, però, di poter superare gli argomenti proposti.

46. La decisione delle Sezioni Unite riguarderebbe solo la c.d. T.I.A.1; inoltre, nella statuizione si ricorda la giurisprudenza comunitaria (Corte Giust., 15/07/2009, causa 254/08), che ha chiarito come non esiste un vincolo, per gli Stati membri, a finanziare con una specifica modalità, in tesi tributaria, la gestione della raccolta dei rifiuti; in questo senso, risulta irrilevante la circostanza che il gestore sia una società c.d. in house; che, infatti, l'attività commerciale di tali società nei confronti di terzi ben può restare privatistica, nonostante la rilevanza pubblicistica del regime dell'ente ad altri fini correlati al controllo della società stessa da parte dell'amministrazione che ne sia socia; che nelle fattispecie in scrutinio si controverte solamente della (imposta sul valore aggiunto relativamente alla) c.d. T.I.A.2, adottata dal Comune di Venezia con regolamento 14 gennaio 2011.

47. Fatta questa doverosa premessa, occorre evidenziare che le decisioni di questa Corte non si soffermano in maniera specifica sul profilo sostanziale della prestazione imposta con la denominazione di "tariffa", denominazione che sembra per vero compendiare i tentativi normativi di rinnovare il sistema di riparto del costo dei servizi pubblici di raccolta, smaltimento e pulizia urbani, utilizzando per istituti sostanzialmente omogenei differenti definizioni.

48. Il nucleo centrale della motivazione, successivamente ripreso dalla giurisprudenza, sia di questa sezione, che, recentemente della sezione tributaria della Corte, si fonda sostanzialmente su due argomentazioni: da un lato, viene ritenuto decisivo il dato normativo che individua il fatto generatore dell'obbligo del pagamento nella produzione di rifiuti e, dunque, nella "effettiva fruizione del servizio", "commisurando l'entità del dovuto alla quantità e qualità dei rifiuti prodotti"; dall'altro, si valorizza il dato letterale chiaro e innovativo, che definisce "corrispettivo" la tariffa.

49. Tutto ciò deporrebbe "per la sua natura privatistica, con conseguente assoggettabilità all'Iva, ai sensi del D.P.R. n. 633 del 1972, art. 3, in linea con quanto desumibile "a contrario" dal principio affermato dalle Sezioni Unite (Cass. n. 5078 del 2016) dalla precedente conforme giurisprudenza di legittimità, in relazione alla T.I.A.1".

50. In realtà il primo profilo è solo apparentemente un elemento di novità, perchè reitera la individuazione del fatto generatore dell'obbligo, nella titolarità di diritti immobiliari e nella "potenziale" e non nella "effettiva" produzione di rifiuti.

51. La circostanza di ancorare il prelievo ad una produzione ipotetica di rifiuti costituisce il profilo sostanziale che viene soltanto diversamente definito dal legislatore, negando la natura tributaria di una prestazione imposta, così com'era avvenuto nel 2010, attribuendole la definizione di corrispettivo.

52. Tale ricostruzione non tiene conto che là dove si fa riferimento ai tributi di ogni genere e specie, comunque denominati (D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 2) è necessario accertare il profilo sostanziale, cioè la natura di una prestazione e ciò a prescindere dalla terminologia utilizzata dal legislatore.

53. L'indagine sulle caratteristiche sostanziali del prelievo, si traduce nella verifica di una reale diversità tra i caratteri strutturali e funzionali della nuova tariffa, rispetto a quella precedente, al fine di escludere o attribuire la natura tributaria del prelievo sulla base delle caratteristiche della tariffa e non a seguito della formale denominazione o qualificazione data dal legislatore (riprendendo le parole di Corte Costituzionale n. 238 del 2009).

54. Si ricorda all'uopo che la giurisprudenza alla Corte di Giustizia, ha sempre valorizzato non la qualificazione formale di un'entrata, quanto le connotazioni sostanziali della stessa, in linea con l'impostazione sostanzialista della legislazione comunitaria, per cui non esiste un'incompatibilità pregiudiziale tra ambito applicativo dell'Iva e entrate tributarie.

55. In questi termini, ad esempio, la giurisprudenza della Corte di Giustizia dell'Unione Europea (sentenza C-189/15 del 18 gennaio 2017) ha qualificato come tributi le prestazioni denominate dal legislatore italiano come "corrispettivi a copertura degli oneri generali del sistema elettrico" in quanto in linea con la nozione di tributo elaborata dalla giurisprudenza costituzionale e di legittimità.

56. Il profilo rilevante per il quale le tasse non sono soggette a Iva risiede nella circostanza che nell'ordinamento interno le tasse non rappresentano il corrispettivo del servizio cui esse accedono.

57. A prescindere dalla qualificazione formale del prelievo, l'aspetto rilevante è l'esistenza o meno di un nesso sinallagmatico tra l'importo dovuto ed il servizio fruito, tanto che l'obbligazione tributaria potrebbe essere sganciata dall'esistenza di prestazioni eseguite in favore dei singoli contribuenti. Profilo questo, ben evidenziato dalle Sezioni Unite di questa Corte nella decisione n. 5078 del 2016 rilevando che "anche la necessità di un rapporto sinallagmatico tra la prestazione e la controprestazione, ai fini della imponibilità, risulta conforme alla giurisprudenza comunitaria".

58. In definitiva, è possibile qualificare una prestazione di servizi come operazione a titolo oneroso solo quando sussiste un nesso diretto, tra la prestazione e un corrispettivo effettivamente percepito dal soggetto passivo. Tale nesso diretto esiste qualora tra il prestatore e il destinatario intercorra un rapporto giuridico nell'ambito del quale avvenga uno scambio di reciproche prestazioni e il compenso ricevuto dal prestatore costituisca il controvalore effettivo del servizio prestato al destinatario.

59. In ambito comunitario, com'è noto, opera il principio "chi inquina paga" e l'orientamento degli organi sovranazionali è stato univoco nell'affermare che il principio pone un obbligo di risultato agli Stati membri, senza dettare prescrizioni imperative in ordine alle modalità con le quali perseguire finalità ambientali così tutelate. La Corte di Giustizia nella decisione del 16 luglio 2009 (procedimento C-254/08) ha ritenuto compatibile la TARSU con la normativa comunitaria (così come C. Cost. 238/09 ha affermato la compatibilità della natura tributaria della TIA1 con l'ordinamento comunitario) e successivamente, nella sentenza 30 marzo 2017, causa C-335/16 ha ribadito le medesime argomentazioni in ambito di legislazione croata.

60. Da ciò emerge che la questione relativa alla natura del prelievo deve essere affrontata sulla base della disciplina interna, guardando alla sostanza della tariffa più che alla denominazione.

61. Sotto tale profilo assume rilievo, contrario alla tesi della natura privatistica, la determinazione normativa non contrattuale della fonte del prelievo, per cui la T.I.A.2 conserva il carattere autoritativo e non sinallagmatico che aveva costituito la ragione per la quale la Consulta nel 2009 aveva negato alla precedente tariffa la natura di corrispettivo, piuttosto che quella di imposta di natura tributaria.

62. La Corte Costituzionale osservava che la legge non dava alcun sostanziale rilievo, genetico funzionale, alla volontà delle parti nel rapporto tra gestore e utente del servizio e che i servizi concernenti lo smaltimento dei rifiuti devono essere obbligatoriamente istituiti dai Comuni che li gestiscono, in regime di privativa, sulla base di una disciplina regolamentare fissata soltanto dalle amministrazioni. Nello stesso modo i soggetti tenuti al pagamento dei prelievi non possono sottrarsi a tale obbligo adducendo di non volersi avvalere dei servizi. Tali considerazioni riferite dalla Consulta alla T.I.A.1 sono esportabili alla tariffa successiva, che costituisce sempre un importo determinato in via autoritativa, allo scopo di ripartire spese pubbliche necessarie a provvedere a servizi indispensabili e pubblici.

63. Pertanto è innegabile l'analogia tra i costi del "servizio di raccolta, recupero e smaltimento dei rifiuti solidi urbani" e i "costi accessori relative alla gestione dei rifiuti urbani quali, ad esempio, le spese di spazzamento delle strade" (art. 238 citato).

64. E sempre dal punto di vista sostanziale, risulta sovrapponibile la posizione delle due tariffe poichè per entrambe l'importo è dovuto in ragione del possesso o della detenzione di locali o di aree, atti alla produzione di rifiuti urbani (o, letteralmente, "che producano"). L'importo è ragionevolmente parametrato ad una produzione di rifiuti soltanto presuntiva e potenziale, perchè commisurata "alle quantità e qualità medie ordinarie di rifiuti prodotti per unità di superficie, in relazione agli usi e alla tipologia di attività svolte" (art. 238, comma 2). Si tratta di un criterio di riparto che tiene conto "anche di indici reddituali articolati per fasce di utenza e territoriali", con evidenti profili solidaristici.

65. Sotto tale profilo esiste, quindi, una analogia sostanziale tra la "potenziale produzione dei rifiuti, valutata per tipo di uso delle superfici tassabili", evidenziata dalla Consulta nella citata decisione 238 riferita alla TIA1 e la caratteristica strutturale della nuova tariffa T.I.A.2 legata anch'essa "non all'effettiva produzione di rifiuti", ma ad una ragionevole produzione di rifiuti (come osservato, con riferimento alla T.I.A.1, da Consiglio di Stato, Sezione V, 26 settembre 2013).

66. Non è possibile riscontrare un nesso diretto tra servizio e l'entità del prelievo, poichè lo stesso è commisurato a presunzioni di producibilità dei rifiuti e ciò sollecita delle perplessità riguardo alla sussistenza del "rapporto sinallagmatico" che costituisce uno dei tre parametri sintomatici per assoggettare ad Iva di una tariffa ai sensi del D.P.R. n. 633 del 1972, artt. 3 e 4 (come osservato da Corte Costituzionale n. 238).

67. Nello stesso modo, va evidenziata una ulteriore anomalia, connessa alla circostanza che la tariffa è destinata a ripartire, nella generalità dei casi, anche il costo dei servizi relativi ai "rifiuti di qualunque natura e provenienza giacenti sulle strade ed aree pubbliche e soggetti ad uso pubblico", cioè i cd rifiuti esterni che riguardano spese pubbliche afferenti a un servizio indivisibile reso a favore della collettività. Eppure la tariffa è dovuta solo dai possessori o detentori di locali e aree atti a produrre rifiuti urbani e ciò evidenzia ulteriormente l'insussistenza di un rapporto sinallagmatico con il singolo utente, come già osservato, anche sotto tale profilo dalla Consulta nel 2009.

68. Va ribadito che il riferimento contenuto all'art. 238 al criterio di computo della tariffa "commisurata alla quantità e qualità medie ordinarie di rifiuti prodotti per unità di superficie... sulla base di parametri che tengano anche conto di indici reddituali articolati per fasce di utenza e territoriali" non pare costituire un profilo di novità rispetto al precedente assetto della T.I.A.1 e della TARSU. La norma, infatti, si riferisce non all'effettiva fruizione del servizio. Il riferimento ai "rifiuti prodotti" e non ai rifiuti producibili (come era previsto per la TARSU) rappresenta una novità apparente, perchè va letto tenendo conto del Regolamento di costruzione della tariffa, che fa parte integrante della disciplina di legge.

69. La rilevanza dei profili sostanziali, che riguardano le caratteristiche strutturali della tariffa, trova invece eco nel Regolamento per l'applicazione della T.I.A.2 del Comune di Venezia oggetto del presente giudizio e di tutte le decisioni di legittimità che si sono occupate della vicenda, a partire da Cass. 21 giugno 2018 n. 16332. Il Regolamento prevede che la tariffa è un importo periodicamente dovuto "per il possesso la detenzione di locali o aree scoperte, esistenti sul territorio comunale, ad uso privato o pubblico, a qualsiasi uso adibiti, che possono "potenzialmente" produrre rifiuti" (art. 5 -Presupposto-Regolamento). L'importo è costituito da una quota fissa, relativa alla sussistenza del servizio e da una quota variabile, che riguarda la produzione di rifiuti "presuntiva di ciascuna singola utenza" ed è destinato a produrre un gettito complessivo annuo che dovrà garantire la completa copertura dei costi del servizio di gestione dei rifiuti urbani (art. 8).

70. Da ciò emerge che, anche per la T.I.A.2 la variabile dei rifiuti effettivamente ascrivibili alle utenze è irrilevante, così come avveniva in passato, perchè l'ammontare della tariffa è determinato sulla base del D.P.R. n. 158 del 1999 che indica i coefficienti di produttività dei rifiuti ripartiti sulla base di categorie astratte di utenza, differenziate in funzione della pubblicazione nelle zone del Nord, Centro e Sud. Pertanto, l'importo non deriva dalla misurazione, anche solo indiretta dei rifiuti prodotti alla singola utenza, ma dall'applicazione di indici medi di produttività di rifiuti, ascrivibili ad ampie categorie di utenze, peraltro riferite ad aree geografiche ampie e indeterminate.

71. Anche per tale tariffa il soggetto passivo contribuisce alla spesa a prescindere dall'effettiva fruizione del servizio pubblico di gestione dei rifiuti.

72. Il meccanismo consente il pagamento anche in assenza di utilizzo reale del servizio, reiterando la medesima situazione presa in esame dalla Consulta nel 2009. Ed infatti l'esperienza pratica segnalata dai ricorrenti evidenzia che il soggetto contribuente corrisponde somme sostanzialmente equivalenti a quelle calcolate per il periodo di annualità in regime di T.I.A.1.

73. Alla luce di tali considerazioni la rilevanza del profilo letterale legato al termine "corrispettivo" risulta oltremodo appannata ed inidonea a desumere che la nuova tariffa rappresenti un profilo "ontologicamente differente" rispetto al suo precedente tributario e per riconoscere alla stessa una natura privatistica, piuttosto che la risultante dell'ennesimo tentativo legislativo di avvicinare il pagamento della tariffa all'effettivo servizio utilizzato.

74. L'argomentazione fondata sul dato letterale che qualifica come non tributaria la tariffa in oggetto, non si confronta con l'orientamento costante della giurisprudenza della Consulta secondo cui, ai fini della qualificazione di una entrata, il nomen formalmente utilizzato dal legislatore non è di per sè decisivo, come anticipato nel parere espresso dalla Terza Sezione del Consiglio di Stato già il 12 giugno 1979 riguardo alla natura giuridica del canone di fognatura e depurazione.

75. Anche questa Corte si era espressa negli stessi termini con la sentenza n. 8313 del 2010, secondo cui la modifica della natura della T.I.A.1 "potrà conseguire soltanto a seguito di un mutamento della disciplina positiva, che colleghi il pagamento alla prestazione di un servizio liberamente fruibile" e non attraverso una modifica della denominazione da parte del legislatore, il quale potrebbe - ad esempio - anche stabilire che l'imposta comunale sulla pubblicità costituisca entrata patrimoniale per utilizzarne il regime giuridico correlato.

76. Tali considerazioni si rinvengono, seppur sinteticamente, nell'ambito di una decisione in tema di giurisdizione adottata recentemente delle Sezioni Unite di questa Corte (Cass. Sez. U., 11/07/2017, n. 17113).

77. Come osservato nelle decisioni successive di questa Sezione (per tutte, Cass. sez 6 Ordinanza n. 14753 del 2019) quella statuizione aveva ad oggetto la natura giuridica della addizionale provinciale sulla cd. T.I.A.2, concludendo che la stessa (addizionale) aveva natura tributaria, "come si evince dalla stessa formulazione letterale della disposizione istitutiva, la quale prevede un sistema di reperimento, attraverso un tributo, della provvista necessaria all'esercizio, di utilità generale, di funzioni di interesse pubblico, mancando un rapporto di corrispondenza economica tra la prestazione dell'amministrazione e il vantaggio ricevuto dal privato" (che condurrebbe a escluderne la natura di tassa).

78. Correttamente nelle citate recenti decisioni questa Corte ha evidenziato che quella affermazione delle Sezioni Unite aveva un oggetto diverso da quello qui in discussione, riguardando la giurisdizione in punto di addizionale provinciale connessa alla tariffa in parola. Le Sezioni Unite, si legge nelle decisioni successive, effettivamente accomunano, "in relazione ai presupposti, la c.d. T.I.A.1, la c.d. T.I.A.2 e la TARI, sotto il profilo della "mancanza di nesso diretto tra prestazione e corrispettivo", e sotto quello per cui "il compenso ricevuto dal prestatore dei servizi non è il controvalore effettivo del servizio prestato al destinatario" (pag. 8), ma è parimenti vero che (pag. 9) della tariffa in parola, per converso, secondo quanto anticipato, viene indicata la "natura privatistica"".

79. In realtà, quella decisione (delle Sezioni Unite) prende atto della natura privatistica della tariffa, inaugurata dalla decisione di questa sezione del 21 giugno 2018 n. 16332 (e che poi troverà conferma nelle recenti decisioni del 2019, anche nella giurisprudenza della Sezione Tributaria), ma ribadisce i principi generali tesi a qualificare la natura giuridica di una tariffa, come tributaria o privatistica, evidenziando, sostanzialmente, che la T.I.A.2 presenta le medesime caratteristiche delle due tariffe che l'hanno preceduta.

80. Quella decisione è stata recentemente presa in esame delle Sezioni Unite (decisione n. 19896 del 23 luglio 2019 in tema di cd TIA1 e non TIA2) che hanno fatto propria la ricostruzione normativa, rilevando che secondo "la citata ordinanza n. 17113/17 la disposizione sulla Tia2 ha carattere innovativo, o - meglio - istituisce una tariffa che nell'intenzione del legislatore dovrebbe essere ontologicamente diversa rispetto alla "prima Tia".

81. In realtà, non è possibile ignorare che quella decisione delle Sezioni Unite (n. 17113/17), in maniera assolutamente netta e chiara, afferma quanto segue:

82. "Tuttavia, sia la T.I.A.1 che la T.I.A.2 che la Tari (anch'essa ha natura pubblica anche se riscossa dal gestore, per la natura autoritativa e pubblica del prelievo) sono tutte caratterizzate dai medesimi presupposti: a) mancanza di nesso diretto tra prestazione e corrispettivo; b) il compenso ricevuto dal prestatore dei servizi non è il controvalore effettivo del servizio prestato al destinatario"...".

83. "In realtà anche la T.I.A.2 individua il fatto generatore dell'obbligazione nella titolarità di diritti immobiliari e nella "potenziale" - non nella "effettiva" - produzione di rifiuti.

84. Mentre non appare convincente per superare "normativamente" la natura tributaria di una prestazione imposta, com'è avvenuto nel 2010, la mera classificazione della stessa come "corrispettivo".

85. Occorre ribadire che ai fini della giurisdizione tributaria, laddove si fa riferimento ai tributi variamente denominati (D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 2), occorre accertare la natura di una prestazione, a prescindere "dalla terminologia utilizzata" dal legislatore per procedere ad un autonomo e analitico esame delle caratteristiche di tale prelievo.

86. In questi termini rileva la giurisprudenza della Corte di giustizia dell'U. E. nella sentenza C/189/15, del 18.1.2017, in cui si qualificano come tributi prestazioni denominate dal legislatore italiano come "corrispettivi a copertura degli oneri generali del sistema elettrico".

87. Sotto tale profilo la T.I.A.2 non sembra introdurre rilevanti elementi di novità rispetto ai caratteri strutturali e funzionali propri di una prestazione di natura tributaria.

88. Già con specifico "riguardo alla determinazione normativa, e non contrattuale, della fonte del prelievo", la T.I.A.2 conserva una marcata "impronta autoritativa" "e non sinallagmatica" che è già stata motivo per negare (anche nella sentenza della Consulta n. 238/2009) che la precedente Tariffa (la cd. T.I.A.1) potesse costituire un corrispettivo e non già una prestazione imposta di natura tributaria.

89. La disciplina normativa non attribuisce alcun sostanziale rilievo alla volontà delle parti nel rapporto tra gestore ed utente del servizio, e così come "i servizi concernenti lo smaltimento dei rifiuti devono essere obbligatoriamente istituiti dai Comuni, che li gestiscono, in regime, appunto, di privativa, sulla base di una disciplina regolamentare da essi stessi unilateralmente fissata", così "i soggetti tenuti al pagamento dei relativi prelievi (salve tassative ipotesi di esclusione o di agevolazione) non possono sottrarsi a tale obbligo adducendo di non volersi avvalere dei suddetti servizi".

90. Si tratta di profili che erano propri della T.I.A.1, come si legge in Corte Cost., sent. n. 238/2009.

91. Inoltre anche la T.I.A.2 consiste nella pretesa di un importo autoritativamente determinato e imposto allo scopo di ripartire pubbliche spese necessarie a provvedere a servizi, oggettivamente pubblici e resi in regime di privativa: il costo del "servizio di raccolta, recupero e smaltimento dei rifiuti solidi urbani", piuttosto che i "costi accessori relativi alla gestione dei rifiuti urbani quali, ad esempio, le spese di spazzamento delle strade" (D.Lgs. n. 152 del 2006, art. 238, comma 3, II periodo, - e, sul punto, già, Corte Cost. sent. n. 238/2009 e Cass., sez. trib., sent. n. 17526/2007).

92. E ancora, come già la T.I.A.1, anche la prestazione imposta destinata a sostituirla (la T.I.A.2) è un importo dovuto in ragione del possesso o della detenzione di locali o aree atti alla produzione di "rifiuti urbani" (e, in questo senso, "che producano" tale tipologia di rifiuti), normativamente parametrato ad una presuntiva produzione di rifiuti, essendo "commisurata" "alle quantità e qualità medie ordinarie di rifiuti prodotti per unità di superficie, in relazione agli usi e alla tipologia di attività svolte" (cfr., il D.Lgs. n. 152 del 2006, art. 238, comma 2).

93. Come per la T.I.A.1 ciò che rileva è la potenziale produzione dei rifiuti, valutata per tipo di uso delle superfici tassabili" e non l'effettiva produzione di rifiuti.

94. Non pare sussistere un "rapporto sinallagmatico" che è "alla base dell'assoggettamento ad IVA ai sensi del D.P.R. n. 633 del 1972, artt. 3 e 4" (cfr., Corte Cost., sent. n. 238/2009), attesa "l'inesistenza di un nesso diretto tra il servizio e l'entità del prelievo - commisurata, come si è visto, a mere presunzioni forfetarie di producibilità dei rifiuti interni e al costo dello smaltimento anche dei rifiuti esterni".

95. La Tariffa in questione è dovuta dai soli possessori o detentori di locali e aree atti a produrre rifiuti urbani, pur essendo destinata a ripartire generalmente, come per la T.I.A.1, anche il costo dei servizi relativi ai "rifiuti di qualunque natura o provenienza giacenti sulle strade ed aree pubbliche e soggette ad uso pubblico" (rifiuti cd. "esterni"), cioè "anche pubbliche spese afferenti a un servizio indivisibile, reso a favore della collettività" e non dei soli possessori o detentori di immobili, nè "riconducibili a un rapporto sinallagmatico con il singolo utente" (cfr., già a proposito della T.I.A.1, sent. n. 238 cit.).

96. Il Regolamento per "l'applicazione" della cd. T.I.A.2 del Comune di Venezia (Regolamento approvato dal Consiglio comunale di Venezia con Delib. 24 gennaio 2011, n. 7), prevede proprio che la tariffa è un importo periodicamente "dovuto" "per il possesso o la detenzione di locali od aree scoperte, esistenti sul territorio comunale, ad uso privato o pubblico, qualsiasi uso adibiti, che possono potenzialmente produrre rifiuti" (così l'art. 5 - "Presupposto" - Regolamento cit.).

97. E tale importo, "costituito da una quota fissa, relativa alla sussistenza del servizio, e da una quota variabile, relativa alla produzione rifiuti presuntiva di ciascuna singola utenza", è destinato a produrre un "gettito complessivo annuo" che "dovrà garantire la completa copertura dei costi del servizio di gestione dei rifiuti urbani" (così, l'art. 8).

98. L'uso del termine "corrispettivo" allora sembra sganciato dalle reali caratteristiche della tariffa rispetto alla precedente TIA avente natura tributaria, per riconoscerle una natura privatistica".

99. Alla luce delle considerazioni che precedono, pur dando atto dell'univoco orientamento di legittimità, ribadito sia dalla giurisprudenza di questa sezione che, da ultimo, della sezione tributaria, affermatosi sul tema (di cui agli arresti menzionati analiticamente sopra), ritiene il Collegio che la questione relativa alla natura giuridica della tariffa integrata ambientale, cd T.I.A.2 e l'assoggettabilità ad Iva della stessa, esiga un pronunciamento della Corte nella sua più tipica espressione di organo della nomofilachia: si versa, invero, in questione di massima di particolare importanza, in ragione degli assai incidenti (ed immediatamente percepibili) riverberi di natura pratico-applicativa che da essa scaturiscono, sia con riferimento alla predetta tariffa integrata ambientale, sia riguardo alla istituzione della (successiva) TARI, regolata dalla L. n. 147 del 2013, art. 1, commi 641 e seguenti che prevede che i Comuni, ove sia operante un sistema di misurazione puntuale dei rifiuti, possano applicare una tariffa corrispettiva in alternativa alla Tari classica. La nuova normativa -come si è precisato in premessa- è strutturata in maniera tale che si ripresenteranno le medesime problematiche affrontate a proposito della T.I.A.2 riguardo alla qualificazione tributaria o privatistica della stessa.

100. Ricorrono pertanto le condizioni per la rimessione del ricorso al Primo Presidente perchè valuti ex art. 374 c.p.c. l'opportunità di un'eventuale assegnazione alle Sezioni Unite.

 

P.Q.M.

La Corte dispone la rimessione degli atti al Primo Presidente per la valutazione sull'opportunità della assegnazione del ricorso alle Sezioni Unite, ai sensi dell'art. 374 c.p.c., comma 2, per la risoluzione della questione di massima di particolare importanza.

Così deciso in Roma, nella camera di Consiglio della Sezione Terza della Corte Suprema di Cassazione, il 5 giugno 2019.

Depositato in Cancelleria il 25 settembre 2019.