Diritto della Famiglia e dei Minori


Il Caso.it, Sez. Giurisprudenza, 14730 - pubb. 13/04/2016

L’Avvocato nel processo minorile è sempre anche Avvocato del minore

Tribunale Milano, 23 Marzo 2016. Est. Buffone.


Procedimenti in cui coinvolti minori – Ruolo e funzione dell’Avvocato di parte o madre – Obbligo di proteggere il minore coinvolto – Sussiste – Modalità

Controversia genitoriale – Intervento del giudice – Ammissibilità – Controversia su affari essenziali – Necessità – Sussiste – Micro-conflittualità – Potere di intervento del giudice – Esclusione



Alla luce di una interpretazione sistematica ed evolutiva dell’Ordinamento vigente, come risultante per effetto delle normative sopravvenute nel tempo, deve ritenersi che l’Avvocato del padre o della madre, nei procedimenti minorili, abbia comunque l’obbligo di assumere un comportamento “protettivo” dei minori coinvolti: non solo in virtù del contratto di patrocinio stipulato con il cliente (che ha “effetti protettivi” verso i fanciulli coinvolti) ma anche per la propria funzione da attribuire al difensore nelle cause familiari: nelle dinamiche avversariali (formate dalle posizioni attorea e di convenuto), i figli sono in posizione “neutrale” e gli Avvocati, assumendo la difesa dei loro genitori, si impegnano a proteggerli e ad operare anche nel loro interesse. Nel processo di famiglia, dunque, l’avvocato è difensore del padre o della madre; ma certamente è anche difensore del minore. Per l’effetto, nella doverosa assistenza del padre o della madre, l’Avvocato deve sempre anteporre l’interesse primario del minore e, in virtù di esso, arginare la micro-conflittualità genitoriale, scoraggiare litigi strumentali al mero scontro moglie-marito, proteggere il bambino dalle conseguenze dannose della lite. In particolare, assumendo una posizione “comune” a difesa del bambino e non assecondando diverbi fondati su situazioni prive di concreta rilevanza. (Redazione IL CASO.it) (riproduzione riservata)

L’accesso al modulo risolutivo di cui all’art. 709-ter c.p.c. non è consentito al cospetto di qualsivoglia scontro genitoriale ma limitatamente agli “affari essenziali” del minore ossia istruzione, educazione, salute, residenza abituale; quanto a dire, per risolvere problemi di macro-conflittualità non essendo ipotizzabile un intervento del giudice per problemi di micro-conflittualità. In altri termini, non è dato ricorso al giudice per dirimere controversie aventi ad oggetto (guardando ai casi decisi in modo analogo), a titolo di esempio, “il taglio dei capelli del minore”, “la possibilità per un genitore di delegare un parente per prelevare il figlio da scuola”, “l’acquisto di un tipo di vestito piuttosto che un altro” e, così, la specificazione di dati di estremo dettaglio in ordine ai tempi di frequentazione. La richiesta ex art. 709-ter c.p.c. che non abbia ad oggetto affari essenziali per il minore è inammissibile per difetto d’azione. L’inammissibilità dell’istanza non pregiudica il minore. Al cospetto di una conflittualità patologica che travolge finanche aspetti per i quali non è dato ricorso al giudice, il tribunale, attestata la inidoneità di padre e madre a svolgere il ruolo genitoriale, deve apporre limiti ex art. 333 c.c. alla loro responsabilità genitoriale, delegando il Comune di residenza per svolgere le funzioni di rappresentanza del fanciullo in loro vece; in caso di micro-conflittualità, ciascuno dei genitori, ben può rivolgersi in tal modo all’ente affidatario che può indirizzare i coniugi verso uno dei servizi loro messi a disposizione (mediazione familiare, sostegno psicologico, supporto terapeutico, etc.). (Redazione IL CASO.it) (riproduzione riservata)


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